Cass. Sez. III n. 18467 del 16 maggio 2025 (CC 19 mar 2025)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. PM in proc. Colella
Urbanistica.Principio di proporzionalità ed esecuzione della demolizione ordinata dal giudice

Il principio di proporzionalità presuppone la cogenza dell'ordine di demolizione dell'opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un "ordine urbanistico" tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare 'ex post', nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto. Esso si frappone all'esecuzione dell'ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell'ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell'ordine, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell'allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare (per vero comunque temporaneamente dovendosi escludere una revoca definitiva) il ripristino di un ordine violato. In altri termini il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell'ordine di demolizione irrevocabilmente e necessariamente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio o di altri diritti o interessi personali.

RITENUTO IN FATTO

    1. Con ordinanza depositata il 5/11/2024, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha revocato l’ordine di demolizione emesso con sentenze n. 207/95 e 89/97, accogliendo le istanze presentate da Colella Antonietta e Colella Eugenio. 

2. Avverso l’ordinanza sopra indicata, ha proposto ricorso per Cassazione la Procura della Repubblica presso il predetto Tribunale, che ha denunciato la violazione di legge sostanziale e il vizio di motivazione. Il ricorso, quindi, ricostruisce gli accadimenti che avevano determinato la proposizione dell’impugnazione, esponendo che:
a) con le sentenze di condanna n. 207/95 e 89/97 emesse nei confronti di Fusco Luca veniva altresì disposta la demolizione di opere abusive contestate per aver realizzato senza titolo un immobile allo stato grezzo, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e violando per 17 volte i sigilli apposti dalla PG, senza titolo e in violazione delle discipline tecniche correlate alla creazione di opere in cemento armato poste in zona di rilievo sismico;  
b) l'intero manufatto, oggetto delle sentenze di condanna di cui alla procedura di demolizione, suddiviso in piano cantinato e otto piani fuori terra, era stato frazionato in 24 unità immobiliari, per le quali erano state presentate 14 istanze di condono ai sensi della L. 724/94, tutte depositate in data 10/2/1995, in numero di due unità per istanza, sempre a comporre cubature inferiori ai 750 mc, da soggetti estranei all'abuso, nella qualità di promittenti acquirenti, eccezion fatta per le unità immobiliari poste al piano terra e al primo piano, le cui istanze erano presentate a nome del condannato Fusco Luca;
c) tra il 1996 e il 1997 tutti i promissari acquirenti avevano rinunciato all'acquisto e Fusco Luca, unico proprietario, era subentrato nella titolarità delle istanze di condono pendenti;
d) Colella Antonietta ed Eugenio avevano poi acquistato la proprietà di una delle unità immobiliari - completa di box auto -, per atto di donazione del 6 aprile 2011 proveniente dalla madre Varriale Rosaria, che l'aveva acquistata dalla cognata Colella Patrizia, la quale a sua volta aveva acquistato due dei predetti appartamenti - al secondo piano - mediante una scrittura privata stipulata direttamente con Fusco Luca, quale titolare dell'omonima impresa edile e proprietario dell'intero cespite abusivo, autenticata in data 21/5/1998, la cui stipula era stata resa possibile a fronte della istanza di condono prot. n. 2455 del 10/2/1995 - ancora pendente al momento dell'acquisto assieme a tutte la altre domande di condono riguardanti il medesimo immobile e presentate con le medesime modalità anche soggettive (ossia domande presentate da terzi promissari acquirenti, estranei all'abuso) - depositata da tale Natale Ida, in qualità di promittente acquirente di due appartamenti, il sub 9 e 10, dei quattro in cui era stato diviso il medesimo piano di riferimento;
e) in data 17/10/2017, in virtù  della predetta istanza di sanatoria, il Comune di Casoria rilasciò il permesso di costruire in sanatoria n. 161 avente a oggetto i sub 9 e 10 ( interni 7 ed 8); sul medesimo piano intervenivano in sostanza due provvedimenti di condono, ciascuno relativo a due appartamenti, e, per quanto di interesse, scaturente l'uno da una domanda di un promissario acquirente poi rinunziante ma rilasciato in favore, per il sub 9, di Colella/Colella e, per il sub 10, di Sapio /Guerra, per una superficie totale di 551,33 mc. Sul medesimo piano, un analogo provvedimento di condono riguardava, a favore di due distinti beneficiari, due appartamenti della complessiva superficie di 747,40 mc.); 
f) con la citata ordinanza impugnata, si era revocato l’ordine di demolizione di cui alla RESA 66/2005, ritenendo il giudice dell'esecuzione che l’abbattimento si poneva in contrasto con il provvedimento di condono intervenuto e, in particolare, con il principio di proporzionalità ledendo “l’affidamento, la libertà di autodeterminazione e il diritto di abitazione dei ricorrenti”.

2.1 Venendo quindi alle censure fondanti l’impugnazione, le doglianze espresse dal ricorrente possono essere così sintetizzate:
a) il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con consolidati principi di legittimità fatti propri da quattro ordinanze del Tribunale, relative a otto differenti unità del medesimo immobile qui di riferimento, che avevano ritenuto illegittimi analoghi provvedimenti di condono relativi ad altre unità immobiliari e, conseguentemente, confermato l’ordine di demolizione; il permesso rilasciato in favore degli istanti qui in rilievo e della unità immobiliare di riferimento sarebbe illegittimo in quanto:
rilasciato su una porzione di un immobile dalle dimensioni maggiori (21.000 mc.);
rilasciato in carenza dell’istanza di condono per gli spazi comuni e per l’intero piano interrato e nonostante che per il quarto piano l’istanza non fosse stata accolta per carenza di documentazione e non fosse stata inoltrata per il seminterrato;
si sarebbe dovuto tenere in considerazione non già la volumetria delle porzioni di edificio oggetto delle singole istanze ma quella complessiva del manufatto, pari a mc. 21000;
b) in relazione alla ritenuta, dal giudice, incompatibilità della demolizione dell’edificio con il principio di proporzionalità viene dedotto che:
il principio di proporzionalità, come ricostruito dal giudice dell'esecuzione, contrasterebbe con la stessa sentenza del 14.9.2024 della CEDU, che esclude la natura dell'ordine di demolizione quale sanzione, qualificandola piuttosto come misura ripristinatoria, e sottolinea ciò anche evidenziando che si tratta di misura non grave, atteso che incide sul diritto di proprietà e solo in modo indiretto su diritti di natura personale. In particolare, si contesta la tesi del tribunale per il quale l'interesse dello Stato al ripristino della situazione di fatto antecedente alla realizzazione dell'opera abusiva sarebbe recessivo sia rispetto ad interessi di natura personale, laddove l'ordine di demolizione compromettesse irreparabilmente i diritti del soggetto che disponga dell'opera abusiva, sia rispetto ad interessi di natura patrimoniale, nel caso in cui la situazione di pregressa indigenza o sopravvenuta a causa della perdita dell'opera abusiva incidesse sulla sfera personale del terzo, sub specie di impossibilità di risarcimento del danno patrimoniale nei confronti dell'autore dell'abuso oppure del comune rilasciante titoli in sanatoria; 
    si contesta anche la affermata legittimazione, nel quadro della prospettiva elaborata dal giudice dell'esecuzione, del non esercizio del potere demolitorio, sull'assunto per cui i diritti personali prevarrebbero sull'interesse pubblico e che l'art. 39 della L. 724/1994 verrebbe a legittimare la domanda di condono di chi sia legato alla singola unità immobiliare, con la conseguenza che sarebbe irrilevante la circostanza per cui unico sia il soggetto titolare della proprietà del bene.
E si osserva che la predetta complessiva impostazione, che risentirebbe anche di una prospettiva per cui l'interesse pubblico sarebbe assente in caso di conformità dell'opera abusiva alla disciplina urbanistica attuale, sarebbe stata superata altresì dalla pronuncia della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/2017, laddove ha sostenuto la natura vincolata dell'ordine di demolizione, ancorata al ricorrere dei relativi presupposti di fatto e di diritto, tale da non richiedere motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico diverse da quelle riguardanti il ripristino della legalità violata. 
Inoltre, l’accoglimento della richiesta di revoca da parte del Tribunale sarebbe avvenuto senza tener conto che: 
gli autori della domanda di condono erano differenti da coloro che avevano ottenuto il provvedimento di condono;
lo stesso provvedimento di condono non sarebbe stato rilasciato in ordine alla singola unità immobiliare bensì accorpandone due per piano fino al limite dei 750  mc;
Né il giudice avrebbe precisato il momento in cui verrebbe in rilievo l'interesse giuridicamente rilevante connesso alla singola unità immobiliare, ossia se corrisponderebbe al momento del rilascio del provvedimento di condono oppure al momento della presentazione della domanda di condono e al momento della ultimazione della costruzione. Piuttosto, il momento di riferimento, alla luce del dettato normativo, coinciderebbe con il tempo dell'ultimazione della costruzione al 31.12.1993, quale requisito necessario per la presentazione della domanda di condono. Si aggiunge che la legittimazione al condono, pur ampia soggettivamente, riguarderebbe comunque soggetti ulteriori rispetto al proprietario ma interessati alla presentazione della domanda di condono in ragione del correlato effetto estintivo del reato. E si conclude osservando che nel caso di una unica costruzione, per la quale non sia stata operata alcuna divisione a monte della stessa costruzione né costituito alcun distinto diritto di proprietà su una porzione separata, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati ex artt. 6 e 38 comma 5 L. 47/85, come richiamati dall'art. 39 comma 6 L. 724/1994, integrerebbe un artificioso frazionamento dell'immobile e della domanda, da ricondursi invece ad unità in capo ad un unico centro sostanziale di interessi, per evitare l'elusione del limite legale di volumetria dell'opera condonabile. Tale sarebbe il caso di specie, con un immobile unico, realizzato su area di proprietà del Fusco, e con condivisione degli spazi comuni tutti rimasti al Fusco. La perizia di idoneità statica sarebbe unica e i versamenti delle oblazioni sarebbero stati realizzati tutti dal Fusco e le eventuali integrazioni erano state poste, alla luce dei contratti stipulati, tutte a carico del Fusco. Da qui la sussistenza di un unico interesse giuridicamente rilevante, dato essenziale al fine del condono, tanto che per la giurisprudenza di legittimità, in caso di comproprietà, ciò che rileva è il rapporto tra il bene e il diritto del quale è oggetto e non tra il bene e la pluralità di persone che ne possano disporre. Il giudice, quindi, avrebbe trascurato la necessaria considerazione unitaria dell'immobile e avrebbe ancorato la legittimazione alla presentazione della domanda di condono alla autonomia della unità immobiliare, affidata alla discrezionalità del proprietario / committente. 
In questa prospettiva, si insiste sulla assenza di una divisione ovvero di distinti diritti di proprietà su singole porzioni del fabbricato e si evidenzia come le stesse compravendite sarebbero state effettuate con il regime dell'iva agevolata del 4% spettante alle compravendite da imprese costruttrici, quale quella del Fusco. 
Ritornando al tema del principio di proporzionalità, si rimarca che esso presuppone la cogenza dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva e la sua funzione ripristinatoria, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione. Esso, si osserva, si "frappone all'esecuzione dell'ordine di demolizione pe ragioni estranee all'ordine stesso" e i fatti addotti a sostegno devono essere allegati e accertati. In essi non rientra la circostanza che l'immobile abusivo sia unico domicilio dell'interessato né assume rilievo lo stato di necessità. E la valutazione dell'interesse pubblico sotteso all'ordine di demolizione rispetto al diritto alla vita privata e familiare risponde a criteri guida da rispettarsi senza alcuna discrezionalità del giudice. 
Si aggiunge che la disciplina sul condono, sconosciuta al diritto europeo, integra una particolare forma di autotutela amministrativa rispetto all'opera abusiva, che risponde a criteri precisi, di tipo temporale e volumetrico. 
Si aggiunge, poi, che gli istanti richiedenti la revoca della demolizione non avrebbero dato prova della lesione di interessi a sostegno della tutela stabilita dal tribunale e, nel caso di specie, non vi sarebbe violazione dell'art. 8 della CEDU, non essendo adibita l'unità immobiliare ad abituale dimora dei ricorrenti, che risiederebbero altrove. 
Non si sarebbero allegati interessi differenti da quello patrimoniale e dello stato d’indigenza o di precarietà economico sociale, tali da impedire altra soluzione abitativa. Si osserva, quanto alla giustificazione della ordinanza per cui il diritto all'abitazione sarebbe violato per il pregiudizio arrecato alla perdita della proprietà o per la impossibilità di ottenere un risarcimento, che questi ultimi profili sarebbero in contrasto con la Convenzione Europea, atteso che sarebbero tutelati dal nostro ordinamento con possibilità risarcitorie anche nei confronti dell'ente comunale. Gli istanti poi, sarebbero stati consapevoli della abusività dell'opera, atteso che al momento della acquisto era pendente la domanda di condono. 
Si aggiunge, inoltre, che nel bilanciamento degli interessi contrapposti venivano anche il rilievo l’esigenza di assicurare la permanenza degli individui in ambienti salubri e in manufatti in grado di garantire condizioni di sicurezza nel caso di calamità; si rimarca l’obiettiva incertezza esistente in ordine alla conformità dell'edificio, che consta di 8 piani fuori terra e di un piano cantinato, alla normativa antisismica e a quella sui conglomerati cementizi, essendo stato realizzato in zona sismica: “in mancanza di controlli antisismici e in assenza di un progetto di adeguamento sismico” ed “in assenza del deposito dei calcoli strutturali richiesti per le costruzioni in cemento armato”.
I predetti argomenti sono stati contestati dalla difesa con la memoria inoltrata, con cui si deduce in sintesi la buona fede dei sig,ri Colella e la validità degli argomenti di cui alla ordinanza impugnata, chiedendo il rigetto del ricorso. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è fondato. 

