Consiglio di Stato Sez.II n.10589 del 6 dicembre 2023
Urbanistica.Impugnazione ordinanza di demolizione e controinteressati

In sede di impugnazione di un’ordinanza di demolizione di abusi edilizi, deve ritenersi contraddittore necessario il soggetto che abbia provveduto a segnalare l’abuso e il cui diritto di proprietà risulta direttamente leso dall’opera edilizia. Tale orientamento, lungi dal porsi in contrasto con l’indirizzo tradizionale in base al quale nell’impugnazione di un’ordinanza di demolizione o di un diniego di sanatoria non sono normalmente configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio, ne costituisce una doverosa precisazione, laddove, come nel caso in esame, il diritto di proprietà del controinteressato pretermesso risulti direttamente inciso dalle opere edilizie realizzate in assenza di titolo

Pubblicato il 06/12/2023

N. 10589/2023REG.PROV.COLL.

N. 03068/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3068 del 2023, proposto da
MARCELLA PALLARA, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Nicolardi, Gianluigi Pellegrino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

COMUNE DI LECCE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Laura Astuto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Baldassarre in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

nei confronti

MARCELLO LEONE, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 346 del 2023;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lecce;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2023 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Pietro Nicolardi, Gianluigi Pellegrino e Giuseppe Pecorilla, in delega dell’avvocato Laura Astuto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ I fatti rilevanti ai fini del decidere possono essere così sintetizzati:

- gli uffici tecnici dell’Amministrazione comunale di Lecce eseguivano un sopralluogo in data 15 settembre 2020 presso l’immobile sito in Lecce, in via Matteo da Lecce n. 1, di proprietà della signora Marcella Pallara, dove accertavano l’apertura di un vano porta sulla facciata laterale dell’immobile, a primo piano, volto a consentire l’accesso ad una terrazza a livello adiacente, soprastante l’unità immobiliare a piano terra posta su via Matteotti n. 12, di proprietà del signor Marcello Leone;

- con nota dirigenziale prot. n. 113441 del 2 ottobre 2020, l’Amministrazione comunale invitava la signora Pallara a trasmettere il titolo amministrativo abilitante l’apertura del suddetto vano porta;

- con nota, acquisita al prot. n. 125850 del 28 ottobre 2020, la signora Pallara comunicava di aver acquistato l’immobile nel mese di dicembre dell’anno 1990 e che a quel tempo il vano porta era già esistente;

- con ordinanza n. 1489 del 20 novembre 2020, il Comune ingiungeva alla signora Pallara la chiusura del vano porta di accesso alla terrazza adiacente all’unità immobiliare, e avverso tale ordinanza la signora Pallara proponeva il ricorso giurisdizionale n. 300 del 2021;

- nel frattempo, con istanza prot. n. 142223 del 30 novembre 2020, e successiva integrazione prot. n. 150671 del 15 dicembre 2020, la signora Pallara chiedeva il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001;

- con nota in data 24 febbraio 2021, il tecnico della signora Pallara precisava che la stessa avrebbe acquisito la proprietà della terrazza a titolo originario per usucapione e che pendeva giudizio di accertamento n.r.g. 8942 del 2020 innanzi al Tribunale civile di Lecce;

- l’Amministrazione comunale, con nota prot. 5552 del 16 aprile 2021 ‒ visti la planimetria catastale storica del 1939 e l’atto di acquisto del 28 dicembre 1990 ‒ comunicava i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria, e con provvedimento dirigenziale prot. n. 90187 del 16 giugno 2021, denegava la sanatoria richiesta, in ragione dell’assenza del titolo di proprietà;

- con successiva ordinanza n. 1075 del 2 luglio 2021 ‒ all’esito di un ulteriore sopralluogo eseguito in data 27 gennaio 2021 in cui era stato rilevato che: «oltre all’apertura del vano porta, sono stati effettuati lavori anche sul piano di calpestio della terrazza in carenza dei prescritti titoli abilitativi legittimanti»; «la cupoletta del lastrico solare più vicina all’apertura della porta contestata è meno pronunciata della cupola del lastrico solare della seconda campata perché il vecchio piano di calpestio, per una migliore fruibilità dello stesso, sarebbe stato abusivamente sopraelevato di circa 40 cm» ‒ l’Amministrazione comunale annullava la precedente ordinanza di demolizione n.1489 del 20 novembre 2020 e ingiungeva nuovamente alla signora Pallara la chiusura del vano porta di accesso alla terrazza adiacente all’unità immobiliare e il ripristino dello stato dei luoghi sul lastrico solare della terrazza adiacente;

