Cons. Stato Sez. IV n. 4246 del 5 luglio 2010
Beni Ambientali. Tutela del paesaggio ed urbanistica
La tutela del paesaggio non è riducibile a quella dell’urbanistica, né può essere considerato vizio della funzione preposta alla tutela del paesaggio il mancato accertamento dell’esistenza, nel territorio oggetto dell’intervento paesaggistico, di eventuali prescrizioni urbanistiche che, rispondendo ad esigenze diverse, in ogni caso non si inquadrano in una considerazione globale del territorio sotto il profilo dell’attuazione del primario valore paesaggistico; l’avvenuta edificazione di un’area immobiliare o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l’imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso; l’ambiente rileva non solo come paesaggio ma anche come assetto del territorio, comprensivo financo degli aspetti scientifico - naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 N. 04246/2010 REG.DEC.
 N. 02622/2008 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
 
 in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 ha pronunciato la presente
 DECISIONE
 sul ricorso in appello n. 2622/2008, proposto dalla REGIONE LOMBARDIA,  in  persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati  Federico  Tedeschini e Viviana Fidani, elettivamente domiciliato presso lo studio  del  primo in Roma, largo Messico n. 7;
 contro
 LAGOCASTELLO IMMOBILIARE s.r.l., in persona del legale rappresentante  pro  tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Salvatore Sica e Guido  Anastasio  Pugliese, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma,  piazza  della Libertà n. 20;
 
 nei confronti di
 
 COMUNE di MANTOVA, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e  difeso  dagli avvocati Maria Stefania Masini e Stefano Nespor ed elettivamente  domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via della Vite n. 7;
 PARCO NATURALE DEL MINCIO, in persona del legale rappresentante pro  tempore, non  costituito;
 
 per la riforma
 
 della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della LOMBARDIA -  BRESCIA  - Sezione I, n. 1161 del 7 dicembre 2007.
 
 
 Visto il ricorso con i relativi allegati;
 Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Mantova e della   Lagocastello Immobiliare s.r.l. ed il contestuale appello incidentale da   quest’ultima proposto;
 Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive  difese;
 Visti gli atti tutti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2010 il consigliere  Vito Poli  e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini, Masini e Cinti su delega  dell’avvocato Sica;
 FATTO e DIRITTO
 1. L’impugnata sentenza - Tribunale amministrativo regionale della  Lombardia -  Brescia - Sezione I, n. 1161 del 7 dicembre 2007 - per quanto di  interesse ai  fini del presente giudizio:
 
 a) ha respinto, con dovizia di argomenti, tutte le censure proposte  dalla  Lagocastello Immobiliare s.r.l. (in prosieguo la società), nei confronti   dell’ordinanza comunale n. 187 del 2005 recante l’ordine di sospensione  dei  lavori per la realizzazione delle opere necessarie ad attuare un vasto  piano di  lottizzazione, fondato anche sulla mancanza della positiva verifica di  fattibilità ai fini della valutazione di impatto ambientale ex art. 1,  co. 6,  d.P.R. 12 aprile 1996;
 
 b) per la medesima ragione ha respinto le censure proposte nei confronti  del  successivo diniego di permesso di costruire alcuni edifici previsti dal  piano  attuativo (n. 21483 in data 31 luglio 2006);
 
 c) ha accolto unicamente le doglianze mosse nei confronti del decreto  regionale  n. 2749 del 13 marzo 2006 che, a conclusione della procedura di verifica   preliminare prevista dall’art. 1, co. 6, d.P.R. 12 aprile 1996 cit., cui  si era  assoggettata la società nelle more del giudizio, ha ritenuto che il  programma  costruttivo proposto da quest’ultima dovesse essere sottoposto alla  procedura di  valutazione di impatto ambientale (v.i.a.); è stato censurato l’operato  dell’Amministrazione regionale laddove, a fronte di asserite carenze  nella  documentazione presentata, ha ritenuto non già di domandare chiarimenti  al  privato istante, ma puramente e semplicemente di assoggettare il  progetto a  v.i.a., con ciò violando i principi di partecipazione al procedimento e  di leale  cooperazione fra P.A. e amministrati nonché quello di economicità.
 