    2. Deve procedersi ad una premessa essenziale, inerente l'ordine di demolizione che il giudice penale deve adottare a seguito di condanna per opere abusive, ai sensi dell'art. 31 del DPR 380/01. 
In particolare, al comma 9 si dispone che " per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita".
Le opere abusive contemplate dal citato articolo 31 riguardano "interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali".
La circostanza per cui l'ordine di demolizione deve essere impartito dal giudice penale "se ancora non sia stata altrimenti eseguita" (dalla pubblica amministrazione ovvero dal diretto interessato)  nonché quella per cui si tratta di una misura amministrativa di tipo ripristinatorio, alla stessa stregua di quella adottabile, ai sensi del medesimo articolo 31, dall'autorità amministrativa, come pure evidenziato nella ordinanza qui impugnata, non può far trascurare alcuni aspetti: da una parte, va evidenziato che l’applicazione della misura ripristinatoria in parola ad opera del giudice penale risente, in un’ottica di tendenziale residualità, delle concorrenti, legittime determinazioni dell’autorità amministrativa titolare del potere di programmazione urbanistica ed edilizia, ai sensi dell'art. 31 D.P.R. n. 380 del 2001, sia prima che dopo il passaggio in giudicato della sentenza (oltre che della eventuale seppur rara demolizione di iniziativa dell’interessato); dall'altra, deve sottolinearsi il dato essenziale che fonda e connota l'ordine in parola, ovvero l'intervenuta condanna per il reato ex art. 44 del DPR 380/01. 
In tale quadro generale, per cui l'ordine di demolizione adottato in sede penale interviene a seguito di regolare processo, che accerti l'abusività dell'opera, non può che rilevarsi, conseguentemente, che l'ordine di demolizione interviene a rigore dopo che si è assicurato un ampio contraddittorio nei confronti del responsabile dell'abuso, che come tale è stato posto nelle condizioni di potere adeguatamente difendersi.  
La natura poi amministrativa, di misura ripristinatoria del bene leso, (v. già Sez. Un., 20.11.1996, Luongo e cfr. sul punto anche la condivisibile opinione parzialmente dissenziente e parzialmente concordante, dei giudici Spano e Lemmens rispetto alla sentenza della Corte Edu nella causa Giem e altri c/ Italia), rivolta al ripristino dell'assetto urbanistico e territoriale violato, in una prospettiva di restaurazione dell'interesse pubblico compromesso dall'abuso, priva di finalità punitive e con carattere reale ed effetti sul soggetto che si trovi in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, riconosciuta ormai in maniera consolidata, sia dalla giurisprudenza di legittimità che convenzionale, che come tale impedisce ogni possibilità di configurare la demolizione quale pena, così da non essere neppure oggetto di prescrizione  (ex plurimis in ordine a tali ultimi profili, Sez. 3, n. 3979 del 21/002018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 - 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 - 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 - 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 - 01), esclude a rigore, da una parte, ogni possibilità di esaminare la stessa alla luce dell'art. 7 della Convenzione EDU, quale articolo la cui rubrica richiama il brocardo, fervido di valori, "nulla poena sine lege", come tale non riguardante a rigore interventi meramente ripristinatori e non sanzionatori quale quello in esame (sebbene incidentalmente in senso contrario si è indirizzata di recente la Corte Costituzionale con sentenza 146/21, pur ribadendo la assenza della qualità di pena); dall'altra, tuttavia, non sottrae l’ordine di demolizione in parola alla tutela assicurata dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dall’articolo 6 § 1. della citata Convenzione. Invero, imporre una misura demolitoria, ancorchè solo ripristinatoria, ad una parte, all'esito di un procedimento giudiziario in cui essa non abbia avuto la possibilità di difendersi non porta a ritenerla una imposizione proporzionata al diritto al rispetto dei beni pregiudicabili. Inoltre, un tale procedimento potrebbe anche risultare contrario all’esigenza di giusto processo derivante dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, indipendentemente dal fatto che la misura demolitoria sia esaminata sotto il profilo civile o penale di tale disposizione. 
Si riannoda a tali principi, di recente, la sentenza della Corte EDU, Sez. 1, n. 35780/18, Longo c/Italia, del 27 agosto 2024, che ha ancora una volta escluso la natura di punizione o pena, ai sensi dell’art. 7, § 1 della Convenzione EDU, dell’ordine di demolizione, aggiungendo che la qualificazione dell'ordine di demolizione come misura riparatoria non comporta alcuna violazione del diritto a un giusto processo, anche se emanato dal giudice penale, né del diritto di proprietà, non potendosi fare affidamento su un immobile abusivo. Si è in proposito anche di recente precisato da questa Corte che non va nemmeno confuso il diritto (personale) all’abitazione con la tutt’affatto diversa questione della persistente violazione degli interessi di natura urbanistica gravanti sull’area di sedime (Sez. 3, n. 39602 del 03/10/2024, Romano, Rv. 287019 – 01).
Le garanzie che si impongono dunque, in ordine alla fase di adozione della misura demolitoria qui in esame, si sviluppano e si esauriscono nel quadro del procedimento penale che porta alla sua adozione. 
Si vuole dire, in altri termini, che l'ordine di demolizione è disegnato dal Legislatore come assunto in un quadro di garanzie che trovano immediata esplicazione nel contraddittorio del processo e nel contempo, esaurendosi in quella sede la tutela dei contrapposti interessi - privati e pubblici -, la demolizione consegue, necessariamente, per scelta Legislativa, ossia inevitabilmente, all'accertamento penale della abusività dell'opera, di cui costituisce oggettiva quanto ineliminabile, immediata conseguenza. 
Dunque, occorre osservare e precisare che il giudice penale, contestualmente alla condanna, deve adottare l'ordine di demolizione, senza poter esplicare alcuna valutazione e contemperamento tra l'interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica e altri interessi, avendo il Legislatore già elaborato un giudizio di prevalenza dell'interesse pubblico attraverso la previsione dell'ordine di demolizione dell'intervento abusivo, quale strumento di ripristino dell'interesse pubblico tutelato, e violato, in presenza di un avvenuto accertamento di responsabilità penale ex art. 44 DPR 380/01.  
E del resto, eloquente è in proposito quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza già citata n. 146/2021, laddove, da una parte, si è sottolineato, con riguardo alla confisca - ma in una prospettiva che appare estensibile anche alla misura demolitoria, quale forma anch'essa di riaffermazione dell'interesse alla conformità urbanistica violata -, che essa è annoverata tra le misure ricadenti nel perimetro del secondo paragrafo dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, ai sensi del quale resta in capo agli Stati il diritto «di emanare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale » (paragrafo 291), dall'altra, ha altresì concluso, in via generale, dopo avere escluso nello specifico che l'Autorità Giudiziaria, come chiedeva il remittente, possa nei casi concreti sostituire la confisca con altra misura più "lieve", non contemplata dal legislatore, che «il giudice penale non ha competenza “istituzionale” per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici»: con espressione che può anche intendersi, nel quadro complessivo della sentenza citata, quale riaffermazione di un perimetro ben preciso e vincolante per il giudice penale, quanto alle misure - ripristinatorie - da applicare, (tra cui l’ordine di demolizione) a fronte di opere abusive penalmente accertate con relativa condanna. 
Da tale impostazione conseguono eloquenti principi di legittimità: 
- l'ordine di demolizione dell'opera abusiva, di carattere reale e a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193 - 01; Sez. 3„ n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 801 del 02/12/2010, dep. 2011, Giustino, Rv. 249129 - 01; Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403 - 01; Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 2441512 - 01);
- l'operatività dell'ordine di demolizione non può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione (Sez. 3. n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175 - 01); 
- l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Rv. 244612 - 01);
- l'esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal giudice a seguito dell'accertata violazione di norme urbanistiche, non è esclusa dall'alienazione del manufatto a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo, atteso che l'esistenza del manufatto abusivo continua ad arrecare pregiudizio all'ambiente (Sez. 3, n. 22853 del 29/03/2007, Coluzzi, Rv. 236880 - 01, che ha ribadito che il terzo acquirente dell'immobile potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266 - 01).
Più ampiamente, a fronte di questo evidente quanto tendenzialmente inossidabile rapporto tra ordine di demolizione e res abusiva, deve ribadirsi che la giurisprudenza (cfr. tra le altre anche in motivazione, Sez. 3, n. 47281 del 2009 e da ultimo Sez. 3 - n. 16470 del 28/03/2024 Cc.  (dep. 19/04/2024 ) Rv. 286151 - 01), con riferimento alla posizione del soggetto proprietario dell'immobile, terzo rispetto al reato, è costantemente orientata, condivisibilmente,  nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente eseguite nei confronti degli attuali proprietari dell'immobile, indipendentemente dall'essere stati o meno questi ultimi gli autori dell'abuso, salva la loro facoltà di fare valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa (cfr. anche v. Cons. Stato, Sez. 5, 1.3.1993, n. 308; Cass. Sez. 3, 5.11.1998, Frati; Sez. 3, 24.11.1999, Barbadoro; Sez. 3, 24.4.2001, n. 35525, Cunsolo, m. 220191; Sez. 3, 13.10.2005, n. 37120, Morelli; Sez. 3, 10.5.2006, n. 15954, Tumminello; Sez. 3, 29.3.2007, n. 22853, Coluzzi, m. 236880). 
Tale principio deve valere anche nei confronti del comproprietario estraneo al reato, che avrà anch'egli la facoltà di far valere sul piano civile la responsabilità del comproprietario autore dell'illecito per i danni che l'esecuzione della demolizione potrà arrecare alla sua originaria proprietà (e non ovviamente all'immobile abusivo, la cui demolizione non può evidentemente comportare un danno risarcibile). 
L'ordine di demolizione contiene, infatti, una statuizione di natura reale, che, come il corrispondente ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, produce i suoi effetti nei confronti di tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, siano o diventino proprietari del bene su cui esso incide (Sez. 3, 5.3.2009, n. 16687, Romano, m. 243405). 
L'interesse dell'ordinamento, dunque, è nel senso che l'immobile abusivamente realizzato venga abbattuto, con conseguente eliminazione della lesione arrecata al bene protetto e, se si accedesse alla tesi dell'impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria nei confronti del proprietario non responsabile dell'abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare l'anzidetta fondamentale funzione (in tal senso, già Sez. 3, 13.7.2009, n. 39322, Berardi). 
L'irrilevanza del regime proprietario dell'immobile abusivo oggetto dell'ordine di demolizione, si armonizza poi, come pure è stato perspicuamente già osservato da questa Corte, con la disciplina della responsabilità solidale del proprietario estraneo all'illecito, posta in materia di sanzioni amministrative, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6. 
L'irrilevanza è anche confermata dalla previsione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 2, secondo il quale l'ingiunzione a demolire deve essere disposta dalla autorità comunale anche quando il proprietario del bene non si identifichi con il responsabile dell'abuso (Sez. 3, 13.7.2009, n. 39322, Berardi). 
Va anche ricordata, siccome pertinente al tema, la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha escluso - perché in contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost. - la possibilità di disporre l'acquisizione gratuita dell'area di sedime del manufatto abusivo nei confronti del proprietario che sia estraneo all'abuso (cfr. ord. n. 82 del 1991 e sent. n. 345 del 1991). La Corte, infatti, dopo avere rilevato che l'acquisizione rappresenta una sanzione autonoma per l'inottemperanza all'ingiunzione a demolire e si giustifica proprio per la coazione psicologica che è in grado di esercitare nei confronti del proprietario responsabile al fine di ottenere quel risultato, ha però anche espressamente specificato che "non per questo viene meno la possibilità di ripristino in quanto, in tale ipotesi, la funzione ripristinatoria dell'interesse pubblico violato dall'abuso, sia pure ristretta alla sola possibilità di demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi attuazione di ufficio, in forza del principio di esecutorietà, senza che a tal fine sia necessaria l'acquisizione dell'area che, se di proprietà di soggetto estraneo all'abuso, deve rimanere nella titolarità di questi, anche dopo eseguita d'ufficio la demolizione". In altri termini si riafferma, da parte del Giudice delle leggi, anche per il proprietario estraneo all'abuso, la necessità della demolizione pur quando non si debba, a date condizioni, anche procedere alla acquisizione dell'area di sedime in favore della P.A.
Questa stessa Corte ha anche osservato che, a ben vedere, "il proprietario o comproprietario (non committente rispetto all'abuso) non ha interesse giuridicamente protetto ad opporsi all'esecuzione dell'ordine di ripristino. Se l'abuso è avvenuto senza o contro la sua volontà, egli non può che trarre vantaggio dal ripristino della legalità. Se l'abuso è avvenuto con il concorso della sua volontà, il fatto di avere evitato il procedimento penale non costituisce una valida ragione perché egli si arricchisca del frutto di un abuso debitamente accertato" (Sez. 3, 14.5.1999, n. 1879, Ricci, punto 13). 
La circostanza che l'ordine di demolizione ha carattere reale e ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dalla sua partecipazione all'abuso, poi, manifestamente non si pone in contrasto con i principi costituzionali ed in particolare col principio di responsabilità personale (cfr. Sez. 3, 24.4.2001, n. 35525, Cunsolo). 
Innanzitutto, infatti, tali principi valgono solo per le sanzioni penali e per quelle amministrative aventi carattere punitivo e non anche quando, come nella specie, la sanzione è chiamata ad un ruolo di carattere oggettivamente riparatorio, ossia l'eliminazione della causa della lesione. 
In secondo luogo, le opere realizzate senza la necessaria concessione edilizia sono di per sè illecite - indipendentemente dal titolo di proprietà, di possesso o di detenzione - e devono essere eliminate nella loro realtà fisica, chiunque ne sia il proprietario o l'occupante. 
In terzo luogo, il titolare del bene o di diritti minori sullo stesso bene potrà usare gli strumenti privatistici per addossare ai soggetti responsabili dell'attività abusiva gli effetti sopportati in via pubblicistica, secondo le norme di diritto comune.
Va dunque preliminarmente ribadito il carattere doveroso e tendenzialmente operativo, con le precisazioni di seguito riportate, dell’ordine di demolizione adottato dal giudice penale a seguito di una condanna. 

