Consiglio di Stato Sez. IV n.9265 del 25 novembre 2025
Sviluppo sostenibile.Impianti per produzione di biometano
L’art. 12, comma 4-bis, d.lgs. n. 387 del 2003, prevede che “Per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa, ivi inclusi gli impianti a biogas e gli impianti per produzione di biometano di nuova costruzione, e per impianti fotovoltaici […] il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell'autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto” (primo periodo). Il medesimo comma 4-bis, poi, aggiunge che “Per gli impianti diversi da quelli di cui al primo periodo il proponente, in sede di presentazione della domanda di autorizzazione di cui al comma 3, può richiedere la dichiarazione di pubblica utilità e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio delle aree interessate dalla realizzazione dell'impianto e delle opere connesse” (secondo periodo). Pertanto, per gli impianti di produzione di biometano, come quello di specie, il proponente deve dimostrare la disponibilità del suolo prima del rilascio dell’autorizzazione (art. 12, comma 4-bis, primo periodo, d.lgs. n. 387 del 2003), con esclusione della possibilità di fare ricorso alla procedura espropriativa (12, comma 4-bis, secondo periodo, d.lgs. n. 387 del 2003).
Pubblicato il 25/11/2025
N. 09265/2025REG.PROV.COLL.
N. 09717/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9717 del 2023, proposto dal Comune di Caivano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ferdinando Pinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Angelo Marzocchella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Biotech s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Feliciana Ferrentino e Lorenzo Lentini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli, Ente idrico campano, Ato Napoli 1, Comune di Acerra, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. 05193/2023, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e della Biotech s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2025 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con il ricorso di primo grado, il Comune di Caivano ha impugnato l’autorizzazione integrata ambientale (d.g.r. n. 219 dell’11 settembre 2020: di seguito, AIA) rilasciata dalla Regione Campania in favore della società Biotech s.r.l., per la realizzazione di un impianto di produzione di biometano, ottenuto dalla gestione di biomasse agricole (colture dedicate, sottoprodotti e scarti agricoli e deiezioni animali) e agroindustriali (scarti della lavorazione della filiera alimentare), nonché dalla frazione organica dei rifiuti solido urbani, con una fase successiva di compostaggio per l’ottenimento di compost di qualità.
2. – Con un primo ricorso per motivi aggiunti (depositato il 15 febbraio 2021), il Comune di Caivano ha poi impugnato il provvedimento di autorizzazione unica ex art. 12 del D.lgs. n. 387 del 2003 (d.d. n. 28 del 9 ottobre 2020: di seguito AU), l’autorizzazione paesaggistica (d.d. n. 23 dell’8 agosto 2020) e il provvedimento di valutazione di impatto ambientale (d.d. n. 134 del 31 luglio 2020: di seguito VIA).
3. – Con un secondo ricorso per motivi aggiunti (depositato in data 3 dicembre 2021), ha impugnato anche il provvedimento autorizzatorio unico regionale (d.d. n. 245 del 26 ottobre 2021: di seguito PAUR) per la realizzazione dell’impianto di produzione di biometano in questione, riproducendo, in via derivata, le medesime censure già proposte avverso le singole autorizzazioni confluite all’interno dell’atto conclusivo.
4. – Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti.
4.1. – In via preliminare, ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso, ritenendo che l’inclusione all’interno del PAUR dei singoli titoli abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi non implica che tale provvedimento possa essere inteso alla stregua di un atto sostitutivo che assorbe e supera tutte le precedenti autorizzazioni, essendo piuttosto “comprensivo delle altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto” (pag. 6-7 della sentenza impugnata).
4.2. – Ciò posto, ha respinto nel merito il ricorso principale e i motivi aggiunti in quanto infondati tanto nella parte in cui si contesta la legittimità dell’atto conclusivo (PAUR) quanto degli atti presupposti (AIA, AU, VIA, autorizzazione paesaggistica).
