Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1885, del 5 aprile 2013
Urbanistica.Case mobili in campeggio in area con vincolo ambientale di conservazione integrale.

E’ legittimo l’ordine di demolizione e il diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, riferiti alla ristrutturazione di due fabbricati ed alla collocazione di alcune case mobili in un campeggio, in area soggetta a vincolo ambientale di conservazione integrale. La collocazione di case mobili tali manufatti, in astratto, definibile come “nuova costruzione”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 1, lettera e) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). La disposizione infatti, specifica dettagliatamente le caratteristiche dell’intervento, qualificabile nei termini sopra indicati, con riferimento, al punto e.5), alla “installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”. La disposizione, tuttavia, deve essere coordinata con le peculiari esigenze di un’area destinata a campeggio, ovvero rientrante fra le “strutture ricettive all’aria aperta”, disciplinate con legge della Regione Abruzzo 23 ottobre 2003, n. 16. L’art. 2 della legge regionale dispone che l’installazione di strutture mobili non sia soggetta a “concessioni, autorizzazioni o comunicazioni edilizie”, con libera dislocazione delle stesse strutture all’interno del complesso ricettivo. Nella medesima disposizione, tuttavia, si precisa come tali strutture debbano conservare i meccanismi di rotazione in funzione e non possedere “alcun collegamento permanente al terreno”, con “allacciamenti alle reti tecnologiche [….] rimovibili in ogni momento”.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01885/2013REG.PROV.COLL.

N. 05706/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5706 del 2012, proposto da
De Sanctis Giuliana – in qualità di legale rappresentante della Cala Paradiso s.r.l. (già s.a.s.) e Catenaro Rinaldo, entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati Valter De Cesare e Francesco De Cesare, con domicilio eletto presso l’avv. Fausto Buccellato in Roma, viale Angelico, 45;

contro

Comune di Ortona, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Dario Rapino, con domicilio eletto presso la segreteria della VI sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13; Dirigente del III Settore del comune di Ortona;

per la riforma della sentenza del t.a.r. abruzzo - sezione staccata di pescara, sez. i, n. 00262/2012, resa tra le parti, concernente, concernente demolizione di fabbricato e ripristino dello stato dei luoghi;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ortona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Valter De Cesare e Rapino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:



FATTO e DIRITTO

Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Pescara, sez. I, n. 262/12 del 7 giugno 2012 (che non risulta notificata), sono stati respinti due ricorsi riuniti, proposti dai signori Giuliana De Sanctis e Rinaldo Catenaro, avverso ordine di demolizione e diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, riferiti alla ristrutturazione di due fabbricati ed alla collocazione di alcune case mobili in un campeggio, in area soggetta a vincolo ambientale di conservazione integrale.

Nella citata sentenza si ritenevano fondamentali la sussistenza del vincolo di inedificabilità e l’entità delle opere contestate, da ritenere soggette a permesso di costruire.

Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 5706/12, notificato il 20 luglio 2012), in base alle seguenti argomentazioni difensive:

I) violazione o falsa applicazione degli articoli 63, 64 e 65 Cod. proc. amm., essendo state respinte senza motivazione le istanze istruttorie presentate dalla parte ricorrente, con ulteriore omessa disamina della censura, riferita ad irrituale emanazione dell’ordinanza impugnata, in pendenza di avviata procedura di variante in sanatoria alla D.I.A. del 2 novembre 2011, riferita ai lavori effettuati sul fabbricato adibito a ristorante;

II) violazione dell’art. 64, comma 2, Cod. proc. amm.; violazione o falsa applicazione dell’art. 2, commi 3 e 4 e dell’art. 12, comma 5, della legge regionale dell’Abruzzo 23 ottobre 2003, n. 16 (disciplina delle strutture ricettive all’aria aperta), non essendo stata contestata dall’Amministrazione l’avvenuta rimozione dei tiranti di ancoraggio delle case mobili al terreno, con cessazione della materia del contendere sotto tale profilo; non sarebbe stata esaminata, inoltre, la censura di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, indirizzata avverso l’ordine di rimozione delle case mobili, di cui – contraddittoriamente – era stato ordinato il ripristino delle caratteristiche di amovibilità e che, con tali caratteristiche costruttive, sarebbero tipiche di qualsiasi struttura recettiva autorizzata come campeggio;