 2. La regione Lombardia ha impugnato la su menzionata sentenza del  T.a.r.  deducendone l’erroneità per i seguenti motivi:
 
 a) insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, laddove  non ha  considerato la congruità e correttezza della determinazione siccome  espressamente riferita alla necessarietà della sottoposizione a v.i.a.  in  ragione delle dimensioni dell’intervento (oltre 10 ettari, situati in  area  urbana);
 
 b) insufficiente motivazione della sentenza sotto altro profilo, essendo   indicati nel provvedimento regionale i profili di criticità rilevati che   avrebbero orientato per un approfondimento mediante v.i.a.;
 
 c) omessa motivazione su questione di diritto rilevante: non è stato  considerato  il termine perentorio di sessanta giorni imposto per la pronuncia sulla  richiesta avanzata dalla società, ex art. 10 d.P.R. 12 aprile 1996 cit.,  e la  finalità della determinazione, avuto riguardo alla insufficienza degli  elementi  per escludere la v.i.a.;
 
 d) erronea interpretazione dell’art. 10 cit., tenuto conto della natura  altamente discrezionale del giudizio di assoggettamento o meno di un  progetto a  v.i.a.
 
 3. Si è costituita in giudizio la società che ha dedotto  l’inammissibilità, per  assoluta genericità, e l’infondatezza dell’appello principale; con  riferimento  esclusivo al capo 14 della sentenza, ha proposto appello incidentale;  sostiene  che il T.a.r. muovendo dal concetto di “area urbana” e richiamando le  conclusioni dell’esperto di parte architetto Pigozzi (enunciate al punto  13  dell’impugnata sentenza) - secondo cui l’insediamento n. 1 (centro  storico di  Mantova) e quello contrassegnato dal numero 3 (comprendente il sito  della  Lagocastello e gli abitati di Frassino, Lunetta, Virgiliana e il  complesso  industriale del petrolchimico), costituirebbero aree urbane distinte in  ragione  della interruzione rappresentata dal corso del Mincio, sì da configurare   l’intervento di cui trattasi quale progetto di sviluppo in espansione di  area  esistente - perviene all’opposta conclusione per la quale il centro  storico di  Mantova e i quartieri circostanti costituirebbero ormai un tutto  unitario avuto  riguardo al fatto che gli insediamenti 1 e 3, sono uniti fra loro da due  ponti  sul Mincio, che fungono da collegamento agevolmente praticabile, con  esclusione  della pretesa “interruzione” prospettata dal detto esperto di parte; da  qui la  necessità di considerare l’intervento della società Lagocastello come  progetto  di sviluppo all’interno di area urbana, soggetto quindi a verifica di  v.i.a. ai  sensi dell’allegato B richiamato dall’art. 1, co. 6, del citato d.P.R.  del 1996.
 
 L’impugnativa incidentale è sorretta dal seguente complesso motivo:  eccesso di  potere per motivazione insufficiente e contraddittorietà; erroneità dei  presupposti; si afferma l’erroneità della sentenza laddove classifica  l’area in  questione come urbana consolidata sulla base del rilievo che essa  sarebbe  completa giacché edificata in modo compatto e continuativo; sull’area  considerata, di 350.000 mq., non vi sarebbe invero traccia di alcun  manufatto  (nonché di infrastrutture, opere di urbanizzazione, reti di  comunicazione) e di  alcuna presenza umana; inoltre, si assume che l’area ricade in zona C  ovvero  zona di completamento espansivo (nella definizione normativa ex d.P.R.  n. 1444  del 1968, area urbana nuova ovvero area priva di edificazione).
 
 4. Il comune di Mantova - costituitosi in giudizio a sostegno della  posizione  regionale - assume che l’intervento edilizio proposto dalla società  concerne  l’estensione di una urbanizzazione preesistente, prevedendo in  particolare lo  sfruttamento di un’area inserita e circondata da un ambito già  urbanizzato; sì  che correttamente la sentenza del primo giudice avrebbe rilevato la  continuità  tra gli insediamenti edilizi preesistenti e quello che Lagocastello  vorrebbe  realizzare; ne consegue, l’assoggettabilità a v.i.a. del progetto di cui   trattasi, oltre che in applicazione del d.P.R. 12 aprile 1996, anche  della  normativa comunitaria (allegato H, n. 10, lett. B) della direttiva n.  85/337),  che richiede obbligatoriamente la verifica di v.i.a. per tutti i  progetti di  riassetto urbano che abbiano caratteristiche dimensionali superiori a 10  ettari,  principio, questo, ulteriormente ribadito dal combinato disposto  dell’art. 6, co.  6, e Allegato IV (punto 7b) d.lgs. n. 4 del 2008 (che ciò prevede anche  per  quelle opere che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul   patrimonio culturale).
 