4.2.1. – In particolare, con una prima serie di censure, il Comune ha contestato l’assenza di legittimazione procedimentale in capo alla Biotech per mancanza della qualità di “gestore” dell’impianto di cui si chiede l’autorizzazione, svolgendo essa piuttosto un ruolo di intermediazione tra l’amministrazione e il produttore finale.
Il T.a.r. ha respinto il motivo ritenendo che il d.lgs. n. 387 del 2003 faccia riferimento al “proponente” e non essendovi invece alcun riferimento ai requisiti del “gestore” (punto 7.1.a, pag. 8 della sentenza impugnata), come confermato anche dalle definizioni contenute nelle linee guida regionali alla predisposizione e presentazione della domanda di autorizzazione integrata ambientale, da cui non emerge la “necessità che il proponente, all’atto della domanda, figuri anche come “gestore”” (punto 7.1.a, pag. 9 della sentenza impugnata).
In secondo luogo, ha respinto le censure relative all’assenza dei requisiti in capo alla Biotech (mancanza delle certificazioni ISO e SOA OG 9 e OS 14, mancato esercizio di attività di produzione di energia da fonti rinnovabili, mancata iscrizione alla camera di commercio per attività coerente con la costruzione e gestione di impianti di rifiuti, oltre alla mancata iscrizione all’Albo nazionale gestione rifiuti).
In particolare, ha innanzitutto precisato che la disciplina applicabile è quella contenuta nella delibera g.r. n. 15 del 2020 e non in quella n. 80 del 2014 (sostituita dalla prima), dovendo trovare applicazione il principio tempus regit actum secondo cui va applicata la disciplina vigente al momento dell’adozione dell’atto conclusivo del procedimento, peraltro espressamente estesa ai procedimenti, come quello in esame, pendenti alla data della sua entrata in vigore (27 gennaio 2020), mentre ha escluso l’applicazione del diverso criterio che individua la disciplina applicabile al momento della presentazione dell’istanza, come nel caso delle procedure concorsuali (pag. 10 della sentenza impugnata).
Ciò posto, ha ritenuto sussistenti i requisiti previsti da tale normativa in capo alla Biotech e precisamente: iscrizione nel registro delle imprese con codice ATECO 71.12.1 (attività di studi di ingegneria) e 35.11 (produzione di energia elettrica), ossia per “attività sicuramente coerenti ai fini del rilascio dei titoli autorizzatori” in quanto il primo codice (71.12.1) riguarda “la gestione di progetti di costruzioni commerciali ed industriali, con particolare riferimento al trattamento rifiuti ed energie rinnovabili” e il secondo (35.11) è relativo alla “gestione di impianti di produzione elettrica indipendentemente dalla fonte (termica, nucleare, idro-elettrica, turbine a gas, diesel e forme rinnovabili) e l’impianto controverso, che ha per oggetto produzione di biometano, è soggetto al rilascio degli stessi titoli previsti per gli impianti di produzione di energia elettrica” (pag. 11 della sentenza impugnata), oltre ad essere “titolare, con riferimento ad alcune di tali coerenti attività, di Certificazione UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001” (pag. 12 della sentenza impugnata).
Inoltre, la società ha effettuato la comunicazione di attivazione presso la camera di commercio di altri due codici ATECO: 41.20.00 per la costruzione di edifici residenziali e non residenziali e 38.21.09 per il trattamento e smaltimento di altri rifiuti non pericolosi (pag. 11-12 della sentenza impugnata).
4.2.2. – Il T.a.r. ha respinto anche il secondo motivo di ricorso relativo alla localizzazione dell’impianto in zona agricola, con conseguente difetto di motivazione in ordine alla disponibilità di altre aree idonee in zona industriale (Consorzio ASI) e alla questione dei flussi veicolari:
a) quanto alla incompatibilità urbanistica dell’impianto, ha rilevato che l’art. 12, d.lgs. n. 387 del 2003 ha espressamente previsto la possibilità di localizzazione di impianti di produzione di energia come quello in esame in zone agricole riconoscendo all’autorizzazione regionale l’effetto di variante urbanistica (punto 7.2.a, pag. 12 della sentenza impugnata).
