Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5452, del 18 novembre 2013
Urbanistica.Rapporta fra Piano Regolatore Generale e tutela del Paesaggio

Il rapporto fra piano regolatore generale o sue varianti da un lato, e vincoli e destinazioni di zone a vocazione storica, ambientale e paesistica, dall'altro, fa sì che i beni costituenti bellezze naturali possono formare oggetto di distinte forme di tutela ambientale, anche in via cumulativa, a seconda del profilo considerato, con la duplice conseguenza che la tutela paesaggistica è perfettamente compatibile con quella urbanistica o ecologica, trattandosi di forme complementari di protezione, preordinate a curare, con diversi strumenti distinti interessi pubblici, e che il Comune conserva la titolarità, nella sua attività pianificatoria generale, della competenza a introdurre vincoli o prescrizioni preordinati al soddisfacimento di interessi paesaggistici. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05452/2013REG.PROV.COLL.

N. 09170/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9170 del 2010, proposto da: 
Luigi Morra, rappresentato e difeso dall'avv. Tommaso Millefiori, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Comune Di Maglie, Regione Puglia;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE n. 01248/2010, resa tra le parti, concernente approvazione definitiva prg



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Tommaso Millefiori;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione di Lecce, l’attuale appellante Morra Luigi agiva per l’annullamento in parte qua degli atti di formazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Maglie e della delibera di approvazione della Giunta della Regione Puglia n.1426 del 2009.

Il ricorrente, proprietario nel territorio di Maglie di vasto compendio immobiliare sito in località “Masseria Fraganite”, lamentava che, a seguito della definitiva approvazione del nuovo piano regolatore generale, per parte di tale area, in precedenza classificata come area agricola, sarebbe stata tipizzata la destinazione di Area Boscata, come tale caratterizzata da ancora minore capacità edificatoria.

Lamentava quindi la insussistenza in fatto delle caratteristiche per qualificare come bosco l’area in questione, sulla base del riscontro normativo in materia; con altro motivo, deduceva come l’amministrazione comunale non poteva autonomamente imprimere vincoli in sostanza di natura paesaggistica, con violazione quindi dei limiti del potere di pianificazione urbanistica comunale.

Il giudice di primo grado rigettava il ricorso ritenendolo infondato (dichiarando però inammissibile il primo motivo di ricorso).

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello il Morra Luigi, deducendo quanto segue.

Con un primo motivo di appello, riproponendo il primo motivo di censura del ricorso originario, deduce in sostanza che, sulla base della dizione normativa di cui all’art. 2 della legge 227 del 2001, che definisce come bosco i terreni con estensione non inferiore a metri quadrati 2000, larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, si desume che non ogni formazione vegetazionale arborea e/o arbustiva può ritenersi per forza area boscata, ma soltanto quelle formazioni normativamente specificate ed elencate nella disposizione e solo quelle, tra esse, dalle caratteristiche dimensionali definite dalla norma, mentre il primo giudice ha considerato a tal fine solo le caratteristiche dimensionali.

In realtà, con il motivo qui riproposto, l’appellante sostiene di avere dedotto come, per caratteristiche intrinseche delle vegetazioni, non poteva qualificarsi bosco l’area in questione, a prescindere dalle caratteristiche dimensionali.

Può infatti essere considerato bosco solo la formazione vegetazionale (diversa da giardini e frutteti) costituente un ecosistema completo.

La perizia giurata depositata in atti era idonea a comprovare che l’area in questione non conteneva alcuna delle vegetazioni previste dalla disciplina normativa (vegetazione forestale arborea o arbustiva, castagneto, sughereto, macchia mediterranea) né potevano considerarsi sufficienti i resti di un frutteto (escluso comunque dalla nozione di bosco) o i giardini privati.

In definitiva, sarebbe erronea la sentenza di prime cure laddove ha sostenuto la mancanza di prova circa la insussistenza del bosco e al fine si chiede disporsi, ove necessario, consulenza tecnica di ufficio o verificazione sulla inconsistenza arborea.

Con altro motivo di appello si ripropone il motivo di censura già respinto dal primo giudice, sostenendo però che la sentenza avrebbe travisato il senso della censura.

Secondo la prospettazione di parte appellante, il motivo non era diretto a negare in astratto la competenza in capo all’ente comunale di poter disporre vincoli di interesse paesaggistico o ambientale (solo su ciò si è soffermata la decisione di primo grado), ma ad affermare in concreto nella specie la mancanza dei presupposti fattuali per la imposizione di vincoli di inedificabilità assoluta sull’area in questione.

In sostanza, in relazione ad aree per le quali il PUT/Paesaggio approvato dalla Regione Puglia contiene prescrizioni non comportanti la assoluta inedificabilità, tali previsioni non possono essere poi introdotte dallo strumento urbanistico comunale.

