Consiglio di Stato Sez. VII n.8409 del 30 ottobre 2025
Urbanistica.Provvedimento di conservazione delle opere abusive acquisite al patrimonio comunale
L’art. 31, comma 5, del testo unico dell’edilizia prevede che «L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico». La norma – a chiusura di un articolato sistema sanzionatorio suscettibile di operare a fronte di edificazioni non legittime e non altrimenti recuperabili alla legittimità a favore dei privati – palesemente offre una via di uscita (consentendo, di fatto, alla mano pubblica ciò che non è permesso alla parte privata) rispetto alla soluzione finale della demolizione dell’edificazione abusiva, permettendo che – questa volta in mano pubblica – l’edificazione non legittima resti pur sempre in situ. Affinché il vantaggio (unilaterale, in quanto possibile solo alla mano pubblica) si determini effettivamente, la disposizione in parola pone peraltro dei requisiti destinati a fungere da presupposto all’evento (sussistenza di prevalenti interessi pubblici; mancanza di contrasto dell’edificazione, pur sempre abusiva, con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico). Della ricorrenza di questi presupposti arbitro è l’ente locale (giacché è lo stesso ad auto individuarli) ma, per l’eventualità di errori od indulgenze, al privato controinteressato resta in ogni caso la residua difesa di poterne dimostrare l’insussistenza. Dunque, il provvedimento di conservazione delle opere abusive già acquisite al patrimonio comunale, di competenza del consiglio comunale, ha contenuto altamente discrezionale ed è una scelta funzionale all’interesse pubblico, come stabilito dall’art. 31, comma 5, del d.p.r. n. 380 del 2001
Pubblicato il 30/10/2025
N. 08409/2025REG.PROV.COLL.
N. 06991/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6991 del 2023, proposto da:
Rocco Bruno, rappresentato e difeso dagli avvocati Rocco Bruno e Andrea Di Lieto, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;
contro
Comune di Montella, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Saggese, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;
nei confronti
Elio Vassallo, rappresentato e difeso dall'avvocato Raffaele Doria, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;
Rosamaria Pico, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, sezione seconda, n. 254 del 2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Montella e di Elio Vassallo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il consigliere Laura Marzano;
Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2025, l’avvocato Andrea Di Lieto e l’avvocato Loredana Tulino su delega dichiarata degli avvocati Antonio Saggese e Raffaele Doria;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante ha impugnato la sentenza n. 254 in data 1° febbraio 2023, con cui il Tar Campania, sezione di Salerno, seconda sezione, ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento della delibera del consiglio comunale di Montella n. 32 del 30 luglio 2021, pubblicata il 21 settembre 2021, con la quale è stata dichiarata la pubblica utilità del manufatto sito alla via C. Colombo di Montella, realizzato abusivamente dai signori Vassallo Elio e Pico Rosamaria e acquisito al patrimonio comunale.
Il comune appellato si è costituito per resistere all’appello depositando documentazione e memoria difensiva con cui ne ha chiesto la reiezione.
In vista della trattazione si è costituito il controinteressato Vassallo Elio chiedendo la reiezione dell’appello.
Le altre due parti costituite hanno depositato memorie conclusive.
All’udienza pubblica del 28 ottobre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. In primo grado l’appellante ha impugnato la deliberazione n. 32 del 30 luglio 2021 con cui il consiglio comunale di Montella, anziché dar corso in esecuzione dell’ordinanza n. 19 del 12 giugno 2015, alla demolizione di due garage abusivi, acquisiti al patrimonio comunale, ubicati sul suolo confinante con l’abitazione di sua proprietà, ha dichiarato «l’esistenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione delle opere, già acquisite al patrimonio comunale, che non contrastano con rilevanti interessi urbanistici o ambientali».
Il Tar ha respinto il ricorso in sintesi osservando che la valutazione comunale costituisce espressione di ampia discrezionalità, che non necessita di particolare motivazione e può ben essere espressa anche quando l’immobile è stato oggetto di un diniego di condono.
3. L’appellante, nell’impugnare la sentenza, ha innanzitutto ripercorso la lunga vicenda amministrativa e giudiziaria che ha interessato gli abusi in questione.