b) inoltre, ha ritenuto irrilevante l’indizione di una procedura per l’assegnazione di aree da parte del Consorzio ASI “atteso che i siti in questione risultano ancora indisponibili all’attualità, riguardando aree da espropriare e urbanizzare” (punto 7.2.b, pag. 13 della sentenza impugnata).
c) quanto alla questione dei flussi di traffico e della portanza degli assi viari in zona agricola, ha ritenuto che la stessa “risulta adeguatamente approfondita in sede conferenziale, anche a seguito delle integrazioni richieste alla controinteressata che, in particolare, ha prodotto nell’ambito della procedura di VIA studi specialistici, con prove in situ svolte dal geologo Paone, valutati positivamente dagli enti partecipanti alla conferenza e non smentiti dalle asserzioni dell’ente ricorrente” (punto 7.2.c, pag. 13 della sentenza impugnata).
4.2.3. – Infine, ha respinto l’ultimo motivo di ricorso relativa alla violazione della normativa di tutela paesaggistica per i “Regi Lagni”, ritenendo che le caratteristiche proprie del vincolo paesaggistico siano state adeguatamente approfondite nel corso del procedimento, avuto riguardo al parere con prescrizioni della Regione e al parere favorevole con prescrizioni della Soprintendenza (punto 7.3, pag. 14 della sentenza impugnata).
5. – Con atto di appello, il Comune di Caivano ha impugnato la sentenza.
5.1. – Con il primo motivo di appello (pag. 3-15) ha ribadito la carenza dei requisiti soggettivi per il rilascio dell’autorizzazione unica in capo alla Biotech.
5.2. – Con il secondo motivo di appello (pag. 15-19) ha ribadito la carenza dei requisiti oggettivi per difetto di istruttoria in relazione ai seguenti aspetti: a) edificazione in zona agricola, con conseguente obbligo di motivazione rafforzata; b) mancata considerazione degli effettivi movimenti veicolari; c) violazione dei principi in tema di vincolo paesaggistico.
5.3. – Infine, ha reiterato la censura relativa alla questione dell’aumento dei flussi veicolari, deducendo un vizio di omessa pronuncia (pag. 19-20 dell’appello).
6. – Con apposita memoria, si è costituita la Regione Campania che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica a tutti gli enti che hanno preso parte alla conferenza di servizi (pag. 5-6 dell’atto di costituzione).
7. – Con apposita memoria si è costituita la Biotech s.r.l. che ha eccepito l’inammissibilità del motivo nuovo consistente nell’eccepire la carenza di legittimazione della società al momento del rilascio del titolo e non più al momento della presentazione dell’istanza, come invece dedotto in primo grado (pag. 5-6 della memoria del 26 gennaio 2024).
In ogni caso, ha chiesto il rigetto nel merito dell’appello in quanto infondato (pag. 6-15 della memoria). In particolare, la società ha ribadito che il codice 71.12.1 riguarda la gestione di progetti di costruzione civili ed industriali, con particolare riferimento al trattamento rifiuti ed alle energie rinnovabili (pag. 7 della memoria) e che il codice 35.11 riguarda la gestione di impianti di produzione di energia elettrica di qualsiasi origine (termica, nucleare, idroelettrica, da turbine a gas, diesel e fonti rinnovabili (pag. 8) e, pertanto, coerente con l’impianto in questione.
Infine, ha riproposto le eccezioni non esaminate in primo grado (pag. 15-21 della memoria).
8. – Con memoria ex art. 73 c.p.a., la Biotech s.r.l. ha eccepito anche l’inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione ed interesse del Comune di Caivano, trattandosi di un interesse di mero fatto (pag. 3-5 della memoria del 12 maggio 2025).
Ha affermato, poi, che la realizzazione dell’edificio in questione rientrerebbe nel Codice ATECO 41.20 (pag. 11 della memoria del 12 maggio 2025) e che “Biotech è iscritta per plurime attività con Codice 71.12.1, 35.11 e 41.20, il possesso della Certificazione di Qualità per una di tali attività è requisito idoneo e sufficiente per rispettare la disciplina regolamentare della Regione Campania” (pag. 15 della memoria del 12 maggio 2025).