III) violazione o falsa applicazione dell’art. 18 NTA del Piano Paesistico regionale (ex L. n. 431/1985 e art. 1 L. reg. n. 1/1998) approvato dal Consiglio Regionale con atto n. 141/21 del 21 marzo 1990, dell’art. 41 (zone per campeggi) e degli articoli 48, 57, 58, 59 delle NTA (norme per le aree di particolare complessità e piano di dettaglio della variante generale al PRG di Ortona del 1994, all’epoca vigente), della delibera di Consiglio comunale di Ortona n. 26 in data 11 agosto 2004 di recepimento della legge regionale n. 16/ del 2003 (sulle strutture ricettive all’aria aperta), dell’art. 12 della legge regionale n. 16 del 2003 e dell’art. 11 della legge regionale n. 5 del 2007 (disposizioni urgenti per la tutela e la valorizzazione della costa teatina), dovendo il vincolo essere oggetto di interpretazione compatibile con la prevista possibilità di realizzazione di campeggi, di modo che gli interventi effettuati nel caso di specie sarebbero stati assentibili in variante, con possibilità di nuova realizzazione di servizi e di ristrutturazione di edifici preesistenti; la presenza di un tetto di eternit – da considerare “detrattore ambientale” avrebbe persino consentito la demolizione e ricostruzione dell’edificio, con uguale volume e diversa sagoma, anche con traslazione dell’area di sedime;

IV) violazione o falsa applicazione degli articoli 151 e 185 Cod. pen., nonché degli articoli 651, 652 e 654 Cod. proc. pen., con riferimento agli articoli 63 e 64 Cod. proc. amm.; violazione dell’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, avendo il TAR erroneamente ritenuto che fosse stata accertata in sede penale la sussistenza del reato, senza tenere conto dell’assoluzione per non avere commesso il fatto della signora De Sanctis e della responsabilità per reato ambientale del solo signor Catenaro, ma limitatamente ad un edificio destinato a servizi ed alle case mobili, non anche per i lavori riferiti al ristorante, oggetto di domanda di sanatoria; la responsabilità penale, in ogni caso, sarebbe non sovrapponibile a quella amministrativa, di modo che solo la società proprietaria avrebbe avuto legittimazione passiva per la repressione dei contestati abusi edilizi; quanto agli interventi relativi alle parti strutturali dell’edificio esistente si tratterebbe di interventi eseguiti legittimamente, in base alla DIA presentata il 14 dicembre 2010, o corrispondenti ad attività edilizia libera, ovvero di manutenzione ordinaria o straordinaria assentibili in corso d’opera; per mera inerzia del Comune di Ortona, peraltro, non sarebbero stati adottati gli strumenti di pianificazione e di attuazione, previsti dalla legge regionale n. 5/2007, con impossibilità di strutture turistiche già presenti sull’area, come nel caso di specie, di procedere ai necessari adeguamenti funzionali, con palese inammissibilità di norme di salvaguardia di durata illimitata, “di contenuto sostanzialmente espropriativo”; una lettura corretta della norma di salvaguardia, tuttavia, dovrebbe ritenersi compatibile con la realizzazione di campeggi nelle aree a ciò destinate e quindi anche con i lavori effettuati nel caso di specie: lavori che sarebbero, pertanto, sanabili; i servizi igienici contestati sarebbero stati infine preesistenti;

