Cass. Sez. III n. 44062 del 28 novembre 2011 (Ud.10 nov. 2011)
Pres.Petti Est.Teresi Ric.Ingegneri
Acque.Acque di falda
Integra il reato di scarico abusivo (art. 137, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) lo scarico senza autorizzazione delle acque di falda provenienti dall'attività di escavazione ove intorbidate da residui dei lavori di scavo e di cantiere, in quanto le stesse sono qualificabili come acque reflue industriali. (In motivazione, la Corte ha precisato che la nozione di acque reflue industriali contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 2006 non si discosta da quella di "eaux industrielles usées" contenuta nella direttiva 91/271/CEE, così disattendendo la tesi difensiva secondo le acque di fondo scavo non rientrerebbero in tale definizione).
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. PETTI     Ciro             - Presidente  - del 10/11/2011
 Dott. TERESI    Alfredo     - rel. Consigliere - SENTENZA
 Dott. LOMBARDI  Alfredo M.       - Consigliere - N. 2383
 Dott. AMORESANO Silvio           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO  Alessandro       - Consigliere - N. 11584/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 Ingegneri Graziano, nato in Adria il 25.09.1952;
 avverso la sentenza del Tribunale di Rovigo in Adria in data  			6.05.2010 che lo ha condannato alla pena di Euro 8.000 d'ammenda per  			i reati di cui all'art. 137, comma 1, in relazione al D.Lgs. n. 152  			del 2006, art. 124, comma 1;
 Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
 Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott.  			Alfredo Teresi;
 Sentito il PM nella persona del PG Dott. De Santis Fausto, che ha  			dichiarato di non opporsi al rinvio pregiudiziale e ha chiesto il  			rigetto del ricorso;
 Sentito il difensore del ricorrente, avv. Zambon Nicola, che ha  			chiesto l'accoglimento del ricorso.
 OSSERVA
 Con sentenza 6.05.2010 il Tribunale di Rovigo in Adria condannava  			Ingegneri Graziano alla pena di Euro 8.000 d'ammenda ritenendolo  			responsabile dei reati di cui all'art. 137, comma 1, in relazione al  			D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, comma 1, per avere, quale project  			manager della J.V.Mantovani & Max Streich s.T.1. con compiti di  			rappresentanza e responsabilità complessiva dell'esecuzione del  			metanodotto Porto Viro-Cavarzere, effettuato due nuovi scarichi di  			acque reflue industriali non autorizzati in acque superficiali  			nell'ambito dell'esecuzione di opere inerenti il collegamento del  			terminale GNL offShore, prospiciente Porto Levante, alla stazione  			di misura di Cavarzere (nel punto di campionamento n. 1 era  			risultato il superamento dei valori limite previsti dalla tabella 3  			allegato 5 parte 3^, D.Lgs. n. 152 del 2006 per i parametri: solidi  			sospesi totali, nichel, piombo, rame, zinco, ferro e manganese; nel  			punto di campionamento n. 5 era risultato il superamento dei valori  			limite previsti dalla suddetta tabella: solidi sospesi totali,  			cloruri, ferro), nonché per avere effettuato, nel corso dei suddetti  			lavori, un nuovo scarico di acque reflue industriali non autorizzato  			in acque superficiali provenienti dal fondo della trincea di scavo in  			conseguenza delle lavorazioni di posa della conduttura e delle  			connesse operazioni di saldatura, fasciatura e molatura della  			condotta; acque che erano convogliate nella scolina adiacente la S.P.  			n. 64 e che confluivano in una fossa di raccolta nella quale  			pescavano due pompe per il convogliamento dei reflui, tramite  			apposita condotta metallica, nel canale del Po di levante.  			Il Tribunale, assolti i coimputati Douglas Scott Miller e Riccio  			Cobucci Raimondo per non avere commesso il fatto (l'altro imputato  			Baita Piergiorgio era stato assolto perché il fatto non sussiste  			dai reati di cui ai capi 2, 3, 5 e 6 dell'imputazione ed aveva fatto  			istanza di oblazione per quelli di cui ai capi 1 e 4) riteneva che,  			nel corso delle attività di scavo e posa della tubazione del  			metanodotto, fossero stati effettuati (con riferimento ai  			campionamenti 1 e 5 del capo 1 dell'imputazione e del campionamento  			del 26 febbraio 2007 di cui al capo 4 dell'imputazione) scarichi non  			autorizzati di acque reflue industriali, provenienti dal fondo scavo  			eseguito nel cantiere, che erano venute in contatto con i residui  			delle lavorazioni.