- la signora Pallara proponeva quindi un secondo ricorso giurisdizionale n.r.g. 1320 del 2021 avverso la nuova ordinanza n. 1075 del 2021, nonché avverso il diniego di accertamento di conformità del 15.06.2021;

- a fondamento dell’azione di annullamento sollevava i vizi così rubricati: i) violazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001; ii) Illegittimità derivata; iii) eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; iii) violazione degli artt. 3, 6, 10, 22, 32 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001; iv) violazione dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241; v) violazione dell’art. 31, commi 1, 2 e 3, del d.P.R. n. 380 del 2001; vi) violazione dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001; vii) violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, sotto l’ulteriore profilo degli artt. 12 e 28 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 7, 8 e 10-bis della legge n. 241 del 1990; viii) violazione dell’art. 31. comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001;

- nel giudizio di primo grado il signor Marcello Leone spiegava intervento ad opponendum al solo fine di rilevare l’omessa notifica e, quindi, l’inammissibilità del ricorso;

- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Lecce, con sentenza n. 1641 del 2021, dichiarava cessata la materia del contendere del ricorso n.r.g. 300 del 2021, posto che con ordinanza n. 1075 del 2 luglio 2021, prot. n. 1639, il Comune di Lecce aveva annullato in autotutela il provvedimento originariamente gravato.

2.– Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sez. I di Lecce, ha dichiarato inammissibile il ricorso per omessa notifica al proprietario dell’unità immobiliare su cui insiste la terrazza, signor Marcello Leone, quale controinteressato in senso formale e sostanziale, rilevando quanto segue:

«Il Collegio ritiene che il sig. Marcello Leone assuma la veste di controinteressato in senso formale e sostanziale. Sussiste, innanzi tutto, il requisito “formale”, in quanto, anche se l’ordinanza di demolizione impugnata non reca espressamente il nominativo del sig. Marcello Leone quale vicino segnalante l’abuso, lo stesso era facilmente individuabile quale proprietario attuale dell’area solare che aveva subito l’apertura senza titolo del vano porta in questione (“sulla facciata laterale dell’unità immobiliare, a piano primo, era stato aperto abusivamente un vano porta che consente l’accesso ad una terrazza adiacente costituita dai lastrici solari dell’unità immobiliare posta a piano terra di via Matteotti civ. 12”). In ogni caso, l’ordinanza n. 1075/2021 menziona espressamente il sig. Marcello Leone quale controparte della ricorrente nell’ambito del giudizio attivato davanti al Tribunale di Lecce nel mese di novembre del 2020 (cfr. pag. 2).

Giova infatti precisare che già nel novembre 2020 (ovvero in tempi antecedenti quelli della notifica del ricorso) la sig.ra Pallara, come testimoniato dal relativo atto dalla stessa depositato in giudizio, aveva notificato all’odierno interventore ad opponendum atto di citazione volto ad ottenere sentenza dichiarativa di intervenuta usucapione dell’area solare dell’immobile di proprietà dello stesso, in quanto indicato quale “attuale proprietario (dal 2013) dell’immobile di Via Matteotti nr. 12, sottostante l’area solare in questione (Sig. Leone Marcello)” (cfr. pag. 2 dell’atto di citazione).

Risulta sussistente anche il relativo requisito “sostanziale”, atteso che è stato evidenziato dalla giurisprudenza che in sede di impugnazione di un’ordinanza di demolizione di abusi edilizi, deve ritenersi contraddittore necessario il soggetto che abbia provveduto a segnalare l’abuso e “il cui diritto di proprietà risulta direttamente leso dall’opera edilizia […].

Tale orientamento, lungi dal porsi in contrasto con l’indirizzo tradizionale in base al quale nell’impugnazione di un’ordinanza di demolizione o di un diniego di sanatoria non sono normalmente configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio, ne costituisce una doverosa precisazione, laddove, come nel caso in esame, il diritto di proprietà del controinteressato pretermesso risulti direttamente inciso dalle opere edilizie realizzate in assenza di titolo, atteso che non può darsi rilievo alla vantata acquisizione del lastrico solare per usucapione da parte della ricorrente in assenza della sentenza dichiarativa che ne abbia accertato l’effettivo conseguimento a titolo originario.