    3. L'esercizio del potere demolitorio a fronte dell'opera abusiva, consacrato in sede penale con il presupposto contestuale della sentenza di condanna, è del resto vincolato anche in sede amministrativa (in ciò rinvenendosi un punto di contatto tra ordine demolitorio giudiziale e amministrativo), come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa, laddove è stato stabilito che "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso anche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino" (CdS, Ad. Plen., 9/2017 Cons. di St., 5/12/2024 n. 10000).
Nel medesimo senso, quanto alla vincolatività del potere demolitorio, quale che sia l'Autorità a ciò legittimata, lo si ribadisce, si è espressa questa Corte, che ha affermato più volte che  la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez.3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. Ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/8/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
L'unico profilo in cui sembra venire in rilievo la possibilità che attraverso una valutazione discrezionale, ma non giudiziaria, si escluda, definitivamente, la demolizione dell'opera abusive, appare fornito dalla previsione di cui all'art. 31 comma 5 del DPR 380/01 laddove prevede che "L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni competenti ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nei casi in cui l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico, il comune, previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni competenti ai sensi dell'articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, può, altresì, provvedere all'alienazione del bene e dell'area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione delle opere abusive da parte dell'acquirente……."
Trattasi di ipotesi eccezionale, di stretta interpretazione, che comunque conferma la assoluta vincolatività dell'ordine di demolizione per il giudice penale. 
Altri casi sono pur previsti quali circostanze ostative alla demolizione contestuale ad intervenuta  condanna, ma sono sottratti ad ogni valutazione e potere del giudice penale (a conferma della vincolatività del suo ordine demolitorio) e, piuttosto, affidati all’ente pubblico competente - seppur comunque mediante esercizio di discrezionalità tecnica, come tale sottratta ad ogni libera valutazione della Pubblica Amministrazione -, oltre che evidentemente rilevanti nella fase giudiziaria della esecuzione (altrimenti la portata estintiva del reato di queste fattispecie, appresso indicate, escluderebbe in origine la condanna e la correlata demolizione): si tratta del condono e della rilascio di permesso in sanatoria ex art. 36 DPR 380/01. 
In tal senso si è espressa la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall'autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività (Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012 (dep. 23/01/2013 ) Rv. 254426 – 01), e può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione, non essendo invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile ed in particolare la semplice pendenza della procedura amministrativa o giurisdizionale, in difetto di ulteriori concomitanti elementi che consentano di fondare positivamente la valutazione prognostica (ex plurimis, Sez. 3, 17 ottobre 2007, n. 42978, Parisi, m. 238145; Sez. 3, 5.3.2009, n. 16686, Marano, m. 243463; Sez. 3, 30 marzo 2000, Ciconte, m. 216.071; Sez. 3, 30 gennaio 2003, Ciavarella, m. 224.347; Sez. 3, 16 aprile 2004, Cena, m. 228.691; Sez. 3, 30 settembre 2004, Cacciatore, m. 230.308).  Ancora, in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività, fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014 Cc.  (dep. 18/11/2014 ) Rv. 260972 – 01).
Tali approdi interpretativi non risultano incompatibili con la sentenza della Corte costituzionale (n. 160 del 3/10/2024) che ha a oggetto la confisca e l’esigenza di salvaguardia, rispetto a tale ultima misura, del creditore ipotecario, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nei confronti del Comune divenuto titolare dell’area di sedime a seguito dell’omessa demolizione del manufatto abusivo. La Corte se da una parte ha precisato che “posto che l’ordinamento giuridico accorda normalmente tutela al creditore che acquista l’ipoteca su un immobile già abusivo, non vi è ragione per cui quel medesimo creditore ipotecario, non responsabile dell’abuso edilizio, debba essere pregiudicato solo perché l’immobile abusivo viene confiscato dal comune per effetto di una sanzione inflitta per l’inottemperanza a un ordine di demolizione, di cui altri devono rispondere”, ha precisato che i relativi interessi di costui, tuttavia, non possono mettere in discussione il “potere -dovere” degli organi comunali di dare esecuzione d’ufficio all’ordine di demolizione, benché l’abbattimento comporti un evidente pregiudizio al creditore in buona fede.

    4. Dunque, in estrema sintesi, l’ordine di demolizione impartito dal giudice a seguito di sentenza di condanna è: doveroso, incide, quale misura amministrativa ripristinatoria, sulla res abusiva e che sia ancora tale, senza che alcun rilievo possa assumere la posizione di terzi non responsabili dell’abuso, ed in fase di esecuzione esso è passibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività.

    5. Da quanto sinora osservato, già consegue il superamento di quanto sostenuto in via prospettica con l’ordinanza impugnata (cfr. pag. 11), in ragione della “natura ‘personalista’ della nostra Carta”, quanto al carattere recessivo dell’interesse pubblico al ripristino della situazione di fatto anteriore alla realizzazione dell’opera abusiva, rispetto ad interessi di natura personale, in caso di pregiudizio irreparabile cagionato dalla demolizione in ordine a diritti di un soggetto che abbia “il rapporto reale con l’opera abusiva” oppure anche in ordine ad interessi di natura patrimoniale in caso di impossibilità di risarcimento del danno patrimoniale nei confronti dell’autore dell’abuso o del comune che abbia rilasciato titoli in sanatoria illegittimi (cfr. pag. 12). 
Invero, posto che va sottolineata la portata ben più complessa della Carta Costituzionale rispetto ad una sua prospettiva meramente “personalista”, che tenda come tale a trascurare in maniera aprioristica, come sembra emergere dalla ordinanza impugnata, la rilevanza degli interessi pubblici rispetto ad interessi privati - a partire dal diritto di proprietà, che piuttosto, come noto costituisce un bene che incontra plurimi richiami costituzionali al suo necessario contemperamento con interessi pubblici, affidato alla ragionevole valutazione del Legislatore -, deve evidenziarsi, altresì, che la stessa giurisprudenza convenzionale ha più volte riconosciuto il diritto degli Stati «di emanare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale » e si è anche precisato, in particolare, che nessuno può contestare la legittimità delle politiche statali a favore della tutela ambientale, perché in tal modo si garantiscono e si difendono anche il benessere e la salute delle persone (Depalle c. Francia [GC], n. 34044/02, § 84, CEDU 2010, e Brosset-Triboulet e altri c. Francia [GC], n. 34078/02, § 87, 29 marzo 2010).
Da quanto sinora esaminato poi, la scelta legislativa, di corredare la condanna penale per opere abusive di un ordine di demolizione, esprime una valutazione che appare frutto sia di una assicurata tutela degli interessi di parte in contraddittorio, sia di una particolare considerazione dell’esigenza, pubblica, di preservare il territorio, pur con la costante preoccupazione di assicurare che il ripristino riguardi opere persistentemente abusive, così da lasciare spazio comunque  alla rilevanza di provvedimenti sopravvenuti che ne escludano tale carattere. Del resto, già questa Corte ha osservato come, con la sentenza della Corte EDU del 20 gennaio 2009, Sud Fondi (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 47281 del 2009) si sia ritenuto giustificato e conforme anche alle norme della CEDU, un ordine di demolizione delle opere abusive incompatibili con le disposizioni degli strumenti urbanistici, eventualmente accompagnato da una dichiarazione di inefficacia dei titoli abilitativi illegittimi (par. 140: “Sarebbe stato ampiamente sufficiente prevedere la demolizione delle opere incompatibili con le disposizioni pertinenti e dichiarare inefficace il progetto di lottizzazione”):  così da potersi reputare implicitamente ammesso, anche a livello convenzionale, che una tale sanzione ripristinatoria possa considerarsi giustificata rispetto allo scopo, perseguito dalle norme interne, di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi.

    6. Da questa impostazione, che guarda alla collocazione sistematica ed a più livelli, dell’ordine di demolizione ed alla ratio e valutazione di interessi ad esso sottesi, discende il rigore con il quale l’interprete deve accostarsi nell’esaminare eventuali limiti, in fase esecutiva, alla esecuzione dell’ordine stesso.

