New Page 3

Ordinanza di rigetto su istanza di revoca del sequestro preventivo emessa dal GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dr. Raffaele Piccirillo, in data 3.10.05 - dimostrazione del fumus del dolo intenzionale tipizzante il delitto di abuso d'ufficio nel caso concreto - confutazione dell'argomento difensivo volto ad escludere il dolo intenzionale sulla base dell'interesse pubblico perseguito dagli amministratori responsabilid ell'abuso d'ufficio - ininfluenza sul sequestro della procedura di definizione del condono edilizio in itinere - non condonabilità ex art. 32 della legge 269/03 delle nuove costruzioni non residenziali - collegamento tra concessione edilizia e autorizzazione annonaria nella normativa nazionale e in quella regionale campana sulla grande distribuzione commerciale -

New Page 1

N. 5148/02 R.G.N.R.

N. 2587/04 R.G. GIP



TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari


ORDINANZA


Il Giudice dr. Raffaele Piccirillo,

sulla richiesta presentata dall’indagato A. T. e dai suoi difensori avvocati A. B. e F. L. per la revoca del decreto di sequestro preventivo emesso in data 30.7.05 in relazione ai canoni percepiti dalle società Iperion s.p.a., Mezzanotte s.r.l., Wild Bear s.r.l., Mezzogiorno s.r.l., Moda In s.r.l. per la locazione dei locali commerciali ubicati presso il Centro Iperion di Caserta via P. Borsellino;

letto il parere del P.M. pervenuto in data 27.9.05;

OSSERVA



1. Le censure articolate dai Difensori avverso il provvedimento in oggetto si raccolgono intorno a tre nuclei argomentativi:

1) incertezza dell’esito del giudizio di merito per quanto concerne i profili oggettivi e soggettivi dei contestati delitti di abuso d’ufficio e, più specificamente, per quanto concerne l’ipotesi del concorso dell’indagato T. A. individuato come soggetto direttamente pregiudicato dal sequestro in atto;

2) improprietà della qualificazione dei canoni sequestrati come profitto degli ipotizzati reati;

3) inattualità di detta qualificazione alla luce degli interventi normativi che avrebbero sanato tanto i profili di illiceità urbanistica quanto le violazioni della L.R. n. 1 del 7 gennaio 2000 e delle tabelle di contingentamento delle superfici destinabili alla grande distribuzione.



2. Il primo ordine di censure è sviluppato dai Difensori con argomenti volti precipuamente ad escludere nei Pubblici Ufficiali indagati e nel beneficiario T. A. il dolo intenzionale di ingiusto danno / profitto richiesto dalle fattispecie delittuose in contestazione.

In relazione alla condotta dei primi i Difensori richiamano una serie di provvedimenti concessori con i quali gli amministratori casertani, gli organi consultivi e i funzionari responsabili del settore urbanistico avvicendatisi nel corso degli anni avrebbero assentito interventi edilizi ‘del tipo di quelli posti in essere dall’Iperion s.p.a.’ in zona F3, tanto in via Borsellino quanto in altre aree identicamente classificate. In tal modo si intende asserire che i provvedimenti emessi in favore dell’Iperion – lungi dall’esprimere ‘scelte poste in essere nell’interesse del singolo’ – rappresenterebbero l’attuazione di ‘indirizzi e scelte politico-amministrative aventi carattere generale’.

La censura è debole per vari ordini di ragioni.

La mera citazione di una serie di interventi edilizi assentiti in zona F3 è senz’altro insufficiente ad avallare la tesi della conformità delle concessioni in contestazione alla prassi e all’indirizzo politico generale del Comune di Caserta.

I Difensori non provano né l’esistenza di detti titoli concessori né la consistenza degli interventi che ne avrebbero formato oggetto, così precludendo una seria valutazione comparativa diretta a stabilire se la prassi riferita si sia mai formata e se essa concerna interventi effettivamente assimilabili a quello in contestazione. Per taluni degli interventi menzionati anzi la stessa sintetica definizione che ne danno i difensori (quando si riferiscono ad un Centro di Accoglienza Caritas, ad una Multisala, ad un Centro Polisportivo) suggerisce l’idea di un’astratta riconducibilità a quelle destinazioni ‘sociale, di svago, cultura, tempo libero’ che l’art. 27 del P.R.G. e l’art. 2 del D.M. 2 aprile 1968 connettono alle zone F3.

