Cass. Sez. III n. 45230 del 3 novembre 2014 (Ud 3 lug 2014)
Pres. Squassoni Est. Di Nicola Ric. Benassi
Aria.Animali ed esalazioni maleodoranti

Il reato previsto dall'art. 674 cod. pen. è integrato dalle esalazioni maleodoranti provenienti da stalle, gabbie o promananti da escrementi di animali in numero rilevante o quelle dovute alla presenza di numerosi cani tenuti in condizioni di sporcizia

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Emilia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato B.F.C. colpevole dei reati a lui ascritti e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato, con la sospensione condizionale, alla pena di Euro 100,00 di ammenda quanto al reato di cui al capo a) della rubrica, ed alla pena di Euro 100,00 di ammenda, quanto al reato di cui al capo b) della rubrica, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.

All'imputato si rimprovera il reato previsto dall'art. 674 c.p. perchè, non provvedendo ad adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i propri cani e dell'area cortiliva circostante, mantenendovi a lungo le deiezioni degli animali, provocava esalazioni maleodoranti idonee a provocare molestie ai condomini del confinante Condominio "(OMISSIS)" (capo a). In (OMISSIS) nonchè il reato previsto dall'art. 659 c.p. perchè, non impedendo l'abbaiare e latrare continuo, anche notturno, dei propri cani, disturbava le occupazioni ed il riposo dei vicini, condomini del Condominio "(OMISSIS)". In (OMISSIS).

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ha proposto personalmente appello, convertito in ricorso per cassazione, B. F.C., affidando il gravame a tre motivi con i quali deduce:

1) difetto di motivazione (in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)), per errata affermazione di fatti e circostanze non provate sia ai fini della fattispecie di cui all'art. 674 c.p. che dell'art. 659 c.p., essendo stata omessa ogni e qualsiasi valutazione della normale tollerabilità, della non momentaneità della condotta, della priorità d'uso del luogo, della tipologia della detenzione;

2) difetto di motivazione (in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)), per errata valutazione della prova ex art. 192 c.p.p. ed omessa valutazione dei fatti di riscontro e negazione;

3) difetto di motivazione (in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)), per omessa valutazione della prova documentale, essendo risultato comprovato che l'unità abitativa della denunciante L. non avesse affaccio sul cortile ove si trovavano i cani, mentre affacciava su una fogna a cielo aperto che produceva grave, inteso e continuo odore; per avere erroneamente ritenuto che l'imputato detenesse cinque cani pur essendo provato di averne detenuto un massimo di tre.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato e proposto fuori dai casi consentiti.

2. I motivi di gravame, essendo tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminato.

2.1. Dalla completa e corretta motivazione della sentenza impugnata emerge come la penale responsabilità sia stata fondata sulle precise e circostanziate dichiarazione della denunciante, L.C..

La quale, in dibattimento, ha deposto affermando che la sua abitazione è situata in uno degli edifici condominiali adiacenti all'abitazione del ricorrente e che, fin dall'anno 2008, si era verificata una situazione "intollerabile", tanto da dover ricorrere, con il coniuge, alle cure di un psicologo e ad assumere farmaci per riposare, a causa dei forti cattivi odori (intensa puzza che penetrava nell'abitazione impedendo di aprire le imposte) e del rumore costante causati dalla presenza presso la dimora del B., di vari cani, custoditi dall'imputato nel giardino (confinante con quello della L.).

In particolare, il continuo abbaiare (di giorno e di notte) dei cani e l'odore determinato dalle deiezioni degli stessi erano diventati, a partire da quell'anno, talmente intollerabili che la L., dopo avere inutilmente richiesto all'imputato di modificare la situazione, si era rivolta dapprima ai vigili ed ai Carabinieri e successivamente anche al Sindaco, tanto che in più occasioni erano intervenuti gli organi competenti dell'A.S.L. proprio per verificare le modalità con cui erano tenuti i cani; tant'è che era stata emessa nei confronti del B. un'ordinanza sindacale (acquisita agli atti del processo) che gli imponeva lo spostamento degli animali.

I sopralluoghi del personale dell'Asl, come da deposizione del competente funzionario, avevano consentito di accertare la presenza di cinque cani, situati nelle immediate vicinanze della recinzione dell'edificio condominiale confinate, ed era stato rilevato l'odore "abbastanza sgradevole"; che, nonostante l'invito a spostare i cani e a tenere pulito il box che li accoglieva, le lamentele erano continuate al punto che da un ulteriore sopralluogo del (OMISSIS) era stata nuovamente accertata la presenza di un forte odore di escrementi e infine solo nell'(OMISSIS), a seguito di un incontro concordato con l'imputato, era stata accertata al presenza di due soli cani.