    7. Seguendo allora il dipanarsi delle specifiche ragioni poste a base della articolata ordinanza impugnata e le correlate argomentazioni esposte in ricorso, occorre rilevare come la valutazione in ordine alla legittimità del titolo rilasciato in sanatoria (cd. condono), formulata dal giudice dell’esecuzione, confligga con gli approdi cui questa Corte è pervenuta nell’interpretazione dell’art. 39, comma 1, L. n. 724 del 1994, essendo stato più volte precisato che, benché non sussista “alcun divieto al frazionamento ovvero all'accorpamento di unità immobiliari, tuttavia, tali operazioni possono configurare ipotesi elusive dei limiti legali di consistenza degli immobili, sicché ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario facente capo ad un unico soggetto legittimato e le relative istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite ad una unica concessione in sanatoria, la quale dovrà riguardare lo stesso nella sua totalità. La regola è, pertanto, rappresentata dalla unicità della concessione edilizia per tutte le opere riguardanti un edificio o un complesso unitario, escludendosi la possibilità per lo stesso soggetto legittimato di servirsi di separate domande di sanatoria per aggirare il limite legale volumetrico, con la sola eccezione della consentita presentazione di una serie di istanze da parte di quanti sono i proprietari o i soggetti aventi titolo al momento della domanda, che abbia ad oggetto le sole porzioni di appartenenza, anche se comprese in una unica costruzione unitaria” ( Sez. 4, n. 10017 del 3/3/2021, Bellomo, Rv. 280700). Analogo orientamento si rinviene nella giurisprudenza amministrativa, che ritiene illegittimo l'inoltro di diverse domande tutte imputabili ad un unico centro sostanziale di interesse, in quanto tale espediente rappresenta un evidente tentativo di aggirare i limiti consentiti per il condono, relativamente al calcolo della volumetria consentita (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2018, n. 5211; Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4483; Cons. Stato, Sez. VI, 05/09/2012 n. 4711).
Non è quindi in discussione che, in linea di principio, fra i soggetti legittimati ad avanzare la richiesta di condono, vi sia anche il promissario acquirente dell'immobile in virtù di un contratto preliminare stipulato con il proprietario autore dell'abuso (Cons. St., Sez. IV, n. 6545 del 27/10/2009; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 19/1/2016, n. 255); piuttosto, viene in discussione se, nel caso dell’immobile abusivo realizzato da Fusco Luca, le plurime domande di sanatoria depositate corrispondessero ad altrettanti validi titoli per l’avvio di altrettante procedure separate di condono, ovvero fossero da ricondurre a un unico centro di interessi, rappresentato da Fusco Luca, che del terreno e dell’immobile era l’indiscusso proprietario.
In proposito, in via preliminare devono operarsi talune premesse e richiamarsi alcuni principi. 
Va precisato, pur con le specificazioni di seguito poi riportate, che secondo questa Corte, in particolare, come si vedrà, ai fini penali e quindi di estinzione del reato, in tema di condono edilizio, in forza degli artt. 6 e 38, comma quinto, della legge 28 febbraio 1985, n.47 - richiamati dall'art.39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n.724 - legittimati alla presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria sono il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore ed il direttore dei lavori. (Nella fattispecie la Corte di cassazione ha escluso che i figli del proprietario siano legittimati a presentare detta istanza) (Sez. 3, n. 30059 del 16/05/2018 Rv. 273760 - 01.). Consegue che la domanda di condono da parte di un privato, che non risulti proprietario né rientri tra le altre categorie ammesse, esclude la legittimità del rilasciato provvedimento di condono stante la presentazione della domanda da parte di soggetto non legittimato. 
A tale ultimo riguardo è utile comunque fornire talune ulteriori precisazioni, alla luce del caso di specie, con particolare riguardo alla tematica specifica della rilevanza del preliminare rispetto alla legittimazione ad avanzare istanza di condono. 
In proposito, si deve precisare che la sanatoria, ovvero nel caso in esame quella specifica sua forma costituita dal condono, consente, a date condizioni, la estinzione del reato oltre alla regolarizzazione amministrativa dell’immobile. 
A tale ultimo riguardo, questa Corte (Sez. 3, n. 11624 del 04/11/1997 Rv. 209707 – 01) ha precisato che l'oblazione (in cui si articola nella sostanza il condono, sul piano penale), in base all'art. 182 cod. pen., è causa d'estinzione del reato, che - come le altre - ha effetto soltanto per coloro ai quali si riferisce. La sua estensione a soggetti diversi deve essere espressamente stabilita. In materia, la legge 28 febbraio 1985, n.47 (che per questa parte non ha subito modifiche con la sopravvenuta disciplina del c.d. condono) prevede all'art. 38 soltanto il caso dei comproprietari, statuendo che il versamento eseguito da uno di essi giova anche agli altri per l'evidente unicità della posizione. Dispone ancora che i soggetti indicati nell'art. 6 (titolare della concessione, committente, costruttore e direttore dei lavori) devono, invece, per fruire dei benefici, presentare autonoma domanda e versare il trenta per cento della somma applicabile al proprietario.
L'art. 31 della stessa legge statuisce, inoltre, che alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi possono provvedere coloro che hanno titolo ai sensi della legge n. 10 del 1977 nonché ogni altro soggetto "interessato"" al conseguimento della sanatoria medesima.
E’ allora necessario tenere distinti i vari profili collegati con la sanatoria edilizia: essi attengono ai settori amministrativo, penale e tributario, che tra loro non sempre coincidono. 
In questa sede occorre in particolare differenziare il campo amministrativo da quello penale.
Quello amministrativo, ha una rilevanza oggettiva ed attiene all'immobile, sanabile da ogni soggetto “interessato” e a ciò legittimato. 
Quello penale, presenta un riferimento soggettivo e concerne il singolo imputato, il quale, per ottenere la declaratoria d'estinzione dei reati di cui all'art. 38, deve corrispondere l'oblazione personalmente, senza potersi giovare del procedimento e del pagamento posti in essere da altri (con l'unica eccezione legislativa - si ripete - dei comproprietari).
Nella specie, dunque, il tema dei beneficiari della ordinanza impugnata quali “interessati” e non imputati, impone la verifica del fondamento, necessario, di un tale interesse, che non può certamente prescindere da una cornice giuridica e dunque non può fondarsi solo su meri dati di fatto. 
In particolare, il giudice nel caso in esame ha individuato tale interesse in un intervenuto contratto preliminare. 
Al di là della assenza nel caso di specie di ogni analitica descrizione dell’atto, è utile preliminarmente verificare se in astratto un contratto preliminare possa fondare un interesse a presentare istanza di condono da parte del promittente acquirente. 
In proposito, questa Corte ha osservato che la nullità prevista dall'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria deve ritenersi limitata ai trasferimenti aventi effetto reale, e non estesa ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, come il preliminare di vendita (Sez. 2, Sentenza n. 2204 del 30/01/2013, Rv. 625151 - 01).
Quindi, escluso che l’abusività di un immobile possa costituire un ostacolo alla astratta rilevanza di un preliminare di vendita rispetto al condono di un’opera abusiva, occorre rilevare come non appaia affatto secondario, nel caso in esame, anche stabilire, altresì, se un contratto preliminare di vendita di un’opera abusiva possa fondare, di per sé, “l’interesse” giuridicamente rilevante del promissario acquirente a presentare istanza di condono per l’immobile di riferimento, quale “legittimato” a tale istanza.
La risposta è nel senso della necessità di talune concrete condizioni perché sussista l’interesse in parola. 
Questa Corte, come in precedenza accennato, ha già stabilito (Sez. 3 - n. 39602 del 03/10/2024) Rv. 287019 - 01) che legittimato a chiedere il cd. condono ai sensi degli artt. 39, legge n. 724 del 1994, e 31, commi primo e terzo, legge n. 47 del 1985 (con principio valevole per tutte le tre diverse discipline di condono succedutesi nel tempo), è il proprietario nonché «ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria».
Tuttavia, come anticipato, si tratta di un interesse che deve risultare giuridicamente qualificato e non di fatto (cfr. amplius anche Sez. 3 -n. 39602 del 03/10/2024) Rv. 287019 – 01). 
Di contro, quindi, può già evidenziarsi che non è legittimato a presentare domanda di condono chi non ha alcuna relazione, qualificata, con il bene. 
Da tale impostazione di fondo, consegue che in giurisprudenza si è specificato che legittimato a presentare domanda di condono è sia l’autore dell’abuso (Cons. St., Sez. 6, n. 3587 del 07/04/2023; Cons. St., Sez. VI, n. 7061 del 16/11/2020), sia persino il promissario acquirente dell’immobile in virtù di un contratto preliminare stipulato con il proprietario autore dell’abuso (Cons. St., Sez. IV, n. 6545 del 27/10/2009). In tale ultimo caso, esaminato dal Consiglio di Stato, va precisato che in virtù del contratto preliminare il richiedente era stato immesso nel possesso dell’immobile da anni. 
Tale ultimo requisito che viene dunque in risalto nell'analisi delle stesse decisioni giurisprudenziali, quale quello della peculiare “qualificazione“ della concreta posizione dell’”interessato” e quindi, quanto al caso di specie, del promissario acquirente, impone dunque di considerare e approfondire un dato normativo che qui appare rilevante, di cui all’art. 31, commi primo e terzo, legge n. 47 del 1985, che attribuisce la legittimazione a presentare domanda di sanatoria ovvero di condono al proprietario e a coloro che, ai sensi dell’odierno art. 11 d.P.R. n. 380 del 2001, hanno titolo per chiedere il permesso di costruire.
Va premesso che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il permesso di costruire - quale titolo edilizio la cui citazione appare in questa sede congrua pur venendo qui in esame il distinto ma analogo titolo edilizio costituito dal condono -, può essere rilasciato non solo al proprietario dell'immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall'art. 11, co. 1, D.P.R. n. 380/2001), e che tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell'area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria. 
In tale prospettiva interpretativa, relativa al tema generale dei requisiti di legittimazione rispetto a provvedimenti edilizi e amministrativi, appare condivisibile allora, quanto al tema in esame, l’indirizzo della giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato in sede giurisdizionale -Sezione Sesta - del 10.2.2022, sul ricorso numero di registro generale 8177 del 2021) secondo cui la posizione di promissario acquirente, in quanto tale, non è idonea a fondare la legittimazione a ricorrere. Già da tempo il Consiglio di Stato (sez. IV, 12/04/2011, n. 2275) ha affermato il principio secondo il quale non può ritenersi legittimato ad impugnare il provvedimento con il quale un Comune ha annullato in autotutela un piano di lottizzazione, il promissario acquirente del terreno interessato dal medesimo piano di lottizzazione, ove questi, nonostante la stipula del contratto preliminare di compravendita dell'area, non abbia acquisito la effettiva e materiale disponibilità del terreno stesso, che si potrebbe configurare in caso di preliminare cd. ad effetti anticipati, con il quale quantomeno si anticipa l'effetto della consegna dell'immobile. 
In altri termini, la situazione giuridica soggettiva qualificata in astratto da una norma, ovvero  la legittimazione ad agire, deve discendere dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo (Cons. St., ad. plen, 25 febbraio 2014, n. 9, in Foro it., 2014, III, 429 ss.).
Chi non abbia mai acquistato il possesso o la detenzione o, ancora, la materiale disponibilità del bene, non ha in capo alcuna posizione giuridica diversa dall’interesse di mero fatto (cfr. in proposito Cons. St., sez. VI, 14 marzo 2022, n. 1768). 
Il Consiglio di Stato ha anche da ultimo condivisibilmente chiarito la reale situazione ricoperta dal promissario acquirente in quanto tale, (cfr. sentenza n. 6961 del 14 ottobre 2019) precisando che “rispetto agli interessi pretensivi, il potere di conformazione e di autorizzazione edilizia investe (…) in via diretta ed esclusiva il proprietario della res, in capo al quale l’interesse si appunta, mentre il vincolo obbligatorio che si instaura tra il promittente venditore ed il promissario acquirente fa sì che le modalità di esercizio del potere riverberino, sulla posizione del secondo, effetti solo indiretti relegando la posizione di quest’ultimo, nell’ambito della relazione pubblicistica, a quella di titolare di un mero interesse di fatto. Tali effetti indiretti rilevano invece sul piano civilistico dell’esatto adempimento e quindi nell’ambito della relazione contrattuale, giammai in seno alla relazione procedimentale dove il proprietario resta l’interlocutore esclusivo della vicenda dinamica del potere”. In tale quadro, in altri termini, il promissario acquirente è in questa sua qualità  “privo di una situazione giuridica soggettiva idonea a differenziarne la posizione e quindi a radicarne la legittimazione, non potendosi ritenere idoneo a tale scopo il mero vincolo obbligatorio che ha ad oggetto la prestazione (nella specie del consenso richiesto per il perfezionamento del contratto) non l’esercizio di un potere”. 
In linea con quanto sopra precisato e illustrato, dunque, questa Corte ritiene che la sola posizione soggettiva del promissario acquirente, non qualificata da altri dati fondanti un interesse reale, meritevole di tutela anche sul piano della procedura amministrativa di sanatoria, a partire dalla concreta quanto costante e conclamata disponibilità del bene, come evidenziato talvolta in giurisprudenza, non radica un interesse qualificato: tanto più ove si consideri la disciplina propria del contratto preliminare, che non preclude la possibilità della mancata conclusione del contratto definitivo non solo da parte del promissario alienante, ma anche ad opera del promissario acquirente né tantomeno garantisce sine die le garanzie del regime delle trascrizioni ex art. 2645 bis cod. civ., con possibile rilevanza e prevalenza di posizioni di terzi rispetto al promissario acquirente. Con la possibilità, quindi, che, innescata una procedura di condono da parte di quest’ultimo, la stessa proceda e venga definita, anche positivamente, formalmente a suo favore, tuttavia in assenza di una stipula del contratto definitivo e, in ultima analisi, a beneficio formale di un soggetto non più “interessato”, come pure richiesto per legge. Un tale esito appare allora compatibile nel sistema normativo vigente, civilistico e amministrativo, solo in presenza di un previo interesse qualificato, serio, nei termini suddetti, del promissario acquirente. Che permanga nel tempo.
Nel medesimo senso, seppure sul diverso piano della impugnazione di provvedimenti di sanatoria della Pubblica Amministrazione, si è evidenziato che “il promissario acquirente dell'immobile confinante con quello dei controinteressati, non ha veste giuridica per l'esercizio dell'azione impugnatoria, posto che è titolare di rapporto obbligatorio non idoneo a fondare quel rapporto di stabile collegamento con i luoghi interessati dai provvedimenti asseritamente illegittimi, sicché non può predicarsi in capo a tale soggetto l'esistenza di una posizione di interesse legittimo che sia stata lesa da un provvedimento di sanatoria, bensì di un interesse di mero fatto eventuale e certamente non attuale potendo venire meno anche sulla base della semplice rinuncia ad effettuare l'acquisto con la stipula del contratto definitivo” ( cfr. TAR Sicilia (CT) Sez.II n. 992 del 3 maggio 2019).
Del resto tale impostazione, nella misura in cui esprime la necessità di interessi concreti e ben delineati alla base, in generale, della legittimazione a chiedere il condono, trova espressione persino su altro piano, ben più consolidato giurisprudenzialmente rispetto a quello qui in esame, quale quello dei rapporti tra comproprietari: in proposito, rileva la precisazione per cui, in sede di procedimento per rilascio di titolo edilizio in sanatoria, deve formare oggetto di valutazione, da parte del Comune, la sussistenza di tutti i presupposti cui la legge condiziona il suddetto rilascio e, fra essi, anche la circostanza che l'istanza di sanatoria provenga da un soggetto qualificabile come proprietario dell'edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti e che abbia l'intera proprietà del bene, e non solo una parte o quota di esso. Non può invece riconoscersi la legittimazione al semplice proprietario pro-quota ovvero al comproprietario di un immobile, atteso che il contegno tenuto da quest'ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi  qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento; di conseguenza, in caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, la domanda di rilascio di titolo edilizio, sia esso o non titolo in sanatoria di interventi già realizzati, deve necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti con un diritto di proprietà sull'immobile, potendosi ritenere legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l'esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (Cons. St., Sez. 2, n. 1766 del 12/03/2020; Cons. St., Sez. 6, n. 1563 del 16/02/2024).
Va dunque ribadito che hanno titolo a richiedere il permesso di costruire tutti coloro che dimostrino di trovarsi con il bene in una relazione qualificata, non necessariamente connessa ad un diritto reale ma derivante anche da rapporto giuridico ad effetti obbligatori. 
Rispetto al caso in esame questo profilo appare estremamente carente. 
Come si evince dallo stesso provvedimento impugnato, le unità immobiliari che componevano il manufatto erano state accorpate per piano ed erano divenute oggetto di plurime domande di condono, presentate lo stesso giorno, da differenti soggetti, qualificatisi tutti come promissari acquirenti; fra il 1996 e il 1997 tutti i richiedenti, nessuno escluso, avevano rinunciato all’acquisito, circostanza invero assai singolare e significativa, in negativo, circa la sussistenza di una effettiva legittimazione alle domande; nel 1998 Fusco Luca era ""subentrato" in tutte le istanze di condono, sebbene, si noti, non rientrasse tra gli "interessati" posto che quale unico proprietario dell'intero immobile non poteva aspirare ad esiti frazionati del condono dello stesso. 
Il ricorso, poi, allega che era unica la perizia di idoneità di tutte le istanze, e i versamenti delle oblazioni erano tutti effettuati dal condannato Fusco Luca (piuttosto che dagli "interessati" promissari acquirenti), a cui carico erano poste, dai contratti di compravendita poi stipulati con altri terzi, le eventuali integrazioni da versare.
Dunque, non emerge una analisi dei profili di validità del condono, a partire dalla verifica della legittimazione dell'istante Ida Natale (promissaria acquirente nel caso in esame) ad avanzare la relativa domanda, da operarsi alla luce dei principi immediatamente prima richiamati, essendosi in presenza, piuttosto, di una acritica sussunzione del mero dato formale di una presentazione di singole domande da parte di autoqualificati promissari acquirenti (per i vari appartamenti dell'unico immobile), di cui si trascura l’univoco quanto ingiustificato abbandono del vincolo negoziale, peraltro anteriore alla definizione del condono, né si coglie alcun qualificato rapporto con la res, con tutte le relative conseguenze sul concreto quanto legittimo svolgimento della procedura di sanatoria e dei suoi adempimenti anche in termini soggettivi (imputabili piuttosto al Fusco), e a fronte peraltro della assenza di ogni reazione, con appositi strumenti civilistici,  da parte del Fusco medesimo, nei confronti dei promissari acquirenti venuti meno. Con il Fusco pronto, invece, a farsi carico non di una ma di tutte le spese di condono.  E con l'ulteriore anomalia di provvedimenti finali a favore di soggetti diversi dagli originari, unici,  apparenti "interessati".
Cosicchè, piuttosto, paiono emergere una pluralità di elementi con cui doversi confrontare, sintomatici, allo stato degli atti qui disponibili, della non peregrina ipotesi del ricorrente circa la natura fraudolenta del frazionamento procedimentale del manufatto, ai fini del rilascio dei provvedimenti sananti; ipotesi che già il Comune (oltre poi al giudice) avrebbe dovuto verificare, gravando sull’ente l’obbligo di accertare, prima di rilasciare il titolo, se l’istante sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (Cons. St., Sez. II, n. 7523 dell'11/09/2024; Cons. St., Sez. IV, n. 1827 del 15/03/2022; Cons. St., Sez. VI, n. 3048 del 22/05/2018; Sez. U, civ., n. 23317 del 04/11/2009, Rv. 609701 - 01). E quindi anche di accertare, comunque e preliminarmente, la legittimazione reale di chi proponga domanda.
E invero, le allarmanti anomalie delle pratiche di sanatoria inoltrate per l’immobile abusivo in esame, risultano ignorate non soltanto dal Comune, che ha rilasciato i provvedimenti in sanatoria, ma anche dal Tribunale, che non ha dato alcun rilievo al fatto che i provvedimenti sananti che andavano a legittimare una volumetria di oltre 20.000 mc. accoglievano istanze inoltrate da soggetti che, per quanto emerge dagli atti disponibili per questa Corte, non avevano al momento della domanda e ancor più al momento della successiva decisione sanante (intervenuta per ""silenzio"" e per "conferma", secondo la ordinanza impugnata), alcun rapporto – serio e reale – con le res, così da poter apparire, piuttosto, autori di forme negoziali simulate, al solo fine di eludere i limiti volumetrici imposti dalla legge 724/1994. 
Con evidente incidenza negativa sulla invocata buona fede dei terzi qui ricorrenti, in sede esecutiva, circa la abusività delle opere, posto anche  che, giova sottolinearlo, i relativi acquisti appaiono per giunta anteriori al momento di ritenuta definizione del condono, peraltro formalmente intervenuto a favore di soggetti diversi dal presentatore delle domande di condono. Così che non emerge neppure un ipotetico affidamento, comunque irrilevante per quanto detto e si dirà ai fini della revoca della demolizione, in anteriori e formali condotte sananti della P.A.
A fronte dunque di un’argomentazione sviluppata dall’Ufficio di Procura, che rappresentava che le istanze di sanatoria ""accolte" - in quanto relative a un complesso immobiliare per il quale non soltanto non era stato costituito (né emerge diversamente in ordinanza o altri atti disponibili),  un distinto diritto di proprietà su porzioni dello stesso, ma addirittura gli istanti avevano perso, subito dopo la presentazione della domanda, ogni interesse all’esito della medesima - erano espressione di un frazionamento artificioso della domanda di condono, e quindi da imputare ad un unico centro sostanziale di interesse che si era avvalso di tale stratagemma per eludere il limite legale di volumetria, il Tribunale fornisce una risposta del tutto apparente, che si esaurisce nel ribadire che anche i promissari acquirenti erano legittimati alla presentazione della domanda di condono, senza confrontarsi con le peculiarità della vicenda, come ricostruita da una delle parti del procedimento, né interrogarsi sulla significatività, nel contesto di quanto sinora osservato, della non coincidenza tra promissario acquirente, beneficiario del condono, terzi istanti in fase esecutiva.