Ma anche volendo per un attimo prescindere dalla debolezza fattuale dell’argomento difensivo, resta privo di pregio il ragionamento sotteso: quello secondo il quale la rispondenza di un comportamento amministrativo illegittimo alla prassi di un ente o di un ufficio basterebbe di per sé ad escludere il dolo intenzionale di abuso.

Così ragionando si perviene a conferire alla sistematizzazione dell’illecito valore di scusante per il pubblico amministratore.

Vero è che talvolta la giurisprudenza conferisce rilievo alle prassi invalse in certi ambiti amministrativi in tema di accertamento del dolo, ma ciò accade soltanto quando la norma di legge o di regolamento presenti profili di dubbia interpretazione e possa conseguentemente ritenersi che la condotta del Pubblico Ufficiale che l’ha obiettivamente violata sia stata ispirata, piuttosto che dal chiaro intento di favorire o danneggiare ingiustamente taluno, da un errore interpretativo ingenerato dalla consuetudine invalsa.

Ipotesi questa del tutto eterogenea rispetto a quella in esame nella quale tanto le norme urbanistiche quanto quelle di pianificazione commerciale appaiono chiarissime e tali da non poter ingenerare dubbi sulla non assentibilità dell’intervento edilizio realizzato dall’Iperion s.p.a.¸ così come solare appare l’assoluta atipicità della pretestuosa autorizzazione provvisoria con la quale si consentì all’indagato T. di realizzare una strada difforme dal tracciato previsto nel piano regolatore (vedi sul punto le pagg. 4 e 5 del decreto di sequestro preventivo).

Le considerazioni difensive volte a dimostrare come la realizzazione del Centro Iperion e della strada annessa soddisfino un interesse pubblico quanto meno concorrente con quello privatistico della società beneficiaria, interesse che avrebbe realmente ispirato le condotte amministrative in luogo del privatistico interesse del beneficiario, sono assolutamente generiche e sono smentite dalla cadenza, dalle modalità delle procedure concessorie/autorizzatorie, dall’effettiva consistenza e destinazione dei manufatti.

Qui non si controverte sulla realizzabilità in area F3 di attrezzature affidate alla gestione di soggetti privati anziché pubblici (come sembrano ritenere i Difensori quando richiamano la giurisprudenza del CdS degli anni ’88 e ’93 in tema di D.M. 2.4.1968 N. 1444) ma dell’effettiva destinazione degli insediamenti assentiti e della loro conformità alle previsioni normative e di piano.

Diventano allora insuperabili i dati indiziari per i quali:

- il considdetto Centro Integrato con Strutture per attività sociali-culturali-sportive e di verde pubblico attrezzato per il gioco e il tempo libero sia soltanto minimamente destinato a dette attività (quattro locali per complessivi 316 mq. coperti e due campetti di gioco) sui complessivi 60.932 mc. destinati ad esercizi commerciali, supermercato e gallerie di passaggio;

- la strada di collegamento artificiosamente autorizzata sulla base di una necessità di decongestionamento del traffico occasionata da lavori fognari durati pochi mesi e poi consolidata per le finalità precipue di servire il parcheggio del Centro Commerciale;

- la stessa spendita di definizioni e destinazioni artificiose nelle domande e nelle procedure che condussero alla realizzazione degli interventi dimostra la perfetta consapevolezza di tutti i soggetti coinvolti circa l’illegittimità e l’ingiustizia sostanziale dei provvedimenti.

Quando poi i Difensori si soffermano sul fatto che il T. patì nel corso della procedura che seguì all’acquisto da parte dell’Iperion s.p.a. del suolo già di proprietà dei germani T. (autori della prima richiesta di concessione risalente al marzo ’95) una serie di limitazioni volumetriche rispetto alle sue pretese e si assoggettò ad una serie di concessioni in favore della P.A. (quali ‘l’uso pubblico gratuito di tutti i viali e le zone interne del centro integrato’ previsto in una convenzione del 17.8.00 ovvero la destinazione a servizio pubblico di mq. 2013 del suolo di sua proprietà e l’inutilizzazione di mq. 2.447 dell’area a ridosso della carreggiata stradale di via S. Augusto), essi non fanno che evidenziare come anche gli appetiti illeciti debbano patire qualche limitazione e come l’imprenditore indagato abbia dovuto sopportare costi ulteriori (rispetto agli oneri concessori) per godere dei suoi abusi.