3.1. Quindi, con il primo motivo sostiene, in estrema sintesi, che la delibera consiliare impugnata sarebbe affetta da difetto di motivazione, non avendo esplicitato quali sarebbero le preminenti esigenze di interesse pubblico per non demolire due garage che, oltretutto, non sarebbero ultimati ma rimasti al rustico.
Censura la sentenza impugnata in quanto la motivazione di rigetto sarebbe «del tutto distonica rispetto alla vicenda» in concreto sottoposta al giudizio del Tar e in special modo agli atti coi quali il comune di Montella è pervenuto alla determinazione di non disporre d’ufficio la demolizione dei manufatti.
Contesta che alla base della delibera consiliare vi sia un reale interesse pubblico.
A parere dell’appellante non sarebbe stata correttamente operata la verifica degli interessi pubblici in gioco, sicché sarebbe illogica ed immotivata la dichiarazione che si rinviene nella delibera n. 32 del 2021 di prevalenza dell’interesse pubblico alla conservazione dei garage.
Non sarebbe stato neppure valutato lo “stato” attuale dei detti garage, i quali non sono ultimati, né sarebbe stata predisposta una scheda tecnica per quantificare i costi dei lavori di completamento, che ammonterebbero a circa 20.000,00 euro e sarebbero a carico del comune: circostanza che avrebbe dovuto sconsigliare l’assunzione della delibera gravata, atteso anche che, al contrario, il costo per la demolizione sarebbe pari poco più di 8.000,00 euro e per di più, in base al comma 5 dell’art. 31, sarebbe a carico dei costruttori abusivi.
Il Tar non avrebbe considerato che le varie sentenze che sono state pronunciate sulla vicenda hanno stabilito che l’opera dovesse essere demolita, poiché in contrasto con la strumentazione urbanistica comunale, desumibile anche dallo stesso permesso di costruire prot. n. 3512 del 18 marzo 2016.
In definitiva non sussisterebbe alcuno dei presupposti che avrebbe consentito la scelta di non eseguire la demolizione, imposta, invece, dal quinto comma dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001.
A conferma di quanto dedotto l’appellante pone in luce che sono ormai trascorsi 2 anni dall’assunzione della delibera impugnata e lo stato dei luoghi è quello esistente da oltre un decennio non avendo il comune eseguito alcun lavoro al rudere di cui si controverte.
Anche la previsione di una eventuale cessione a terzi del manufatto abusivo sarebbe prova della mancanza dell’interesse pubblico a supporto della delibera impugnata, atteso che la scelta di non demolire il manufatto abusivo presupporrebbe che tale immobile venga destinato all’utilità generale, non a quella, particolare, di taluno.
3.2. Con il secondo motivo sostiene che l’ufficio tecnico avrebbe «sempre tentato di recare ingiusto vantaggio ai sigg.ri Vassallo Elio, legale rapp.te della soc. Mova Costruzioni di Vassallo Elio & C. s.a.s., e alla sig.ra Pico Rosamaria, e danno all’attuale ricorrente» (pag. 21 dell’appello), e che ciò risulterebbe dalle sentenze del giudice penale.
Quindi osserva che anche la delibera per cui è causa recherebbe vantaggi ai predetti sigg.ri Pico-Vassallo e danno all’attuale appellante.
Fa presente che, se il consiglio comunale avesse affermato l’assenza dell’interesse pubblico prevalente, l’onere della demolizione sarebbe stato a carico dei predetti sigg.ri Pico-Vassallo, i quali, invece, sono stati così esentati dal pagamento del relativo importo.
La sentenza non avrebbe colto che la relazione tecnica, prot. n. 8554 del 22 luglio 2021, favorevole alla conservazione dell’immobile, posta a base della delibera consiliare n. 32 del 2021 (e recante quindi anch’essa vantaggio ai sigg.ri Pico- Vassallo), è stata redatta dall’architetto Bruno Di Nardo, il quale avrebbe dovuto astenersi in quanto asseritamente incompatibile, così come risulterebbe dalla dichiarazione resa dal predetto tecnico e contenuta nell’atto n. 627 del 18 gennaio 2016, incompatibilità desumibile anche dalle citate sentenze del giudice penale.