    8. Strettamente connessa a questa prima questione, è la possibilità del giudice dell’esecuzione di sindacare il provvedimento sanante intervenuto, al fine di verificarne la legittimità in rapporto alla richiesta revoca dell’ordine di demolizione.
E’ sufficiente qui ricordare che costituisce espressione di un orientamento consolidato di questa Corte, il principio secondo cui è da riconoscersi al giudice un potere-dovere di valutazione del titolo abilitativo finalizzato, non tanto ad una valutazione di legittimità prodromica all'eventuale disapplicazione, quanto piuttosto, e precipuamente, ad una verifica della sussistenza effettiva dei presupposti, di fatto e di diritto, dai quali dipende l'estinzione del reato (fra le tante Sez. 3, n. 27977del 4/4/2019,  Caputo; Sez. 3, n. 46477 del 13/7/2017, Menga, Rv. 273218; Sez. 3, n. 26144 del 22/4/2008. Papa, Rv. 240728; Sez. 3 n. 23080 del 16/4/2008, Proietti). Si è altresì evidenziato, in particolare (Sez. 3, n. 38071 del 19/09/2007) Rv. 237824 – 01), che in tema di condono edilizio, il giudice ha il potere - dovere di controllare la sussistenza delle condizioni di applicabilità del condono in quanto si tratta di un potere di controllo strettamente connesso all'esercizio della giurisdizione, il cui mancato esercizio determina inevitabilmente ed inutilmente la dilatazione dei tempi del processo. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha poi esemplificato ciò che deve costituire oggetto del controllo giudiziale: a) data di esecuzione delle opere; b) rispetto dei limiti volumetrici; c) eventuali esclusioni oggettive della tipologia d'intervento dalla sanatoria; d) tempestività della presentazione, da parte di soggetti legittimati, di una domanda di sanatoria riferita alle opere abusive contestate nel capo di imputazione).