 5. Con decisione istruttoria n. 1015 del 17 febbraio 2009 la sezione ha  disposto  una verificazione affidata al preside della facoltà di Architettura del  Politecnico di Milano.
 
 6. Con decisione di questa sezione n. 4710 del 2009 è stato nominato un  nuovo  verificatore in persona del provveditore interregionale per la Toscana e   l’Umbria.
 
 7. La relazione di verificazione è stata depositata in segreteria in  data 1  febbraio 2010.
 
 8. Il comune di Mantova, con memoria depositata in data 21 maggio 2010,  ha  chiesto, per una pluralità di ragioni, la rinnovazione della  verificazione.
 
 Si è opposta la difesa della società Lagocastello.
 
 La causa è passata in decisione all’udienza pubblica dell’8 giugno 2010.
 
 9. Può prescindersi dall’esame delle doglianze mosse dal comune di  Mantova nei  confonti dell’attività svolta dal verificatore, e della conseguente  richiesta di  sostituzione dello stesso, in considerazione della completa infondatezza  dei  residui motivi di primo grado sottoposti all’attenzione di questa  sezione a  seguito della proposizione dell’appello principale ed incidentale.
 
 10. La questione centrale oggetto del presente giudizio si riduce nello  stabilire se, alla stregua della disciplina rilevante nella specie - che   distingue tra progetto di sviluppo situato “all’interno di aree urbane  esistenti”, soggetto a verifica di v.i.a. sol che superi i 10 ettari di  estensione, e progetto di sviluppo relativo ad “aree urbane nuove o in  estensione”, soggetto a verifica di v.i.a. nel solo caso in cui superi i  40  ettari - il progetto di lottizzazione in esame sia stato correttamente  portato  al vaglio della regione Lombardia per essere sottoposto alla verifica  preliminare ex art. 1, co. 6, d.P.R. 12 aprile 1996 cit.
 
 E’ incontroverso tra le parti (risultando anche dalla documentazione  tecnica  versata in atti), che il progetto in questione supera i 10 ettari ma è  inferiore  ai 40, ne consegue che l’assoggettamento alla procedura in parola  dipende dalla  appartenenza alla prima o alla seconda categoria.
 
 Conviene, a questo punto, illustrare brevemente le norme ed i principi  che  governano l’istituto della v.i.a., onde rilevarne ratio applicativa e  contenuto;  tanto allo scopo di stabilire se i paramentri di giudizio invocati dalla   società, e fatti propri sostanzialmente dalla verificazione, siano  conformi al  micro ordinamento di settore.
 
 10.1. Circa l’esatta individuazione della natura del potere e l’ampia  latitudine  della discrezionalità esercitata dall’amministrazione in sede di v.i.a. ,  in  quanto istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso  in senso  ampio, la sezione non intende deflettere dagli approdi cui è pervenuta  la  giurisprudenza costituzionale ed amministrativa che fa emergere la  natura  sostanzialmente insindacabile delle scelte effettuate, giustificandola  alla luce  del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al  paesaggio ed  all’ambiente (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3770;  Corte  cost., 7 novembre 2007, n. 367).
 
 La ponderazione degli interessi privati, unitamente ed in coerenza con  gli  interessi pubblici connessi con la tutela paesaggistica ed ambientale,  non deve  essere giustificata neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio  imposto  al privato (per altro di natura essenzialmente procedimentale nel caso  di  ammissione a v.i.a. all’esito della verifica di assoggettabilità perché  il bene  della vita finale non è pregiudicato), sia stato contenuto nel minimo  possibile,  perché tale giudizio si colloca all’interno della disciplina  costituzionale del  paesaggio (art. 9 Cost.) che erige il valore estetico-culturale a valore   primario dell’ordinamento.
 