V) violazione o falsa applicazione dell’art. 31 del d.lgs. n. 380 del 2001, con riferimento agli articoli 3 e 33 dello stesso decreto, nonché dell’art. 12, comma 7 della legge regionale n. 16/2003 e dell’art. 11 della legge regionale n. 5 del 2007, in quanto, in presenza di ristrutturazione edilizia (e non di nuova costruzione), non avrebbe potuto essere ordinata la demolizione anche della parte conforme all’originaria concessione edilizia n. 73/1980, essendo stata documentata dall’appellante la possibilità di riduzione in pristino, con istanza in tal senso che avrebbe dovuto determinare l’improcedibilità del ricorso;

VI) violazione o falsa applicazione degli articoli 3, 6, 31, 33, 36 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché del regolamento edilizio e delle NTA del PRG del Comune di Ortona e delle leggi regionali nn. 16 del 2003 e 5 del 2007, in quanto i lavori contestati sarebbero stati definibili in parte come edilizia libera o manutenzione (sia ordinaria che straordinaria), in parte come lavori assentiti a seguito di DIA, presentata il 14 dicembre 2010; altre opere, inoltre, avrebbero dovuto ritenersi assentibili come varianti in corso d’opera, o risulterebbero comunque sanabili ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001; erroneamente, poi, il primo giudice avrebbe ritenuto l’area totalmente inedificabile, senza tenere conto del parere del Servizio affari giuridici e legali, consulenza e vigilanza della Regione Abruzzo in data 23 maggio 2012, circa gli interventi assentibili nelle strutture ricettive di cui alla legge regionale n. 16 del 2003, nonché in ordine alla piena compatibilità tra la norma regionale, istitutiva della riserva, e le altre norme regionali, relative alla realizzazione nella stessa di strutture ricettive all’aria aperta, per un corretto uso turistico dell’area. Solo a causa dell’inerzia del Comune di Ortona, che avrebbe dovuto adottare e approvare i previsti strumenti di pianificazione ed attuazione (piano di assetto naturalistico, programma pluriennale di attuazione e regolamento, piano di gestione), i titolari del campeggio di cui trattasi – preesistente rispetto all’istituzione della riserva – si sarebbero trovati nell’impossibilità di procedere agli adeguamenti funzionali, previsti dalle leggi statali e dalla legge regionale n. 16 del 2003, con interpretazione illegittima delle norme di salvaguardia, previste dall’art. 11 della legge regionale n. 5 del 2007, non potendo tali norme avere durata illimitata, a pena di incostituzionalità, avendo in tale situazione il vincolo assunto carattere espropriativo. Anche nel predetto regime di salvaguardia, comunque, sarebbe ammissibile la realizzazione di strutture ricettive extra-urbane, purché conformi agli strumenti urbanistici locali: tale conformità sussisterebbe e renderebbe possibile la sanatoria di quanto realizzato nel caso di specie; si insiste infine sulla preesistenza dei servizi igienici e sull’assenza di qualsiasi aumento di volume o di superficie utile, sulla base di perizia tecnica di parte;

VII) violazione o falsa applicazione dell’art. 181, comma 1-quater del d.lgs. n. 42 del 2004, con riferimento all’art. 146, commi 7 e 8 , e degli articoli 3 e 10-bisdella legge n. 241 del 1990; ancora violazione del d.lgs n. 42 del 2004 (articoli 146, 149, 167 e 181), con riferimento al diniego di autorizzazione paesaggistica, non potendo quest’ultima essere concessa a sanatoria, ma non anche nell’ipotesi di lavori che non determinino mutamenti volumetrici o impiego di materiali diversi o di natura manutentiva, come appunto sarebbe riscontrabile nel caso di specie; non sarebbe stato seguito, inoltre, il corretto procedimento previsto in materia, in assenza del richiesto parere della Soprintendenza, con preavviso di provvedimento ove la valutazione fosse stata sfavorevole; la tutela paesaggistica, in ogni caso, sarebbe effettuabile in base a parametri non meramente edilizi ed urbanistici, ma con riferimento all’aspetto visibile del territorio. L’ordine di rimessa in pristino ed il diniego riferito alla tutela paesaggistica sarebbero stati emessi, infine, senza tenere conto della tempestiva richiesta di sanatoria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Il Comune di Ortona, costituitosi in giudizio, riepilogava i motivi di gravame prospettati e sottolineava l’avvenuta realizzazione di un immobile di mq. 26,30 x 10,70 circa, con struttura in cemento armato, difforme dal progetto di mera bonifica della copertura e risistemazione interna, nei termini dettagliatamente riportati, implicanti nuova costruzione e non mera ristrutturazione. Le cosiddette case mobili, tuttora prive di ruote, sarebbero state in realtà vere e proprie casette prefabbricate; il diniego di compatibilità paesaggistica, inoltre, sarebbe stato correttamente emesso in base alla procedura semplificata, di cui al d.P.R. n. 139 del 2010, con ulteriore infondatezza di tutte le censure, analiticamente esaminate.