    9. In tale prospettiva, è opportuno ribadire il tema della unitarietà o meno del centro di interessi cui può essere ricondotta, o possono essere ricondotte, una o più domande di sanatoria. 
In altri termini, è tendenzialmente unico il centro di imputazione della domanda di condono di un immobile abusivo e in tal caso all’unica domanda e all’unitario immobile vanno rapportati i requisiti volumetrici del condono. Nel contempo, un frazionamento dell’immobile  con correlata possibilità di presentare distinte e plurime domande è possibile, ma solo in limitate e precise ipotesi: allorquando sussistano distinti titoli di legittimazione prima della domanda, così da potersi individuare distinti legittimati per distinte quanto autonome unità immobiliari. In caso di plurimi proprietari ovvero promissari acquirenti, per quanto qui interessa, è necessario che a monte emergano distinti titoli di proprietà per ogni negozio e distinte unità immobiliari autonome. 
In proposito, rileva quanto precisato dalla Corte Costituzionale che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39, comma 1, legge n. 724, cit., sulla premessa che «il limite di "750 metri cubi" trova un temperamento nelle nuove costruzioni (e solo per queste), anche perché per i nuovi edifici non è possibile un raffronto con una costruzione originaria», ha spiegato che la possibilità (definita "derogatoria e, come tale, di stretta interpretazione') di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, presuppone ipotesi di legittima ed ammissibile scissione della domanda di sanatoria per effetto della suddivisione della costruzione o limitazione quantitativa del titolo che abilita la presentazione della domanda di sanatoria. «I casi - afferma la Corte - possono essere molteplici: proprietà di parte della costruzione a seguito di alienazione o di singole opere da sanare (art. 31, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47) o titolarità di diritto di usufrutto o di abitazione (ad es. limitata a singola porzione di immobile), titolarità di diritto personale di godimento, quando la legge o il contratto abiliti a fare le opere (art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, in relazione all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10) o ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria (art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985), come l'istituto di credito mutuario, con ipoteca su singola porzione di immobile, il locatario o altri aventi titolo a godere della porzione di immobile. Ciascuno dei soggetti, come sopra specificati, può presentare la domanda di sanatoria per le porzioni di immobile per le quali è legittimato, ed è questa l'unica possibilità, cui logicamente può riferirsi la deroga, in quanto la concessione edilizia deve essere necessariamente unica per tutte le opere riguardanti un edificio o un complesso unitario, quando si riferisce a nuova costruzione, e solo eccezionalmente può operarsi una scissione quando esiste una norma che legittima in maniera differenziata soggetti diversi dal costruttore. Di conseguenza uno stesso soggetto legittimato non può utilizzare separate domande di sanatoria per aggirare il limite di volumetria previsto dall'art. 39, primo comma, della legge n. 724 del 1994, dovendosi, in tal caso, necessariamente unificare le richieste quando si tratti della medesima nuova costruzione da considerarsi in senso unitario. Potranno, invece, (ed è questa la previsione mirata dal legislatore) aversi, una serie di istanze quanti sono i proprietari o i soggetti aventi titolo al momento della domanda, relative per ciascun richiedente alle porzioni di appartenenza anche se comprese in una unica costruzione unitaria: la volumetria dovrà essere calcolata rispetto a ciascuna separata domanda di sanatoria, riunificando, tuttavia, le porzioni dello stesso titolare» (Sentenza n. 302 del 1996).
Coniugando allora il principio della tendenziale unitarietà della pratica di condono con quanto esposto in tema di astratta quanto eccezionale possibilità di individuare distinti soggetti legittimati a chiedere il condono medesimo, tra cui, alle condizioni suindicate, i promissari acquirenti, viene altresì in rilievo anche il dato non solo della necessaria sussistenza – ai fini di una valida procedura di condono - di un interesse serio e reale in capo a costoro, per la loro concreta legittimazione, come sopra esposto, ma anche quello, praticamente simultaneo, della esistenza di reciproche promesse di acquisto e vendita che abbiano ad oggetto diritti di proprietà previamente distinti rispetto all’unico complesso edilizio, così che, al contrario, la stipula di atti preliminari aventi ad oggetto quote indistinte dell’unico diritto di proprietà facente capo all’unico proprietario, inficia anche essa la legittimazione dei predetti “promissari”. La necessaria unitarietà del condono oltre a investire l'unitario immobile, seppure con le eventuali deroghe prima precisate, si riverbera anche nella necessaria incidenza del condono sull'intero immobile, di modo che non appare possibile sanare, ovvero condonare, solo parti del medesimo edificio, così da lasciarne altre in perenne stato di abusività, di fatto ancora una volta separando, ad esclusivi fini personali, parti dello stesso immobile. 
Anche questi profili non paiono scandagliati sub specie di una previa verifica di legittimazione dei soggetti richiedenti. 

10. Quanto poi alla tesi del giudice, secondo la quale la formazione del titolo sanante, sia per il decorso del termine in assenza di provvedimenti dell’autorità amministrativa, sia per il rilascio successivo del formale provvedimento di condono, determinerebbe la caducazione dell’ordine di demolizione, senza la possibilità per il giudice penale di sindacare la legittimità del titolo, deve ribadirsi innanzitutto, in via generale l’indirizzo per cui il legislatore ha accolto la tesi secondo cui il provvedimento formatosi per silenzio assenso postula la liquidazione definitiva, da parte del Comune, dell'oblazione e l'accertamento della possibilità dell'opera di conseguire la sanatoria (cfr. in motivazione, Sez. 3, Sentenza n. 4749 del 13/12/2007 (dep. 30/01/2008 ) Rv. 238787 – 01). Analogamente, quanto al cd. terzo condono, e con principio che deve ritenersi valevole in via generale, si è stabilito, e lo si condivide, che il silenzio-assenso, ai fini della condonabilità dell'opera abusivamente realizzata ex art. 32, comma 37, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, si forma a condizione che vi sia rispondenza della domanda di condono edilizio ai requisiti previsti dalla legge per il prodursi dell'effetto sanante. (Sez. 3, n. 727 del 25/10/2022, dep. 2023, Caponera, Rv. 284055 - 01). 
Tanto premesso, si deve osservare che la predetta tesi di cui alla ordinanza, circa la avvenuta formazione comunque del silenzio assenso in sede di condono e la non disapplicabilità di tale atto,  finisce per riproporre posizioni ancorate ai principi della Sezioni Unite Giordano (n. 3 del 31/1/1987, Rv. 175115) che da decenni la giurisprudenza ordinaria e amministrativa ha abbandonato, sostenendo invece che l’incidenza del provvedimento amministrativo su un reato già commesso impone al giudice penale di “controllare, pieno iure, la sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio” ( Sez. 3, n. 9331 del 21/11/2023, Di Miglio).
In altri termini, la tesi di cui alla ordinanza, della avvenuta quanto insuperabile maturazione del silenzio assenso anche in eventuale assenza dei requisiti di legge, accompagnato poi anche da un provvedimento comunale formale di condono, interpretabile come conferma del silenzio assenso già formatosi, appare fuorviante ed eccentrica rispetto alla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui le verifiche del giudice penale in materia di consumazione di reati edilizi come anche della loro eventuale estinzione per sanatoria, non implicano anche la potenziale “disapplicazione” degli eventuali titoli amministrativi intervenuti ab origine rispetto all’edificazione ovvero sopravvenuti poi ""a sanatoria"", bensì impongono un più ampio e complesso vaglio di conformità della fattispecie concreta rispetto ai requisiti urbanistici e/o di sanatoria stessa; cosicchè, l’esito negativo di tali accertamenti non determina, anche in presenza di provvedimenti autorizzativi o di sanatoria rilasciati (tantomeno per silenzio assenso), la loro “disapplicazione”, ma un più generale giudizio negativo sulla sussistenza dei requisiti di legge per la realizzazione dell'opera o per la sua stessa sanatoria. Con l’ulteriore conseguenza per cui non osta alla predetta verifica del giudice penale ogni disquisizione - pur proposta in ordinanza anche con note argomentazioni relative alla portata, tra gli altri,  dell’art. 21 nonies L. 241/1990 -, circa la persistente efficacia, fino solo ad un eventuale successivo annullamento, dell’atto formatosi per silenzio assenso, una volta decorsi i termini previsti dalla domanda, ancorchè in assenza dei requisiti di legge. 
Deve altresì aggiungersi, peraltro, che nel caso concreto, ed alla luce di quanto sinora osservato in termini di legittimazione alla istanza di condono, l’assenza della stessa, come pare potersi prefigurare in capo ai sedicenti promissari acquirenti, implica la mancanza di un requisito essenziale dell’atto, che osta comunque alla formazione del cd. silenzio assenso anche a voler seguire la impostazione propugnata in ordinanza. 
E invero, secondo quello stesso orientamento della giurisprudenza amministrativa ripreso dal giudice dell’esecuzione, che sostiene la possibile formazione del silenzio assenso anche in mancanza di requisiti di legge previsti per il rilascio formale del provvedimento, così che il relativo  difetto non impedirebbe il perfezionarsi della fattispecie provvedimentale, va distinta l’ipotesi della “radicale ‘inconfigurabilità’ giuridica dell’istanza: quest’ultima, cioè, per potere innescare il meccanismo di formazione silenziosa dell’atto, deve essere quantomeno aderente al ‘modello normativo astratto’ prefigurato dal legislatore” (cfr. per tutte al riguardo Cons. St., sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746). Con la conseguenza per cui la mancanza di legittimazione in capo all’autore della domanda di condono (i promissari acquirenti, nel caso in esame), come esaminata in precedenza, comunque impedirebbe la formazione del silenzio assenso. 