Nella fattispecie in esame sussiste la immediata compromissione del diritto dominicale dell’interventore ad opponendum, direttamente rappresentata dalla realizzazione di un vano porta con relativo accesso sul lastrico solare di sua proprietà e relativa limitazione della possibilità di sfruttamento dello stesso, così come il conseguente vantaggio diretto ed immediato, riveniente dall’eventuale esecuzione dell’ingiunzione di ripristino impugnata.

Per costante e condiviso principio giurisprudenziale, l’effetto sanante della costituzione spontanea in giudizio del controinteressato, pacificamente riconosciuto nelle ipotesi di eventuali irregolarità della notificazione, non si verifica nel caso in cui la notificazione sia stata totalmente omessa, non potendo l’intervento in giudizio porre nel nulla gli effetti della decadenza dall’impugnazione, che si producono allo scadere del termine per la sua proposizione […]».

Secondo lo stesso T.a.r., il ricorso, oltre che inammissibile per omessa notifica al controinteressato ex art. 41, comma 2, c.p.a., «appare infondato nella parte in cui è diretto avverso il provvedimento di diniego di accertamento di conformità, provvedimento fondato sulla carenza di legittimazione ad avanzare la relativa istanza. Ad oggi, infatti, il sig. Leone risulta titolare del bene controverso (id est il lastrico solare) sul quale insistono le opere abusive e, pertanto, il responsabile dell’abuso non è legittimato a richiedere, senza il suo consenso, un permesso che potrebbe risolversi in danno dello stesso (titolare attuale). Tra l’altro, non può richiedersi all’amministrazione di accertare l’esistenza (non di elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo ma addirittura) del fatto costitutivo della proprietà, vicenda in contestazione tra le parti (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 2019, n. 3675; Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2020, n. 865; T.A.R. Basilicata, Sez. I, 13 novembre 2020, n. 718); ne consegue che l’usucapione (invocata dalla ricorrente) non è in tali casi suscettibile di accertamento incidentale da parte del Giudice Amministrativo».

3.– Ha proposto appello la signora Marcella Pallara, sostenendo l’erroneità della sentenza appellata per i seguenti motivi:

i) contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, il signor Marcello Leone (proprietario dell’immobile posto al civico n. 12 di via Matteotti, su segnalazione del quale è stato eseguito il sopralluogo del Comune di Lecce) non assumerebbe la veste di controinteressato, in quanto l’oggetto vero della controversia sarebbe l’apertura di un vano porta sulla facciata laterale dell’unità immobiliare di proprietà dell’odierna appellante relativamente al quale la proprietà dell’area solare confinante sarebbe circostanza estranea ed irrilevante; peraltro, sarebbe dirimente osservare che, nel provvedimento di ingiunzione a demolire, non emergerebbe alcuna menzione del signor Leone quale soggetto che avrebbe provveduto a segnalare l’abuso (il nominativo del sig. Leone comparirebbe in altra parte dell’atto impugnato ed esclusivamente nella frase: «Come dichiarato dalla stessa sig.ra Pallara nell’atto di citazione presentato nel mese di novembre presso il Tribunale di Lecce c/ Leone Marcello»); il signor Leone non avrebbe fornito, nel corso del giudizio di primo grado, alcuna prova di essere proprietario dell’area di cui si controverte; la circostanza che la signora Pallara avesse notificato all’odierno interventore ad opponendum l’atto di citazione volto a ottenere, in sede civile, la dichiarazione dell’intervenuta usucapione dell’area solare non rivestirebbe alcun rilievo ai fini dell’individuazione di controinteressati nel presente giudizio; in ogni caso, in ragione della peculiarità della vicenda, il giudice avrebbe dovuto concedere, ai sensi dell’art. 37 del c.p.c. l’errore scusabile;

ii) con riguardo all’impugnazione del provvedimento di diniego di sanatoria, il giudice di primo grado non avrebbe considerato che gli interventi in esame non riguardavano la proprietà di terzi, essendo l’odierna appellante proprietaria dell’immobile sul cui muro perimetrale è presente l’apertura; il regime proprietario dell’area limitrofa all'apertura sarebbe una circostanza ininfluente al fine del possesso della titolarità a richiedere il titolo edilizio; in ogni caso, l’appellante avrebbe titolo a conseguire la sanatoria per l’intervenuta usucapione dell’area scoperta sovrastante l’immobile di Via Matteotti n.12 adiacente visto il pacifico ed incontrastato possesso e godimento di durata trentennale; essendo tutt’ora in corso, innanzi al Tribunale ordinario di Lecce, il giudizio civile di usucapione, il giudice di prime cure avrebbe dovuto accogliere l’istanza di sospensione del processo ai sensi dell’art. 79, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2010, e dell’art. 295 c.p.c.

