Cons. Stato Sez. IV n. 4457 del 9 luglio 2010
Beni ambientali. Misure protettive dei boschi
Nell'ambito delle misure protettive dei boschi sono indubbiamente ricomprese numerose ipotesi di vegetazione non certo riconducibile a quella degli alberi di alto fusto, includendosi anche la vegetazione qualificabile come macchia, oltreché coltivazioni da frutto di vario genere.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 N. 04457/2010 REG.DEC.
 N. 02852/2008 REG.RIC.
 N. 00368/2009 REG.RIC.
 N. 04578/2009 REG.RIC.
 N. 00830/2010 REG.RIC.
 N. 00831/2010 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
 
 in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 ha pronunciato la presente
 DECISIONE
 I - Sul ricorso numero di registro generale 2852 del 2008, proposto da:
 Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv. Vito Bellini,  Massimiliano  Brugnoletti, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico  Michetti in  Roma, via Giovanni Nicotera, 29;
 contro
 Ace S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario  Sanino,  Florestano Funari, con domicilio eletto presso lo Studio Sciume' Funari  Florestano in Roma, via Aniene, 14;
 
 nei confronti di
 
 Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. Mario Fiore, con  domicilio  eletto presso Mauro Fiore in Roma, via G. Chiovenda, 106;
 Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via  dei  Portoghesi, 12;
 Agenzia Sviluppo Provincia Scarl, rappresentata e difesa dall'avv.  Francesco  Saverio Mussari, con domicilio eletto presso Francesco Saverio Mussari  in Roma,  Lungotevere Mellini, 24;
 
 
 II - Sul ricorso numero di registro generale 368 del 2009, proposto da:
 Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vito Bellini,  Massimiliano Brugnoletti, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso  Enrico  Michetti in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;
 contro
 Ace Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario  Sanino,  Florestano Funari, con domicilio eletto presso Florestano Funari in  Roma, via  Aniene, 14;
 Agenzia Sviluppo Provincia Scarl;
 Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Conte, con  domicilio  eletto presso Antonio Conte in Roma, via Carlo Poma, 4;
 Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via  dei  Portoghesi, 12;
 
 
 
 III - Sul ricorso numero di registro generale 4578 del 2009, proposto  da:
 Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vito Bellini,  Maurizio  Dell'Unto, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti  in Roma,  via Nicotera,. 29;
 contro
 Ace S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario  Sanino,  Florestano Funari, con domicilio eletto presso lo Studio Sciume' Funari  Florestano in Roma, via Aniene, 14;
 
 nei confronti di
 
 Agenzia Sviluppo Provincia Scarl; Ministero Beni e Attivita'  Culturali-Sopr. B.  Arch. Lazio; Regione Lazio;
 
 
 
 IV - Sul ricorso numero di registro generale 830 del 2010, proposto da:
 Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vito Bellini,  Maurizio  Dell'Unto, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti  in Roma,  via Nicotera, 29;
 contro
 Ace Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario  Sanino,  Florestano Funari, con domicilio eletto presso Florestano Funari in  Roma, via  Aniene, 14;
 
 nei confronti di
 
 Aspcr - Agenzia Sviluppo Provincia Per Le Colline Romane - Scarl,  rappresentato  e difesa dagli avv.ti Paolo Pittori, Elisa Scotti, con domicilio eletto  presso  Francesco Saverio Mussari in Roma, Lungotevere Mellini, 24;
 
 
 
 V - Sul ricorso numero di registro generale 831 del 2010, proposto da:
 Comune di Ariccia, rappresentato e difeso dagli avv. Vito Bellini,  Maurizio  Dell'Unto, Enrico Michetti, con domicilio eletto presso Enrico Michetti  in Roma,  via Nicotera, 29;
 contro
 Ace Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ragazzo, Mario  Sanino,  Florestano Funari, con domicilio eletto presso Florestano Funari in  Roma, via  Aniene, 14;
 
 nei confronti di
 
 Aspcr - Agenzia Sviluppo Provincia Per le Colline Romane - Scarl;
 
 per la riforma
 
 quanto al ricorso n. 2852 del 2008:
 
 della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I Quater n. 00001/2008,  resa tra  le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI DI INTERVENTI RESIDENZIALI E  RIPRISTINO  STATO DEI LUOGHI.
 
 quanto al ricorso n. 368 del 2009:
 
 della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I Quater n. 04256/2008,  resa tra  le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI.
 
 quanto al ricorso n. 4578 del 2009:
 
 della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I Quatere n. 00576/2009,  resa  tra le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI INTERVENTI RESIDENZIALI E  RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI - ESECUZIONE GIUDICATO TAR.
 
 quanto al ricorso n. 830 del 2010:
 
 della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione II Bis n. 11246/2009,  resa tra  le parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI DI INTERVENTI RESIDENZIALI E  RIPRISTINO  STATO DEI LUOGHI.
 
 quanto al ricorso n. 831 del 2010:
 
 della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione II n. 11242/2009, resa  tra le  parti, concernente SOSPENSIONE LAVORI DI INTERVENTI RESIDENZIALI E  RIPRISTINO  STATO DEI LUOGHI.
 
 
 Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
 Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio; Ministero  per i  Beni e le Attivita' Culturali; Ace Srl; Aspcr - Agenzia Sviluppo  Provincia per  le Colline Romane - Scarl;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2010 il cons. Pier  Luigi Lodi  e uditi per le parti gli avvocati Bellini, Dell'Unto, su delega di  Brugnoletti,  Ragazzo, Sanino, Fiore, Pittori, su delega di Mussari e l'avvocato dello  Stato  Marchini;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 I - Con il ricorso n. 2852/2008 il Comune di Ariccia ha proposto appello  avverso  la sentenza del T.A.R. Lazio n. 1/2008, relativa alle impugnative  proposte dalla  ACE s.r.l. per l'annullamento di una serie di provvedimenti del detto  Comune  riguardanti l'esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione del  complesso  commerciale, direzionale e residenziale previsto dal programma integrato  di  intervento predisposto dall’anzidetta società, approvato con l'accordo  di  programma in data 15 marzo 2005, ratificato con delibera del Consiglio  comunale  n. 34 del 13 aprile 2005 ed approvato infine dalla Regione Lazio con  decreto del  Presidente della Giunta regionale n. 292 del 22 luglio 2005.
 