    11. Quanto poi all’ulteriore rilievo formulato dal giudice, per cui l’ordine di demolizione va revocato perché “..non sussiste all’attualità l’interesse dello Stato al ripristino…”, a fronte di un PUC che avrebbe mutato la destinazione dell’area di interesse, trasformandola in zona residenziale, per cui l’ordine di demolizione non perseguirebbe più la finalità “ di far rispettare la natura industriale della zona”, si tratta di  affermazione distonica rispetto ai principi esposti in premessa circa la natura, i limiti e la ratio dell’ordine di demolizione. 
Innanzitutto, l’affermazione è deficitaria già sul piano concreto, atteso che la mera adozione di un PUC che cambi destinazione di zona non implica di per sé, anche solo in astratto, la piena conformità urbanistica di una preesistente opera corrispondente alla nuova destinazione di uso, atteso che essa dipende, pur sempre, anche da ulteriori specifiche previsionali, relative alla ubicazione, all’indice di edificabilità, e ad ogni altro aspetto che disciplina, pur in una data zona d’uso astrattamente conforme alla tipologia dell'opera, la concreta edificazione. 
Sul piano giuridico, poi, trascura le disposizioni di sistema, che nell’imporre, da una parte, il rilascio di titoli abilitativi alla edificazione, (in particolare, per quanto qui di interesse, il permesso di costruire), e nel prevedere, dall’altra, la sanabilità sopravvenuta dell’opera abusiva in presenza solo di una sanatoria che si avvalga, in questo caso ex art. 36 del DPR 380/01, del requisito della doppia conformità (laddove le recenti novelle che escludono la necessità di questo requisito “doppio” attengono solo a casi, qui non rilevanti, di parziale difformità o di variazioni essenziali), sanciscono il persistere della abusività del manufatto anche in presenza di nuove disposizioni rispetto alle quali l’intervento edile illecito dovesse, in via sopravvenuta, corrispondere. Tanto che persiste, senza alcuna deroga in questi ultimi casi, ancorché persino eventualmente emersi prima della adozione della sentenza di condanna, la efficacia della previsione legislativa impositiva della adozione, da parte del giudice, della condanna e del correlato ordine di demolizione.
Di cui, dunque, va riaffermata, altresì, la natura vincolata, già ampiamente evidenziata in precedenza, frutto di una complessiva quanto ragionevole valutazione del Legislatore, che l’ordinanza trascura, rappresentando un non previsto potere del giudice addirittura di revocare definitivamente l’ordine di demolizione, previa sua personale valutazione di attuale ( e non pregressa) conformità, sopravvenuta, dell’opera abusiva. E’ sufficiente qui ricordare quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 146 del 2021, laddove nell’escludere la possibilità, paventata dal remittente, che il giudice sostituisca alla confisca una più mite misura maggiormente adeguata allo stato urbanistico dei luoghi, ha precisato, tra l’altro, e per quanto qui di interesse, che «il giudice penale non ha competenza “istituzionale” per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici» (sentenza n. 370 del 1988; analogamente, sentenza n. 196 del 2004). Accertamento che, lo si ripete, appare prefigurato, nell'ordinanza impugnata, in funzione di una non prevista revoca – conseguente a un tale vaglio – dell’ordine di demolizione. 
Come accennato, poi, e va qui ribadito, una tale non condivisibile impostazione dovrebbe portare ad escludere, a rigore, anche la stessa adozione ab  origine dell’ordine di demolizione in caso di sopravvenuta conformità, prima della sentenza di condanna, del nuovo assetto urbanistico di zona rispetto all’opera abusiva, in contrasto, invero, con l’ispirazione di fondo dell’indirizzo giurisprudenziale per cui, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 ( e quindi ad escludere il correlato ordine di demolizione per le tipologie di abuso per cui è previsto) può essere conseguita solo qualora, ai sensi dall'art. 36 d.P.R. citato, ricorra la conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo, invece, escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, successivamente, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. (Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Casa', Rv. 284058 - 03). In altri termini, l'assenza di estinzione del reato per sanatoria “giurisprudenziale” non potrebbe far vivere, comunque, una sorta di “sanatoria”, come in sostanza prospettata in ordinanza, sul piano della adozione ed esecuzione dell’ordine di demolizione. E più in generale, occorre notare che la tesi qui in esame finisce anche col contrastare coll'ulteriore dato di sistema per cui integra reato, con tutte le relative conseguenze, anche in tema di demolizione, persino la realizzazione di un’opera priva di titolo abilitativo, seppur conforme, al momento della sua realizzazione, alla disciplina urbanistica vigente. 
Invero, il principio di proporzionalità invocato dal giudice per sostenere la scelta qui in valutazione, di revocare l'ordine di demolizione non appare applicabile – alla luce dei rilevi di sistema qui semplificati e della correlata vincolatività dell’ordine di demolizione in precedenza illustrata – in sede di adozione e tantomeno di esecuzione dell’ordine medesimo, se applicato nel quadro di una nuova rivisitazione dell’opera abusiva rispetto ad un contesto urbanistico rinnovato: il giudizio sull’opera, sulla relativa responsabilità, e sul suo assetto urbanistico, è affidato al processo ed al suo contraddittorio, di cui l’ordine di demolizione costituisce un possibile esito obbligatorio, senza alcuna possibilità di successivo riesame di tali parametri di giudizio, che in quanto tali definiscono profili e presupposti intangibili del titolo esecutivo. 