 Da queste premesse si sono tratti i seguenti corollari:
 
 a) la tutela del paesaggio non è riducibile a quella dell’urbanistica,  né può  essere considerato vizio della funzione preposta alla tutela del  paesaggio il  mancato accertamento dell’esistenza, nel territorio oggetto  dell’intervento  paesaggistico, di eventuali prescrizioni urbanistiche che, rispondendo  ad  esigenze diverse, in ogni caso non si inquadrano in una considerazione  globale  del territorio sotto il profilo dell’attuazione del primario valore  paesaggistico;
 
 b) l’avvenuta edificazione di un’area immobiliare o le sue condizioni di  degrado  non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di  proteggere i  valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l’imposizione del  vincolo  costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle  cautele e  delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione  degli usi  incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso;
 
 c) l’ambiente rileva non solo come paesaggio ma anche come assetto del  territorio, comprensivo financo degli aspetti scientifico -  naturalistici (come  quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur  non  afferenti specificamente ai profili estetici della zona.
 
 Viene in luce il confluire ineluttabile, nella materia del governo del  territorio, delle esigenze di salvaguardia di valori costituzionali  assoluti e  non comprimibili quali il paesaggio, l’ambiente ed i beni culturali; di  questa  caratteristica vi è traccia nel più recente dibattito sulla evoluzione  della  stessa scienza urbanistica, di cui si coglie l’eco nella giurisprudenza  che  riconosce, nel presupposto della necessità di non consentire la totale  consumazione del suolo nazionale, la possibilità che gli strumenti  urbanistici  non siano sostenuti dalle tradizionali linee guida di espansione  demografica o  edilizia ma, al contrario, da linee guida esclusivamente rivolte al  recupero ed  alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente (cfr. Cons.  St., sez.  IV, 12 marzo 2010, n. 1461).
 
 Questo spiega, ed al contempo giustifica, sul piano costituzionale, la  valenza  di principio fondamentale insita nella disciplina sulla v.i.a.: essa è  preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive che  assurge a  valore primario ed assoluto in quanto espressivo della personalità umana  (cfr.  Cons. St., sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo  un  autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva  85/337  cit.), che obbliga l’amministrazione a giustificare, quantomeno ex post  ed a  richiesta dell’interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un  progetto a  v.i.a. all’esito di verifica preliminare (cfr. Corte giust. 30 aprile  2009,  c-75/08, Mellor).
 
 E’ stato chiarito che nel rendere il giudizio di valutazione di impatto  ambientale (ed a maggior ragione nell’effettuare la verifica  preliminare),  l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità tecnica  sebbene  censurabile sia per macroscopici vizi logici, sia per errore di fatto,  sia per  travisamento dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 11 marzo  2009, n.  35; Cons. St., sez. VI, 19 febbraio 2008, n. 561; sez. VI, 30 gennaio  2004, n.  316); essa non deve limitarsi, a mente della direttiva 85/337 cit., ad  apprezzare solo i profili di ubicazione e dimensione del progetto, ma ha   l’obbligo di accertarne la natura sostanziale (cfr. da ultimo Corte  giust., 25  luglio 2008, c-142/07).
 
 Il problema del punto di equilibrio tra realizzazione di infrastrutture e  tutela  dell’ambiente e del paesaggio e, dunque, del concreto atteggiarsi del  principio  dello sviluppo sostenibile (ora codificato dall’art. 3 quater, d.leg.  152/06),  meglio si chiarisce anche in relazione alla valutazione  dell’utilizzazione  economica delle aree protette; per cui non dovrebbe parlarsi di sviluppo   sostenibile ossia di sfruttamento economico dell’ecosistema compatibile  con  esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione  sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi  economici che  la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici   essenziali per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra  interesse alla  protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui   l’utilizzazione del territorio non alteri in modo significativo il  complesso dei  beni compresi nell’area protetta; si deve ammettere l’alterazione dei  valori  ambientali solo in quanto non vi siano alternative possibili da  individuarsi  proprio grazie alla procedura di v.i.a. (Cons. Stato, sez. VI, 16  novembre 2004,  n. 7472).
 
