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Cass. Sez. III sent.8176 del 8marzo 2006 (c.c.. 1 febbraio 2006)
Pres. Papadia Est. Franco Ric. Di Cesare ed altri
Urbanistica – Realizzazione di sottotetto abitabile

La realizzazione di un ampliamento di un appartamento sottostante mediante la costruzione di un nuovo vano abitabile, dotato di servizi igienici e finestre, ma privo di ingresso e, quindi, con tutta evidenza destinato a divenire parte integrante e completamento dell’appartamento al quale è stabilmente collegato mediante scala interna costituisce nuova costruzione soggetta a permesso di costruire e non anche intervento di ristrutturazione edilizia

dai CEAG

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 01/02/2006
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 161
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 41288/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Di Cesare Anna, Galimberti Carlo, Pellegrini Francesco Saverio, Giorgiani Mario;
avverso l'ordinanza emessa il 29 settembre 2005 dal Tribunale di Pescara, quale Giudice del riesame;
udita nella udienza in Camera di consiglio del 1 febbraio 2006 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Milia Giuliano.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 30 luglio 2005 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara dispose il sequestro preventivo del cantiere e delle opere abusive in esecuzione in relazione al reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b), - per il quale erano indagati la Di Cesare, quale committente, il Galimberti quale direttore dei lavori, ed il Pellegrini ed il Giorgiani quali esecutori - per avere gli stessi, in assenza di permesso di costruire, proceduto alla realizzazione di un locale con lavatoio interamente chiuso su tutti i lati e poggiante sull'ultimo piano di un fabbricato sito in viale Kennedy in Pescara.
Osservò tra l'altro il G.I.P. che sussisteva il fumus del reato ipotizzato perché si trattava di una opera nuova che aumentava la volumetria già realizzata all'ultimo piano (superattico) e che non poteva in nessun modo essere definita "sottotetto" con caratteristiche di pertinenzialità rispetto al sottostante appartamento.
Il Tribunale di Pescara, quale Giudice del riesame, con ordinanza del 29 settembre 2005, rigettò l'istanza di riesame osservando: a) che l'intervento in questione non rientrava in nessuna delle ipotesi per le quali la legge o il regolamento edilizio di Pescara consentono la realizzazione tramite denunzia di inizio attività anziché tramite permesso di costruire; b) che infatti, pur essendo l'opera astrattamente assentibile ai sensi dell'art. 82 del regolamento edilizio, l'intervento modificava l'assetto statico dell'immobile, la cui valutazione, da parte della pubblica amministrazione, non può essere compiuta tramite denunzia di inizio attività; c) che pertanto sussisteva il fumus del reato ipotizzato attesa la mancanza del permesso di costruire.
Gli indagati propongono ricorso per Cassazione deducendo violazione ed erronea applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 10, 22 e 23, come integrato dal D.P.R. 27 dicembre 2002, n. 301. Rilevano che il Tribunale non si è avveduto che il regolamento edilizio di Pescara, emanato il 27 dicembre 2000, è stato superato dal successivo testo unico dell'edilizia, e relative integrazioni. Ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 10 e 22, per l'intervento in questione, essendo esso conforme agli strumenti urbanistici (perché astrattamente assentibile ai sensi dell'art. 82 del regolamento edilizio comunale che disciplina i sottotetti), è sufficiente il titolo edilizio costituito dalla denunzia di inizio attività. Il Tribunale ha violato tali disposizioni di legge, non potendo una norma regolamentare precedente prevalere su norme poste da atti aventi forza di legge, per di più in materia coperta da riserva di legge. Il richiamo effettuato dalla ordinanza impugnata al criterio c.d. statico è inconferente perché la staticità dell'edificio, in ipotesi di costruzione con cemento armato, riguarda il genio civile, al quale vanno depositati i relativi calcoli, e perché nella specie è stata depositata al comune, come prescrive l'art. 23 del testo unico dell'edilizia, la dettagliata relazione del progettista abilitato con i relativi calcoli progettuali. Il Tribunale del riesame non ha spiegato perché la valutazione sul punto da parte del comune non potrebbe avvenire anche attraverso la denunzia di inizio attività e comunque non ha indicato una norma che attribuisca al comune di valutare la staticità, che è di competenza del genio civile.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Dalla ordinanza impugnata e dall'istanza di riesame risulta che il 30.7.2003 la Di Cesare presentò denunzia di inizio attività per coprire con un tetto il lastrico solare situato sopra la sua abitazione al piano superattico e per realizzare un locale di sgombero. Con denunzia di inizio attività in variante del 2.8.2004 comunicò l'inserimento, nel "sottotetto" in questione, di un lavatoio. Con successiva denunzia di inizio attività del 24.6.2005 dichiarò che intendeva completare il locale rendendolo pertinenziale alla sottostante abitazione con l'inserimento di una scala di comunicazione interna tra le due unità, la modifica del lavatoio in W.C. e l'inserimento degli impianti igienici, l'inserimento sulle facciate di finestre uguali a quelle esistenti nel fabbricato, l'eliminazione del portoncino di ingresso.