I costi in questione però (anche volendoli ritenere compiutamente dimostrati) non valgono certamente a neutralizzare il profitto conseguito con la realizzazione di un centro commerciale delle dimensioni che si sono dette e con un bacino di utenza pari a 400mila persone che le norme urbanistiche e annonarie non consentivano di realizzare; né valgono ad escludere nei pubblici amministratori la volontà precipua di avvantaggiare illecitamente il beneficiario.

Non opera del resto in materia penale, una volta che si sia dimostrata la consumazione di un reato con evento di profitto, la ‘compensatio lucri cum damno’ che può invece giovare al ridimensionamento quantitativo delle pretese risarcitorie di carattere civilistico eventualmente azionabili dalla P.A.

Riprendendo e parafrasando un’affermazione del Giudice Amministrativo di primo grado, può insomma concludersi che ‘la concessione in uso pubblico di ciò che non si sarebbe potuto realizzare affatto non sana (e non scusa) l’illegittimità dei titoli concessori illegittimamente rilasciati’.



3. L’inattualità dello stigma che ha colpito il Centro Commerciale Iperion e dei profitti che derivano dalla sua gestione è sostenuta dai Difensori nel capitolo III della loro memoria con argomenti che rimandano alla regolarizzazione urbanistica e annonaria degli interventi censurati che deriverebbe dall’ultimo condono edilizio (D.L. 269/03 convertito nella legge n. 326/03), dallo Strumento di Intervento per l’Apparato Distributivo (S.I.A.D.), dal Verbale Conclusivo della Conferenza dei Servizi che espresse parere favorevole al rilascio delle Autorizzazioni Commerciali previste dalla L.R. Campania n. 1/00.

E’ pacifico però che allo stato né le domande di definizione degli illeciti edilizi del 7 e 26.7.04 (rispettivamente concernenti il Centro Commerciale di cui al capo a della contestazione e la strada di collegamento con parcheggio di cui al capo b), né la richiesta di autorizzazione commerciale del 22.6.04 hanno trovato accoglimento.

Il che già basterebbe a respingere l’istanza difensiva secondo il consolidato insegnamento della S.C. per il quale la mera presentazione delle istanze di condono non impedisce il sequestro dei beni posto a tutela delle ulteriori conseguenze del reato (Cass., III, 26 luglio 2004 n. 32428; Cass., III, 3 agosto 2004, n. 33259).

Ma vi è di più!

Non è infatti neppure pronosticabile l’esito favorevole delle richieste di sanatoria presentate dall’indagato T.

Ed infatti gli abusi edilizi realizzati dall’Iperion con la copertura degli illeciti atti concessori e autorizzatori si atteggiano pacificamente (vedi la stessa domanda di definizione del legale rappresentante dell’Iperion s.p.a.) come ‘nuove costruzioni’ di carattere non residenziale in quanto tali radicalmente estranee alla portata dell’intervento di condono (v. l’art. 32 co. 25 del D.L. cit. e della legge di conversione ove si estende la previsione condonistica relativa agli ampliamenti di manufatti preesistenti alle sole ‘nuove costruzioni residenziali’).

E’ pertanto inconferente ai casi in esame il discorso volto a dimostrare come – trattandosi di opere realizzate sulla scorta di concessioni edilizie annullate – non troverebbe applicazione il limite dimensionale dei 750 mc. attesa la previsione derogatoria contenuta nell’art. 39 co. 1° quarto periodo della legge n. 724/94.

La S.C. si è del resto recentemente espressa per negare al giudice penale finanche il potere di disporre la sospensione del procedimento prevista dall’art. 44 della legge 28.2.85 n. 47 quando si tratti di violazioni edilizie relative a nuove costruzioni non residenziali, ‘atteso che l’art. 32 del citato decreto n. 269 limita l’applicabilità del condono edilizio alle sole nuove costruzioni residenziali’ (Cass., III, 24.3.2004, n. 14436, Longo; Cass., III, 29.1.04, n. 3358; Cass., III, 7.5.04, n. 21679, Paparusso).