Su queste basi, l’appellante ripropone i seguenti motivi di ricorso rimasti assorbiti in primo grado:

a) violazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 (coincidente, in buona parte, con il secondo motivo di appello): il regime proprietario dell’area limitrofa all'apertura sarebbe circostanza ininfluente al fine del possesso della titolarità a richiedere il titolo edilizio; l’appellante avrebbe in ogni caso titolo a conseguire la sanatoria visto il trentennale pacifico ed incontrastato possesso e godimento delle aree solari su cui si accede dal vano porta di cui si verte, dal momento dell’acquisto in data 29 dicembre 1990 (quando quell’apertura sarebbe stata già esistente);

b) illegittimità derivata dal vizio del diniego di sanatoria (l’ordinanza di demolizione si fonderebbe sull’erroneo convincimento che l’apertura del vano sia abusiva e non sanabile);

c) l’impugnata ingiunzione sarebbe illegittima anche per vizi propri, e segnatamente:

c1) entrambi gli interventi in contestazione – l’apertura di un vano porta di accesso e l’ipotizzato, peraltro del tutto erroneamente, livellamento del lastrico solare (in quanto l’unico intervento effettuato per eliminare il dislivello sarebbe consistito meramente nella realizzazione di un gradino di accesso dal varco al lastrico solare adiacente) – rientrerebbero nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, e di conseguenza sarebbero riconducibili, rispettivamente, nel regime della SCIA e della CILA, per i quali è preclusa la sanzione della demolizione;

c2) violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, in quanto l’Amministrazione avrebbe omesso di spiegare le ragioni per cui, nonostante quanto rilevato in sede procedimentale, la sanatoria non fosse rilasciabile;

c3) violazione dell’art. 31, commi 1, 2 e 3 del d.P.R. n. 380 del 2001: essendo trascorsi trent’anni dal momento dell’acquisto dell'immobile (quando il vano porta sarebbe stato già esistente), nella ricorrente si sarebbe ingenerato il legittimo convincimento che l’intervento edilizio, da altri realizzato, fosse conforme alle previsioni normative; il legittimo affidamento dell’appellante riposerebbe anche nella peculiarità dei luoghi, dal momento che la posizione dell’immobile, ubicato proprio nel centro della città, avrebbe consentito a chiunque di rendersi conto dell’esistenza dell’intervento realizzato su di esso;

c4) l’intervento sanzionato, consistente nella realizzazione di una porta di accesso dall’abitazione al terrazzo, non determinerebbe alcun incremento volumetrico o di superficie utile, sarebbe dovuto ricadere nel regime dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001;

c5) anche alle sanzioni edilizie sarebbe ritenersi applicabile il termine di prescrizione di cui all’art. 28 della legge n. 689 del 1981, a norma del quale «il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione»;

c6) la sanzione pecuniaria – inserita dall’art. 17 comma 1 lettera q-bis) del D.L. 133/2014 convertito dalla legge 164 del 11 novembre 2014 – dovrebbe ritenersi applicabile ai soli gli abusi commessi anteriormente alla sua entrata in vigore e non anche a quelli antecedenti posta la variabilità dell'aspetto temporale nella diversa ipotesi della rilevanza del tempo dell'adozione (nel caso in esame, la realizzazione dell'apertura di cui si verte sarebbe stata realizzata in un periodo anteriore al 2014).

4.– Il Comune di Legge si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

5.– All’odierna udienza del 3 ottobre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.‒ La sentenza appellata ha dichiarato inammissibile il ricorso per omessa notificazione al proprietario dell’unità immobiliare su cui insiste la terrazza (signor Marcello Leone, autore della segnalazione che ha originato la sanzione demolitoria) rispetto al cui accesso è funzionale l’apertura abusiva realizzata sulla facciata laterale dell’edificio adiacente (di proprietà dell’odierna appellante, signora Marcella Pallara).

Lo scrutinio della questione presuppone, alla luce delle difese formulate dalle parti, alcune considerazioni preliminari in ordine alle figure del ‘terzo’ denunciante, del controinteressato formale e di quello sostanziale, che si pongono al crocevia fra diritto processuale e sostanziale.

1.1.– Nel diritto amministrativo, il termine «terzo» viene generalmente impiegato per indicare un soggetto che ‒ per quanto estraneo al rapporto bilaterale instaurato dal provvedimento (e intercorrente tra Amministrazione e destinatario) ‒ sia cionondimeno ‘interessato’ dagli effetti di quel medesimo atto.