 La citata sentenza reca le seguenti statuizioni:
 
 a) per quanto riguarda il ricorso principale, l’accoglimento  dell’impugnativa  avverso l'ordinanza del dirigente responsabile n. 128 del 21 luglio 2006  che  aveva ingiunto alla Società ricorrente di sospendere i lavori e  rimettere in  pristino lo stato dei luoghi per i permessi di costruire rilasciati il  17  ottobre 2005 per i lotti edificabili del comprensorio; la dichiarazione  di  inammissibilità dell’impugnativa avverso la nota n. 19388/06 del 24  luglio 2006  mediante la quale lo stesso dirigente aveva dato notizia dell'avvio del  procedimento per l'adozione dei provvedimenti conseguenti  all'accertamento di  vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia in questione;
 
 b) la dichiarazione di inammissibilità dei primi motivi aggiunti,  proposti  contro la nota di carattere interno del menzionato dirigente n. 251/07  del 5  gennaio 2007, indirizzata al comandante della Polizia municipale,  riguardante le  opere accertate e già oggetto di sequestro in data 3 gennaio 2007;
 
 c) la dichiarazione di improcedibilità (pur se riconosciuti fondati) dei  secondi  motivi aggiunti - rivolti nei confronti anche del Ministero per i beni e  le  attività culturali, Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio,  nonché  dell'Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane s.c.a.r.l. - volti   all'annullamento della nota n. 6665/07 del 12 marzo 2007, che disponeva  la  sospensione dell'efficacia dei permessi di costruire sopra ricordati;
 
 d) l'accoglimento dei terzi motivi aggiunti - rivolti oltre che alle  autorità  suindicate anche nei confronti della Regione Lazio - intesi  all'annullamento  della determinazione dirigenziale n. 204 del 27 marzo 2007, avente ad  oggetto  l'annullamento in autotutela del già ricordati permessi di costruire  concernenti  la realizzazione di un centro polifunzionale;
 
 e) il rinvio ad altra udienza, per la insussistenza dei termini a  difesa,  dell'esame dei quarti motivi aggiunti rivolti avverso la nota n. 12374  del 17  maggio 2007, mediante la quale il ripetuto dirigente comunale ha  invitato e  diffidato la società ricorrente al rispetto delle prescrizioni  dell'ordinanza  del T.A.R. del Lazio n. 5209/2006, disponendo che, in mancanza, i lavori  di cui  ai permessi di costruire già rilasciati non potevano essere riavviati,  restando  consentiti unicamente le indagini e i sondaggi archeologici e gli  interventi di  consolidamento;
 
 f) l'accoglimento, infine, dell'azione risarcitoria nei termini indicati  in  parte motiva, con assegnazione al Comune di Ariccia del termine di  sessanta  giorni per proporre alla società ricorrente, ai sensi del vigente art.  35 del  decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, il pagamento di una somma di  danaro  secondo i criteri stabiliti.
 
 Il primo giudice è pervenuto alle suesposte conclusioni disattendendo,  anzitutto, le eccezioni pregiudiziali sollevate dal Comune e rilevando,  in  particolare, che l'impugnativa proposta con il ricorso principale  avverso la  nota n. 19388/06 era inammissibile trattandosi di atto  endoprocedimentale,  mentre poteva essere esaminata nel merito l'impugnativa avverso  l'ordinanza n.  128/06, che veniva quindi ritenuta fondata, per la riscontrata  violazione  dell'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento. Con riferimento,  poi, ai  terzi motivi aggiunti, li ha accolti, disattendendo le numerose  eccezioni di  inammissibilità sollevate da controparte, sul rilievo che il  provvedimento di  annullamento dei titoli edilizi sarebbe stato adottato sulla scorta di  presupposti di fatto e di diritto insussistenti. Per completezza il  primo  giudice ha infine osservato che non poteva essere esaminata la nuova  questione,  prospettata con memoria dalla difesa comunale (relativa ad un incendio  boschivo  verificatosi in precedenza, preclusivo del rilascio dei titoli edilizi),   trattandosi di giudizio di annullamento che investe la legittimità del  provvedimento impugnato esclusivamente in relazione ai contenuti che  connotano  il provvedimento stesso.
 
 L'appellante Comune replica nel merito alle argomentazioni della  sentenza e,  riguardo al risarcimento del danno, eccepisce preliminarmente il difetto  di  giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la richiesta di danno  sarebbe  ricollegabile ad una presunta violazione della convenzione tra le parti;   contesta, comunque, la sussistenza dei presupposti per l'azione  risarcitoria.
 
 Si è costituita la ACE s.r.l. deducendo l'infondatezza del gravame in  fatto e  diritto.
 
 Si è costituita anche la surricordata ASP Colline Romane, chiedendo  anch'essa la  reiezione dell'appello.
 
 La Regione Lazio si è costituita per segnalare principalmente la propria   estraneità al giudizio e, per conseguenza, la propria carenza di  legittimazione  passiva.
 
 Le parti, con memorie, hanno ulteriormente ribadito le rispettive tesi.
 
 L'istanza cautelare presentata dal Comune appellante è stata accolta -  con  ordinanza di questa Sezione n. 2997/2009 emessa nella camera di  consiglio del 12  giugno 2009 - sulla base della seguente motivazione: “Considerato che,  in attesa  della definizione del secondo grado di giudizio, emergono elementi tali  da  indurre a sospendere l'esecutività della gravata sentenza, in  accoglimento della  domanda incidentale”.
 
 II - Con il ricorso n. 368/2009 il Comune di Ariccia ha proposto appello  avverso  la sentenza del T.A.R. Lazio n. 4256/2008 che aveva esaminato ed accolto  i  quarti motivi aggiunti presentati dalla ACE s.r.l. contro la nota del  dirigente  responsabile di area del detto Comune n. 12374 in data 17 maggio 2007,  relativa  al rispetto delle prescrizioni dell'ordinanza del T.A.R. Lazio n.  5209/2006 ed  al divieto di riavviare i lavori edilizi, di cui si è detto sopra con  riferimento al precedente appello n. 2582/2008.
 