 Proponeva ricorso per cassazione l'imputato denunciando erronea  			applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 74, 124 e 137, nonché  			della direttiva comunitaria 91/271/CEE con richiesta di rinvio  			pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 del Trattato di Roma; manifesta  			illogicità della motivazione sull'elemento soggettivo del reato.  			Esponeva il ricorrente:
 - che "il giudice ha accertato in fatto che non si trattava di acque  			utilizzate per i lavori di posa del metanodotto, ne' di acque in  			qualunque modo utilizzate in un processo produttivo, bensì di acque  			che per ragioni rimaste ignote...durante l'esecuzione dì un'opera  			colossale, sì erano trovate in alcuni punti nel fondo della trincea  			di scavo";
 - che le acque in questione erano state erroneamente qualificate come  			acque reflue industriali disapplicando la norma inserita nella  			suddetta direttiva comunitaria in cui è inserita l'espressione eaux  			industrielles usees da cui si evince un'accezione di strumentalità  			delle acque di falda, sicché, non rientrando le acque di fondo scavo  			nel concetto di eaux industrielles usees, doveva dichiararsi che il  			fatto non sussiste;
 - che, venendo in rilievo la corretta interpretazione della suddetta  			Direttiva, rilevante in virtù dell'obbligo di interpretazione  			conforme delle misure interne di attuazione, andava disposto il  			rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità Europea  			per chiarire se nel concetto della sopraindicata locuzione tradotta  			in italiano acque reflue industriali rientrino anche le acque non  			usate in uno stabilimento e comunque se vi rientrino le acque di  			fondo scavo riguardanti il presente procedimento;
 - che non sussisteva l'elemento soggettivo del reato a seguito delle  			intervenute nomine dell'ing. Zoletto a direttore dei lavori e del  			geom. Marangoni a capo cantiere. Non era, peraltro prevedibile da  			parte dell'imputato che "qualcuno in cantiere pensasse bene di  			scaricare quest'acqua alzando il pungo di pescaggio della pompa,  			acqua che poteva benissimo rimanere in quella sede trattandosi di  			piccole pozzanghere affioranti che non è dato capire per quale  			motivo non potessero essere lasciate così com'erano", ne' era emerso  			che l'imputato fosse stato posto a conoscenza dell'effettuazione  			degli scarichi da fondo scavo senza contare che il Giudice aveva  			escluso la sussistenza dell'elemento soggettivo per gli scarichi  			delle acque di falda, giudizio che andava esteso alle acque da scavo  			alla stregua della nota della Provincia di Rovigo 4869 del 2.02.2007  			che aveva espressamente escluso la necessità delle autorizzazioni  			anche agli scarichi delle acque di risulta dell'attività di  			cantiere.
 Chiedeva l'annullamento della sentenza.
 Il ricorso è infondato e deve essere rigettato con le conseguenze di  			legge.
 L'imputato, anzitutto, enuncia una diversa ricostruzione dei fatti  			segnalando alcuni elementi che sono stati congruamente valutati dal  			tribunale che ha adottato una decisione che non presenta alcuna  			lacuna motivazionale, ne' cadute logiche specie sulla valutazione  			delle emergenze probatorie e dei riscontri accertati.  			In particolare, il giudice ha preso in considerazione tutti i rilievi  			difensivi e con un controllo globale e analitico della loro  			consistenza ha evidenziato l'inidoneità degli stessi a superare gli  			elementi negativi emersi a carico dell'imputato pervenendo alla  			pronuncia di condanna con un logico percorso motivazionale basato su  			dati obiettivi.
 Muovendo da tali dati sono palesemente inconsistenti tutti rilievi  			difensivi articolati in fatto e basati sulla distorsione delle  			acquisizioni processuali stante che, secondo le verifiche fattuali  			dei giudici del merito, Ha prova che si tratti di acqua proveniente  			dal fondo dello scavo e non dalla falda 3 sottostante si è avuta in  			relazione a tre campionamenti oggetto del processo".  			Trattasi di prove testimoniali (Munari, tecnico dell'ARPAV, e  			Fusaro, secondo cui l'acqua proveniva dal fondo della trincea) e  			documentali (rilievi fotografici e la relazione prodotta il  			12.11.2009 in cui si legge che un tubo di plastica era collegato a  			una motopompa predisposta per il prosciugamento del fondo).  			Tanto premesso, va osservato che il D.Lgs. n. 159 del 1999, art. 2,  			lett. h), come modificato dal D.Lgs. n. 258 del 2000, (ora trasfuso  			nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74, comma 1, lett. h), definisce  			"acque reflue industriali" qualsiasi tipo di acque reflue scaricate  			da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o  			di produzioni di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle  			acque meteoriche o di dilavamento.