Alcuni orientamenti giurisprudenziali avevano fatto del «terzo» una figura ‘anomala’: un soggetto di diritto sarebbe stato garantito, non perché titolare di un interesse individuale protetto, bensì in quanto partecipe di una frazione dell’interesse pubblico e, su queste basi, legittimato ad agire a garanzia della legittimità dell’azione amministrativa.

Con il concetto di «vicinitas» (soprattutto nel settore edilizio, urbanistico e ambientale) la legittimazione era fatta coincidere con il danno ‘collettivo’ risentito dalla comunità stanziata nell’insediamento abitativo dove la persona viveva. Ne derivava un regime giuridico asimmetrico: un soggetto normalmente estromesso dal procedimento, non considerato controinteressato in senso tecnico in un processo promosso da altri, veniva legittimato a impugnare il provvedimento finale.

L’impronta oggettivistica così impressa al processo amministrativo era il segno della persistenza, di tanto in tanto ancora emergente tra le pieghe dell’ordinamento, della concezione originaria di interesse legittimo come posizione soltanto ‘riflessa’. Di questa stratificazione concettuale sono del resto ancora oggi espressione la figura del c.d. interesse strumentale (dove pure la legittimazione è basata su di un mero interesse di fatto) e le legittimazioni speciali introdotte dal legislatore a beneficio di talune Amministrazioni indipendenti, che incidono, oltre che su alcuni elementi strutturali del processo, anche sulla funzione (che diviene di ‘controllo’) del giudizio amministrativo.

1.2.‒ La giurisprudenza prevalente ha oramai preso le distanze dall’impostazione sopra descritta.

Il codice del processo amministrativo presuppone il carattere soggettivo della giurisdizione e la natura sostanziale degli interessi ivi dedotti (art. 7 c.p.a.). Salvo le deroghe espressamente previste dalla legge, l’iniziativa processuale è riservata a coloro che possono dirsi titolari di situazioni soggettive garantite dalle norme sostanziali. Anche colui che risente gli effetti negativi di una decisione che non lo riguarda direttamente può ottenere tutela a condizione che la sua posizione giuridica possa dirsi normativamente qualificata e differenziata.

Inquadrato in modo coerente con i dettami del processo soggettivo, il «terzo» non è altro che il titolare di un interesse legittimo ‘oppositivo’, come tale legittimato ad impugnare l’altrui atto ampliativo e, specularmente, controinteressato sostanziale nel giudizio contro l’altrui diniego (o altro atto sanzionatorio-repressivo). La figura va radicalmente distinta dai consociati che patiscono, sul piano del mero fatto, le ‘esternalità negative’ dell’azione amministrativa (la stessa espressione «terzo» andrebbe forse abbandonata, in quanto riecheggia il principio di relatività degli effetti del contratto che, nel contesto dell’azione amministrativa, non riveste alcuna capacità esplicativa).

Il «terzo» vanta una posizione qualificata nella misura in cui invoca l’osservanza di regole preordinate alla protezione (anche) della sua sfera giuridica. Ciò avviene quando, nel contesto di attività economiche e sociali regolate dal diritto pubblico per garantire lo sviluppo ordinato di una trama di rapporti reciprocamente interferenti, l’Amministrazione deve prendere decisioni che incidono, allo stesso tempo, sia sull’interesse di chi chiede il permesso di intraprendere una certa attività (come quella costruttiva), sia in ordine agli interessi contrapposti presi in considerazione dal medesimo assetto regolativo. In queste ipotesi, anche i soggetti che non sono non destinatari dell’atto hanno titolo a chiedere tutela contro l’inosservanza delle regole pubblicistiche, in quanto evocano un interesse legittimo uguale e contrario a quello del destinatario dell’atto.

Al fine di selezionare (all’interno della indistinta pluralità di soggetti cui si riferisce, nella sua generalità e astrattezza, la norma violata) coloro che possono ritenersi individualmente incisi dall’esercizio illegittimo del potere ‒ e, per questo, siano titolari di una posizione anche differenziata, oltre che qualificata ‒ la giurisprudenza ha elaborato un sorta di test del danno (o dell’attitudine lesiva, a seconda della concezione astratta o concreta che si abbia della legittimazione), in virtù del quale l’istante deve allegare e dimostrare il pregiudizio personale, e non meramente ‘organico’ o ‘collettivo’, che abbia subito o rischi di subire a causa dell’iniziativa altrui.