 La statuizione di accoglimento, adottata previa estromissione dal  giudizio della  Regione Lazio, risulta motivata in riferimento al fatto che il Comune  non poteva  vietare la prosecuzione di tutti i lavori fino alla ultimazione delle  indagini  archeologiche, avendo la competente Sovrintendenza espressamente  autorizzato la  prosecuzione dei lavori per alcune aree, mentre la mancata verifica dei  reciproci doveri, prospettata dal Comune, riguarderebbe l'applicazione  delle  prescrizioni della convenzione, ossia una questione che sfuggirebbe alle   competenze proprie dell'Ente locale.
 
 Il Comune appellante, nel fornire ulteriori precisazioni in ordine alla  vicenda  di cui si tratta, ripropone l'eccezione di improcedibilità o  inammissibilità dei  motivi aggiunti in esame, in quanto al momento della loro proposizione  era in  corso la procedura conciliativa, nell'ambito della quale la parte  privata aveva  assunto l'impegno di non riavviare i lavori; nel merito contesta le  statuizioni  del primo giudice rilevando che, in effetti, mancavano le condizioni  precedentemente poste dal T.A.R. in sede cautelare ai fini della  realizzazione  delle opere previste; in ordine alla richiesta risarcitoria, infine,  eccepisce  nuovamente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la  sussistenza dei presupposti per il risarcimento.
 
 Resiste in giudizio la società ACE che eccepisce preliminarmente la  tardività  del gravame e ne prospetta, con ampie argomentazioni, l'infondatezza nel  merito.
 
 Le parti anzidette, con memorie, hanno ulteriormente illustrato le  rispettive  tesi.
 
 La Regione Lazio si è costituita per chiedere la conferma della  statuizione del  T.A.R. sulla sua estromissione dal giudizio.
 
 Si è formalmente costituito il Ministero per i beni e le attività  culturali.
 
 III - Con il ricorso n. 4578/2009 il Comune di Ariccia ha proposto  appello  avverso la sentenza del T.A.R. Lazio n. 576/2009, emessa nella camera di   consiglio del 28 aprile 2009, relativa all’accoglimento del ricorso  della ACE  s.r.l. per l'esecuzione della sentenza dello stesso tribunale n. 1/2008  (oggetto  del primo appello di cui sopra) in quanto all'epoca quest'ultima  pronuncia non  risultava ancora sospesa dal Consiglio di Stato.
 
 Nella sentenza ora in esame si è ritenuto che la mancata notifica del  ricorso  alle parti interessate non assumeva rilevanza, attesa la particolare  disciplina  delle procedure di ottemperanza, mentre si ravvisavano i presupposti per  la  nomina di un consulente tecnico ai fini di valutare la somma da  corrispondere  alla società ricorrente a titolo di risarcimento del danno, tenuto conto  che,  anche dopo la previa notifica della diffida ad adempiere, il Comune non  aveva  formulato alcuna proposta al riguardo.
 
 Il Comune appellante sostiene che, trattandosi di sentenza non passata  in  giudicato, la mancata notifica del ricorso introduttivo costituirebbe un  difetto  insanabile del contraddittorio; lamenta il vizio di procedura che  conseguirebbe  dalla tardiva notifica dell'avviso di fissazione della camera di  consiglio;  eccepisce la non debenza del risarcimento del danno, stante la asserita  nullità  dell'atto di acquisto dei terreni da parte della società ricorrente e  stante,  altresì, il sopravvenire di un successivo atto di annullamento dei  permessi di  costruire.
 
 Con memoria la difesa comunale ha ulteriormente insistito nei propri  assunti.
 
 Si è costituita per resistere in giudizio la società ACE che contesta,  anche con  memoria illustrativa, le argomentazioni addotte dal Comune appellante.
 
 L'istanza cautelare presentata dal Comune è stata accolta con ordinanza  di  questa Sezione n. 3007/2009 emessa nella camera di consiglio del 12  giugno 2009,  recante la stessa motivazione della contemporanea ordinanza di  sospensiva n.  2997/2009, di cui si è già detto in riferimento al primo appello di cui  sopra.
 
 IV - Con il ricorso n. 830/2010 il Comune di Ariccia ha proposto appello  avverso  la sentenza del T.A.R. Lazio n.11246/2009, che aveva accolto il ricorso e  i  motivi aggiunti proposti da ACE s.r.l. intesi rispettivamente: a)  all’annullamento della deliberazione della Giunta municipale n. 113 del 9  maggio  2008, relativa alla integrazione del “Catasto degli incendi boschivi e  delle  aree boscate e dei pascoli percorsi dal fuoco”, istituito con la  precedente  delibera della stessa Giunta n. 72 del 31 marzo 2008, anch'essa  impugnata,  recependo la nota del dirigente dell'area n. 11706 del 9 maggio 2008 e  prendendo  atto che il terreno sito nell'ambito comunale, di proprietà della  società ACE,  risulterebbe essere stato percorso dal fuoco in data 9 agosto 2003; b)  all'annullamento della deliberazione del Consiglio comunale n. 66 del 29  luglio  2008, mediante la quale è stato approvato, ai sensi dell'art. 10 della  legge 21  novembre 2000, n. 353, l'elenco dei soprassuoli già percorsi dal fuoco  nell'ultimo quinquennio, per la parte relativa al terreno di proprietà  della  società ricorrente.
 
 Il primo giudice ha esaminato le norme della legge citata relative alla  fattispecie di “incendio boschivo” ed alla disciplina dei conseguenti  divieti  edificatori, osservando che l'area di cui è questione risulta coltivata  ad  ulivi, come tale non rientrante nel concetto di bosco; sarebbe mancata,  d'altronde, prova certa sulla estensione dell'incendio su un'area  definita  circoscritta nell'ambito della proprietà della società ricorrente.
 
 Nell'atto di appello il Comune di Ariccia prospetta, anzitutto, una  serie di  eccezioni pregiudiziali attinenti: a) alla omessa pronuncia del T.A.R.  sull'eccezione di tardività del ricorso principale di primo grado; b)  alla  omessa pronuncia del T.A.R. sull'eccezione di inammissibilità del primo  motivo  del ricorso principale per carenza di interesse; c) sul difetto di  giurisdizione, avendo il T.A.R. formulato un giudizio tecnico  discrezionale  sulla estensione dell'incendio, con un sindacato di merito sulle  valutazioni  spettanti alla pubblica amministrazione. L'appellante contesta, poi, la  fondatezza delle conclusioni del primo giudice sia in ordine al fatto  storico  dell'incendio, sia in ordine all'applicazione al caso concreto della  legge n.  353 del 2000.
 