Nessuno si è costituito per gli enti appellati.

Alla udienza pubblica dell’8 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con un primo motivo di appello, riproponendo il primo motivo di censura del ricorso originario, si deduce in sostanza che, sulla base della dizione normativa di cui all’art. 2 della legge 227 del 2001, che definisce come bosco i terreni con estensione non inferiore a metri quadrati 2000, larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, si desume che non ogni formazione vegetazionale arborea e/o arbustiva può ritenersi per forza area boscata, ma soltanto quelle formazioni normativamente specificate e elencate nella disposizione e solo quelle, tra esse, dalle caratteristiche dimensionali definite dalla norma, mentre il primo giudice ha considerato a tal fine solo le caratteristiche dimensionali; sostiene di avere dedotto come, per caratteristiche intrinseche delle vegetazioni, non poteva qualificarsi bosco l’area in questione, a prescindere dalle caratteristiche di dimensioni; può infatti essere considerato bosco solo la formazione vegetazionale (diversa da giardini e frutteti) costituente un ecosistema completo; la perizia giurata depositata in atti era idonea a comprovare che l’area in questione non conteneva alcuna delle vegetazioni previste dalla disciplina normativa (vegetazione forestale arborea o arbustiva, castagneto, sughereto, macchia mediterranea) né potevano considerarsi sufficienti i resti di un frutteto (escluso comunque dalla nozione di bosco) o i giardini privati.

In definitiva, sarebbe erronea la sentenza di prime cure laddove ha sostenuto la mancanza di prova circa la insussistenza del bosco e al fine si chiede disporsi, ove necessario, consulenza tecnica di ufficio o verificazione sulla inconsistenza arborea.

Il D.Lgs.227 del 18 maggio 2001 (Gazz. Uff., 15 giugno, n. 137) all’art. 2 definisce il bosco e l’arboricoltura da legno nel modo seguente:

1. Agli effetti del presente decreto legislativo e di ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica i termini bosco, foresta e selva sono equiparati.

2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le regioni stabiliscono per il territorio di loro competenza la definizione di bosco e:

a) i valori minimi di larghezza, estensione e copertura necessari affinché un'area sia considerata bosco;

b) le dimensioni delle radure e dei vuoti che interrompono la continuità del bosco;

c) le fattispecie che per la loro particolare natura non sono da considerarsi bosco.

3. Sono assimilati a bosco:

a) i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale;

b) le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva a causa di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o abiotiche, eventi accidentali, incendi;

c) le radure e tutte le altre superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco non identificabili come pascoli, prati e pascoli arborati (1).

4. La definizione di cui ai commi 2 e 6 si applica ai fini dell'individuazione dei territori coperti da boschi di cui all'articolo 146, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

5. Per arboricoltura da legno si intende la coltivazione di alberi, in terreni non boscati, finalizzata esclusivamente alla produzione di legno e biomassa. La coltivazione è reversibile al termine del ciclo colturale.

Il comma 6 prevede che “nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5 ivi comprese, le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su terreni agricoli a seguito dell'adesione a misure agro ambientali promosse nell'ambito delle politiche di sviluppo rurale dell'Unione europea una volta scaduti i relativi vincoli, i terrazzamenti, i paesaggi agrari e pastorali di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti. È fatta salva la definizione bosco a sughera di cui alla legge 18 luglio 1956, n. 759. Sono altresì assimilati a bosco i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadri che interrompono la continuità del bosco non identificabili come pascoli, prati o pascoli arborati o come tartufaie coltivate”.

Pertanto, secondo la tesi appellante, sono necessari sia un requisito di tipo qualitativo che un requisito a carattere dimensionale.

Il primo giudice avrebbe dichiarato erroneamente inammissibile il motivo sulla base della asserita mancanza di principio di prova; secondo la tesi appellante, al contrario, la perizia di parte, nel descrivere lo spazio antistante retrostante il fabbricato esistente come totalmente libero da piantumazioni di alcun tipo nonché la descrizione degli alberi presenti ai margini della stessa area di pertinenza come sparsi in piccoli gruppi (il tutto all’interno di una particella catastale della estensione di 75,5 are) e comprovando a mezzo del rilievo celerimetrico in perizia e la documentazione fotografica le “inconsistenze arboree”, ritiene di avere soddisfatto l’onere del principio di prova relativamente alla inconsistenza dimensionale e qualitativa rispetto alla categoria normativa di bosco.

In effetti, la definizione normativa alla quale deve rifarsi l’interprete prevede quale requisito necessario, ma non sufficiente, il dato dimensionale, la cui assenza, secondo il primo giudice, non è stata dimostrata.