È questo, in sostanza, l’approdo recente dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 9 dicembre 2021, n. 22), secondo cui: «[n]ei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato».

L’assunto dell’Adunanza plenaria, pienamente condiviso dal Collegio, andrebbe forse unicamente corretto, sul piano sistematico, nella parte in cui riconduce la verifica del danno ‒ che, come si è visto attiene alla differenziazione della situazione giuridica azionata colta nella sua specifica relazione con il potere amministrativo ‒ all’interesse a ricorrere (e non alla legittimazione). L’interesse a ricorrere è la condizione dell’azione finalizzata, non a selezionare il novero dei soggetti che possono accedere al processo, bensì a verificare l’utilità che sentenza può effettivamente assicurare a colui che pure sarebbe legittimato ad impugnare, al fine di evitare un vano dispendio di attività processuali. Si tratta, in sostanza, di un vaglio prettamente negativo che tiene conto delle circostanze particolari che rendono di fatto sterile l’annullamento, precludendo la soddisfazione dell’interesse finale azionato, per quanto normativamente protetto.

1.3.‒ Tirando le fila del discorso e tornando al caso in esame, il signor Marcello Leone è sicuramente titolare di un interesse legittimo oppositivo, in quanto proprietario dell’immobile adiacente che subirebbe un danno certo dalla realizzazione di un vano porta con relativo accesso sul lastricato solare di sua proprietà, con conseguente limitazione della possibilità di godimento dello stesso. Questi era dunque controinteressato sostanziale nel processo avverso l’altrui ordine di demolizione e diniego di sanatoria (e, infatti, nel giudizio di primo grado ha spiegato intervento ad opponendum).

Sennonché, il controinteressato sostanziale non è parte necessaria nel processo amministrativo.

Nel giudizio di annullamento ‒ come si desume dagli artt. 27, comma 1, 41, comma 2, primo periodo ‒ le parti necessarie sono identificate alla sola stregua dell’atto impugnato. Accanto alla titolarità di una posizione giuridica autonoma, uguale e contraria a quello del ricorrente, occorre che questi sia formalmente «individuato» nell’atto impugnato (invece, per le azioni di condanna l’ultimo periodo dello stesso art. 41, comma 2, include, tra le parti necessarie, anche gli «eventuali beneficiari dell’atto illegittimo»). Per i soli controinteressati (anche) formali, ma non intimati, il codice di rito prescrive l’integrazione del contraddittorio come condizione di validità della sentenza.

Si tratta di una opzione tecnica che ‒ senza rendere impossibile o estremamente difficile il diritto di difesa dei controinteressati non «individuati» nell’atto, i quali possono comunque intervenire nel giudizio (di primo e secondo grado) e proporre opposizione di terzo avverso la sentenza pregiudizievole resa inter alios (l’art. 102 c.p.a. riconosce all’interventore «titolare di una posizione giuridica autonoma» anche la legittimazione ad appellare) ‒ intende, nel bilanciamento non irragionevole di tutti i valori costituzionali coinvolti, evitare al ricorrente e al giudice una impervia opera di investigazione dei portatori di situazioni giuridiche antagoniste.

1.4.‒ Il signor Marcello Leone ‒ sebbene avesse denunciato l’abuso ‒ non era stato «individuato» nel provvedimento e quindi non doveva, a pena di inammissibilità essere destinatario della notifica del ricorso. Il fatto che la signora Pallara avesse instaurato nei confronti del signor Leone un giudizio civile per l’accertamento dell’usucapione dell’area solare è circostanza evidentemente ininfluente ai fini del processo amministrativo (invero, l’ordinanza ingiunzione richiama fugacemente l’atto di citazione al solo fine di sostenere che la signora Pallara avrebbe ivi dichiarato di avere abusivamente sopraelevato il piano di calpestio del lastrico solare).

2.– Nella parte in cui ha dichiarato il ricorso inammissibile ex art. 41, comma 2, c.p.a., la sentenza va dunque riformata.

Le ulteriori argomentazioni di merito che il giudice di primo grado ha inserito nella parte finale della motivazione della sentenza, di seguito alla statuizione di inammissibilità, sono prive di rilevanza di rilevanza giuridica, in quanto rese sul presupposto della preclusione processuale a esaminare il merito. Sul piano logico-giuridico, è escluso che tali argomentazioni possano costituire un’autonoma ratio decidendi che la parte soccombente abbia conseguentemente l’onere, di impugnare al fine di evitare la formazione del giudicato in ordine alla stessa (la tesi, condivisa dal Collegio, della carenza di potere di esame nel merito del giudice che abbia dichiarato inammissibile la domanda, è stata affermata dalla Corte di Cassazione, con le sentenze: Sez. Un. 14 marzo 1990 n. 2078; Sez. Un. 15 maggio 1992 n. 5794; Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840).