 Resiste in giudizio la società ACE, chiedendo, anche con memoria, la  reiezione  del gravame e la conferma della sentenza appellata.
 
 V - Con il ricorso n. 831/2009 il Comune di Ariccia ha proposto appello  avverso  la sentenza del T.A.R. Lazio n. 11242/2009, che aveva accolto il ricorso  ed i  motivi aggiunti presentati dalla ACE s.r.l. ai fini dell'annullamento:  a) della  nota del dirigente dell'area n. 19628 del 25 luglio 2008 relativa  all'avvio del  procedimento di verifica di legittimità e/o annullamento in autotutela  dei  permessi di costruire rilasciati nel 2005 alla predetta società per la  realizzazione di un centro polifunzionale, in attuazione di un programma   integrato di intervento, nonché di tutti gli atti pregressi; b) della  nota dello  stesso dirigente n. 20174 del 31 luglio 2008, relativa alla immediata  cessazione, in via cautelare, dei lavori autorizzati con i predetti  titoli  abilitativi; c) di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi   compresi quelli oggetto della pronuncia del T.A.R. impugnata con  l'appello di  cui si è detto sopra; d) (motivi aggiunti) della determinazione del  dirigente in  parola n. 797 dell’8 ottobre 2008 mediante la quale è stato disposto  l'annullamento in autotutela dei permessi di costruire in questione.
 
 Il Tar ha motivato l’accoglimento delle doglianze della società con  argomentazioni corrispondenti a quelle sopra ricordate in riferimento  all'altra  impugnativa (n. 830/210) ora in esame.
 
 Anche il Comune appellante ripropone sostanzialmente i motivi di censura  e  l'eccezione di difetto di giurisdizione già dedotti con l'altro gravame.
 
 Resiste la società ACE chiedendo, con memoria, la reiezione  dell'appello.
 
 VI - La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 4 giugno  2010.
 DIRITTO
 1. - Deve preliminarmente disporsi la riunione dei cinque ricorsi in  epigrafe,  in quanto oggettivamente e soggettivamente connessi, riguardando tutti  un'unica,  articolata vicenda relativa alla attuazione di un programma integrato di   intervento nel Comune di Ariccia.
 
 2. - Deve, inoltre, accogliersi la richiesta di estromissione dal  presente  giudizio della Regione Lazio, non venendo in discussione questioni  specificamente attinenti a provvedimenti di detta Amministrazione.
 
 3. - Prima dei passare all’esame dei singoli appelli, è opportuno  premettere che  la società originaria ricorrente, in qualità di proprietaria di un  appezzamento  di terreno in zona agricola di circa otto ettari, sito nel territorio  del Comune  anzidetto, aveva presentato nell'anno 2003 un progetto denominato  “Programma  integrato di intervento” ai sensi della legge della Regione Lazio 26  giugno  1997, n. 22, che si proponeva di variare la destinazione di zona (a zona   agricola) per realizzare interventi residenziali; centro commerciale;  uffici  privati e pubblici, nonché un centro sportivo per circa 11.000 mq.
 
 A quest'ultimo proposito, con delibera della Giunta n. 203 del 17  ottobre 2003,  il Comune aveva espressamente riconosciuto la natura infrastrutturale  del  progetto “a condizione che sia previsto nella sua attuazione a carico  della  società proponente e cessione alla pubblica amministrazione, la  realizzazione  del centro sportivo e del parco attrezzato, oltre che di tutte le aree  previste  nel progetto”, ed aveva inserito il progetto stesso nel Patto  Territoriale delle  Colline Romane.
 
 A seguito di ciò, l’Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane,  costituita  su iniziativa della Provincia di Roma, aveva attestato la conformità  dell'intervento agli indirizzi di Patto.
 
 Poi, il Consiglio comunale di Ariccia, con delibera n. 65 del 16  dicembre 2003,  aveva adottato la necessaria variante di PRG riconoscendo la natura  infrastrutturale del progetto “secondo quanto già definito dalla  delibera di  G.C. n. 203 del 17 ottobre 2003 e secondo le condizioni dettate nella  stessa”.
 
 Conseguentemente, con successiva delibera dello stesso Consiglio n. 25  del 3  giugno 2004 veniva approvato lo schema di convenzione che prevedeva  all'art. 7  “la realizzazione del centro sportivo a cura e spese della società  richiedente…senza che ciò comporti scomputo agli oneri dovuti”.
 
 Si giungeva, quindi, alla sottoscrizione, in data 15 marzo 2005,  dell’Accordo di  Programma tra la Regione Lazio ed il Comune di Ariccia, mediante il  quale si  procedeva all'approvazione dell'intervento e della relativa variante  urbanistica.
 
 Il Consiglio comunale di Ariccia, tuttavia, con delibera n. 24 del 13  aprile  2005, in luogo di ratificare nella sua interezza il predetto Accordo di  Programma, provvedeva a stralciare dallo schema di convenzione l'art. 7,   inerente all'obbligo di realizzazione del summenzionato centro sportivo.  Il  successivo 17 ottobre 2005 veniva sottoscritta la convenzione  urbanistica tra il  Comune di Ariccia e la società proponente, nella quale non veniva  trasfusa la  disposizione del citato art. 7 dello schema già approvato in sede  consiliare e  recepito nell'Accordo di Programma; nella stessa data venivano  rilasciati i  permessi costruire nn. 70-77 riguardanti le previste opere di  urbanizzazione e  di costruzione del complesso commerciale e dei numerosi edifici  residenziali.
 
 4. - Tanto premesso, può ora passarsi all'esame del primo dei ricorsi in   epigrafe (n. 2852/2008) proposto dal Comune di Ariccia avverso la  sentenza del  T.A.R. Lazio n. 1/2008 che ha accolto in parte il ricorso principale e i  terzi  motivi aggiunti presentati dalla società interessata, disponendo  l'annullamento  delle ordinanze dei dirigenti comunali di area n. 128 del 21 luglio 2006   (sospensione lavori e di rimessa in pristino dello stato dei luoghi), e  n. 204  del 27 marzo 2007 (annullamento dei permessi di costruire nn. 70-77),  con  condanna del medesimo Comune al risarcimento dei danni.
 
