TAR Piemonte Sez. II n. 451 del 16 maggio 2023
Rifiuti.Pericolo di infiltazione mafiosa

L'inclusione del reato di cui all'art. 452 quaterdecies cod. pen., anche nella sua dimensione "non associativa", tra i delitti spia del pericolo d'infiltrazione mafiosa non da luogo a una irragionevole compressione della libertà d'impresa.

Pubblicato il 16/05/2023

N. 00451/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00066/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 66 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, titolare dell'omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Gastini e Marco Comaschi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

A.R.P.E.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pier Carlo Maina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Piemonte, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento adottato da A.R.P.E.A. -OMISSIS- di chiusura del procedimento amministrativo di recupero delle somme indebitamente percepite dal ricorrente per la "Domanda Unica";


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.R.P.E.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2023 la dott.ssa Martina Arrivi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il ricorrente esercita sia attività agricola sia attività commerciale nel settore del trasporto di rifiuti. In relazione alla prima attività, egli ha percepito, negli anni, svariati contributi pubblici istituiti nell'ambito della politica agricola comune (P.A.C.).

1.1. Con sentenza emessa il -OMISSIS- gli è stata applicata, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., la pena di 15.000 euro di multa, sostitutiva della reclusione per 10 mesi, a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen. nel delitto di "attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti", allora incriminato dall'art. 260 d.lgs. 152/2006 e ora trasfuso nell'art. 452 quaterdecies cod. pen. Il 20 marzo 2014 il reato è stato dichiarato estinto.

1.2. Con l. 136/2010, entrata in vigore il 7 settembre 2010, è stato modificato l'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen., che enumera i reati di competenza della procura distrettuale, inserendovi il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

1.3. Ai sensi dell'art. 67 d.lgs. 159/2011 (e, prima ancora, dell'art. 10 l. 575/1965), le persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen. (co. 8) non possono ottenere contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell'Unione europea, per lo svolgimento di attività imprenditoriali, (co. 1) e decadono dalle erogazioni già percepite (co. 2).

1.4. Nel 2019 il ricorrente è stato sottoposto ad attività ispettiva per l'accertamento di eventuali irregolarità nella percezione di contributi europei, a norma del reg. CE 1848/2006.

1.5. Con il provvedimento in epigrafe A.R.P.E.A., organismo pagatore nazionale dei contributi relativi alla P.A.C., ha disposto, ai sensi dell'art. 67 d.lgs. 159/2011, il recupero delle somme percepite dal ricorrente negli anni 2010, 2011, 2012 e 2013, ossia nel periodo tra l'entrata in vigore della l. 136/2010 (che ha incluso il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti nell'elenco di cui all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen.) e la declaratoria di estinzione del reato per cui il ricorrente è stato condannato.

2. Il ricorrente ha impugnato il predetto provvedimento per i seguenti motivi di diritto.

I) «Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 7 della CEDU; violazione degli artt. 11 e 117 della Costituzione per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 25 della Costituzione; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 del c.p.p.; violazione dell'art. 1 L. 689/1981; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51, c. 3-bis del c.p.p. in comb. disp. con gli artt. 10 c. 5 ter L. n. 575/1965 e art. 67 c. 8 del D. Lgs. n. 159/2011; Carenza dei presupposti per l'adozione di un provvedimento di revoca». Ad avviso del ricorrente, l'art. 67 d.lgs. 159/2011, che impedisce la percezione di erogazioni pubbliche, è una norma di natura sostanzialmente penale, in quanto fa conseguire automaticamente, all'intervento di una sentenza di condanna per uno dei delitti elencati all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen., un effetto squisitamente afflittivo, tipico delle pene. Pertanto, ai sensi dell'art. 25, co. 2, cost. nonché dell'art. 49 CDFUE e dell'art. 7 CEDU, la norma non potrebbe essere applicata a fatti anteriori alla sua entrata in vigore. In relazione al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, la sanzione sostanzialmente penale sarebbe stata introdotta solo a partire dal 7 settembre 2010, con l'entrata in vigore della l. 136/2010, che ha incluso il delitto de quo nell'elenco dell'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen. Siffatta sanzione non potrebbe quindi applicarsi al ricorrente, in quanto introdotta in data posteriore sia al fatto di reato sia alla condanna penale. Il ricorrente ha sollecitato altresì la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità delle norme applicate dall'amministrazione.