Nel caso di specie, l’assunto per cui la declaratoria di inammissibilità del ricorso il giudice ha definitivamente chiuso il giudizio è confermato dal fatto che le considerazioni di merito: da un lato, non si sono in alcun modo riflesse nel dispositivo; sotto altro profilo, la loro formulazione, parziale e approssimativa, non è equiparabile ad una decisione che, in quanto incentrata su tutti gli aspetti della controversia, possa dirsi espressiva della funzione giurisdizionale.

Diverso, ovviamente, è il caso in cui il giudice di prime cure, pur rilevando la sussistenza di una ragione di rito per la definizione del giudizio in limine litis, decida espressamente di prescinderne e di motivare in modo assorbente nel merito (principio della c.d. ragione più liquida).

La ‘doppia’ motivazione della sentenza resta prospettabile nel caso in cui la domanda di annullamento sia fondata su ragioni antitetiche, formulate in via alternativa o subordinata. In questo caso, il giudice, con la motivazione ulteriore, deve superare tutti gli argomenti che, per quanto collocati su piani gradati, si pongono come autonoma ed autosufficiente base legale della pretesa azionata.

3.– Vanno a questo punto scrutinati i motivi di ricorso assorbiti in primo grado e interamente riproposti in appello.

4.‒ L’impugnazione avverso il diniego di sanatoria edilizia è infondata.

4.1.‒ Alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere non solo i soggetti legittimati a chiedere il permesso di costruire (indicati dall’art. 11 comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e che si trovano in posizione di detenzione qualificata del bene) ma anche ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima (in particolare, l’autore dell’illecito non proprietario, il quale voglia evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso: cfr. l’art. 36 e l’art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001), sempre a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso del proprietario, e ferma restando la salvezza dei diritti di terzi.

4.2.– Nella vicenda per cui è causa, la sanatoria non poteva essere richiesta dal proprietario del solo edificio sul cui muro perimetrale è stata realizzata la porta. Contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, la proprietà della terrazza non è affatto irrilevante, in quanto la porta è funzionale proprio a consentire l’accesso e il godimento della terrazza stessa.

Il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che ha la totale disponibilità del bene, non essendo sufficiente la proprietà di una sua parte o quota, né tantomeno è sufficiente disporre della proprietà del diverso immobile adiacente.

4.3.– A sostegno delle ragioni dell’odierno appellante neppure può invocarsi la clausola normativa che salvaguarda i diritti dei terzi (così l’art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 secondo cui il rilascio del titolo abilitativo «non comporta limitazione dei diritti dei terzi»). Tale previsione, se di regola esime l’Amministrazione procedente dall’effettuare approfondimenti civilistici, non consente alla stessa di prescindere dalla carenza di legittimazione emergente per tabulas.

L’Amministrazione, come si è detto, ha sì l’obbligo di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile oggetto dell’intervento costruttivo. Ma tale accertamento deve essere di ‘pronta soluzione’, in quanto gli uffici amministrativi non hanno evidentemente alcuna competenza a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati.

Per le ragioni appena esposte, il Comune non poteva ignorare che la pretesa del richiedente di essere proprietario per usucapione dell’area interessata era controversa, tanto da avere ingenerato una causa civilistica (l’ordinanza di demolizione, peraltro, era stata adottata proprio su segnalazione del proprietario dell’immobile di via Matteotti 12, la cui terrazza l’appellante sostiene di avere usucapito). Nelle more della definizione del giudizio civile, l’ente locale non poteva procedere ad un accertamento ‘autonomo’.

Per questi motivi, il Comune ha correttamente motivato il diniego in ragione della mancata dimostrazione della proprietà della terrazza in capo all’appellante.

5.– Anche l’ordinanza ingiunzione di demolizione 1075 del 2021 appare immune dai vizi autonomi dedotti.