 4.1. - Il tribunale aveva ritenuto fondata l'impugnativa proposta dalla  predetta  società con il ricorso principale, rivolta avverso la citata ordinanza  n.  128/2006, rilevando che si trattava di provvedimento con un duplice  contenuto e  sottolineando l'irragionevolezza della contemporanea sospensione dei  lavori e  della rimessa in pristino, atteso che la rimozione delle opere già  realizzate  implica comunque l'impossibilità di prosecuzione dei lavori; rilevando,  altresì,  che sarebbe stato violato l'obbligo di comunicare l’avvio del  procedimento, ai  sensi dell'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non potendo trovare   applicazione nel caso di specie la disposizione del successivo art.  21-octies  che esclude l'annullamento dell'atto il cui contenuto si dimostri che  non  avrebbe potuto essere diverso.
 
 Così sintetizzate le vicende che hanno condotto alla proposizione  dell’appello  n. 2852 del 2008, ritiene la Sezione che le argomentazioni poste a base  della  sentenza di primo grado n. 1/2009 non siano condivisibili, apparendo  fondate le  censure prospettate al riguardo dal Comune appellante.
 
 Come emerge chiaramente dalla sua lettura, il provvedimento è stato  adottato  sulla base di due diverse ragioni: 1) in quanto i lavori erano stati  avviati  senza la preventiva esecuzione dei sondaggi archeologici imposti  dall'art.3  dell'Accordo di Programma; 2) perché la società aveva nominato un  proprio  direttore dei lavori ed un proprio collaudatore, mentre tali nomine  erano  riservate all'Amministrazione comunale come previsto dagli artt. 6 e 8  della  convenzione.
 
 In punto di fatto, la effettiva esistenza di tali ragioni ostative  all'inizio  dei lavori è stata confermata dalla stessa ordinanza del Tar Lazio in  data 14  settembre 2006 che aveva accolto “nei limiti di cui in motivazione”  l'istanza di  sospensiva proposta dalla società interessata, esclusivamente “al fine  di  consentire le necessarie ispezioni per indagini archeologiche nonché di  permettere alle parti di verificare i termini dei reciproci doveri (tra i  quali  quelli inerenti la funzione di direzione dei lavori) nel quadro del  patto  territoriale di zona, cui pure le stesse hanno aderito”.
 
 In tale prospettiva, specie in considerazione della necessità di  prevenire  possibili danni a beni archeologici per l'omessa preventiva esecuzione  dei  sondaggi previsti, il Comune non poteva omettere di attivarsi  immediatamente con  un provvedimento cautelare di sospensione dei lavori, nell'esercizio dei  poteri  di vigilanza attribuiti all'Ente locale dall'art. 27 del d.P.R. 6 giugno  2001,  n. 380, non essendo sufficiente per far fronte all’urgenza di  intervenire il  solo provvedimento ripristinatorio, di esecuzione non immediata,  previsto dal  successivo art.31 dello stesso decreto.
 
 Né valgono le obiezioni formulate sul piano meramente formale dalla  società  resistente, atteso che non è questione, in questo caso, di una assenza  di  permesso ma, semmai, di una rilevante difformità rispetto alle modalità  di  esecuzione dello stesso; a ciò va aggiunto l'inadempimento rispetto  all'obbligo  di dare applicazione alla norma che riserva al Comune la nomina del  direttore  dei lavori, anch'essa evidentemente preordinata a salvaguardare  l’interesse  pubblico connesso alla corretta esecuzione dei lavori. La nomina  precedentemente  effettuata dalla società, d’altronde, non poteva essere considerata come   tacitamente accettata dal Comune - come obiettato dalla medesima società  - una  volta stabilita pattiziamente una precisa regolamentazione della  fattispecie.
 
 Contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, dunque, la lamentata   violazione di norme sul procedimento non poteva, nella specie,  comportare  l'annullamento dell'ordinanza in esame, ai sensi del citato art.  21-octies,  dovendosi ritenere dimostrato che, considerando le preminenti esigenze  di  immediato intervento da parte dell'Amministrazione preposta alla tutela  del  territorio, il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere  diverso da  quello in concreto adottato.
 
 Tale statuizione deve essere, pertanto, annullata in accoglimento del  motivo  d'appello dedotto al riguardo.
 
 4.2. - Il tribunale aveva poi ritenuto fondata l'impugnativa proposta  dalla  società interessata con i terzi motivi aggiunti, rivolta avverso la  surricordata  ordinanza n. 204/2007, ritenendo che l'annullamento in autotutela non  risultasse  sufficientemente giustificato dai motivi indicati nel provvedimento in  questione.
 
 Osserva anzitutto il Collegio che è da disattendere l'eccezione  pregiudiziale di  inammissibilità dei motivi aggiunti in esame, sollevata dal Comune  appellante  sul presupposto della intervenuta decadenza dei permessi di costruire di  cui è  stato disposto l'annullamento ora in contestazione: anche se la  decadenza  avviene “di diritto” al verificarsi dei presupposti di legge (art. 15,  comma 2,  d.P.R. n. 380/2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva  con  effetto retroattivo, resta comunque fermo che nel caso di specie non è  stato  adottato, sia pure per le ulteriori ragioni che saranno di seguito  trattate, il  necessario atto formale dell'Amministrazione in proposito (cfr. Cons.  Stato,  Sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5228).
 
 Nel merito sono, invece, da condividere i motivi di appello che mettono  in  evidenza le ragioni che hanno effettivamente giustificato l'esercizio  del potere  di autoannullamento da parte del Comune riguardanti, da un lato, la non  conformità del progetto della società interessata alle disposizioni  della citata  legge della Regione Lazio n. 22/1997 e, comunque alle procedure del  Patto  Territoriale delle Colline Romane; dall'altro la illegittimità dei  permessi di  costruire per l'avvenuto stralcio dell'art. 7 della convenzione  originaria,  inerente alla realizzazione del centro sportivo, con sostanziale  violazione  dell'Accordo di Programma.
 