II) «Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 11 delle Preleggi; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51, c. 3-bis del c.p.p., in comb. disp. con gli artt. 10 c. 5 ter L. n. 575/1965 e art. 67 c. 8 del D. Lgs. n. 159/2011; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 29 del Regolamento CE n. 73/2009; carenza dei presupposti per l'adozione di un provvedimento di revoca; eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza; Manifesta ingiustizia». In subordine, il ricorrente ha avversato provvedimento nella parte in cui ha disposto il recupero dei contributi relativi all'annualità del 2010 in quanto liquidati dopo il 7 settembre 2010 (data di entrata in vigore della l. 136/2010). Secondo l'esponente, A.R.P.E.A. avrebbe dovuto prendere a riferimento non la data della liquidazione delle somme ma il momento della richiesta o della maturazione del diritto al contributo. Poiché la domanda di erogazione è stata presentata anteriormente al 7 settembre 2010, i contributi di tale annualità non avrebbero potuto essere recuperati.

3. A.R.P.E.A. si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.

4. Con ordinanza n. 448 del 29 aprile 2021, resa in altro giudizio, la I Sezione di questo Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 67, co. 8, d.lgs. 159/2011 nella parte in cui, rinviando all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen., si riferisce anche al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti "nella forma non associativa", per contrasto con gli artt. 3, 25, 27, 38 e 41 cost.

4.1. In adesione alla richiesta del ricorrente, con ordinanza n. 348 del 13 aprile 2022, il Collegio ha disposto la sospensione impropria del processo per la pendenza della questione di legittimità costituzionale sulle norme applicate dall'amministrazione nel caso di specie.

4.2. Con sentenza n. 118 del 10 maggio 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile.

4.3. Il 18 luglio 2022 il ricorrente ha presentato istanza di prosecuzione del giudizio ai sensi dell'art. 80, co. 1, cod. proc. amm. e, in vista dell'udienza di discussione, ha domandato di rimettere nuovamente alla Corte la questione di costituzionalità delle norme implicate nella fattispecie.

5. La causa è, infine, passata in decisione all'udienza pubblica del 27 aprile 2023.

DIRITTO

6. Come già esposto in narrativa, è in discussione la legittimità di un provvedimento che ha disposto il recupero coattivo di contributi europei erogati nel periodo in cui il ricorrente è rimasto assoggettato al regime dell'art. 67 d.lgs. 159/2011 recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (c.a.m.).

7. Il ricorso deve essere rigettato, per l'infondatezza delle censure mosse dal ricorrente e per l'insussistenza dei presupposti per sottoporre nuovamente all'attenzione della Consulta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 67, co. 8, c.a.m. ove include, tra i suoi presupposti applicativi, la condanna per il reato di cui all'art. 452 quaterdecies cod. pen.

8. L'art. 67, co. 1, lett. g), c.a.m., prevede che le persone sottoposte a misure personali di prevenzione non possono ottenere «contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali». L'art. 67, co. 2, c.a.m., stabilisce la decadenza dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni ove sopravvenga un provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione, Infine, ai sensi dell'art. 67, co. 8, c.a.m., «[l]e disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».

8.1. L'art. 67 c.a.m. determina una speciale incapacità giuridica dell'imprenditore, avente carattere parziale, in quanto riferita unicamente ai rapporti ivi elencati, e temporanea, poiché limitata al perdurare della misura di prevenzione o degli effetti della condanna per i reati richiamati (Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3).

