Cass.Sez. III n. 6599 del 17 febbraio 2012 (CC 24 nov. 2011)
Pres.Teresi Est.Andronio Ric.Susinno
Urbanistica.Costruzione ultimata e sequestro preventivo
Il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche su un immobile abusivo già ultimato e rifinito, laddove la libera disponibilità di esso possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territorio ed incidere sul "carico urbanistico", il pregiudizio del quale va valutato avendo riguardo agli indici della consistenza dell'insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare nonché della domanda di strutture e di opere collettive.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:      Camera di consiglio
 Dott. TERESI    Alfredo            Presidente  del 24/11/2011
 Dott. FIALE     Aldo               Consigliere SENTENZA
 Dott. AMORESANO Silvio             Consigliere N. 2042
 Dott. GAZZARA   Santi              Consigliere REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO  Alessandro M. rel. Consigliere N. 18829/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) SUSINNO UGO N. IL 13/03/1956;
 avverso l'ordinanza n. 129/2010 TRIB. LIBERTÀ di MESSINA, del  			04/11/2010;
 sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA  			ANDRONIO;
 lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Lettieri Nicola nel senso  			dell'annullamento con rinvio, del provvedimento impugnato.  			RITENUTO IN FATTO
 1. - Con ordinanza del 4 novembre 2010, il Tribunale di Messina ha  			rigettato l'appello avverso il provvedimento di rigetto della  			richiesta di revoca di sequestro preventivo emesso dal GIP del  			Tribunale di Patti il 14 maggio 2010, disposto sull'immobile di  			proprietà del ricorrente, in relazione a reati edilizi.  			2. - Avverso l'ordinanza l'interessato ha proposto, tramite il  			difensore, ricorso per cassazione.
 2.1. - Si deduce, in primo luogo, la violazione del D.P.R. n. 380 del  			2001, art. 44, comma 2, e art. 321 c.p.p.,, comma 1, sul rilievo che  			il Tribunale non avrebbe tenuto conto dei principi espressi dalla  			sentenza Cass., sez. 3^, 29 settembre 2009, n. 1068, la quale ha  			chiarito che la confisca conseguente a lottizzazione abusiva,  			dovendosi considerare una pena ai fini dell'applicazione della  			Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, presuppone un elemento  			anche soggettivo di responsabilità nella condotta del partecipante  			alla lottizzazione che sia destinatario della confisca; con la  			conseguenza che viola l'art. 7 della Convenzione e l'art. 1 del  			Protocollo n. 1 della stessa Convenzione l'applicazione della  			confisca in danno di un soggetto di cui non sia stata accertata la  			condotta dolosa o colposa di partecipazione alla lottizzazione  			abusiva. Nel caso di specie, il Tribunale avrebbe illegittimamente  			ritenuto che la verifica della buona fede del soggetto terzo colpito  			dalla misura patrimoniale si debba effettuare nell'ambito del  			procedimento di merito e non possa già avvenire in sede cautelare.  			2.2. - Si lamenta, in secondo luogo, la violazione delle stesse  			norme, perché il Tribunale avrebbe affermato che l'intervento di un  			provvedimento di sequestro di per sè non configura un evento  			imprevisto e imprevedibile, tanto che si potrebbe procedere alla  			demolizione dell'immobile di proprietà del terzo incolpevole,  			soggetto che avrà, al più, diritto al risarcimento del danno.  			2.3. - È dedotta, in terzo luogo, la violazione dell'art. 321  			c.p.p., comma 1, perché non vi sarebbe nel caso di specie un  			pericolo concreto e attuale di aggravamento o di protrazione delle  			conseguenze del reato ne', tanto meno, di agevolazione della  			commissione di ulteriori reati. E ciò, in base alla decisiva  			considerazione che l'immobile era già rifinito in ogni parte e  			perfettamente abitabile - tanto che il ricorrente aveva tentato di  			trasferirvi la propria residenza - ed inoltre esso era già destinato  			alla fruizione residenziale, ricadendo in un'area individuata come  			zona di residenza stagionale, senza che possa configurarsi, quindi,  			un aggravamento del carico urbanistico. Mancherebbero, inoltre, gli  			indizi della sussistenza dell'elemento psicologico, perché il  			ricorrente ha acquistato l'immobile successivamente ad un  			provvedimento di revoca di sequestro preventivo, con atto pubblico,  			avvalendosi della professionalità dei tecnici e dei funzionar della  			banca che ha provveduto a erogare il mutuo, in mancanza di  			procedimenti penali a carico degli amministratori della società  			venditrice.
 2.4. - Il ricorrente sostiene, in quarto luogo, che mancherebbero i  			presupposti per il mantenimento del sequestro, ai sensi dell'art. 321  			c.p.p., comma due, ribadendo la sua buona fede, che emergerebbe dagli  			elementi sopra evidenziati.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 3. - Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
 Va premesso che l'ordinanza impugnata contiene un'ampia descrizione  			delle ragioni per cui deve ritenersi sussistente il fumus dei reati  			di lottizzazione abusiva e di costruzione in assenza di valida  			concessione edilizia, i quali hanno interessato l'intero complesso  			immobiliare di cui l'unità confiscata fa parte (cfr. l'ampio  			excursus storico alle pagine 2-4).