 Detto altrimenti, alla stregua della disciplina comunitaria e nazionale  (ed  eventualmente regionale), la v.i.a. non può essere intesa come limitata  alla  verifica della astratta compatibilità ambientale dell’opera ma si  sostanzia in  una analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto  rispetto  all’utilità socio economica, tenuto conto delle alternative praticabili e  dei  riflessi della stessa “opzione zero”; la natura schiettamente  discrezionale  della decisione finale (e della preliminare verifica di  assoggettabilità), sul  versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed  obbediente  alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove  l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a  quello  necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso  all’iniziativa;  da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non  giustificato  da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di   soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo  sostenibile e  alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse  naturali e  benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di  istanze  antagoniste (cfr. Cons. St., sez. VI, 22 febbraio 2007, n. 933).
 
 In questa direzione la giurisprudenza comunitaria conferisce alla  procedura di  v.i.a., nel quadro dei mezzi e modelli positivi preordinati alla tutela  dell’ambiente un ruolo strategico valorizzando le disposizioni della  direttiva  85/337 cit. che evidenziano come la politica comunitaria dell’ambiente  consista,  ante omnia, nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre  perturbazioni,  anziché combatterne successivamente gli effetti: conformemente ai  principi  “costituzionali” dei trattati, scopo dell’U.E. è la tutela preventiva  dell’ambiente (cfr. Corte giust., sez. V, 21 settembre 1999, c-392/96;  sez. VI,  16 settembre 1999, c-435/97).
 
 10.2. Tanto premesso, la sezione osserva che gli elementi documentali  versati in  atti (incluso per certi aspetti l’accertamento operato in sede di  verificazione), consentono di definire con precisione le caratteristiche   dell’area considerata ai fini della v.i.a., e cioè se essa possa  connotarsi come  area urbana edificata in modo compatto e continuo (id est, area urbana  consolidata), ovvero come area di sviluppo in espansione, avuto altresì  riguardo  alla incidenza della “interruzione” rappresentata dal corso del Mincio;  purché  sia chiaro che il giudizio in questione non deve essere sviluppato  secondo i  parametri propri della scienza urbanistica ovvero della disciplina della   circolazione dei veicoli.
 
 Erroneamente la verificazione ha utilizzato proprio questi elementi di  giudizio  per considerare l’area in questione avulsa da un contesto urbano più  ampio.
 
 In particolare è eccentrico, rispetto al quadro delle norme e dei  principi che  si è dianzi sintetizzato, valorizzare la nozione di “centro abitato”  contemplata  dal codice della strada (artt. 3 e 4). La giurisprudenza è univoca nel  segnalarne la diversa connotazione giuridica rispetto all’analogo  concetto  previsto dalla disciplina urbanistica (art. 41-quinquies, l. n. 1150 del  1942);  a fortiori queste conclusioni valgono per la procedura di v.i.a. atteso  che  scopo essenziale della normativa stradale è quello di assicurare la  sicurezza  della circolazione mediante prescrizioni tecniche e norme di  comportamento (cfr.  da ultimo Cons. St., sez. II, 11 marzo 2009; sez. IV, 5 aprile 2005, n.  1560).
 
 Al contrario l’area in questione, pur non essendo gravata da vincoli  ambientali  o paesaggistici e non ricadendo in area naturale protetta (tanto è vero  che il  Parco del Mincio nella sostanza non si opposto all’intervento per quanto  di sua  competenza):
 
 a) è prospiciente al centro storico (e segnatamente al palazzo ducale),  da cui  dista poche centinaia di metri;
 
 b) si affaccia sul fiume Mincio;
 
 c) si pone come intercapedine fra il centro storico ed altri agglomerati  urbani  ed industriali (meglio descritti in precedenza).
 
 Non appare pertanto abnorme o manifestamente illogica o sviata la  decisione del  comune di negare i permessi edilizi, mancando la verifica di  compatibilità,  sulla scorta di quanto previsto dal più volte menzionato art. 1, co. 6,  se  rettamente interpretato l’Allegato tecnico B; il carattere consolidato  dell’area  è tale se riguardato sotto il profilo che conserva ancora tratti di  autonoma  valenza ambientale, storica, paesaggistica; pur trattandosi di area  racchiusa in  zone di territorio che la rendono, ai fini della disciplina dettata in  materia  di v.i.a., una sorta di “ponte” fra il centro storico - ubicato oltre il  fiume,  e gli altri agglomerati ubicati alle sue spalle.
 
 E’ dunque irrilevante che la destinazione urbanistica dell’area - zona C  -  preveda l’espansione residenziale, ovvero che non siano presenti sul  suolo opere  di urbanizzazione primaria o secondaria.
 
