Consiglio di Stato Sez. VII n. 8939 del 14 novembre 2025
Urbanistica.Obblighi dell'autorità comunale in presenza di abuso edilizio
In presenza di un abuso edilizio, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificare la sanabilità ai sensi dell'art. 36 d.p.r. n. 380/2001. Tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31 d.P.R. n. 380 del 2001 che, in tal caso, obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 cit. che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato. Inoltre, l’art. 27, TUED è sempre applicabile sia che venga accertato l'inizio che l'avvenuta esecuzione di interventi abusivi e non vede la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta, nel rispetto dei poteri di vigilanza attribuiti al Comune.
Pubblicato il 14/11/2025
N. 08939/2025REG.PROV.COLL.
N. 09248/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9248 del 2023, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Gianpaolo Buono, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Comune di Barano D'Ischia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2025 il consigliere -OMISSIS- Rotondano, nessuno presente per la parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza appellata il Tribunale amministrativo per la Campania ha respinto il ricorso proposto dalla signora -OMISSIS- -OMISSIS- per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. -OMISSIS- del 28 giugno 2018, adottata dal Comune di Barano d’ Ischia ai sensi dell’articolo 27 del Testo Unico in materia edilizia, in relazione ad opere abusive accertate presso la proprietà della ricorrente.
2. In particolare, su un fabbricato a due livelli di proprietà dell’appellante, sito in Barano d’Ischia, alla -OMISSIS-, per il quale era stato rilasciato dal Comune permesso di costruire in sanatoria in data 8 ottobre 2012 a seguito di istanza di condono edilizio ex lege 47/85, in data 21 febbraio 2018 l’Ufficio Tecnico comunale accertava la realizzazione delle seguenti opere difformi dal permesso di costruire in sanatoria:
«L’ intero piano seminterrato, adibito precedentemente a locali deposito, ed occupante una superficie lorda di circa mq. 55.00, risulta mutato nella destinazione d’uso in quanto attualmente destinato a civile abitazione ed annesso al piano terra; lo stesso internamente è suddiviso in n. 2 camere da letto, 2 locali wc e disimpegno completi delle rifiniture, arredato ed abitato. Sul versante nord-ovest, al posto dell’intercapedine da realizzare, si rileva l’esecuzione del solo scavo, e risultano realizzati n. 2 vani porta con relativa scaletta in c.a. avente una lunghezza di circa mt. 2,80 ancora non rifinita. I due vani, la scala in c.a. ed il mutamento della destinazione d’uso del piano seminterrato risultano eseguiti senza titoli abilitativi; la scala coperta con tettoia, che collegava il piano terra con il piano seminterrato, è stata chiusa sui lati con muratura portante, creando così un ampliamento di superficie di circa mq 26,00; inoltre è stato realizzato un vano porta di ingresso sul lato nord della scala coperta. Il tutto risulta eseguito senza titolo abilitativo; il fabbricato al piano primo, oggetto di permesso a costruire in sanatoria n. 24/2012, presenta delle difformità prospettiche rispetto a quanto assentito, ovvero risultano non eseguiti due vani finestra nel locale angolo cottura e soggiorno».
2.1. Seguiva l’ordine di demolizione ad horas delle opere abusive sopra descritte, ai sensi dell’articolo 27 TUED, impugnato innanzi al Tar Campania dalla ricorrente, che ne censurava l’illegittimità sotto molteplici profili, lamentando anche vizi istruttori e motivazionali collegati alla scelta demolitoria, adottata in luogo di più miti e proporzionate sanzioni, in assenza del prescritto contraddittorio procedimentale.
3. Con la sentenza in epigrafe, il Tar rigettava il ricorso, dichiarando infondata ogni censura.
4. L’appellante domanda la riforma della sentenza, affidando l’impugnazione a tre motivi, con i quali sostanzialmente ripropone, articolandole come ragioni di critica alla sentenza, le originarie censure avverso il provvedimento di demolizione, devolvendo all’odierna cognizione l’originaria materia del contendere.