La prognosi sfavorevole sul rilascio del condono edilizio coinvolge necessariamente il destino della richiesta di regolarizzazione annonaria.

In materia è infatti stabilito il principio della correlazione tra i procedimenti di rilascio della concessione o autorizzazione edilizia inerente l’immobile o il complesso di immobili e quello di autorizzazione all’apertura delle grandi o medie strutture di vendita, correlazione che si spinge fino alla previsione della contestualità dei due atti ampliativi (art. 6 co. 2° lett. d del D. Lgs.vo n. 114/98) e alla menzione del rispetto dei regolamenti edilizi, delle norme urbanistiche e delle destinazioni d’uso come condizione per la comunicazione di inizio attività degli esercizi (art. 7 co. 2 lett. b del D. Lgs.vo citato).

La legge regionale campana (n. 1/00) attua il principio generale dettato a livello statale.

Nell’art. 5 co. 1 lett. a) si sottolinea infatti che il rispetto delle disposizioni urbanistiche rappresenti un criterio fondamentale per il rilascio dell’autorizzazione relativa alle grandi strutture commerciali. Nell’art. 14 co. 4, 5 e 6 si prevede poi espressamente: che ‘il rilascio di una concessione edilizia, anche in sanatoria, è contestuale al rilascio dell’autorizzazione commerciale se prevista’; che ‘tutti gli esercizi commerciali dovranno essere attivati in locali aventi conforme destinazione d’uso’ e ‘tutti gli insediamenti commerciali dovranno essere ubicati su aree aventi conforme destinazione urbanistica, fatti salvi gli esercizi commerciali ubicati o da ubicare in immobili per i quali sia stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria ai sensi della legge n. 47 del 1985 o n. 724 del 1994’.

Può dunque concludersi che né sotto il profilo urbanistico né sotto quello annonario si sono verificate ovvero sono pronosticabili sopravvenienze meritevoli di una rivisitazione del provvedimento cautelare.



4. Deve infine respingersi l’assunto difensivo che nega la confiscabilità dei profitti oggetto del decreto di sequestro de quo.

Non è sul punto condivisibile l’argomento secondo il quale i canoni di locazione percepiti dalla società Iperion s.p.a. e dalle società collegate per l’affitto degli esercizi ubicati all’interno del Centro Commerciale abusivo rappresenterebbero res soltanto occasionalmente collegate ai reati in esame.

In realtà i canoni in questione, costituendo indiscutibilmente una delle forme in cui si è manifestato il profitto dei delitti di abuso d’ufficio, rappresentano sia cose pertinenti al reato suscettibili di protrarne le conseguenze e di incentivarne la reiterazione ai sensi dell’art. 321 co. 1° c.p.p. (la sequestrabilità del prodotto e del profitto del reato è uno dei pochi punti fermi della giurisprudenza sul punto; ex plurimis, v. Cass., 18.10.99, Di Lolli).

La S.C. ha del resto costantemente affermato che il profitto del reato è costituito anche dalle cose rivenienti dall’investimento o dalla trasformazione dei frutti diretti dell’illecito quale sarebbe nel caso in esame l’immobile adibito a Centro Commerciale (Cass., 21.10.94 Giacalone; Cass., 14.4.93, Ciarletta)

In quanto profitto di un reato contemplato nel capo primo del titolo II del libro II del codice penale, perpetrato fino al febbraio 2002, i canoni in oggetto sono poi assoggettati alla confisca obbligatoria prevista dall’art. 335 bis c.p.

Non sono pertanto attinenti le contestazioni difensive nelle quali si richiama a conforto della non sequestrabilità dei canoni de quibus una massima in tema di art. 712 c.p. e di confisca facoltativa di un’auto incautamente acquistata.

P.Q.M.

Rigetta la richiesta difensiva.
Santa Maria Capua Vetere, 3 ottobre 2005
Il Giudice

dr. Raffaele Piccirillo