 Si rende preliminarmente necessario sgombrare il campo dalle obiezioni  di  carattere formale delle controparti, accolte dal primo giudice,  sollevate con  riferimento al principio del “contrarius actus”, sul presupposto che  anche dopo  il predetto stralcio l'intervento avrebbe mantenuto il necessario  carattere  infrastrutturale e l'accordo di programma già sottoscritto il 15 marzo  2005 non  avrebbe subito alcuna modifica, non venendo meno gli obiettivi previsti.
 
 In primo luogo va puntualizzato che il provvedimento in esame riguarda  propriamente l'annullamento di permessi di costruire, ossia gli atti di  competenza esclusiva dell’Organo dell'Ente locale al quale viene in  particolare  attribuita la responsabilità della corretta gestione dell'attività  edilizia sul  suo territorio.
 
 In secondo luogo, non può non rimarcarsi che nell'ambito della complessa  e  articolata motivazione del provvedimento in discorso, si è pure  evidenziato  (pagg. 9 e 10) che il Comune di Ariccia ha avviato un procedimento di  “rivisitazione” della programmazione urbanistica del territorio,  ottenendo anche  un contributo al detto fine dalla Regione ed in questo quadro ha  revocato le  varianti generali adottate nel 2003, nonché l'adesione prestata al  ricordato  Patto Territoriale delle Colline Romane.
 
 In terzo luogo, le ragioni di annullamento addotte, oltre a riportarsi  al  complesso delle valutazioni necessarie per tale “rivisitazione”, ed alla  stessa  legittimità dell’Accordo di Programma - che si assume posto in essere  senza che  ne sussistessero i presupposti stabiliti dall’art. 2, comma 3, lettera  a) della  ripetuta legge regionale n. 22/1997 - si ricollegano a motivi di  illegittimità e  di pubblico interesse che appaiono in concreto esattamente evidenziati.
 
 A tal proposito, come sottolineato nell’appello, deve convenirsi che il  programma integrato di intervento era caratterizzato proprio dalla  clausola  della realizzazione da parte della società proponente, a proprie cure e  spese,  del centro sportivo da cedere al Comune, oltreché dalla realizzazione di   fabbricati abitativi. La connotazione di un intervento “integrato” - a  suo tempo  ritenuta decisiva per disporre la stessa variante urbanistica - si  rapportava,  dunque, alla presenza non solo di strutture di natura residenziale, ma  anche e,  soprattutto e inscindibilmente, alla realizzazione di un complesso di  interesse  pubblico, a servizio della collettività: in relazione a ciò, come  ricordato  sopra, la Giunta comunale aveva espressamente condizionato il  riconoscimento  della natura infrastrutturale del progetto alla attuazione della parte  dello  stesso relativa al centro sportivo, mediante la delibera n.203/2003,  fatta  propria dal Consiglio Comunale con la delibera di variante urbanistica  n.  65/2003, successivamente approvata in sede di Accordo di programma dalla   Regione.
 
 In tale situazione non appare, invero, in alcun modo coerente lo  stralcio  dell’art. 7 della convenzione, conseguente alla delibera del Consiglio  comunale  n. 24 del 13 aprile 2005, che denota una evidente contraddizione interna   nell’attività dell’Ente locale ma non può, comunque, comportare un  mutamento  sostanziale della natura del programma integrato di intervento (di cui  ha reso  inattuabili le previsioni nel loro complesso) facendo intravedere,  piuttosto,  profili di responsabilità di diversa natura, non sindacabili in questa  sede.
 
 Né appare sostenibile la tesi, esposta nella sentenza appellata, secondo  cui lo  stralcio in parola avrebbe “semplicemente regolato in maniera differente  i  rapporti convenzionali” senza incidere sul progetto approvato che  sarebbe  rimasto immutato. E’ evidente, infatti, che la condizione essenziale per   l’approvazione del programma era appunto quella della realizzazione del  previsto  centro sportivo da parte della società proponente “a proprie cure e  spese”, e  che la eliminazione di tale parte del progetto è suscettiva di  stravolgere sotto  diversi profili le valutazioni inerenti al soddisfacimento degli  interessi  pubblici e le specifiche caratteristiche dell’iniziativa progettata ed  approvata.
 
 Nel provvedimento impugnato sono, inoltre, richiamati gli interessi  pubblici e  privati a confronto e - con espressioni che appaiono pienamente  condivisibili -  si mette in evidenza, da un lato, che il lasso temporale intercorso dal  rilascio  dei permessi di costruire risulta essere di poco più di un anno; che i  lavori  sono allo stato iniziale; che la proposta della società di stralciare la   realizzazione del centro sportivo costituiva una pretesa di esclusivo ed   ingiustificato vantaggio per la parte privata; tutti elementi, questi,  di cui la  detta parte privata doveva essere necessariamente consapevole e, quindi,  non può  ora invocare un reale affidamento sul buon fine dell’iniziativa.
 
 Si sottolinea, dall’altro lato, che “l’aspettativa a realizzare  l’intervento -  tutt’altro che legittima alla luce di quanto rappresentato - deve  necessariamente recedere dinanzi all’interesse pubblico alla  conservazione e  valorizzazione dei ritrovamenti archeologici ed alla nuova sistemazione  urbanistica del territorio comunale già in atto con i provvedimenti  sopra  richiamati o, comunque, alla salvaguardia della vocazione agricola del  terreno”.
 
 In conclusione, il venir meno dei presupposti per il previsto intervento   integrato si ripercuote necessariamente sugli atti posti in essere per  la  pretesa attuazione dello stesso, che invece, allo stato, risulta ormai  di  impossibile realizzazione, e le determinazioni comunali in tal senso  appaiono  esenti dai vizi riscontrati dal primo giudice e sono da ritenere valide  ed  efficaci e pienamente esecutive.
 
 Le contrarie statuizioni della sentenza appellata si palesano, pertanto,  erronee  e vanno annullate, in accoglimento delle censure dedotte al riguardo in  sede di  appello, con assorbimento di ogni altra questione prospettata al  riguardo.
 
 5. - Sulla scorta di quanto sopra esposto, il Collegio deve osservare  che la  esecutività delle determinazioni relative all’annullamento dei permessi  di  costruire comporta dirette conseguenze sul contenzioso instaurato con i  ricorsi  in trattazione.
 