4.1. Il Comune intimato, seppur ritualmente evocato, non si è costituito nel giudizio di appello.
4.2. All’udienza pubblica del 5 giugno 2025, la causa è stata riservata per la decisione.
DIRITTO
5. L’appello è infondato.
6. Va respinto innanzitutto il primo motivo di appello.
6.1. Con tale mezzo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato infondata la censura per la quale gli interventi sanzionati, per loro natura e caratteristiche, rientrerebbero tra le “opere di manutenzione straordinaria”, assoggettate a S.C.I.A e D.I.A. (oggi C.I.L.A.) e non al permesso di costruire.
Secondo l’appellante, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, le opere contestate dovrebbero ricomprendersi nell’attuale definizione degli interventi di manutenzione straordinaria degli edifici esistenti di cui all’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come modificato dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.
Ciò in quanto nella specie si sarebbe al cospetto di un intervento di natura strettamente conservativa, finalizzato alla manutenzione ordinaria e straordinaria di un fabbricato legittimo, senza che le opere eseguite abbiano comportato variazione di superficie utile o di volume né alterazione dell’originario stato dei luoghi.
In particolare, l’appellante sostiene che: - quanto alla destinazione residenziale del piano seminterrato, adibito precedentemente a deposito, si sarebbe trattato di un mero mutamento di destinazione d’uso “funzionale”, tra opere sussumibili in categorie edilizie omogenee, per il quale non era richiesto il permesso di costruire; - in ordine poi all’ampliamento di 26 mq ottenuto dalla chiusura con una tettoia a copertura della scala, che collegava il piano terra con il piano seminterrato, tale ampliamento presenterebbe una superficie utile conforme a quella riportata nei grafici progettuali allegati alla S.C.I.A del 14 dicembre 2015, prot. n. 8250; - per quanto attiene, infine, alle altre opere (vani porta, scala), si tratterebbe di edilizia minore, per la cui realizzazione sarebbe sufficiente la presentazione di una d.i.a. o s.c.i.a.
La sentenza sarebbe, quindi, erronea anche per non aver valutato la perizia di parte depositata in giudizio e per non aver disposto una consulenza tecnica d'ufficio.
6.2. Gli assunti non sono fondati.
6.3. In particolare, non possono essere condivise le critiche rivolte alla sentenza nella parte in cui ha dichiarato infondata la censura per la quale gli interventi sanzionati, per loro natura e caratteristiche, rientrerebbero tra le “opere di manutenzione straordinaria” (così come definite dall’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 nella nuova formulazione introdotta dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), assoggettate a D.I.A. (oggi C.I.L.A.) e non al permesso di costruire.
6.4. Con il provvedimento impugnato in primo grado il Comune ha sanzionato, mediante misura demolitoria, vari abusi edilizi in territorio vincolato, per i quali è doverosa l’intimata rimessione in pristino stato.
6.5. Deve rilevarsi che le argomentazioni dell’appellante non smentiscono le statuizioni della sentenza, le quali hanno correttamente rilevato come sia il ricorso introduttivo del giudizio sia l’allegata relazione tecnica del 26 settembre 2018 abbiano soltanto enumerato varie DIA e SCIA presentate dall’interessata al Comune di Barano d’Ischia dal 2013 al 2015 “al fine di eseguire opere di manutenzione straordinaria al predetto manufatto”, con rilascio da parte del Comune stesso di autorizzazioni paesaggistiche nel 2012 e nel 2016; tale elencazione è avvenuta mediante mere indicazioni basate sui soli estremi dei titoli, senza alcun deposito documentale e senza alcuna puntuale, chiara e dirimente comparazione fra i contenuti di dettaglio (del tutto omessi) delle predette dichiarazioni, segnalazioni e autorizzazioni e i singoli abusi oggetto di intimata demolizione (a prescindere dai nulla osta strumentali al risalente rilascio del permesso in sanatoria del 2012, qui non in rilievo).
6.5.1. La sentenza appellata ha altresì correttamente rilevato sia l’assenza di censure specifiche volte a lamentare – a carico del provvedimento impugnato- l’interferenza delle opere sanzionate con quanto dichiarato, segnalato o paesaggisticamente già autorizzato, ovvero correlate ad asseriti consolidamenti dei citati atti di parte, in mancanza di tempestivi atti inibitori, sia la carenza probatoria delle allegazioni della ricorrente, specie sul fatto che le citate autorizzazioni paesaggistiche del 2012 e del 2015 (comunque da sole inidonee a supplire alla carenza dei titoli edilizi) avrebbero riguardato tutti gli interventi che il Comune ha invece sanzionato (richiamando anche i rigorosi vincoli ambientali del territorio di riferimento).