12. Non trova fondamento neppure la ulteriore tesi della revoca dell’ordine di demolizione in ragione di un principio di un “proporzionalità in senso stretto” che impedirebbe la demolizione dell’opera abusiva per evitare il pregiudizio agli interessi dei ricorrenti agenti in quella sede esecutiva ( sub specie del diritto alla abitazione), siccome soggetti estranei all’autore del reato che avrebbero confidato sulla legittimità del condono formatosi per silentium e poi “confermato”, così da avere anche impegnato risorse finanziarie nell’acquisto, facendo in tal modo affidamento sulla legittimità dell’opera e rischiando di essere altresì pregiudicati in diritti di natura personale quali la libertà di autodeterminazione.   
In proposito, vanno ribadite le osservazioni formulate nel ricostruire la natura e la ratio dell’ordine di demolizione. 
Va ribadito che il provvedimento che ordina la demolizione è rivolto al ripristino dell'assetto urbanistico e territoriale violato, in una prospettiva di restaurazione dell'interesse pubblico compromesso dall'abuso, e tale natura esclude che allo stesso possano applicarsi i principi propri del sistema sanzionatorio penale relativi al carattere personale della pena. In altri termini, esso è correlato alla res e non trova limiti nei soggetti che con essa abbiano rapporti, ancorché estranei al reato e in buona fede rispetto all'abusività stessa dell'opera (quale non è comunque il caso di specie). 
Da ciò discende, giova sottolinearlo, una stretta correlazione di tale istituto con il sequestro delle opere abusive, atteso che oggetto del sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1, può essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato edilizio e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (v. Cass. n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003, n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 156/1993, n. 2296/1992, e da ultimo Sez. 3, 17 marzo 2009, n. 17865, Quarta, m. 243751; Sez. 3, 13 luglio 2009, n. 39322, Berardi) e, correlativamente, anche la demolizione dell'opera abusiva deve essere eseguita nei confronti di chiunque si trovi nel possesso dell'immobile, essendo irrilevante la circostanza che il proprietario (o comproprietario) del bene sia persona diversa dall'autore dell'illecito.
Per questa ragione la giurisprudenza, già in precedenza citata (Sez. 3, n. 47281 del 2009), con riferimento alla posizione del soggetto proprietario dell'immobile, terzo rispetto al reato, è costantemente orientata nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente eseguite nei confronti degli attuali proprietari dell'immobile, indipendentemente dall'essere stati o meno questi ultimi gli autori dell'abuso, salva la loro facoltà di fare valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa. Il titolare del bene o di diritti minori sullo stesso bene potrà usare gli strumenti privatistici per addossare ai soggetti responsabili dell'attività abusiva gli effetti sopportati in via pubblicistica, non ponendosi in dubbio la circostanza che il soggetto incolpevole abbia diritto di rivalersi, per il danno subito, secondo le norme di diritto comune.
Tale principio deve valere anche nei confronti del comproprietario estraneo al reato, che avrà anch'egli la facoltà di far valere sul piano civile la responsabilità del comproprietario autore dell'illecito per i danni che l'esecuzione della demolizione potrà arrecare alla sua originaria proprietà (e non ovviamente all'immobile abusivo la cui demolizione non può evidentemente comportare un danno risarcibile). 
L'ordine di demolizione, lo si ribadisce, contiene infatti una statuizione di natura reale, che, come il corrispondente ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, produce i suoi effetti nei confronti di tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, siano o diventino proprietari del bene su cui esso incide (Sez. 3, 5.3.2009, n. 16687, Romano, m. 243405). Il terzo acquirente dell'immobile potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione (nello stesso senso, Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266 - 01). Significativo nel quadro in esame, è tra l’altro il dato per cui l'ordine demolitorio, diversamente dalla pena, oltre che per il decorso del tempo non si estingue nemmeno per morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, Baldinucci, Rv. 249317; Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 - dep. 2000, Barbadoro, Rv. 215601), ma si trasmette agli eredi del responsabile (v., ad es., Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 3206 del 30/05/2011) e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (v., ad es., Cons. St., Sez. 4, n.2266 del 12/04/2011; Cons. St., Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008). Conserva la sua efficacia nei confronti di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193 - 01; Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 801 del 02/12/2010, dep. 2011, Giustino, Rv. 249129 - 01; Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403 - 01; Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 244612 - 01).
E’ inevitabile osservare, e va qui riaffermato, che se si accedesse alla tesi dell'impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria nei confronti del proprietario non responsabile dell'abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare l'anzidetta fondamentale funzione (Sez. 3, 13.7.2009, n. 39322, Berardi). Egualmente va nuovamente ricordato quanto già osservato da questa Corte per cui, l'irrilevanza del regime proprietario dell'immobile abusivo oggetto dell'ordine di demolizione si armonizza con la disciplina della responsabilità solidale del proprietario estraneo all'illecito posta, in materia di sanzioni amministrative, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6.
In altri termini, anche ove emergesse il ruolo di un attuale proprietario del bene abusivo che sia in buona fede, va rimarcato che la relativa tutela non può rinvenirsi in una retrocessione di una misura, l’ordine di demolizione (come anche, del resto, del sequestro), che il legislatore, nel quadro delle condizioni e garanzie prima esposte e delineate, e dell’esercizio di un potere normativo in materia che sia la Corte Costituzionale che la giurisprudenza convenzionale gli riconosce, ha già valutato come necessaria e incidente sulla res, come tale prevalente sul diritto di proprietà dell’autore dell’abuso come anche di un proprietario ad esso estraneo. 
In tal senso è altresì utile anche esaminare la normativa al riguardo, con riferimento all’ordine di demolizione anche impartito dalla autorità amministrativa. 
L'art. 31, commi 2, 3, 4, 4-bis, 5 e 9 d.P.R. n. 380 del 2001, così recita:
«2. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali (..) ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.
3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.
4. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al precedente comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente.
4-bis. L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti (...)
5. L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico.
9. Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice ; con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita».
Il tenore letterale del secondo comma dell'art. 31, cit., è chiaro nella parte in cui fa obbligo al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale di ingiungere la rimozione o la demolizione sia al responsabile dell'abuso che al proprietario, logicamente presupponendo, la norma, la dissociazione, al momento della emissione dell'ingiunzione, tra l'autore dell'abuso e l'attuale titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva sul bene da demolire.
Il legislatore, però, individua quale soggetto obbligato all'esecuzione della rimozione o demolizione (tenuto, dunque, ad un facere) il solo "responsabile dell'abuso" (comma 3), a spese del quale l'opera può essere demolita ove questi non vi provveda nel termine di novanta giorni dalla notificazione dell'ingiunzione (comma 5).
Ciò nondimeno, l'accertamento della inottemperanza a demolire, poiché costituisce titolo per l'immissione nel possesso del bene acquisito gratuitamente al patrimonio del Comune, deve essere notificato (anche) all'interessato, dovendosi intendere per tale la persona la cui situazione giuridica soggettiva attiva sul bene è concretamente pregiudicata dalle conseguenze della omessa demolizione.
Dunque, non v'è dubbio che l'ingiunzione a demolire debba essere notificata anche al proprietario del bene, quand'anche non autore dell'abuso.
La giurisprudenza amministrativa spiega che la demolizione può essere ingiunta al proprietario dell'immobile oggetto di abuso edilizio non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell'illecito edilizio (che ricade sui soggetti di cui all'art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001) ma in ragione del suo rapporto materiale con la res che lo rende, agli occhi del legislatore, responsabile della eliminazione dell'abuso commesso da altri. A tale titolo egli è investito di situazioni giuridiche passive di tipo sussidiario consistenti in un pati (non potendosi opporre alla demolizione di quanto abusivamente realizzato) e in obblighi di collaborazione attiva da adempiersi mediante iniziative dirette, come la rimozione dell'abuso a spese dei responsabili, o indirette, come diffide di carattere ultimativo rivolte verso eventuali soggetti terzi che detengano l'immobile (Cons. St., Sez. 7, n. 109 del 03/01/2023).
Il proprietario assume, dunque, una responsabilità di tipo "sussidiario", nel senso che, pur quando non sia responsabile dell'abuso, è tenuto a dare esecuzione all'ordine di demolizione solo quando ciò sia per lo stesso materialmente possibile (Cons. St., Sez. 6, n. 3391 del 10/07/2017; Cons. Stato, Sez. 6, n. 2211 del 04/05/2015); si sostiene, al riguardo, che il perseguimento dell'interesse pubblico urbanistico è interesse pubblico di carattere preminente e, dunque, l'ordinamento vuole che la legalità violata sia ripristinata anche dal proprietario. Tanto discende anche dalla natura "reale" dell'illecito e della sanzione urbanistica, i quali sono riferibili alla res abusiva e, dunque, il ripristino dell'equilibrio urbanistico violato viene a fare carico anche sul proprietario. Nulla quaestio nel caso in cui egli sia soggetto connivente, ma nel caso in cui lo stesso non risulti responsabile dell'abuso né sia nella disponibilità e nel possesso del bene, risulta evidente che l'ordine non può produrre effetti nei suoi confronti se non quando egli ne riacquisti la disponibilità e il possesso e, dunque, sia nella materiale possibilità di dare corso all'esecuzione dell'ordine demolitorio (così, in motivazione, Cons. St. Sez. 6, n. 3391 del 2017, cit.).
In tale quadro normativo, indirizzare il provvedimento monitorio anche al comproprietario dell'immobile costituisce una garanzia per lo stesso, visto che quest'ultimo potrà attivarsi per ottenere la demolizione delle opere abusive al fine di non vedersi spogliato della proprietà dell'area in caso di inottemperanza ai sensi dell'art. 31, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 (Cons. Stato, sez. Il, 13 novembre 2020 n. 7008)» (così, da ultimo, Cons. St., Sez. 6, n. 2898 del 22/03/2023).
Nel contempo, e tale essendo il quadro giuridico già in sede amministrativa, anche l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale può e deve essere eseguito nei confronti di chiunque si trovi in un rapporto qualificato con la res da demolire, non esistendo ragione alcuna per affermare il contrario. Bisognerebbe altrimenti spiegare perché l'ingiunzione emessa dall'autorità amministrativa debba essere notificata al proprietario non responsabile dell'abuso e non altrettanto possa fare il pubblico ministero che ponga in esecuzione l'ordine impartito con la sentenza di condanna. Nemmeno il tenore letterale dell'art. 31, comma 9, cit. osta all'interpretazione qui elaborata, posto che la norma non fa riferimento ad un ordine specificamente diretto al condannato, bensì ad un ordine di natura oggettiva, rivolto a chiunque sia in rapporto qualificato con il bene, anche se non responsabile dell'abuso. Anche il dato normativo, impone e conferma, sul piano tanto amministrativo quanto giurisdizionale, la non sottraibilità del terzo proprietario all’ordine di demolizione. 
Non sussiste quindi ragione per cui il terzo possa (e debba) essere destinatario dell'ordine di demolizione se impartito dalla pubblica amministrazione e addirittura, ove connivente o in male fede (per avere, per esempio, lucrato sul prezzo dell'acquisto), essere destinatario della sanzione amministrativa prevista in caso di inottemperanza dell'ordine (comma 4-bis dell'art. 31) e supportare i costi della demolizione, e non possa invece essere destinatario dell'ordine impartito dal giudice che, come detto, pur esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, si pone comunque a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo. Non si comprendono le ragioni per le quali gli interessi pubblici che giustificano la attribuzione al proprietario di una responsabilità (almeno) sussidiaria e spiegano la natura reale dell'obbligo (che segue la res e non le persone) dovrebbero svanire in presenza dell'ordine di demolizione giudiziario. La diversità dei rimedi e delle giurisdizioni non annulla l'identità degli interessi perseguiti; la natura giudiziaria dell'ordine disposto dal giudice non ne limita la portata, dovendosi altrimenti ammettere che il sistema sanzionatorio a cui completamento esso si pone conosce una falla (cfr. in tal senso in motivazione Sez. 3, n. 17809 del 18/01/2024, Pmt, Rv. 286308 – 01).
Il sistema delineato, in conclusione, affida le tutele del terzo proprietario di buona fede dell’opera abusiva agli strumenti civilistici, lasciando fermo l’ordine di demolizione pur consentendone un esame alla luce del principio di proporzionalità, che tuttavia non è destinato ad inficiarlo in via definitiva. 
Ed invero, anche gli indirizzi di legittimità, al riguardo, nel prospettare la valutazione del predetto principio di proporzionalità in rapporto al diritto all’abitazione, da una parte non prospettano una revoca definitiva dell'ordine di demolizione ( incompatibile con il quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato) bensì, al più, una sospensione, in sede esecutiva, e dall’altra non definiscono diritti, tantomeno alla abitazione, di assoluta prevalenza rispetto alla demolizione. 
In proposito (cfr. Sez. 3, n. 48021 dell'11/09/2019, Rv. 277994 – 01) questa Corte ha precisato che il diritto all'abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all'art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l'ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell'ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio. Va precisato, al riguardo, che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo neppure contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 Conv. EDU , posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368 - 01; Sez. 3, n. 18949 del 10/0372016, Contadini, 267024; Sez. 3, n. 3704 del 09/11/2022, dep. 2023, n.m.; Sez 3, n. 1668 del 29/09/2022, n.m.).
In tale quadro, in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della Convenzione EDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (così Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270 – 01). 
Le linea guida individuate dalla giurisprudenza di legittimità e da quella convenzionale che debbono orientare il test di proporzionalità devoluto al giudice in fase esecutiva, al fine di valutare se sia giustificata la immediata esecuzione del provvedimento di demolizione, alla luce delle peculiarità del singolo caso, che è onere di chi intende avvelarsene allegare in modo puntuale, possono essere sintetizzate nei termini di seguito indicati:
è necessario che l’esecuzione dell’ordine di demolizione incida sul diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona tutelato dall’art. 8 della CEDU, per cui l’esigenza di procedere al bilanciamento dei contrapposti interessi sussiste solo nel caso di demolizione di un manufatto adibito ad abituale residenza mentre non si pone nel caso venga opposto il diritto alla tutela della proprietà ( Sez. 3, n. 2532 del 12/1/2022, Esposito; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020 (dep. 2021), Leoni, Rv. 280270; Sez. 3, n. 47693 del 4/10/2023, Russo);
assumono rilevo la consapevolezza da parte dell’interessato dell’illiceità dell’intervento edilizio che ha originato l’ordine di demolizione, la gravità dell’illecito, da valutarsi anche in considerazione delle disposizioni normative violate, e la tipologia dell’abuso, se di dimensioni tali da farlo ritenere di necessità (Sez. 3, n. 2532 del 12/1/2022, Esposito; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020 (dep. 2021) Leoni, Rv. 280270; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria; Sez. 3, n. 7412 del 10/11/2020 (dep. 2021), Vitale; Sez. 3, 47693 del 4/10/2023, Russo);
è necessario che sia trascorso un arco temporale ragionevole fra l’accertamento del reato e l’attivazione del procedura esecutiva, così da consentire al destinatario dell’ordine di demolizione di “legalizzare” l’immobile, se possibile, o di esperire i mezzi di tutela dei propri interessi offerti dall’ordinamento e di reperire nuove soluzioni abitative ( Sez. 3, n. 2532 del 12/1/2022, Esposito; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020 (dep. 2021) Leoni, Rv. 280270; Sez. 3, n. 869 del 14/12/2023 n. 869, Cutolo, Rv. 285733; Sez. 4, n. 2770 del 5/10/2023 (dep. 2024), Chisari; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv 282950);
assumono rilievo le condizioni personali dell’interessato, quali l’età avanzata, le condizioni di salute e il basso reddito con la precisazione però che tali condizioni, di per sé sole, non posso assumere importanza decisiva dovendo essere valutate congiuntamente con la consapevolezza dell’illiceità dell’intervento edilizio e con l’arco temporale decorso dall’accertamento dell’abuso al fine di verificare se l’interessato abbia avuto la posizione di legalizzare il manufatto  e di reperire un alloggio alternativo (Sez. 3, n. 7127 del 19/1/2022, Palamaro; Sez.3, n. 46199 del  17/10/2023, D’Antuono; Sez. 3, n. 48934 del 15/12/2022, Mastrodonato; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv. 282950 );
assume rilevo che vi sia stata per l’interessato la possibilità di poter far valere le sue ragioni davanti a un organo indipendente (Sez.3, n. 46199 del 17/10/2023, D’Antuono; Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv. 282950);
è necessario che non sussistano ragioni particolari che impongano di differire temporaneamente la demolizione per limitarne l’impatto nella sfera del privato ( Sez.3, n. 46199 del 17/10/2023, D’Antuono;  Sez. 3, n. 5822 del 18/1/2022, D’Auria, Rv 282950);
è necessario che i fatti allegati dall’autore dell’abuso per contrastare l’esecuzione dell’ordine di demolizione non siano dipendenti dalla sua inerzia o, comunque, dalla sua volontà, non potendo il condannato lucrare sulle conseguenze derivate dal suo inadempimento a un dovere imposto da una sentenza divenuta irrevocabile (Sez. 3, n. 21198 del 15/2/2023, Esposito; Sez. 3, n. 48820 del 2/11/2023, F.; Sez.3, n. 46199 del 17/10/2023, D’Antuono).
Il principio di proporzionalità, dunque, presuppone la cogenza dell'ordine di demolizione dell'opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un "ordine urbanistico" tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare 'ex post', nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto. Esso si frappone all'esecuzione dell'ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell'ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell'ordine, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell'allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare (per vero comunque temporaneamente dovendosi escludere una revoca definitiva per quanto sinora osservato) il ripristino di un ordine violato.
In altri termini (cfr. Sez. 3, n. 48021 dell'11/09/2019, Rv. 277994 – 01 cit.)  il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell'ordine di demolizione irrevocabilmente e necessariamente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio o di altri diritti o interessi personali.
Nel caso in esame, la motivazione sul punto non appare in linea con i principi esposti, affermando una necessità di revoca dell'ordine, ritenuto in sé illegittimo solo perché inerente ad un terzo estraneo al reato, e sviluppando l’invocazione della tutela di interessi o scelte personali e patrimoniali in termini assolutamente generici, che in tal modo, per quanto detto, non appaiono in grado di incidere, neppure nella fase esecutiva, sulla sospensione dell’ordine di demolizione, atteso che il pregiudizio economico e le connesse scelte personali di acquisto trovano, come detto, eventuale tutela, in strumenti civilistici, senza che possa obiettarsi un ipotetico quanto astratto e aprioristico esito negativo dei medesimi; ed anche il rimando alla sfera personale e alla libertà di autodeterminazione appare essere fondato sia su un criterio di affidamento che, per quanto sopra esposto, non appare né comunque in sé impeditivo, lo si ripete, della demolizione né concretamente allegato nè validamente scandagliato secondo i principi sopra affermati - a partire, giova sottolinearlo alla luce di quanto sul punto già osservato, dalla assenza di una seria prospettabilità, da parte degli attuali proprietari, dell'intervenuta sanatoria per condono -; sia eccentrico, siccome sviluppato in termini assoluti e privi di ogni considerazione del complessivo sistema di valori e normativo, con la peculiare rilevanza sopra pure evidenziata, nel settore in esame, degli interessi pubblici e del correlato ordine di demolizione. 
Del tutto fuorviante è poi il richiamo, per giustificare di converso la contestata revoca, ai criteri che devono presiedere (rispetto al ritenuto provvedimento di condono) all’esercizio in via amministrativa del potere di autotutela, mediante annullamento, da parte della P.A., posto quanto rilevato circa la assoluta vincolatività e doverosità dell’ordine di demolizione, non solo in sede giurisdizionale ma anche in quella amministrativa, e considerata, peraltro e in ogni caso, la diversa natura dell'azione amministrativa e di quella del giudice penale ordinario (come tali sottratte ad arditi paralleli); con quest'ultimo chiamato necessariamente a imporre - all'esito di un processo svoltosi in contraddittorio - la demolizione ove già non intervenuta, nel quadro di una naturale e insuperabile chiusura del sistema.  
Può dirsi, quindi, che fondate risultano anche le censure mosse dal ricorrente alla affermata portata, in ordinanza, del principio di proporzionalità quale canone di legittimità dell’uso del potere di demolizione e parametro incidente quasi di per sé, purchè meramente collegato a diritti personali o patrimoniali,  sull’ordine di demolizione.
L’ordinanza va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Napoli in diversa persona fisica.
P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.
Così deciso il 19/03/2025