Il medesimo Comune, in una successiva memoria, sottolineava poi come irritualmente gli attuali appellanti avessero attivato lo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) Chietino – Ortonese, perché intervenisse nella procedura di rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica e di conformità edilizia, con conclusivo invito al Comune di concludere positivamente la procedura stessa. Non sarebbe stato considerato, infatti, che l’istanza di sanatoria presentata dalla società non riguarderebbe tutti gli abusi contestati e che il parere negativo non avrebbe comunque potuto essere riformato dall’Amministrazione. Non vi sarebbe stata coincidenza, inoltre, fra il progetto allegato all’istanza di sanatoria e lo stato di fatto accertato, oggetto dei provvedimenti sanzionatori impugnati. Gli abusi posti in essere, in ogni caso, avrebbero comportato incremento di volumi e superfici e la relativa valutazione (anche ai fini paesaggistici) avrebbe dovuto essere effettuata globalmente, senza possibile attivazione del SUAP attraverso una procedura di chiarimenti ex art. 9 del d.P.R. n. 160 del 2010, finalizzata alla risoluzione dei motivi ostativi al rilascio della DIA in sanatoria e non anche a rimettere in discussione un diniego pienamente efficace, in sovrapposizione al pronunciamento giudiziale.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene opportuno sottolineare come la questione dedotta in giudizio debba, necessariamente, essere circoscritta alla legittimità, o meno, degli atti impugnati in primo grado: ordinanze di demolizione nn. 100 e 101 in data 11 novembre 2011 e diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria n. 1058 del 17 gennaio 2012. Nelle proprie diffuse note difensive, infatti, gli appellanti introducono considerazioni (riferite ad istanza per definire le modalità di rimessa in pristino, istanze di sanatoria ancora in corso e inerzia del Comune di Ortona, che avrebbe dilatato i tempi di applicazione delle previste misure di salvaguardia), non idonee ad incidere sull’oggetto del giudizio, anche se ipoteticamente in grado di condizionare l’esecutività degli atti impugnati, in attesa di una compiuta definizione dell’intera vicenda controversa in sede amministrativa.

Resta il fatto, tuttavia, che il Collegio non può essere chiamato a definire l’astratta sanabilità, o meno, delle opere di cui trattasi, né a valutare il comportamento del Comune rispetto ai termini (comunque ordinatori) entro cui avrebbero dovuto essere emessi atti di pianificazione attuativa.

La segnalata riapertura di un procedimento, per la sanatoria degli interventi effettuati non giustifica d’altra parte, allo stato degli atti, la richiesta declaratoria di improcedibilità dell’impugnativa, potendo tale improcedibilità scaturire soltanto da una positiva conclusione del nuovo iter avviato.