Vi sarebbe, dunque, anche la violazione anche dell’art. 6 bis della l. 241 del 1990, che impone al responsabile del procedimento e ai titolari degli uffici competenti di «astenersi in caso di conflitto di interessi» e di segnalare «ogni situazione di conflitto, anche potenziale», violazione che renderebbe illegittimo in via diretta l’atto n. 8554 del 22 luglio 2021 ed in via derivata la delibera del consiglio comunale di Montella n. 32 del 30 luglio 2021.
3.3. Con il terzo motivo denuncia il vizio di omessa pronuncia, da parte del Tar, sulla richiesta di risarcimento dei danni, che pertanto ripropone in appello.
4. Il comune appellato, dopo aver riproposto le eccezioni preliminari sollevate in primo grado, ha eccepito l’inammissibilità anche dell’appello per genericità in quanto non contenente specifiche censure avverso la sentenza impugnata, limitandosi alla mera riproposizione delle argomentazioni, anche in fatto, svolte in primo grado.
Nel merito ritiene che l’appello sia totalmente infondato.
5. Il sig. Vassallo ha eccepito preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto totalmente estraneo alla vicenda per cui è causa.
In subordine, sempre in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per genericità, l’inammissibilità per tardività del ricorso originario, l’inammissibilità per carenza di interesse e per ingerenza nel merito amministrativo.
Nel merito ha dedotto l’infondatezza dell’appello chiedendo la condanna dell’appellante per lite temeraria.
6. L’appello, le cui ripetitive censure possono essere esaminate in modo complessivo, è infondato e va respinto, pur dovendosi precisare che non è fondata l’eccezione preliminare, ribadita in appello, di inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività, dal momento che il termine per l'impugnazione delle delibere comunali decorre, per i soggetti che non ne sono destinatari diretti, dal giorno in cui è scaduto il termine di pubblicazione dell’atto nell’albo pretorio (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1918).
6.1. Quanto al merito, l’art. 31, comma 5, del testo unico dell’edilizia prevede che «L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico».
La norma – a chiusura di un articolato sistema sanzionatorio suscettibile di operare a fronte di edificazioni non legittime e non altrimenti recuperabili alla legittimità a favore dei privati – palesemente offre una via di uscita (consentendo, di fatto, alla mano pubblica ciò che non è permesso alla parte privata) rispetto alla soluzione finale della demolizione dell’edificazione abusiva, permettendo che – questa volta in mano pubblica – l’edificazione non legittima resti pur sempre in situ.
Affinché il vantaggio (unilaterale, in quanto possibile solo alla mano pubblica) si determini effettivamente, la disposizione in parola pone peraltro dei requisiti destinati a fungere da presupposto all’evento (sussistenza di prevalenti interessi pubblici; mancanza di contrasto dell’edificazione, pur sempre abusiva, con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico).
Della ricorrenza di questi presupposti arbitro è l’ente locale (giacché è lo stesso ad auto individuarli) ma, per l’eventualità di errori od indulgenze, al privato controinteressato resta in ogni caso la residua difesa di poterne dimostrare l’insussistenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 2017, n. 1770).
Dunque, il provvedimento di conservazione delle opere abusive già acquisite al patrimonio comunale, di competenza del consiglio comunale, ha contenuto altamente discrezionale ed è una scelta funzionale all’interesse pubblico, come stabilito dall’art. 31, comma 5, del d.p.r. n. 380 del 2001 (cfr. Cons. Stato, sez. II, 25 gennaio 2024, n. 806).
Anche la giurisprudenza penale ha osservato, quantunque in tema di configurazione di reati edilizi, che si può ritenere legittimamente adottata la delibera consiliare con la quale è stata dichiarata la prevalenza dell'interesse pubblico alla conservazione dell'immobile allorché ricorrano le seguenti condizioni: 1) assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell'ipotesi di costruzione in zona vincolata, assenza di contrasto con interessi ambientali: in quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una formale deliberazione del consiglio con cui si dichiari formalmente la sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc. (cfr. Cass. pen., sez. III, 23 giugno 2025, n. 24997).