 3.1. - Con i primi due motivi di gravame, si contesta, in sostanza,  			la confiscabilità dell'immobile oggetto di sequestro, sul rilievo  			che esso appartiene ad un terzo di buona fede, del tutto estraneo  			rispetto alla commissione dei reati urbanistici, per i quali si  			procede nei confronti di soggetti diversi.
 Deve rilevarsi, sul punto, che l'ordinanza impugnata ha correttamente  			affermato che a nulla rileva l'eventuale conformità al titolo  			abilitativo del manufatto acquistato dalla ricorrente, in quanto  			l'illegittimità del piano di lottizzazione si riverbera  			necessariamente sulle singole costruzioni realizzate,  			indipendentemente dall'apparente regolarità di queste ultime e  			dall'apparente legittimità dei titoli abilitativi, che, in effetti,  			non potevano essere rilasciati.
 Trova, dunque, applicazione quanto già affermato dalla  			giurisprudenza di questa Corte successivamente alla sentenza della  			Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in data 30 agosto 2007 (Sud Fondi  			contro Italia), sul punto della sequestrabilità dell'immobile nel  			caso di asserita buona fede del terzo acquirente. Deve ribadirsi,  			cioè, che la qualità di terzo acquirente non costituisce di per sè  			sola prova sufficiente dell'estraneità al reato, ovvero della buona  			fede del terzo (sez. 3^, 25 maggio 2011, n. 24435; 21 ottobre 2009,  			n. 48924; 13 luglio 2009, n. 39078; 9 luglio 2009, n. 36844), con la  			conseguenza che è necessario accertare in concreto se l'acquirente  			abbia adoperato la necessaria diligenza nel prendere conoscenza delle  			previsioni degli strumenti urbanistici e della conformità agli  			stessi dell'eventuale pianificazione (Sez. 6^, 23 febbraio 2010, n.  			45492). In particolare, in sede cautelare, la buona fede del terzo  			acquirente, per poter formare oggetto di valutazione da parte del  			Tribunale del riesame, deve risultare immediatamente evidente.  			Orbene, premessi i citati principi di diritto, l'ordinanza ha  			affermato che nel caso di specie non appare immediatamente  			percepibile l'assunta buona fede dell'istante, in considerazione  			della molteplicità e dell'evidenza delle violazioni urbanistiche  			riscontrate. Tale valutazione sul punto, costituisce un accertamento  			di merito, non censurabile in sede di legittimità.
 Ne deriva l'infondatezza dei primi due motivi di impugnazione.  			3.2. - Del pari infondati sono il terzo e il quarto motivo di  			ricorso, riferiti alla pretesa mancanza delpericulum in mora, per  			essere l'immobile ormai completato e abitabile.
 Devono, infatti, richiamarsi, sul punto, i principi enunciati dalla  			giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Sez. 3^, 18 ottobre  			2011, n. 40033; Sez. un., 20 marzo 2003, n. 12878), secondo cui  			l'incidenza di un immobile sul carico urbanistico va valutata secondo  			indici concreti e può essere rappresentata dalla consistenza  			dell'insediamento edilizio, dal numero di nuclei familiari presenti,  			dall'incremento della domanda di strutture, opere collettive e  			dotazione minima di spazi pubblici per abitante, dalla necessità di  			salvaguardare l'ambiente e la staticità dei luoghi e, infine, dalla  			possibilità che le opere non ancora ultimate siano portate a  			compimento e le unità non ancora abitate siano occupate. Il giudice  			di merito deve valutare attentamente e, conseguentemente, motivare,  			la sussistenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del  			bene pertinente al reato, considerando, in particolare, la reale  			compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro  			dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità  			attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare  			una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero  			se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento  			neutro sotto il profilo della offensività. Più precisamente, la  			nozione di "carico urbanistico" deriva dall'osservazione che ogni  			insediamento umano è costituito da un elemento cd. primario  			(abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio  			(opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade,  			fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di  			erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento  			primario, ossia al numero degli abitanti insediati ed alle  			caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico  			urbanistico è l'effetto che viene prodotto dal l'insediamento  			primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza  			del numero delle persone insediate su di un determinato territorio.  			Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma  			che è in concreto preso in considerazione in vari istituti del  			diritto urbanistico, tra i quali: a) gli standards urbanistici di cui  			al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che richiedono l'inclusione, nella  			formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi  			pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) la  			sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di  			urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili  			degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani  			capaci di produrre nuovo insediamento; c) il parallelo esonero da  			contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento,  			come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad  			autorizzazione.
 L'ordinanza impugnata fa puntuale applicazione di tali principi e  			risulta adeguatamente e correttamente motivata, laddove, rileva che  			la disponibilità dell'unità immobiliare ne consentirebbe l'utilizzo  			in aperta violazione della programmazione e gestione dell'assetto del  			territorio e dell'esistenza di adeguate opere di urbanizzazione,  			trattandosi di area agricola e soggetta a vincolo ambientale.  			4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato.  			P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  			processuali.
 Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.
 Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2012
                    