Detta improcedibilità è stata ravvisata infatti solo nei casi in cui all’esito – anche negativo – dell’istanza di sanatoria, dovesse comunque seguire una nuova misura repressiva dell’abuso: situazione ravvisabile, in particolare, con riferimento al primo condono edilizio (legge n. 47 del 1985, per il nuovo quadro sanzionatorio introdotto dalla legge, da applicare in caso di diniego del titolo abilitativo); le ordinarie istanze di sanatoria, invece, implicano soltanto la priorità logico-giuridica del relativo esame, rispetto all’esecutorietà del provvedimento repressivo, con conseguente arresto di efficacia dell’ordine di demolizione, fino a pronuncia espressa o tacita dell’Amministrazione (cfr. art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; Cons. Stato, IV, 19 febbraio 2008, n. 849; TAR Campania, Napoli, sez. III, 5 dicembre 2012, n. 4932; TAR Lazio, Roma, sez. I, 27 aprile 2009, n. 1107).

Premesso quanto sopra, il Collegio non ritiene che l’appello – da esaminare nei termini sopra precisati, in base alla situazione di fatto e di diritto, esistente alla data di emanazione dei provvedimenti impugnati – possa trovare accoglimento.

Debbono essere infatti considerati, in primo luogo, i concreti contenuti dei provvedimenti impugnati e i presupposti normativi degli stessi, da valutare poi in rapporto ai singoli motivi di gravame, specificamente riferibili all’oggetto del giudizio.

Nel primo di detti provvedimenti (ordinanza n. 100 in data 11 novembre 2011) si richiamava un precedente diniego di sanatoria (impugnato, con giudizio ancora in corso) e si contestavano interventi edilizi a seguito dei quali un fabbricato, “composto da un gruppo di servizi con struttura portante in c.a.”, oggetto di concessione edilizia n. 73/1980, sarebbe stato oggetto di totale trasformazione, con aumento di superficie, di volume e di altezza ed ulteriore realizzazione di un terrazzo con parapetto, nonché gradinate; si rilevava inoltre la posa in opera non autorizzata di “n. 12 mobil-home allineate […]. prive di ruote e poggianti su blocchetti di cemento, nonché di tettoie e pedane in legno incastonate e manufatto in legno”: il tutto in area di riserva naturale soggetta a vincolo paesaggistico, nonché in zona di conservazione integrale, in cui sarebbero stati consentiti solo interventi di risanamento igienico-sanitario, con conseguente ordine di demolizione e rimozione di quanto realizzato.

Nella seconda ordinanza (n. 101, emessa in pari data), si rilevava l’esecuzione di opere in totale difformità rispetto alla DIA, presentata il 14 dicembre 2010, per trasformazione ed ampliamento di un immobile, di dimensioni pari a 26.30 x 10.70, sempre in zona di conservazione integrale, in particolare a seguito dell’inglobamento del nuovo porticato nella sala ristorante, con conseguente ordine di rimessa in pristino e rimozione delle strutture abusivamente realizzate.

Nel diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria (n. 1058 del 17 gennaio 2012) si fa riferimento alla sola citata ordinanza n. 101/2011, per escludere la sanabilità delle opere, con la medesima sanzionate, in quanto costitutive di incremento di volumi e superfici utili in zona A1 del P.R.P..

In rapporto agli atti sopra indicati non appare contestabile che la normativa urbanistica, vigente nell’area, impedisse la costruzione di nuovi edifici, ex art. 11, comma 1, lettera c), della legge regionale 30. marzo 2007, n. 5 (disposizioni urgenti per la tutela e la valorizzazione della costa teatina), rendendo effettuabili solo interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, restauro conservativo e risanamento igienico-edilizio, con esclusione pertanto – oltre che di nuove edificazioni – anche della ristrutturazione (cfr. art. 11, comma 3 L. reg. n. 5 del 2007 cit., nonché art. 30, comma 1, lettere a), b), c) e d) della legge regionale 12 aprile 1983, n. 30).

Ad avviso del Collegio, gli interventi effettuati nel caso di specie non potevano ricondursi alle tipologie sopra indicate e risultavano, pertanto, soggetti alla misura repressiva, di cui all’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, richiamato nelle impugnate ordinanze nn. 100 e 101 in data 11 novembre 2011.