 Il refluo deve essere considerato nell'inscindibile composizione dei  			suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta di  			liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli  			delle acque meteoriche o dei servizi igienici, immessi in un unico  			corpo recettore (Cassazione Sezione 3, n. 13376/1998, 10/11/1998 -  			18/12/1998, Brivio, RV. 212541).
 Ne consegue che rientrano tra le acque reflue industriali quelle che  			possiedono qualità, necessariamente legate alla composizione chimica-  			fisica, diverse da quelle proprie delle acque metaboliche e  			domestiche (Cassazione Sezione 3, n. 42932/2002, 24/10/2002 -  			19/12/2002, Ribattoni, RV. 222966: "Nello nozione di acque reflue  			industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non  			attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle  			attività domestiche, atteso che a tal fine rileva lo sola diversità  			del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano  			tra le acqua reflue industriali quelle provenienti da attività  			artigianali e da prestazioni di servizi"; Sezione 3, 5.2.2009 n.  			12865 RV. 243122)).
 È Stato pure affermato che "in tema di scarichi di acque reflue, la  			distinzione fra acque reflue domestiche ed acque reflue industriali  			non è determinata dal grado o dalla natura dell'inquinamento delle  			acque, ma esclusivamente dalla natura della attività dalle quali  			provengono, cosi che qualunque tipo di acqua derivante dallo  			svolgimento di una attività produttiva rientra fra le acque reflue  			industriali, ed il suo scarico in difetto di autorizzazione configura  			il reato di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 99". (Sezione  			3, n. 35870/2004, RV. 229012) ed anche che, in tema di tutela penale  			delle acque dall'inquinamento, anche dopo le modifiche alla nozione  			di "scarico" apportate dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, gli scarichi  			provenienti da attività produttive devono essere autorizzati in  			quanto assimilabili agli scarichi d'acque reflue industriali perché  			la modifica apportata alla nozione di "scarico" è strumentale  			unicamente a riaffermare la nozione di scarico "diretto",  			riproponendo in forma più chiara e netta la distinzione esistente  			tra la nozione di acque di scarico e quella di rifiuti liquidi  			(Sezione 3, n. 26543/2008 RV. 240537).
 È Stato precisato che "in tema di disciplina degli scarichi, mentre  			lo scarico discontinuo di reflui, sia pure caratterizzato dai  			requisiti dell'irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se  			collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere  			non continuativo, trova la propria disciplina nel D.Lgs. 11 maggio  			1999, n. 152, e successive modificazioni. lo scarico occasionale, sia  			se effettuato in difetto di autorizzazione che con superamento dei  			valori limite, e privo di sanzione a seguito della eliminazione, ad  			opera del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 23, del riferimento  			alle immissioni occasionali precedentemente contenuto nel D.Lgs. 11  			maggio 1999, n. 152, artt. 54 e 99" (Cassazione Sezione 3, n.  			16720/2004, Todesco, RV.228208).
 Quindi, quale che sia il suo carattere temporaneo, soltanto una  			condotta del tutto estranea alla nozione legislativa di scarico di  			acque reflue (le immissioni effettuate fuori dal ciclo produttivo  			senza il tramite di una condotta) non è soggetta alla preventiva  			autorizzazione perché ogni immissione diretta tramite un sistema di  			convogliabilità, ovvero tramite condotta, è sottoposta alla  			disciplina di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (cfr. Cassazione  			Sezione in n. 14425/2004, Lecchi, RV. 227781 e n. 16717, Rossi, RV.  			228027).
 Per quel che attiene al presente procedimento, va altresì rilevato  			che l'acqua di falda proveniente dall'attività di escavazione non  			può essere assimilata all'acqua reflua industriale, anche se deve  			essere richiesta, se scaricata in superficie, un'autorizzazione la  			cui mancanza, però, non genera conseguenze di tipo penale previste,  			invece, in tutti i casi nei quali lo scarico dell'acqua in superficie  			provenga da attività produttive generica.
 Questa Corte ha, però, puntualizzato che le acque di falda  			provenienti da lavori di escavazione possono integrare il concetto di  			acque reflue industriali quando siano intorbidate da residui dei  			lavori di scavo e di cantiere.
 In tal caso esse vanno annoverate nella nozione di acque derivanti  			dallo svolgimento di attività produttive non assimilabili, quindi,  			alle acque reflue domestiche (Sezione 3 n. 29126/2006, RV.234944: "te  			acque di falda prevenienti da lavori di "scavazione presso l'alveo di  			un corso d'acqua ed intorbidate dai residui dei lavori di scavo a di  			cantiere, costituiscono acque reflue industriali, poiché derivanti  			dallo svolgimento di attività produttiva, e comunque non  			assimilabili alle acque reflue domestiche").