In realtà, come deduce parte appellante, il dato normativo, valevole in mancanza di normativa regionale (in tal senso questa sezione, 6 agosto 2012, n.4502), prevede anche una componente naturalistica qualitativa costituita da: vegetazione forestale, castagneti, sugherete, macchia mediterranea. Nella specie, dalla perizia depositata in atti, si evince che l’area in questione non comprende alcuna delle formazioni di vegetazione sopra elencate.

Pertanto, non ogni formazione di vegetazione arborea e/o arbustiva può condurre al riconoscimento di un’area boscata, ma solo quelle normativamente specificate ed enumerate come tali e solo tra esse quelle che hanno i requisiti di dimensioni previste dalla legge e tenute in considerazione dal primo giudice.

I rilievi fotografici e la perizia hanno dimostrato: la totale assenza di formazioni vegetazionali riconducibili alla nozione di bosco; lo spazio antistante e retrostante il fabbricato esistente è totalmente libero da piantumazioni di alcun tipo e gli alberi presenti ai margini della stessa area di pertinenza, sparsi in piccoli gruppi, rappresentano i resti di un frutteto, allo stato incolto, privo ontologicamente di caratteristiche forestali.

Pertanto, è fondato il primo motivo di appello e deve ritenersi la assenza, in relazione all’area di proprietà di parte appellante, dei requisiti qualitativi per sostenere la presenza di un bosco ai fini di legge, con conseguente illegittimità della destinazione impressa di “Area boscata” e le consequenziali previsioni di minore edificabilità.

L’accoglimento del primo motivo di appello determina la caducazione dell’inserimento dell’area di proprietà all’interno delle aree boscate.

Con l’altro motivo di appello, viene contestata la legittimità della previsione comunale di imporre vincoli di non edificabilità per finalità paesaggistiche, in assenza di previsioni in tal senso da parte della pianificazione sovraordinata regionale.

Secondo la prospettazione di parte appellante, il motivo in primo grado non era diretto a negare in astratto la competenza in capo all’ente comunale di poter disporre vincoli di interesse paesaggistico o ambientale (su ciò si è soffermata la decisione di primo grado), ma ad affermare in concreto nella specie la mancanza dei presupposti fattuali per la imposizione di vincoli di inedificabilità assoluta sull’area in questione.

In sostanza, in relazione ad aree per le quali il PUT/Paesaggio approvato dalla Regione Puglia contiene prescrizioni non comportanti la assoluta inedificabilità, tali previsioni non possono essere introdotte dallo strumento urbanistico comunale.

Nei fatti, la esposizione dell’appello rileva che sulle particelle nn. 37 e 38 classificate innovativamente come “Area boscata” la disciplina è la seguente:

“…per ogni area boscata di superficie superiore a mq.10.000 è ammessa la realizzazione di un’abitazione unifamiliare per una superficie scoperta di mq.200 al lordo di eventuali edifici a destinazione residenziale esistenti e di cui si prevede la conservazione; le abitazioni saranno ad un solo livello ed avranno altezza massima pari a ml.5,00; tali abitazioni potranno essere autorizzate attraverso CEC (Concessione edilizia convenzionata) in cui il concessionario si impegna ad un programma di manutenzione dell’area boscata conforme all’art. 2.15 delle presenti norme; su tale programma andrà acquisito il parere vincolante dell’Ispettorato Dipartimentale alle Foreste”.

Secondo la tesi di parte appellante una limitazione di inedificabilità parziale o totale per motivi di tutela ambientale e paesistica a tempo indeterminato può trovare giustificazione in sede di predisposizione dello strumento urbanistico generale solo in presenza di un precedente riconoscimento del pregio ambientale e paesistico della zona nelle sedi a ciò competenti e non già autonomamente nel corso dell’attività di zonizzazione del territorio comunale (in tal senso, viene invocato il Tar Puglia- Lecce, n.2085 del 2004).

Il motivo è infondato.

I beni costituenti bellezze naturali possono formare oggetto di distinte forme di tutela ambientale, anche in via cumulativa, a seconda del profilo considerato, con la duplice conseguenza che la tutela paesaggistica è perfettamente compatibile con quella urbanistica o ecologica, trattandosi di forme complementari di protezione, preordinate a curare, con diversi strumenti, distinti interessi pubblici, e che il Comune conserva la titolarità, nella sua attività pianificatoria generale, della competenza ad introdurre vincoli o prescrizioni preordinati al soddisfacimento di interessi paesaggistici (Consiglio Stato sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7478).