2.2. Alla luce di tali circostanze - dopo aver valutato l'inattendibilità di un teste a difesa ( Be.), che aveva riferito della presenza di due cani e dell'assenza di cattivi odori, in palese contrasto con quanto direttamente accertato dal personale della Asl, e dopo aver valutato l'irrilevanza di altro teste ( C.) che aveva parlato di riscontrate pulizie del box ma in un periodo successivo a quello delle verifiche dell'Asl - il Tribunale è pervenuto ad affermare la penale responsabilità dell'imputato con riferimento ad entrambi i reati ascrittigli sul condivisibile rilievo che, quanto al reato previsto dall'art. 674 c.p., la configurabilità della fattispecie doveva ritenersi integrata sia per l'entità delle esalazioni maleodoranti (quali riferite dalla parte offesa e dal teste R. dell'Asl), determinate dalla presenza di più animali nel cortile dell'imputato (confinante con l'edificio condominiale interessato, ed in particolare con l'abitazione della parte civile, situata al piano terra) ed imputabili a quest'ultimo (ed alla mancata adozione delle cautele idonee ad evitare disturbi e molestie ai vicini) e sia per l'evidente superamento della richiesta tollerabilità, in ragione degli effetti provocati da tali esalazioni (dei quali aveva diffusamente riferito in dibattimento la parte civile).

Quanto, al reato di cui all'art. 659 c.p. il Tribunale ha osservato, rispondendo alle specifiche doglianze mosse dalla difesa - che, se è vero che la condotta produttiva di rumori deve incidere sulla tranquillità pubblica (in quanto l'interesse tutelato dalla norma è la pubblica quiete) e che la sola parte civile (costituita nel presente processo) ha presentato querela ed intrapreso specifiche azioni (anche giudiziarie) nei confronti dell'imputato, è altrettanto vero che, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente che l'evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, come era infatti accaduto nel caso di specie posto che, secondo quanto riferito dal teste Co., vari erano stati i condomini che si erano lamentati delle modalità di tenuta dei cani, pur se, dopo che si era discusso della possibilità di intraprendere azioni giudiziarie e delle spese da sostenere, l'assemblea condominiale aveva deciso, a maggioranza di non procedere in via giudiziale, non incidendo ciò sulla potenzialità diffusiva del disturbo e non escludendo, quindi, l'esistenza del reato.

3. Alla luce di una motivazione così completa che, immune da qualsiasi rilievo di illogicità, ha tenuto conto di tutte le emergenze processuali acquisite nel corso del dibattimento, ed alla luce della corretta applicazione dei principi di diritto, quanto alla sussunzione del fatto nell'ambito delle fattispecie incriminatrici contestate, la doglianza - quantunque ricondotta nel vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) - si risolve in una censura meramente fattuale, del tutto disancorata dalle emergenze probatorie che risultano dal testo del provvedimento impugnato, e fonda su deduzioni di carattere assertivo smentite dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale riportati in sentenza.

Deve essere solo precisato, a conferma della corretta soluzione fornita dal giudice del merito, che la contravvenzione prevista dall'art. 674 c.p. è configurabile anche nel caso di "molestie olfattive" con la specificazione che quando non esista una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, condizione nella specie sussistente, al criterio della normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c. (Sez. 3, n. 34896 del 14/07/2011, Ferrara, Rv. 250868), che comunque costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è certo necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque, anche ricorrendo alle sole dichiarazioni testimoniali dei confinanti (Sez. 3, n. 21138 del 02/04/2013, Bruzzi, non mass.).

Questa Corte ha già affermato che il reato previsto dall'art. 674 c.p. è integrato dalle esalazioni maleodoranti provenienti da stalle, gabbie o promananti da escrementi di animali in numero rilevante (Sez. 1, n. 678 del 29/11/1995, dep. 22/01/1996, P.M. in proc. Viale, Rv. 203793) o quelle dovute alla presenza di numerosi cani tenuti in condizioni di sporcizia (Sez. 1, n. 10336 del 28/09/1993, Grandoni, dep. 15/11/1993, Rv. 197894).

Quanto invece al reato previsto dall'art. 659 c.p., il tribunale si è attenuto al principio di diritto più volte affermato da questa Corte (da ultimo, Sez. 3, n. 40329 del 22/05/2014, Mocci, non mass.) secondo il quale, per aversi disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, è necessario che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità ed abbiano attitudine a disturbare un numero indeterminato di persone, essendo stata tale ultima circostanza espressamente affermata in sentenza (v. pag. 5) sulla base della testimonianza Co. (v. sub. 2.2. del considerato in diritto) ed anche sulla base della deposizione L. (v. 2.1. del considerato in diritto).

Consegue l'inammissibilità del ricorso.

4. La declaratoria di inammissibilità impedisce ogni eventuale pronuncia circa l'intervenuta prescrizione dei reati, maturata dopo l'emanazione della sentenza impugnata.

Va sul punto segnalato il costante orientamento di questa Corte secondo il quale l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità di far valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione (Sez. U, 22/03/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164; nonchè Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266)).

Tanto sul rilievo che l'intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perchè contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3), preclude ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio.

Ed infatti l'intrinseca incapacità dell'atto invalido di accedere davanti al giudice dell'impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale (cosi, in termini, Sez. U., Bracale cit.).

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2014