Per quanto riguarda l’ordinanza n. 100, infatti, risultano oggetto di contestazione la completa trasformazione di un manufatto adibito a servizi (portato da una superficie di mq. 67,58 e con altezza media di m. 3,60 ad una superficie di mq. 80,43, con altezza media di m. 6,00, con realizzazione di un primo piano sottotetto e di una terrazza con parapetto), nonché la posa in opera di 12 mobil-home, ciascuna delle quali di superficie variante fra 22 e 24 mq. circa, “prive di ruote e poggianti su blocchetti di cemento, nonché di tettoie e pedane in legno incastonate e manufatto in legno delle dimensioni di mt. 4,00 x 3,00”. Per il primo di tali interventi, non solo l’aumento di volume e di superficie appare evidente, ma risulta realizzato un immobile diverso, per forma e tipologia, rispetto a quello preesistente. Tale immobile era pertanto assoggettabile alla sanzione, prevista sia per le nuove costruzioni che per la ristrutturazione abusiva, anche a prescindere dalle ulteriori problematiche, connesse ai vincoli gravanti sull’area. La stessa parte appellante, del resto, afferma di avere proposto “istanza di riduzione in pristino del fabbricato nella sua precedente consistenza”: non viene precisato, tuttavia, se il manufatto preesistente sia ancora fisicamente individuabile, in quanto inglobato nel nuovo contesto edificatorio, ovvero se la proposta ne preveda la ricostruzione, con intervento a carattere di ristrutturazione, ex art. 3, comma 1, lettera d), d.P.R. n. 380 del 2001. Come già in precedenza precisato, d’altra parte, non possono ritenersi oggetto del presente giudizio istanze, corrispondenti a nuove iniziative degli interessati in via amministrativa: tali iniziative possono infatti risultare idonee ad avviare procedure, la cui definizione condiziona l’esecutività delle misure sanzionatorie, ma senza alcuna incidenza sui presupposti per l’emanazione dei provvedimenti, di cui sia contestata la legittimità. Nel caso di specie, pertanto, il Collegio ritiene corretta la repressione di un abuso – qualificabile quanto meno come ristrutturazione di un edificio esistente, con accorpamento di altro manufatto – tramite ordine di demolizione, emesso ai sensi del citato art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001. Posto quanto sopra, esulano dalle valutazioni del medesimo Collegio istanze successive, la cui disamina compete all’Amministrazione, circa la concreta, attuale conservazione del manufatto preesistente, che non potrebbe essere oggetto di demolizione, poiché a suo tempo regolarmente assentito: tale accertamento, non necessario ai fini del presente giudizio, appartiene alla fase esecutiva del provvedimento impugnato, da intendere – quest’ultimo – come misura repressiva di quanto abusivamente realizzato, con esclusione dell’immobile preesistente solo in caso di dimostrata scorporabilità dello stesso (con onere dimostrativo a carico del responsabile dell’abuso).

Per quanto riguarda, poi, le case mobili, sembra opportuno ricordare che la collocazione di tali manufatti sarebbe, in astratto, definibile come “nuova costruzione”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 1, lettera e) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). La disposizione infatti, specifica dettagliatamente le caratteristiche dell’intervento, qualificabile nei termini sopra indicati, con riferimento – al punto e.5) – alla “installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”. La disposizione, tuttavia, deve essere coordinata con le peculiari esigenze di un’area destinata a campeggio, ovvero rientrante fra le “strutture ricettive all’aria aperta”, disciplinate con legge della Regione Abruzzo 23 ottobre 2003, n. 16. Questa legge regionale prevede – all’art. 2 – che in tale ambito l’installazione di strutture mobili non sia soggetta a “concessioni, autorizzazioni o comunicazioni edilizie”, con libera dislocazione delle stesse strutture all’interno del complesso ricettivo. Nella medesima disposizione, tuttavia, si precisa come tali strutture debbano conservare i meccanismi di rotazione in funzione e non possedere “alcun collegamento permanente al terreno”, con “allacciamenti alle reti tecnologiche [….] rimovibili in ogni momento”.