 5.1. - In particolare, con riferimento al primo ricorso (n. 2852/2008)  ora in  esame, resta naturalmente caducata la condanna del Comune di Ariccia al  risarcimento del danno in favore della società, mancando il presupposto  del  “danno ingiusto” richiesto al detto fine dalla legge (art. 35, comma 1,  del  decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come novellato dalla legge 21  luglio  2000, n. 205).
 
 5.2. - Con riferimento al secondo ricorso (n. 368/2009) deve  considerarsi che  esso risulta rivolto contro la sentenza del T.A.R. che, in accoglimento  dell’impugnativa (quarti motivi aggiunti) della società interessata,  aveva  disposto l’annullamento della nota del dirigente comunale n. 12374 del  17 maggio  2007, mediante la quale si limitava la possibilità di riavviare i lavori  alle  sole attività inerenti al completamento dei sondaggi archeologici; è  evidente,  tuttavia, che l’annullamento dei titoli edilizi preclude in radice la  possibilità di conseguimento di un risultato utile dalla predetta  impugnativa,  da ritenersi allo stato improcedibile per sopravvenuta carenza di  interesse  diretto, immediato ed attuale ad una pronuncia al riguardo.
 
 Resta priva di concreto rilievo, in simile situazione, l’eccezione  pregiudiziale  di tardività dell’appello, sollevata dalla società odierna resistente.
 
 5.3. - Analoghe conseguenze si verificano con riferimento al terzo  gravame (n.  4578/2009) proposto avverso la sentenza del T.A.R. relativa alla  esecuzione  della precedente sentenza dello stesso tribunale n. 1/2008, ormai  divenuta  ineseguibile essendo stata annullata con l’accoglimento del primo  appello.
 
 5.4. - Anche per il quinto appello (n. 831/2010) si debbono trarre le  stesse  conclusioni, essendo rivolto avverso la sentenza del T.A.R. di  accoglimento del  ricorso della società in parola contro il nuovo atto di annullamento,  per altre  ragioni, degli stessi permessi di costruire in questione, adottato dal  funzionario comunale competente con determinazione n. 797 dell’8 ottobre  2008:  la esecutività delle precedenti determinazioni relative all’annullamento  dei  menzionati titoli edilizi, infatti, rende priva di qualsiasi effettivo  interesse  una decisione su tale ultima impugnativa.
 
 6. - Resta da esaminare il quarto ricorso in appello (n. 830/2010) che  riguarda  vicende non strettamente correlate alla caducazione dei titoli edilizi  già  conseguiti, ricollegandosi al ricorso ed ai motivi aggiunti proposti in  primo  grado dalla menzionata società al fine di tutelare, principalmente, le  potenzialità edificatorie delle aree di proprietà mediante impugnazione  delle  determinazioni del Comune di Ariccia
 
 6.1. - Il Collegio ritiene che possa prescindersi dall’esame delle  eccezioni  pregiudiziali sollevate dal Comune appellante, con riguardo alla  proponibilità  ed alla procedibilità del ricorso di primo grado della società  interessata,  risultando infondate nel merito le censure con esso proposte, alla luce  dei  motivi prospettati dell’appello.
 
 6.2. - La società odierna resistente aveva impugnato dinanzi al T.A.R.  la  deliberazione della Giunta municipale di Ariccia n. 113 del 9 maggio  2008, di  integrazione del “Catasto degli incendi boschivi e delle aree buscate e  dei  pascoli percorsi dal fuoco”, nonché la presupposta deliberazione della  stessa  Giunta municipale n. 72 del 31 marzo 2008; con motivi aggiunti aveva  quindi  impugnato la deliberazione del Consiglio comunale n. 66 del 29 luglio  2008  mediante la quale, disattendendosi le osservazioni della predetta  società, è  stato approvato l'elenco dei soprassuoli già percorsi dal fuoco  nell'ultimo  quinquennio, relativamente al terreno di proprietà della stessa società  sito nel  territorio comunale, ai sensi dell'art. 10, comma 1, della legge 21  novembre  2000, n. 353.
 
 Con la sentenza appellata il tribunale ha rilevato che il dato storico  dello  svilupparsi di un incendio in data 9 agosto 2003 è obiettivamente  desumibile  dagli accertamenti svolti dagli organi comunali, dai Vigili del Fuoco e  dagli  altri enti competenti, mentre sussistevano elementi di incertezza in  ordine al  fatto che la perimetrazione dell'incendio comprendesse anche l'area di  proprietà  della società ricorrente. Peraltro, in punto di diritto, il primo  giudice aveva  ritenuto che, nella specie, stante la presenza di un uliveto nell'area  in  questione, non sussisterebbero i presupposti per l'applicazione della  normativa  dettata in materia di “incendi boschivi” dalla citata legge n. 353/2000.
 
 6.3. - Il Collegio è dell’avviso che l'appello del Comune di Ariccia sia   fondato.
 
 6.3.1. - Anzitutto, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice,  non  sono in realtà ravvisabili ragionevoli indizi per dubitare del fatto che  l'area  di proprietà della società interessata fosse stata effettivamente  percorsa  dall'incendio, in considerazione dell'accurata istruttoria compiuta dai  competenti uffici comunali - non smentita in concreto neppure da precisi   elementi ed argomentazioni in senso contrario contenuti nella perizia di  parte  ricorrente - risultando documentato che gli interventi della Protezione  Civile e  dei Vigili del Fuoco hanno sicuramente riguardato i terreni confinanti;  che le  conseguenze dell'incendio sulla proprietà in questione si sono  manifestate anche  con la riduzione della vegetazione, che nell'anno 2000 comprendeva  trecento  piante ultracentenarie, mentre, da una perizia relativa all'anno 2006,  risulta  la presenza di soli centocinquanta alberi in uno “stato vegetativo con  chioma di  area inferiore a quanto riscontrato nell'anno 2000”; che gli esposti  presentati  da cittadini riguardavano proprio la ricorrenza di incendi sulla  proprietà in  questione.
 
 6.3.2. - Chiarito quanto sopra, in punto di fatto, può ora passarsi  all'esame  delle disposizioni di legge da applicare nelle aree percorse dal fuoco,  fortemente limitative delle possibilità edificatorie delle aree stesse.
 