Nel caso di specie la delibera consiliare, preceduta da ampio dibattito sulle possibilità di riqualificazione e di riutilizzo dell’immobile, ha stabilito che «nel caso in trattazione possono considerarsi prevalenti gli interessi pubblici e le ragioni che escludono la demolizione, atteso che gli immobili sono situati in aree già antropomorfizzate e che, pertanto, l'immobile stesso può essere utilizzato dal Comune per Edilizia Residenziale Pubblica quale pertinenza, ovvero rientrare in successivi programmi di valorizzazione o dismissione di beni comunali (art. 58 L. 133/2008 ed art. 12, comma 6, L.R. 19/2009)».
La delibera ha richiamato in premessa la relazione istruttoria prot. n. 8554 del 22 luglio 2021, definendola parte integrale ed essenziale della stessa delibera, in tale modo dando conto dell’istruttoria posta alla base della decisione e rinviando implicitamente alle considerazioni ivi contenute.
In detta relazione si legge:
- «che ai sensi dell'art. 31, comma 5, del T.U. Edilizia DPR 380/2001, le opere non contrastano con rilevanti interessi urbanistici o ambientali e nel caso in esame possono considerarsi prevalenti gli interessi pubblici e le ragioni che escludono la demolizione, atteso che gli immobili sono situati in aree già antropomorfizzate e che, pertanto, l'immobile stesso può essere utilizzato dal Comune quale pertinenza per l'Edilizia Residenziale Pubblica, ovvero rientrare in successivi programmi di valorizzazione o dismissione di beni comunali (art.58L.133/2008 ed art.12 comma 6 L.R. 19/2009)»;
- «che tale opera abusiva (per la quale può essere dichiarato il pubblico interesse) non ricade in zone ad inedificabilità assoluta, né ricade in zone protette, né ricade in zone granate da altri vincoli di natura ambientale, paesaggistica, storico architettonica, idrogeologica, o altri vincoli previsti da leggi speciali che ostino alla loro conservazione in sito, né contrastino con rilevanti interessi urbanistici: peraltro gli abusi sono allocati in aree già antropomorfizzate»;
- che «La Legge Regionale "Piano Casa" (L.R. 19/2009 testo vigente) riconosce quale "prevalente interesse pubblico" la destinazione di un immobile abusivo acquisito al patrimonio comunale a "Edilizia Residenziale Pubblica". Questo è valido non solo per immobili già finiti ed abitabili, ma per ogni tipologia di edificio che possa essere trasformato in ERS anche mediante interventi di manutenzione, ristrutturazione e completamento, quindi anche complessi edilizi con destinazione d'uso non compatibile con le previsioni dello strumento urbanistico vigente, ovvero finiti al solo rustico. Tali immobili, si ripete, entrano nel patrimonio dell'Ente e possono essere ceduti in locazione, liberamente a tutti i soggetti che abbiano i requisiti previsti dall'art. 2 della Legge Regionale n°18 del 02/07/1997, nonché possono rientrare nei programmi di valorizzazione o, dismissione di beni comunali (art.58 D.L. 25/06/2008 n. 112, convertito in Legge 06/08/2008 n. 133)»;
- che «La utilizzazione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio di questo Ente comporta un ovvio vantaggio per il territorio, andandosi a risparmiare aree libere ed a recuperare un patrimonio immobiliare, laddove esso non sia contrastante con gli interessi pubblici»;
- che «Risulterà certamente più opportuno utilizzare risorse economiche sia per adeguare lo stesso sia per la bonifica ambientale dell'area ove esso sorge, piuttosto che la sua demolizione ed il trasporto a rifiuto dei materiali ricavati, classificati come "rifiuti speciali". Non è trascurabile nemmeno l'incremento del patrimonio immobiliare dell'Ente Locale (a danno di chi ha compiuto illegalità di abusivismo edilizio), risorse comunque utilizzabili e trasformabili per il bene della comunità locale».
Osserva il Collegio che i requisiti fissati dalla norma e dalla giurisprudenza risultano nel caso di specie tutti rispettati, sicché deve escludersi la sussistenza del denunciato difetto di motivazione.
Invero, l’unico limite al potere del consiglio comunale di deliberare la conservazione dell’immobile è rappresentato dall’esistenza di «rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico», ai sensi dell’art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001 che, nel caso di specie, non sussistono.
Dunque, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, «non qualunque contrasto con gli interessi ivi specificati è idoneo a precludere il mantenimento in situ dell’opera abusiva, ma solo quello che arrechi agli stessi un ragguardevole pregiudizio» (Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2022, n. 8850).