 11. Può scendersi ora all’esame dell’appello principale articolato dalla  regione  Lombardia.
 
 11.1. Preliminarmente deve essere esaminata e disattesa l’eccezione,  sollevata  dalla difesa della società, di inammissibilità del gravame per  genericità;  l’eccezione, come emerge dalla precedente ricostruzione dello  svolgimento del  processo, è palesemente infondata risultando per tabulas l’analiticità  dei  motivi di gravame.
 
 11.2. La tesi posta a base della statuizione di annullamento non è  accoglibile  sia in fatto che in diritto.
 
 Richiamati la ratio ed il contenuto della disciplina in materia di  v.i.a. ed il  carattere latamente discrezionale del potere esercitabile  dall’amministrazione  (specie nella fase preliminare della verifica di compatibilità), non  appare  utilmente invocabile il principio generale di leale collaborazione  sotteso alla  l. n. 241 del 1990, nonché al precetto specifico sancito dall’art. 6,  lett. b) -  che obbliga l’amministrazione, nell’ipotesi di documentazione incompleta  od  erronea presentata in relazione ad una domanda di atto amministrativo,  ad  invitare l’interessato a provvedere alla sua regolarizzazione -; il  dovere di  leale collaborazione incontra alcuni limiti, fra cui quello (rinvenibile  nel  caso di specie), che impone all’amministrazione di osservare i tempi  procedimentali previsti dalla legge (cfr. Cons. St., sez. IV, 9 dicembre  2002,  n. 6684; sez. IV, 28 agosto 2001, n. 4534); in tal senso è eloquente la  disposizione sancita dall’art. 10, co. 2, d.P.R. del 1996 nella parte in  cui fa  discendere l’esenzione dalla v.i.a. dal silenzio dell’amministrazione  protratto  per oltre sessanta giorni dall’inoltro della richiesta di verifica. In  proposito  non appare utilmente invocabile l’indirizzo di questo Consiglio (cfr.  Cons. St.,  28 settembre 2001, n. 5169) che ritiene disapplicabile, per contrasto  con lo  spirito della direttiva 85/3337/Cee, l’art. 10, co. 2, d.P.R. 12 aprile  1996  nella parte in cui prevede il meccanismo del silenzio assenso; infatti, a  fronte  della formale vigenza della disposizione, in caso di mancato rispetto  del  termine di sessanta giorni, l’amministrazione si esporrebbe al rischio  del  contenzioso e ad una situazione di incertezza incompatibile con il  quadro dei  principi e dei valori comunitari e costituzionali dianzi illustrati.
 
 Già sul piano astratto, pertanto, deve escludersi che la regione avesse  l’obbligo di richiedere l’integrazione della documentazione al privato.
 
 Le censure sono altresì infondate in fatto, sulla scorta di quanto  emerge dalla  documentazione versata in atti, perché non risulta la lamentata carenza  di  istruttoria e di motivazione: nonostante l’incompletezza dei chiarimenti  forniti  dalla società ed in presenza di una puntuale disamina, da parte degli  organi  tecnici regionali, degli elementi divisati dall’Allegato D, punti 1 e 2,  la  decisione di ammettere il contestato progetto a v.i.a. appare immune dai  dedotti  vizi di legittimità.
 
 12. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni l’appello principale della  regione  deve essere accolto, mentre quello incidentale della società deve essere   respinto.
 
 Nella complessità delle questioni trattate e nel peculiare andamento del   giudizio la sezione ravvisa giusti motivi per compensare integralmente  fra tutte  le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.
 P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta),  definitivamente  pronunciando sul ricorso in epigrafe:
 
 - accoglie l’appello principale della regione Lombardia, respinge  l’appello  incidentale della società Lagocastello Immobiliare e per l’effetto, in  parziale  riforma della sentenza impugnata, respinge in toto il ricorso di primo  grado ed  i connessi motivi aggiunti;
 
 - dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i  gradi di  giudizio.
 
 Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2010  con  l'intervento dei Signori:
 
 Gaetano Trotta, Presidente
 Vito Poli, Consigliere, Estensore
 Salvatore Cacace, Consigliere
 Sandro Aureli, Consigliere
 Raffaele Greco, Consigliere
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 05/07/2010
                    