8.2. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la norma non contempla una sanzione, in quanto non punisce condotte, bensì previene pericoli: in condivisione con la documentazione antimafia – che non a caso è legata (anche) alla ricorrenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'art. 67 c.a.m. – l'effetto interdittivo innanzi enucleato ha una funzione cautelare e preventiva del fenomeno mafioso, a tutela del cd. ordine pubblico economico (Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3; Corte Cost., 26 marzo 2020, n. 57; Id., 4 agosto 2021, n. 178).

8.3. Per questa ragione, neppure può essere ricondotta alle cd. sanzioni sostanzialmente penali alla luce dei noti criteri Engel tracciati da Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi (qualificazione penale della sanzione alla luce del diritto interno; finalità punitiva-deterrente; rilevante severità della sanzione). Tutti i criteri presuppongono, a monte, l'esistenza di una violazione di norme, per la quale è comminata una sanzione. Diversamente, nel caso di cui all'art. 67 c.a.m., l'effetto interdittivo non deriva dalla commissione di violazioni, neppure laddove, al co. 8, tale effetto è ricollegato alla condanna per taluni reati. La condanna penale, infatti, non è il veicolo per l'inasprimento del trattamento sanzionatorio, bensì il sintomo del pericolo di insinuazione mafiosa nelle imprese, ragionevolmente ricorrente in presenza dei cd. delitti spia annoverati all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen. Ad ogni modo, pur a prescindere da tale assorbente rilievo e dato per pacificamente inapplicabile il primo criterio Engel legato alla qualificazione nazionale della "sanzione" in termini di pena, occorre considerare che gli altri due criteri (funzione preventivo-deterrente e rilevante severità della "sanzione"), sebbene di base siano alternativi, possono essere considerati in «un approccio cumulativo se l'analisi separata di ciascun criterio non permette di giungere a una conclusione chiara circa l'esistenza di una accusa in materia penale» (Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia; cfr. Corte Cost., 26 luglio 2022, n. 198). Quindi, posto che l'effetto interdittivo non ha alcuna finalità punitiva né deterrente, avendo, al contrario, funzione preventiva e cautelare, va esclusa la sua riconduzione alle sanzioni sostanzialmente penali.

8.4. Le conclusioni sono avallate dalla stessa sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità dell'art. 67, co. 8, c.a.m. in relazione al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, sollevata dalla I Sezione di questo T.A.R. con l'ordinanza n. 448 del del 29 aprile 2021: «l'ordinanza accenna alla circostanza che, nel caso di specie, la comunicazione interdittiva determinerebbe un «aggravio del trattamento sanzionatorio», ma non contiene alcuna analisi critica dell'ampia giurisprudenza amministrativa – del resto neppure menzionata (si veda, in particolare, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3) – che ha qualificato quelle derivanti dalla documentazione antimafia come misure di carattere anticipatorio cui conseguono forme di incapacità giuridica, prive di carattere sanzionatorio (nel senso della natura preventiva anche dello specifico strumento della comunicazione antimafia, ancora sentenza n. 178 del 2021 di questa Corte)» (Corte Cost., 10 maggio 2022, n. 118).

8.5. Dalle suesposte considerazioni discende l'infondatezza del primo motivo di ricorso, con cui si evoca il principio di irretroattività della legge penale e la sua inapplicabilità a fatti non costituenti reato al momento della loro commissione (cfr. artt. 25, co. 2, cost., 7 CEDU e 49 CDFUE). A ben vedere, giacché il caso di specie afferisce alla P.A.C., ossia a una materia di competenza unionale (artt. 38-44 TFUE), il parametro normativo di riferimento sarebbe costituito dall'art. 49 CDFUE (a mente del quale «[n]essuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso»), che – avendo notoriamente efficacia diretta – imporrebbe la disapplicazione in parte qua dell'art. 67, co. 8, c.a.m., senza la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale. Ad ogni modo, come già esposto, l'inibizione dalla percezione e dal trattenimento di contributi non costituisce una sanzione sostanzialmente penale, con conseguente inoperatività dell'art. 49 CDFUE.