Questa situazione non sembra sussistere nel caso di specie (in presenza di case mobili prive di ruote, allocate su piattaforma di cemento ed arricchite da tettoie fisse in legno), né può considerarsi ripristinata con la mera rimozione di più stabili ancoraggi al suolo, originariamente presenti (essendo ben diverso il temporaneo, consentito passaggio di roulottes e caravan, rispetto al posizionamento di strutture stabili, anche per dimensioni assimilabili a piccole case prefabbricate, in presenza o meno di ulteriori sistemi di fissaggio al terreno).

Anche l’art. 12 della medesima legge regionale n. 16 del 2003 prevede d’altra parte – oltre alla presenza di strutture stabili ed impianti, al servizio di tutti gli ospiti – soltanto “mezzi mobili di pernottamento, quali roulottes, caravan, maxi-caravan e simili, in materiali leggeri, comunque smontabili e non stabilmente infissi al suolo”, con una copertura di superficie di terreno “non superiore a mq. 18” (essendo riservate le unità abitative fisse ai villaggi turistici).

Per i manufatti, nella fattispecie installati nel campeggio di cui trattasi, pertanto, appare corretta l’adozione della misura repressiva, di cui al medesimo art. 31 d.P.R. n. 380/2001.

A non diverse conclusioni si perviene per quanto riguarda l’ordinanza n. 101/2011, con riferimento a lavori – non previsti nella DIA presentata – che risultano avere aumentato superficie utile e volume della struttura preesistente, adibita a ristorante. In questo caso le contestazioni mosse dal Comune – inequivocabilmente supportate da documentazione fotografica – riguardano in particolare una tettoia con struttura leggera, trasformata in vistoso pergolato ad archi, rivestiti di mattoni e parzialmente schermati da vetri, che allargano visibilmente l’area di ristorazione e trasformano in modo sensibile l’aspetto del fabbricato, con indubbio aumento di volume e superficie utile, non realizzabile a seguito di mera denuncia di inizio attività in area vincolata, ex art. 22, commi 3 e 6 del d.P.R. n. 380 del 2001. Anche per l’intervento in questione – nonché per le altre difformità, puntualmente elencate nel provvedimento in esame – appariva corretto l’impugnato ordine di rimessa in pristino dello stato dei luoghi.

Dato il carattere eterogeneo delle irregolarità contestate, può in effetti ritenersi che alcuni interventi – benché certamente non conformi al progetto autorizzato con DIA – si rivelino sanabili, o che l’intero progetto sia oggetto di riconsiderazione, con eventuali modifiche, nell’ambito della procedura di regolarizzazione in corso: come già in precedenza chiarito, tuttavia, le possibili, future determinazioni dell’Amministrazione sotto tale profilo non possono formare oggetto del presente giudizio.

Quanto al terzo provvedimento contestato (diniego di nulla osta paesaggistico in sanatoria n. 1058 del 17 gennaio 2012, emesso dal Comune di Ortona come autorità sub-delegata per gli interventi, oggetto dell’ordinanza di rimessa in pristino n. 101/2011) non possono che confermarsi le statuizioni della sentenza appellata, circa la non sanabilità in via successiva di interventi edilizi che abbiano comportato aumenti di superficie utile e di volumi, ai sensi degli articoli 146, comma 4 e 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004. Tenuto conto di quanto sopra, nonchè in considerazione dei limitatissimi interventi, a carattere conservativo, consentiti in base ai già richiamati vincoli gravanti sull’area, il Collegio non ritiene che possano invocarsi come vizi invalidanti l’omessa richiesta di parere alla Soprintendenza o il mancato preavviso di diniego, risultando la sanatoria – nella rappresentata situazione di fatto e di diritto – inammissibile ed il diniego stesso, pertanto, vincolato per ragioni normative e non rimesso ad apprezzamento discrezionale di compatibilità paesaggistica, (con conseguente applicabilità dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, che esclude l’annullamento di un atto per vizi di forma o di procedura, quando il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso).