 Da quanto ritenuto consegue la palese erroneità dell'assunto che le  			acque in questione sarebbero state qualificate come acque reflue  			industriali disapplicando la Direttiva comunitaria 91/271CEE in cui  			è inserita l'espressione eaux industrielles usees da cui di  			evincerebbe un'accezione di strumentalità delle acque di falda,  			sicché le acque di fondo scavo non rientrerebbero nel concetto di  			eaux industrielles usees.
 Infatti la definizione normativa delle "acque reflue industriale di  			cui al più volte citato decreto n. 152/2006 (qualsiasi tipo di acque  			reflue scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono  			attività commerciali o di produzioni di beni, diverse dalle acque  			reflue domestiche e dalle acque meteoriche o di dilavamento) non si  			discosta da quella comunitaria (toutes les eaux usees provenant de  			locata utilies à des fins commerciales ou industrielles, autre que  			(tranne) les eaux menageres usees et les eaux de ruissellement),  			sicché è palesemente infondata la richiesta di rinvio pregiudiziale  			alla Corte di Giustizia della Comunità Europea per chiarire se vi  			sia corrispondenza tra i suddetti concetti redatti in lingua diversa,  			richiesta riferita all'erronea premessa che le acque scaricate non  			siano state prodotte da attività industriale.
 Nella specie, come dianzi detto, è stato accertato con congrua  			motivazione, alla stregua delle dichiarazioni testimoniali, dei  			documenti acquisiti e degli accertamenti in loco, che acque reflue  			derivanti da lavorazioni di cantiere (in quanto provenienti dal fondo  			degli scavi eseguiti nel corso dei lavori di posa del metanodotto),  			venute in contatto con i residui della lavorazione delle tubature  			collocate all'interno della trincea, come accertato dalle analisi  			svolte sulle campionature, sono state convogliate, tramite apposita  			condotta metallica, nel canale del Po di levante, sicché  			correttamente è stato ritenuto che tali decisivi elementi,  			minimizzati nei motivi di ricorso, depongono inequivocabilmente per  			la configurabilità del reato.
 Anche la doglianza sull'elemento psicologico del reato è infondata  			essendo stata esclusa la buona fede con convincenti argomentazioni  			circa la consistenza della condotta illecita sostanziatasi  			nell'inidonea programmazione dei lavori da svolgere e nella mancata  			predisposizione di adeguati controlli sull'attività di cantiere e  			circa la posizione di garanzia dell'imputato che aveva la funzione di  			project manager e che, in concreto, seguiva le operazioni di cantiere  			come provato dagli organigrammi depositati e dalle numerose missive a  			sua firma o a lui dirette relative ad autorizzazioni amministrative  			(cfr. f. 29/31 della sentenza).
 Nel caso in esame destinatario era, quindi, ope legis l'imputato che,  			quale project manager, era tenuto a vigilare che propri dipendenti o  			altri sottoposti o delegati osservassero le norme ambientalistiche  			(Cfr. Cassazione Sezione 3, n. 24732/2007, RV. 236947) non essendo  			rilevanti, ai fini dell'esclusione dell'elemento soggettivo del  			reato:
 - le nomine dell'ing. Zoletto a direttore dei lavori e del geom.  			Marangoni a capo cantiere per i quali, tra i compiti assegnati dopo  			l'inizio del cantiere, non era compreso quello di richiedere  			l'autorizzazione agli scarichi;
 - ne' la citata missiva della provincia di Rovigo del 2.02.2007 che  			aveva comunicato all'ARPAV che non necessitava di autorizzazione lo  			"scarico in acque superficiali delle acque reflue provenienti dal  			collaudo lavori di collegamento del terminale GNL off shore  			prospiciente Porto levante (RO) alla stazione di misura di  			"Cavarzere" perché alla stessa era seguita una comunicazione del  			1.03.2007 con cui la stessa provincia aveva diffidato la società  			Terminale GNL Adriatico "allo scarico in acque superficiali di acque  			che non rispettino i limiti riportati nelle tabelle 3 e 5  			dell'allegato 5 alla Parte terza del D.Lgs. n. 152 del 2006".  			Peraltro, in tema di scarichi, la responsabilità per l'attività di  			gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della  			consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da  			comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata  			adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella  			predetta gestione (cfr. Cassazione Sezione 3, n. 47432/2003  			RV.226868).
 Grava sul ricorrente l'onere delle spese processuali.  			P.Q.M.
 La Corte rigetta il ricorso e condanna il rincorrente al pagamento  			delle spese del procedimento.
 Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 10 novembre 2011.  			Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011
                    