8.6. L'art. 67, co. 8, c.a.m., laddove richiama – per via dell'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen. – il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies cod. pen.), deve essere, perciò, applicato a in relazione a tutte le erogazioni pubbliche successive all'entrata in vigore della l. 136/2010, che ha incluso il predetto delitto nell'elenco dell'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen., a prescindere dalla data di commissione del fatto o dalla data di emissione o passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

9. È infondato anche il secondo motivo di ricorso.

9.1. I soggetti condannati per uno dei reati indicati all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen. non possono ottenere «contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali» (cfr. art. 67, co. 1, lett. g, c.a.m.). In presenza di un delitto spia sintomatico del pericolo di infiltrazione mafiosa ad essere inibita è, dunque, la "erogazione" di somme da parte della pubblica amministrazione. La ratio della disposizione è, chiaramente, quella di evitare ogni "esborso di matrice pubblicistica" in favore di imprese esposte al fenomeno mafioso, dato che le somme percepite potrebbero essere utilizzate dalla criminalità. A rilevare, quindi, non è il momento di maturazione della pretesa al contributo, bensì il momento dell'erogazione dello stesso, tant'è che l'art. 67, co. 1, lett. g, c.a.m. «ricomprende anche l'impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all'attività di impresa», a prescindere dalla data di verificazione del danno e di insorgenza dell'obbligazione risarcitoria (Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3). L'impedimento dell'erogazione deriva dalla già evidenziata natura dell'effetto interdittivo, quale speciale forma di incapacità giuridica ex lege, ossia di «insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione» (Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3).

9.2. Pertanto, correttamente A.R.P.E.A. ha disposto il recupero di tutte le somme "erogate" dopo il 7 settembre 2010, data in cui il reato commesso dal ricorrente è divenuto un delitto spia, ivi incluse quelle relative all'annualità 2010.

9.3. In ogni caso, come anche evidenziato dalla difesa erariale, la sopravvenienza dell'interdizione determina la decadenza di diritto dai contributi già accordati, a norma dell'art. 67, co. 2, c.a.m. Pertanto, quand'anche si volesse legare il dies a quo dell'effetto interdittivo alla data di maturazione del diritto alla percezione del contributo, la conclusione non cambierebbe. Infatti, anche se al momento della presentazione della domanda unica per il 2010 il ricorrente non era ancora interdetto, egli lo sarebbe divenuto alla data del 7 settembre 2010 e avrebbe, quindi, comunque subito, in ragione della perdita parziale della propria capacità giuridica, l'effetto decadenziale di cui all'art. 67, co. 2, c.a.m., che gli avrebbe impedito di percepire l'erogazione.

10. Acclarata l'infondatezza delle doglianze sollevate nel ricorso, il Collegio non ritiene neppure di dover rimettere nuovamente alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'inclusione, tra i delitti spia, delle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all'art. 452 quaterdecies cod. pen., a prescindere dalla circostanza che tale delitto sia stato commesso o meno "in forma associativa", ossia – per come esposto nell'ordinanza di rimessione n. 448 del 29 aprile 2021 – come reato fine di una sottostante associazione per delinquere ex art. 416 cod. pen.

10.1. Per quanto concerne il profilo di compatibilità con gli artt. 25 e 27 cost., cioè in relazione all'ingiustificato "aggravamento sanzionatorio", la Corte Costituzionale, pur dichiarando la questione inammissibile, ha fornito una chiave di lettura dell'art. 67 c.a.m. che mette in luce l'inapplicabilità di tali parametri costituzionali. Infatti, per come già esposto e conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza, l'effetto interdittivo di cui all'art. 67 c.a.m. non costituisce una sanzione, tantomeno penale, sicché non può essere scrutinata né alla luce degli artt. 25 e 27 cost. (per i quali la questione era stata sollevata) né alla luce dei parametri interposti contenuti nella CEDU (per i quali la questione viene sollecitata dal ricorrente).