La ricostruzione dei presupposti di fatto e di diritto dei singoli atti impugnati rende più agevole la disamina dei diversi motivi di gravame, nei quali le argomentazioni, riferite all’uno o all’altro degli interventi abusivi talvolta si sovrappongono, a discapito della chiarezza.

Nessuno dei predetti motivi, in effetti, appare condivisibile: il primo, perché riferito sostanzialmente alle procedure di sanatoria, come già illustrato non incidenti sulla validità degli atti impugnati, né sulla procedibilità del presente giudizio; il secondo, per irrilevanza della mera rimozione dei tiranti per modificare la natura fissa delle case mobili e per non compatibilità dei manufatti realizzati con la normativa regionale sui campeggi; il terzo, poiché in parte riferito ancora alle strutture realizzabili nei campeggi, in precedenza valutate in base alla legge regionale n. 16 del 2003, in parte perché contenente argomentazioni sulla disciplina urbanistica, senza tenere conto delle rigide limitazioni imposte nell’area vincolata di cui trattasi: limitazioni che non consentivano – a differenza di quanto affermato – interventi di ristrutturazione; il quarto, per irrilevanza delle considerazioni, riferite alla sentenza penale, in cui risultava individuato come responsabile dell’abuso, riferito alle case mobili e all’immobile destinato a servizi, il solo signor Catenaro, benchè assolto per prescrizione; il medesimo restava infatti, come rilevato nella sentenza, legittimato passivo in ordine ai provvedimenti repressivi o di diniego, unitamente alla signora De Sanctis, quale legale rappresentante della società “Cala Paradiso”.

Per altri argomenti – riferiti ad assoggettabilità a DIA, o alla corrispondenza ad edilizia libera degli interventi effettuati, non può che farsi rinvio alla precedente disamina degli interventi stessi, così come può farsi rinvio alle precedenti considerazioni, per quanto riguarda i tempi dilatati (ma comunque non tassativamente imposti) per la prevista adozione degli strumenti di pianificazione attuativa da parte del Comune di Ortona, con conseguente applicabilità – comunque non superabile, come parametro di legittimità degli atti adottati – delle misure di salvaguardia, che limitavano gli interventi assentibili; per il quinto motivo si deve pure fare rinvio alle considerazioni già esposte, circa l’oggetto dell’ordine di demolizione n. 100/2011, ove il manufatto oggetto di ristrutturazione fosse ancora concretamente individuabile nell’originaria consistenza; il sesto motivo contiene un’analitica e parcellizzata disamina delle opere realizzate, sulla cui effettiva consistenza si rinvia per ciascun intervento a quanto già esposto, fermo restando che, in sede di sanatoria, alcune delle difformità, comunque esistenti, potrebbero essere regolarizzate, in termini che non rilevano ai fini del presente giudizio; anche la durata delle misure di salvaguardia non appare, allo stato, rilevante sotto il profilo dei sollevati dubbi di costituzionalità, tenuto conto dei valori paesaggistici dell’area, comunque da riconoscere a tempo indeterminato, in rapporto ad interventi di ristrutturazione realizzati senza titolo; il settimo ed ultimo motivo, riferito al diniego di autorizzazione paesaggistica, non può che essere respinto per le considerazioni già in precedenza esposte, anche con riferimento alla natura ed alla consistenza degli interventi effettuati, per i quali appare contrastante con la realtà il riferimento a lavori meramente manutentivi, non incidenti su volumi e superfici, o implicanti impiego di materiali diversi, sulla base delle analitiche descrizioni contenute negli atti e risultanti dalla documentazione fotografica depositata, nei termini già in precedenza illustrati.

Il Collegio ritiene pertanto, conclusivamente, che l’appello in esame debba essere respinto; le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l'appello, come in epigrafe proposto; condanna gli appellanti al pagamento delle spese giudiziali, a favore del Comune di Ortona, nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)