5.1.‒ La misura ripristinatoria si giustifica in quanto l’intervento realizzato dalla signora Pallara – consistente nell’innalzamento del piano della terrazza e nell’apertura del vano porta – ha riguardato la proprietà di terzi, diversi dal soggetto che ha eseguito i lavori e che ha presentato il permesso di costruire in sanatoria. Le considerazioni svolte sulle caratteristiche costruttive dell’intervento in esame non colgono dunque nel segno (peraltro, a seguito di sopraluogo effettuato in data 27 gennaio 2021, era stato rilevato dall’Amministrazione che la cupoletta più vicino all’apertura della porta contestata era meno pronunciata della cupola del lastrico solare della seconda campata perché il vecchio piano di calpestio era stato abusivamente sopraelevato di circa 40 cm).

5.2.‒ Stante l’acclarata abusività del manufatto abusivo, l’ordine di demolizione era atto dovuto e vincolato e non necessitava di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi.

È dunque infondato il denunciato di motivazione, stante l’adeguatezza degli elementi addotti dall’Amministrazione comunale a sostegno del provvedimento impugnato, così come deve escludersi una carenza di istruttoria (va rimarcato che, nel corso del procedimento, gli uffici comunali chiedevano l’acquisizione del titolo di proprietà riferito alla terrazza posta a livello della proprietà Pallara; effettuavano ben due sopraluoghi; con nota del 16 aprile 2021 comunicavano i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria).

5.3.‒ Sotto altro profilo, secondo la giurisprudenza consolidata, la repressione degli abusi edilizi – in considerazione della natura ‘reale’ dell’illecito edilizio – non è soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura repressiva intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso. L’illecito edilizio ha carattere permanente, che si protrae e che conserva nel tempo la sua natura.

5.4.‒ Per gli stessi motivi, la giurisprudenza ritiene altresì che non sia configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non potrebbe legittimare.

La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.

Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata.

Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse (così la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2017).

5.5.‒ Le deduzioni sulla violazione del contraddittorio procedimentale (per omessa considerazione degli argomenti difensivi forniti in sede procedimentale) sono anch’esse infondate.

L’onere di esaminare le memorie depositate in sede procedimentale (ai sensi dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990) non comporta la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata, in quanto per giustificare il provvedimento conclusivo adottato è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite.

Deve pure aggiungersi che, essendo palese che il «contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», l’atto impugnato non sarebbe stato comunque annullabile ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, vigente ratione temporis.

6.– Va da ultimo respinta la censura secondo cui la sanzione pecuniaria – introdotta dall’art. 17, comma 1, lettera q-bis), del decreto legge n. 133 del 2014, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, che ha integrato l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2011 con i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater – potrebbe applicarsi per i soli abusi commessi anteriormente alla sua entrata in vigore e non anche a quelli antecedenti, posto che la realizzazione dell’apertura risalirebbe ad un periodo anteriore al 2014.

6.1.‒ Il legislatore ha previsto un’ulteriore sanzione di natura afflittiva, nel caso di inottemperanza all’ordinanza di demolizione che deve essere disposta senza indugio (col medesimo atto di accertamento dell’inottemperanza o con un atto integrativo autoritativo successivo).

Come chiarito dall’Adunanza plenaria (sentenza 11 ottobre 2023, n. 16), la sanzione pecuniaria ha la finalità di prevenzione generale e speciale, mirando a dissuadere dalla commissione degli illeciti edilizi e a salvaguardare il territorio nazionale: il comma 4-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, in sostanza, sanziona chi non si è adoperato per porre rimedio alle conseguenze derivanti dagli abusi realizzati direttamente o a causa della mancata vigilanza sui propri beni.

Sulla base dei principi costituzionali e convenzionali, la sanzione pecuniaria non può essere irrogata nei confronti di chi – prima dell’entrata in vigore della legge n. 164 del 2014 – abbia già fatto decorrere inutilmente il termine di 90 giorni e sia risultato inottemperante all'ordine di demolizione, pur se tale inottemperanza sia stata accertata dopo la sua entrata in vigore.

L’irrogazione della medesima sanzione pecuniaria, invece, ben può essere riferita anche ad abusi anteriori al 12 novembre 2014 ‒ senza violare il principio di irretroattività della legge più sfavorevole ‒ qualora l’inottemperanza all’ingiunzione posta a base della sanzione venga accertata successivamente al decorso di 90 giorni dall’entrata in vigore della legge che ha introdotto tale sanzione (come, per l’appunto, è accaduto nel caso in esame).

7.‒ Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite del doppio grado di giudizio, in considerazione delle particolarità e novità della questione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado con diversa motivazione.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Dario Simeoli, Presidente FF, Estensore

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

Francesco Cocomile, Consigliere