10.2. Per quanto concerne il profilo di compatibilità con gli artt. 3 e 41 cost., il Collegio ritiene che l'inclusione del reato di cui all'art. 452 quaterdecies cod. pen., anche nella sua dimensione "non associativa", tra i delitti spia del pericolo d'infiltrazione mafiosa non dia luogo a una irragionevole compressione della libertà d'impresa.

10.3. L'art. 452 quaterdecies cod. pen. punisce chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti.

10.4. Innanzitutto, è notorio che quello del trattamento dei rifiuti è un settore in cui frequentemente s'insinua la criminalità organizzata, circostanza che è di per sé rilevante ai fini dell'inclusione della fattispecie nei delitti spia di cui all'art. 67, co. 8, c.a.m., per via del richiamo all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen.

10.5. Ulteriori considerazioni a sostegno della non irragionevolezza della scelta legislativa si ricavano dall'analisi della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha censurato l'estensione dell'effetto interdittivo alle condanne per il reato di cui all'art. 640 bis cod. pen. (truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche): questo delitto, richiamato dall'art. 67, co. 8, c.a.m. ma non incluso nell'elenco di cui all'art. 51, co. 3 bis, cod. proc. pen., si inserisce in chiave disarmonica tra i delitti spia, in quanto «non ha natura associativa e non richiede neppure la presenza di un'organizzazione volta alla commissione del reato». Viceversa, i delitti elencati all'art. 51, co. 3 bis, cod. pen., tra cui figura il contestato art. 452 quaterdecies cod. pen., sono accomunati dall'avere «una specifica valenza nel contrasto alla mafia, tant'è che essi vengono qui elencati allo scopo di attribuire le funzioni di pubblico ministero ai magistrati addetti alla direzione distrettuale antimafia, su designazione del procuratore distrettuale […] Tali fattispecie delittuose hanno in gran parte natura associativa oppure presentano una forma di organizzazione di base (come per il sequestro di persona ex art. 630 cod. pen) o comunque richiedono condotte plurime (come per il traffico illecito di rifiuti di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen.), oltre a prevedere pene che possono essere anche molto alte» (Corte Cost., 30 luglio 2021, n. 178). Il requisito dell'organizzazione e la pluralità delle condotte, entrambe richieste ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 452 quaterdecies cod. pen., sottendono una illiceità che "permea" l'impresa e quindi, da un lato, è sentore del pericolo di un'infiltrazione criminale e, dall'altro lato, ne indirizza la gestione in termini non confacenti con l'instaurazione di rapporti economici con la pubblica amministrazione.

10.6. Ad avviso del Collegio, il delitto non perde portata allarmante se perpetrato in forma non associativa, ossia laddove esso non costituisca un "delitto fine" dell'associazione per delinquere di cui all'art. 416 cod. pen., perché la compenetrazione dell'illiceità nel tessuto imprenditoriale è già attestata dai due requisiti chiave della fattispecie (l'organizzazione e la pluralità delle condotte) e il rischio d'infiltrazione è comunque dato dalla vicinanza del settore dei rifiuti agli interessi della criminalità organizzata. Inoltre, il concetto di "delitto fine" rileverebbe solo per l'associazione per delinquere semplice di cui all'art. 416 cod. pen. e non anche per l'associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis cod. pen., la quale non è preordinata alla commissione di ulteriori delitti. Infine, tenuto conto che la finalità dell'art. 67 c.a.m. è quella di prevenire il rischio d'infiltrazione criminale nell'economia, attendere che l'attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti sia posta quale scopo di un'associazione criminosa significherebbe spostare troppo in avanti il parametro di pericolo e, di riflesso, contravvenire allo scopo preventivo e cautelare della norma.

11. La novità delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, co. 1 e 2, d.lgs. 196/2003 e all'art. 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:

Gianluca Bellucci, Presidente

Marcello Faviere, Referendario

Martina Arrivi, Referendario, Estensore