9. – All’udienza pubblica del 12 giugno 2025, la causa è stata trattenuta per la decisione.
10. – L’appello è infondato.
11. – Preliminarmente, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità dell’appello, essendo questo infondato nel merito.
12. – Con il primo motivo di appello (pag. 3-15), il Comune di Caivano ha ribadito la carenza dei requisiti soggettivi per il rilascio dell’autorizzazione unica in capo alla Biotech in quanto: a) si tratterebbe di “società di mera progettazione” (pag. 5 dell’appello) che non svolge attività di costruzione e gestione di impianti di trattamento di rifiuti; b) non avrebbe “nessuna certificazione ISO coerente con la richiesta” (pag. 7 dell’appello); c) non sarebbe in possesso di codici ATECO “coerenti” con l’attività di costruzione e gestione di impianti di trattamento di rifiuti, in quanto il primo (72.12.1) riguarda genericamente l’attività di progettazione e “neppure si comprende da dove la sentenza abbia tratto la conclusione che il codice riguardi la progettazione di costruzioni commerciali e industriali con particolare riferimento al trattamento rifiuti ed energie rinnovabili” (pag. 10 dell’appello), mentre il secondo codice (35.11) riguarda la sola costruzione di edifici a destinazione non industriale e dunque per civili abitazioni o destinanti al commercio, per cui sarebbe una mera affermazione di principio quella del primo giudice secondo cui tale codice sarebbe idoneo “in quanto gli impianti per la produzione di energia elettrica sarebbero soggetti al rilascio degli stessi titoli previsti sia se si tratti di energia termica, nucleare, turbine e lavorazione di rifiuti” (pag. 11 dell’appello); stesso discorso anche con riguardo al successivo codice 41.2 relativo alla costruzione di soli edifici residenziali e non residenziali, in quanto per i fabbricati a carattere industriale come quello di specie il codice è il 42.99, mentre il codice 38.21.09 relativo al trattamento e smaltimenti di altri rifiuti non pericolosi è stato attribuito solo nel dicembre 2020, ossia successivamente all’autorizzazione con decreto del 9 ottobre 2020, n. 28 (sul punto, il Comune reitera la richiesta di verificazione in ordine alla sequenza temporale e alla portata dei codici ATECO – pag. 12 dell’appello).
12.1. – Il motivo è infondato.
12.1.1. – Invero, con particolare riguardo al possesso dei requisiti soggettivi (primo motivo di appello), la normativa di riferimento (delibera di Giunta regionale n. 15/2020, Allegato A – doc. 18 del fascicolo di primo grado Biotech) prevede che, ai fini dell’emissione del decreto di autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, inerente ad impianti per la produzione di biogas preveniente da trattamenti biologici della frazione organica di rifiuti solidi urbani (c.d. FORSU), il proponente dell’istanza deve risultare in possesso dei seguenti requisiti:
a) essere regolarmente iscritto nel Registro delle imprese della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, competente per il territorio, “con un codice attività coerente con l’attività di costruzione e gestione di impianti per il trattamento di rifiuti a recupero e/o smaltimento” (Allegato A, punto 1, d.g.r. n. 15/2020);
b) essere in possesso della Certificazione UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001 (Allegato A, punto 5, d.g.r. n. 15/2020).
12.1.2. – Con riferimento ai suddetti requisiti, dalla documentazione in atti, risulta che la Biotech è in possesso di:
a) iscrizione alla camera di commercio con attività prevalente la “gestione di progetti di costruzioni civili e industriali con particolare riferimento al trattamento dei rifiuti ed alle energie rinnovabili” (codice ATECO 71.12.1), oltre ad avere come oggetto sociale anche la “realizzazione e gestione di opere e impianti per il monitoraggio, la tutela dell’ambiente e la produzione di energia con particolare riferimento alle fonti rinnovabili” (doc. 15 del fascicolo di primo grado Biotech – visura camerale).
b) certificazioni di qualità ISO 9001:2015 e 14001:2015 per il settore di attività “Progettazione di impianti di produzione di biogas e energie rinnovabili da trattamento rifiuti” (doc. 14 del fascicolo di primo grado Biotech).