In base alle regole di riparto della prova, spettava, infatti, alla ricorrente dimostrare l’effettiva coincidenza tra l’oggetto della s.c.i.a. e le opere in contestazione, essendo onere del destinatario della sanzione demolitoria fornire la prova in ordine alla risalenza e alle consistenze edilizie, quali specificamente contestate dall'amministrazione
6.6. Ciò posto, rileva il Collegio come anche in questa sede l’appellante si è limitata a lamentare asseriti deficit motivazionali del provvedimento sanzionatorio impugnato, sull’assunto che le opere realizzate avrebbero dato luogo ad un intervento di manutenzione straordinaria, senza però minimamente confutare le statuizioni della sentenza di prime cure che se, da un lato, ha correttamente evidenziato le carenze probatorie di quanto dedotto in giudizio dalla ricorrente, dall’altro ha, con portata assorbente di ogni doglianza, rilevato la decisiva carenza del permesso di costruire, titolo edilizio all’evidenza necessario per le opere in questione.
6.7. Infatti, gli interventi sanzionati rientrano nel regime di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, norma che subordina al permesso di costruire la realizzazione di interventi di “ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente… Che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria”.
6.8. Nel caso in esame l’appellante ha presentato delle denunzie di inizio attività riferite alla realizzazione di “una cisterna seminterrata” e “un locale tecnologico seminterrato”, ma, come accertato dall’amministrazione all’esito del sopralluogo, ha poi effettuato la trasformazione di un seminterrato adibito a deposito ad immobile per civile abitazione, con aumento di volumetria per la realizzazione di una scala coperta per mq 26.
Le opere sanzionate non configurano interventi di natura meramente manutentiva, avendo invece trasformato la destinazione d’uso di parte dell’immobile – da deposito a struttura residenziale, con incremento del carico urbanistico dei luoghi - e aumentato la volumetria dell’immobile oggetto dell’ordinanza di demolizione: di conseguenza, gli interventi realizzati (incompatibili, per natura e consistenza, con gli strumenti di semplificazione procedimentale previsti per la denunzia di inizio attività) necessitavano del rilascio del permesso a costruire (cfr. sempre in materia di modifica della destinazione d’uso, Cons. Stato, VII, 21 ottobre 2025, n. 8185).
6.9. Pertanto, l’amministrazione è legittimamente intervenuta a reprimere gli abusi edilizi mediante applicazione della misura ripristinatoria, ciò costituendo atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla rimozione delle opere, realizzate in totale assenza del prescritto titolo abitativo, per di più in zona assoggettata a vincolo paesaggistico.
7. Deve, di conseguenza, essere respinta anche la censura con cui si contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’ordine di demolizione, essendo atto dovuto, è adeguatamente motivato in relazione all'accertamento dell'abuso e alla normativa violata, non necessitando di una particolare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell'abuso stesso.
7.1. Secondo l’appellante nel caso in esame, tale obbligo motivazionale non sarebbe stato assolto dal Comune poiché nell’ordinanza di demolizione non è spiegato quale fosse l’interesse pubblico tutelato tramite l’esercizio del potere sanzionatorio. Inoltre, risulterebbe violato il legittimo affidamento sulla legittimità delle opere, stante il notevole periodo di tempo trascorso tra la commissione dell'abuso edilizio e l'adozione dell'ordinanza di demolizione.
7.2. Si osserva, in contrario, che in caso di abuso edilizio l'ordinanza di demolizione non richiede in linea generale alcuna specifica motivazione, risultando sufficiente l’oggettivo riscontro dell’abusività dell’opera e l’assoggettabilità della stessa al regime del permesso di costruire, come evidenziato in modo adeguato nell’impugnato provvedimento.
7.3. Infatti, per pacifica giurisprudenza, l’interesse pubblico alla rimozione degli abusi edilizi e al ripristino della legalità violata è in re ipsa e l’ordine di demolizione in quanto atto vincolato - al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia - non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Cons. Stato, IV, 11 dicembre 2017, n. 5788; Cons. Stato, Ad. Plenaria n. 9 del 17 ottobre 2017; Cons. Stato, VI, 26 marzo 2018, n. 1893). L’ordine di demolizione è, pertanto, adeguatamente motivato in relazione al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali.