 Ai sensi dell'art. 2 della ripetuta legge n. 353/2000 “Per incendio  boschivo si  intende un fuoco con suscettibilità a espandersi su aree boscate,  cespugliate o  arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate  poste  all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e  pascoli  limitrofi a dette aree”.
 
 Nel successivo art. 10, comma 1, primo periodo, è poi espressamente  stabilito  che “Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi  dal  fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente  all'incendio per almeno quindici anni”.
 
 Nella sentenza appellata si afferma, in sostanza, che seppure il  surriportato  art. 2 fornisca una definizione più ampia dell'incendio boschivo, le  successive  prescrizioni limitative poste dall’art. 10 riguarderebbero soltanto le  ipotesi  espressamente indicate relative agli incendi sulle zone boscate ed i  pascoli,  con esclusione, in particolare, delle zone arborate, come quella in  questione  già coltivata ad uliveto.
 
 Come puntualmente osservato dal Comune appellante, tuttavia, tale  interpretazione restrittiva non può essere condivisa alla luce di una  valutazione sistematica della normativa in materia e delle specifiche  finalità  di salvaguardia del territorio perseguite dalla legge.
 
 In base alla definizione fornita dal decreto legislativo 18 maggio 2001,  n. 227,  riguardante il settore forestale, viene precisato all'art. 2, comma 1,  che “i  termini bosco, foresta e selva sono equiparati”; all'art. 6, comma 1,  che “Nelle  more della emanazione delle norme regionali…si considerano bosco i  terreni  coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella  arbustiva di  origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo…”.
 
 Nella Regione Lazio le norme in materia di gestione delle risorse  forestali sono  state dettate dalla legge regionale 28 ottobre 2002, n. 39, che all'art.  4, dopo  aver fornito al primo comma una definizione di bosco sostanzialmente  equivalente  a quella del menzionato decreto legislativo, precisa al comma 2 quanto  segue:  “Sono assimilate ai boschi e soggiacciono alle relative disposizioni”  non solo  gli appezzamenti coperti da vegetazione arborea comprendente i  castagneti da  frutto e le sughere, ma pure “le aree ricoperte da vegetazione  arbustiva,  denominate arbusteti…” aventi determinate caratteristiche.
 
 Dal quadro normativo sopra delineato emerge con chiarezza che  nell'ambito delle  misure protettive dei boschi sono indubbiamente ricomprese numerose  ipotesi di  vegetazione non certo riconducibile a quella degli alberi di alto fusto,   includendosi anche la vegetazione qualificabile come macchia, oltreché  coltivazioni da frutto di vario genere.
 
 Per quanto concerne specificamente gli alberi di olivo, che come è noto  possono  raggiungere volumi ed altezze considerevoli e che, sotto tale profilo,  possono  già di per sé accomunarsi agli alberi di alto fusto, non sembra  superfluo  ricordare che è comunque ancora vigente la disciplina dettata dal  decreto  luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475, recante il divieto di  abbattimento di  tali alberi se non in numero limitato e con specifica autorizzazione  delle  autorità competenti.
 
 Tutto ciò considerato, appare evidente che le finalità di salvaguardia  del  territorio e delle sue entità naturalistiche indispensabili alla vita  non  possono essere ristrette a limitate ipotesi di particolari tipi di bosco  e di  pascoli, come ritenuto in prime cure, ponendosi una simile conclusione  non solo  in stridente contrasto - per quanto ora particolarmente interessa - con  la  normativa riguardante la speciale salvaguardia degli uliveti, ma pure in   evidente contraddizione con la vigente disciplina generale in materia  forestale,  che ammette l'estensione della tutela addirittura alla sola sterpaglia,  come ben  messo in evidenza anche dalla giurisprudenza del giudice penale (cfr.  Cass. Sez.  I. penale, 4 marzo 2008, n. 14209).
 
 6.4. - Per le ragioni sopra esposte le determinazioni comunali impugnate  in  primo grado risultano esenti dai vizi dedotti dalla società ricorrente  e,  pertanto, in accoglimento dell'appello proposto dal Comune di Ariccia e  in  riforma dell’appellata sentenza del T.A.R. Lazio n. 11246/2009, il  ricorso in  primo grado deve essere respinto.
 
 7. - Per quanto riguarda le spese del giudizio relativo ai ricorsi  riuniti in  esame, il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporne la  parziale  compensazione - con i criteri indicati in dispositivo - tenuto conto del   comportamento delle parti in causa, e che per la restante parte debbano  seguire  la soccombenza da liquidarsi come indicato in dispositivo.
 P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),  definitivamente  pronunciando sui ricorsi suindicati:
 
 - accoglie l’appello n. 2852/2008 e, per l’effetto, in riforma della  sentenza  impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado;
 
 - pronunciando sull’appello n. 368/2009 dichiara improcedibile il  ricorso per  motivi aggiunti proposto in primo grado e, per l’effetto, annulla, senza  rinvio,  la sentenza appellata;
 
 - pronunciando sull’appello n. 4578/2009 dichiara improcedibile il  ricorso  proposto in primo grado e, per l’effetto, annulla, senza rinvio, la  sentenza  appellata;
 
 - accoglie l’appello n. 830/2008 e, per l’effetto, in riforma della  sentenza  impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado;
 
 - pronunciando sull’appello n. 831/2009 dichiara improcedibile il  ricorso  proposto in primo grado e, per l’effetto, annulla, senza rinvio, la  sentenza  appellata;
 
 - condanna la soccombente società ACE s.r.l. e l’interveniente Agenzia  Sviluppo  Provincia s.c.a.r.l. (nella proporzione rispettivamente di 2/3 e di 1/3  per  ciascuna) a rifondere in favore dell’appellante Comune di Ariccia le  spese di  ambedue i gradi di giudizio, che liquida nella misura dimezzata di  complessivi  euro 15.000,00 (quindicimila/00) oltre accessori di legge; dichiara  interamente  compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio per il Ministero per  i beni  e le attività culturali e per la Regione Lazio.
 
 Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2010  con  l'intervento dei Signori:
 
 Luigi Maruotti, Presidente FF
 Pier Luigi Lodi, Consigliere, Estensore
 Anna Leoni, Consigliere
 Bruno Mollica, Consigliere
 Salvatore Cacace, Consigliere
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 Il Segretario
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 09/07/2010
                    