Il rapporto fra piano regolatore generale o sue varianti da un lato, e vincoli e destinazioni di zone a vocazione storica, ambientale e paesistica, dall'altro, fa sì che i beni costituenti bellezze naturali possono formare oggetto di distinte forme di tutela ambientale, anche in via cumulativa, a seconda del profilo considerato, con la duplice conseguenza che la tutela paesaggistica è perfettamente compatibile con quella urbanistica o ecologica, trattandosi di forme complementari di protezione, preordinate a curare, con diversi strumenti distinti interessi pubblici, e che il Comune conserva la titolarità, nella sua attività pianificatoria generale, della competenza a introdurre vincoli o prescrizioni preordinati al soddisfacimento di interessi paesaggistici.

Nella specie, le delibere comunali non hanno determinato il blocco dell'attività edilizia, poiché hanno mantenuto la possibilità di edificare, sia pure nei contenutissimi limiti previsti all'origine, facendo un equilibrato uso dei propri poteri pianificatori, costituendo affermato principio in giurisprudenza quello secondo cui l'Amministrazione può utilizzare lo strumento della variante per risolvere specifici problemi di disciplina urbanistica, anche solo con scopo di tutela del territorio.

L’Amministrazione ha inteso tutelare il territorio, noto per suo pregio ambientale, storico ed artistico attraverso restrizioni edificatorie della zona agricola, la cui funzione non è solo quella di valorizzare l'attività agricola vera a propria, ma altresì quella di garantire ai cittadini l'equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici necessaria a compensare gli effetti dell'espansione dell'aggregato urbano (così in tal senso Cons. Stato, IV Sez., n. 4818 del 2005).

Di recente questo Consesso (Consiglio di Stato sez. V, 24 aprile 2013, n. 2265) ha avuto modo di affermare che in sede di adozione del p.r.g., il Comune può legittimamente introdurre vincoli o limitazioni di carattere ambientale; l’art. 1 l. 19 novembre 1968 n. 1187, che ha esteso il contenuto del p.r.g. anche all'indicazione dei "vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico", legittima l'autorità comunale titolare del potere di pianificazione urbanistica a valutare autonomamente tali interessi e, nel rispetto dei vincoli già esistenti posti dalle amministrazioni competenti, ad imporre nuove e ulteriori limitazioni. Ne consegue che la sussistenza di competenze statali e regionali in materia di bellezze naturali non esclude che la tutela di questi stessi beni sia perseguita in sede di adozione e approvazione di un p.r.g.; il p.r.g. , nell'indicare i limiti da osservare per l'edificazione nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico, può disporre che determinate aree siano sottoposte a vincoli conservativi, indipendentemente da quelli disposti dalle commissioni competenti nel perseguimento della salvaguardia delle cose di interesse storico, artistico o ambientale; la distinzione tra le forme di tutela previste dalla legislazione di settore e le scelte pianificatorie volte alla valorizzazione di complessi edilizi di interesse culturale, storico ed ambientale non risiede nel dato quantitativo relativo all'ambito, puntuale o meno, degli oggetti interessati dalle determinazioni limitative, quanto nel dato teleologico relativo alla diversa finalità che permea le rispettive statuizioni amministrative; il p.r.g. può recare previsioni vincolistiche incidenti su singoli edifici, configurati in sé quali "zone", quante volte la scelta, pur se puntuale sotto il profilo della portata, sia rivolta non alla tutela autonoma dell'immobile "ex se" considerato ma al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che il singolo immobile assume nel contesto dell'assetto territoriale. In tale caso, infatti, non si realizza alcuna duplicazione rispetto alla sfera di azione della legislazione statale di settore, in quanto il pregio del bene, pur se non sufficiente al fine di giustificare l'adozione di un provvedimento impositivo di vincolo culturale o paesaggistico in base alla considerazione atomistica delle caratteristiche del bene, viene valutato come elemento di particolare valore urbanistico e può quindi, costituire oggetto di salvaguardia in sede di scelta pianificatoria (Consiglio di Stato sez. V, 24 aprile 2013, n. 2265).

L'art. 1, l. 19 novembre 1968 n. 1187, che ha esteso il contenuto del piano regolatore generale anche all'indicazione dei vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesisticoo, legittima l'Autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica a valutare autonomamente tali interessi e, nel rispetto dei vincoli già esistenti posti dalle Amministrazioni competenti, ad imporre nuove e ulteriori limitazioni; ne consegue che la sussistenza di competenze statali e regionali in materia di bellezze naturali non esclude che la tutela di questi stessi beni sia perseguita in sede di adozione e approvazione di un piano regolatore generale.

Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va accolto ai sensi e limiti di cui in motivazione e, in conseguenza, in riforma della appellata sentenza, il ricorso originario va accolto nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello nei sensi e limiti di cui in motivazione e, in conseguenza, in riforma della appellata sentenza, accoglie il ricorso originario nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Compensa interamente tra le parti le spese di giudizio del doppio grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)