Il Giudice per le indagini preliminari ha quindi ritenuto che il manufatto in corso di realizzazione non poteva assolutamente qualificarsi come "sottotetto" o come pertinenza della sottostante abitazione ed ha quindi ritenuto sussistente il fumus del reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b).
Orbene, essendo questa la situazione di fatto pacificamente esistente nella specie, il ricorso deve essere rigettato, anche se la motivazione della ordinanza impugnata va rettificata come segue, poiché effettivamente l'incidenza sull'assetto statico dell'immobile è un elemento irrilevante in ordine alla determinazione del titolo abilitativo necessario (permesso di costruire o denunzia di inizio attività).
Come risulta in modo inequivoco dagli atti, gli indagati stanno in pratica realizzando, sul lastrico solare sito sopra l'appartamento della Di Cesare, un vero e proprio nuovo vano abitabile, di circa 42 mq., dotato di finestre e servizi igienici e collegato mediante una scala interna all'abitazione sottostante.
Del tutto correttamente ed in modo ineccepibile, quindi, il Giudice per le indagini preliminari ha escluso che l'opera in corso di realizzazione potesse qualificarsi come "sottotetto" con caratteristiche di pertinenzialità del sottostante appartamento, ai sensi dell'art. 82 del regolamento edilizio del comune di Pescara, o come vano da destinare a locale di sgombero come indicato nella denunzia di inizio attività.
Del resto, a ben vedere, il riferimento all'art. 82 del regolamento edilizio comunale è del tutto inconferente nel caso in esame sia perché non si è sicuramente in presenza di un "sottotetto", sia perché la qualificazione di un locale come sottotetto, non abitabile o abitabile, ai sensi della citata disposizione regolamentare non incide sulla scelta del titolo abilitativo occorrente per la sua realizzazione ex novo ai sensi del testo unico dell'edilizia. È poi evidente come non possa assolutamente parlarsi di pertinenza. Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, in materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza ha caratteristiche sue proprie diverse da quelle contemplate dal codice civile e si sostanzia in un'opera che pur essendo preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e quindi non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato. Inoltre la pertinenza deve essere sfornita di autonomo valore di mercato e deve essere dotata di un volume minimo tale da non consentire una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile a cui accede. Non può perciò ricondursi alla nozione di pertinenza la costruzione, in elusione della normativa edilizio-urbanistica, di un corpo di fabbrica ampliativo di un edificio preesistente e non ontologicamente diverso da esso, ossia l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne diventi parte integrante e lo completi (cfr. Sez. 3^, 17 gennaio 2003, Chiappalone, m. 224.288; Sez. 3^, 5 novembre 2002, Cipolla, m. 223.036; Sez. 3^, 6 maggio 1999, Santapaola, m. 214.001; Sez. 3^, 18 marzo 1999, Vigliotti, m. 214.500; Sez. 3^, 23 febbraio 1998, Cento, m. 210.694; Sez. 3^, 19 febbraio 1998, Portelli, m. 210.692).
Nella specie si è appunto trattato dell'ampliamento dell'appartamento sottostante, mediante la costruzione di un nuovo vano abitabile, dotato di servizi igienici e finestre, ma privo di portoncino di ingresso e, quindi, con tutta evidenza destinato a divenire parte integrante e completamento dell'appartamento al quale è stabilmente collegato mediante la scala interna.
Si tratta quindi sicuramente di un intervento di nuova costruzione che richiedeva il rilascio di permesso di costruire ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 10, di modo che la sua esecuzione non preceduta dal rilascio del permesso di costruire integra il reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b). Non può infatti in alcun modo parlarsi di un "intervento di ristrutturazione edilizia" che, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, lett. d), deve consistere in un intervento rivolto "a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente". Nel caso in esame, infatti, non vi è stata nessuna trasformazione di un organismo edilizio esistente bensì la costruzione di un manufatto edilizio fuori terra ovvero l'ampliamento di quello esistente all'esterno della sagoma esistente, e quindi appunto un "intervento di nuova costruzione" ai sensi del citato art. 3, lett. e 1).
Del resto, quand'anche si volesse ipotizzare che si tratti di un intervento di ristrutturazione edilizia esso, comportando la realizzazione di un organismo edilizio in parte diverso da quello precedente, rientrerebbe fra gli interventi previsti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 10, comma 1, lett. c), come tale realizzabile anche mediante denunzia di inizio attività in alternativa al permesso di costruire ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 22, comma 3, lett. a).
Se così fosse, però, in base al disposto del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 2 bis, art. 44, sussisterebbe ugualmente il reato di cui al citato art. 44, lett. b), dal momento che le opere realizzate sono, ai sensi dell'art. 31, in palese totale difformità dalla denunzia di inizio attività poiché quest'ultima riguardava la realizzazione di un locale di sgombero mentre è stato realizzato un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche e di utilizzazione.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 1 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2006