Nel caso di specie tale contrasto è stato escluso dall’amministrazione e, d’altra parte l’appellante non ha adeguatamente rappresentato ragioni, in ipotesi non considerate dall’organo deliberativo, di presunto contrasto con eventuali interessi urbanistici, essendosi piuttosto limitato ad addurre, in forma meramente narrativa, ragioni di contrasto con i propri desiderata.
La previsione, nella delibera impugnata, di una eventuale cessione a terzi del manufatto abusivo, diversamente da quanto opina l’appellante, lungi dal rappresentare la prova della mancanza dell’interesse pubblico a supporto della delibera impugnata, rispecchia una eventualità espressamente contemplata dal comma 5 dell’art. 31 del testo unico dell’edilizia.
Ne discende che la delibera comunale in parola risulta immune dai vizi denunciati come rilevato dalla sentenza impugnata che va, pertanto, confermata.
6.2. Per ragioni di completezza va osservato quanto segue.
Le argomentazioni dirette a sostenere che non sussisterebbe alcun interesse pubblico sono inammissibili in quanto si risolvono nel tentativo dell’appellante di sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio del potere discrezionale ad essa riservato.
La tesi per cui non sarebbe stato valutato lo “stato” dei garage, che non sono ancora ultimati, è smentita dalla considerazione rinvenibile nella relazione del tecnico, in cui si fa riferimento alle possibilità di completamento offerte dalla legge sul “piano casa”.
Le sentenze penali che avrebbero accertato responsabilità di funzionari comunali nel favorire i proprietari degli abusi, ormai espropriati, non sono state depositate in giudizio, laddove, viceversa, il comune ha depositato la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 10544 del 17 dicembre 2021, in cui si afferma che «nulla è emerso circa i rapporti tra privati e P.A.»; il che esclude, peraltro, che il tecnico che ha redatto la relazione n. 8554 del 22 luglio 2021 dovesse astenersi per un indimostrato conflitto di interessi riferibile alla vicenda in esame.
Quanto precede comporta la conferma della sentenza impugnata nella parte in cui ha rilevato che il provvedimento è stato adottato dal consiglio comunale e non già dal tecnico comunale a suo tempo denunciato dal ricorrente.
Dunque l’affermazione per cui si sarebbe voluto, come in precedenza, favorire il Vassallo è rimasta a livello di mera illazione, anche tenuto conto che lo stesso, a seguito della perdita della proprietà dell’immobile abusivo e dell’area su cui esso insiste, è definitivamente estraneo alla vicenda in esame, ditalchè ne va disposta l’estromissione dal presente giudizio, non potendo lo stesso rivestire alcuna posizione processuale, neanche di controinteressato.
Infine sono inammissibili le affermazioni secondo cui non sarebbero stati considerati i costi occorrenti per i lavori di completamento e la maggiore convenienza di demolire, atteso che l’onere ricadrebbe su terzi e non sul comune, dal momento che l’appellante, da una parte non ha interesse a formulare una simile censura e, dall’altra, pretenderebbe di sostituirsi all’amministrazione in valutazioni che impingono nel merito delle scelte amministrative.
6.3. Non sussiste, infine, il dedotto vizio di infrapetizione della sentenza impugnata per non essersi pronunciata sull’istanza risarcitoria.
Tale omissione è meramente consequenziale al rigetto di tutti i motivi di ricorso, essendo pacifico che la accertata legittimità dell’atto amministrativo impugnato esclude in radice la sussistenza dei presupposti per dare ingresso ad una condanna risarcitoria (cfr. Cons. Stato, sez. II, 23 aprile 2025, n. 3496).
Principio, questo, che comporta la reiezione della domanda risarcitoria anche in appello.
Conclusivamente, per quanto precede, l’appello deve essere respinto.
7. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tenuto conto della novità della questione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Estromette dal giudizio il sig. Elio Vassallo.
Compensa le spese del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2025, con l'intervento dei magistrati:
Massimiliano Noccelli, Presidente FF
Marco Morgantini, Consigliere
Laura Marzano, Consigliere, Estensore
Rosaria Maria Castorina, Consigliere
Marco Valentini, Consigliere