7.4. Peraltro, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, non poteva poi consolidarsi alcun affidamento giuridicamente apprezzabile tale da richiedere una motivazione “rafforzata” sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo intercorso alcun lasso temporale significativo tra la conoscenza dell’illecito edilizio e il provvedimento sanzionatorio adottato dall’amministrazione.
7.5. L’impugnata ordinanza di demolizione - nel richiamare il carattere abusivo delle opere - risulta, perciò, assistita da una adeguata motivazione, riportando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che ne hanno determinato l’emanazione nonché un’indicazione puntuale delle opere abusive, anche mediante il riferimento alle caratteristiche riscontrate in sede di accertamento di infrazione.
8. Non può, infine, essere accolto nemmeno il terzo motivo di impugnazione incentrato sulla violazione delle garanzie partecipative ex art. 7 legge n. 241/90 in relazione al mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con l’adozione dell’impugnata ordinanza di demolizione.
8.1. La sentenza ha correttamente respinto le censure di omessa partecipazione procedimentale, ritenendo che esse vanno dequotate al cospetto di adempimenti vincolati, irriducibili ad un dibattito partecipativo con i soggetti destinatari, anche in relazione alle previsioni di cui all’art. 21 octies, comma 2 della legge 241/90 sulla sostanziale irrilevanza di vizi di portata meramente formale.
8.2. Per costante giurisprudenza, condivisa dal Collegio, l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, in quanto atto dovuto, non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 della L. 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente ordinato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge (Cons. di Stato, VI, 10 gennaio 2020, n. 254; Cons. di Stato, II, 23 gennaio 2020, n. 561). Infatti, l’ordine demolitorio è provvedimento tipizzato e vincolato che presuppone un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime; esso viene adottato in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso edilizio che è volto a reprimere, di cui il ricorrente è ragionevolmente a conoscenza e che non sfugge, quindi, alla sua sfera di controllo (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681).
8.3. Pertanto, ai sensi del comma 2, primo periodo, dell’art. 21 octies della l. n. 241/1990 la mancata comunicazione di avvio del procedimento non rende di per sé solo annullabile l’impugnata ordinanza di demolizione, stante l’ineluttabilità delle misure repressive adottate, atti dovuti a contenuto vincolato, rispetto ai quali non si configura la possibilità né di un qualsiasi apporto collaborativo del privato, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda, né di valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene.
9. Infine, si osserva che i motivi di appello non sovvertono la sentenza neanche laddove ha correttamente dichiarato infondate le doglianze riferite all’applicazione dell’articolo 27 del TUED (che postula un ordine demolitorio ad horas), norma sanzionatoria di cui la ricorrente ha contestato l’assenza dei presupposti di applicazione.
9.1. Al riguardo, in linea generale, deve innanzitutto rammentarsi che in presenza di un abuso edilizio, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificare la sanabilità ai sensi dell'art. 36 d.p.r. n. 380/2001. 9.2. Tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31 d.P.R. n. 380 del 2001 che, in tal caso, obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 cit. che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato.
9.3. Inoltre, l’art. 27, TUED è sempre applicabile sia che venga accertato l'inizio che l'avvenuta esecuzione di interventi abusivi e non vede la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta, nel rispetto dei poteri di vigilanza attribuiti al Comune.
9.3. Ad ogni modo, nel caso in esame, nessun vulnus ha subìto in concreto la ricorrente dall’applicazione dell’articolo 27 TUED in luogo dell’articolo 31 dello stesso Testo unico: infatti, come bene evidenziato dal primo giudice, a prescindere dal tenore intimativo dell’ordinanza, la ricorrente non solo ha potuto agevolmente proporre il gravame senza neanche chiedere alcuna misura cautelare, ma nell’arco di svolgimento del processo fino all’attualità non risulta effettuata agli atti di causa alcuna demolizione delle opere sanzionate, né da parte della destinataria dell’ordine, né d’ufficio da parte del Comune.
10. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
11. Nulla deve disporsi in merito alle spese del grado di giudizio, in assenza di costituzione dell’amministrazione intimata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Daniela Di Carlo, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere, Estensore
Pietro De Berardinis, Consigliere
Marco Morgantini, Consigliere