12.1.3. – Orbene, premesso che il possesso di un codice attività “coerente” con la costruzione e gestione di impianti di trattamento rifiuti, lascia inevitabilmente un certo margine di discrezionalità in capo all’amministrazione nello stabilire il grado di coerenza tra le due attività, deve ritenersi che l’attività prevalente della Biotech (codice ATECO 71.12.1) sia senz’altro “coerente” con la realizzazione dell’impianto in questione, dal momento che tale codice non riguarda genericamente l’attività di progettazione (come invece ritenuto dall’appellante: cfr. pag. 10 dell’appello), ma attiene alla gestione di progetti di costruzioni civili ed industriali “con particolare riferimento al trattamento dei rifiuti ed alle energie rinnovabili”, nel cui ambito rientra certamente l’impianto di produzione di biometano ottenuto dal trattamento della c.d. FORSU.
Né può ritenersi che l’amministrazione, nel definire tale attività come “coerente”, abbia operato una qualificazione manifestamente irragionevole o abbia travisato i fatti, che sono i soli profili su cui può essere esercitato il sindacato giurisdizionale in tema di discrezionalità amministrativa.
Con riferimento, invece, ai certificati di qualità, dalla documentazione in atti risulta che l’attività per la quale la società risulta essere titolare di un certificato di qualità è proprio quella relativa all’impianto in questione (“Progettazione di impianti di produzione di biogas e energie rinnovabili da trattamento rifiuti”), non essendo necessario, ai fini che qui interessano, il possesso dei certificati di qualità per tutte le attività per le quali è iscritta.
Ne consegue, quindi, l’infondatezza dell’eccezione di parte appellante secondo cui si sarebbe formato il giudicato sulla carenza di alcuni certificati dal momento che il T.a.r. ha affermato che la società è in possesso di “alcuni” certificati e non tutti.
Il motivo, quindi, deve ritenersi infondato.
13. – Con il secondo motivo di appello (pag. 15-19), il Comune ha ribadito la carenza dei requisiti oggettivi per difetto di istruttoria e motivazione.
In particolare, con il motivo in esame, la parte appellante contesta sostanzialmente la localizzazione dell’opera in zona agricola, deducendo: a) l’insussistenza di una “motivazione rafforzata”; b) l’insufficienza di una motivazione in ordine alla riduzione dei flussi veicolari che nella specie sarebbe marginale (8%); c) la disponibilità di altre aree idonee in zona industriale.
Infine, ha reiterato la censura relativa all’omessa considerazione dell’aumento dei flussi veicolari (pag. 19-20 dell’appello).
13.1. – Con riferimento alla prima censura, la parte appellante ha dedotto un vizio di difetto di motivazione del provvedimento impugnato, in ragione della specifica previsione di un obbligo di “motivazione rafforzata” ai sensi dell’art. 12, comma 7, d.lgs n. 387 del 2003, secondo cui nell’ubicazione di un impianto in zona agricola, “si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale”.
La censura è infondata, in quanto, dai provvedimenti impugnati, risulta una specifica motivazione anche su tale aspetto, laddove si evidenzia che “gli accorgimenti tecnici e le numerose misure mitigative e compensative adottate consentono un corretto inserimento dell’impianto nel paesaggio rurale (recinsione con alberi autoctoni ad alto fusto, utilizzo di piante rampicanti, uso di cromatismi propri del contesto locale, rimozione dei rifiuti abbandonati, sistema di videosorveglianza a presidio del territorio, etc..) e una valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali (cfr. cartellonistica smart con informazioni sui prodotti tipici, misure a sostegno del sistema agricolo etc..), una tutela della biodiversità e del patrimonio storico-culturale (premi di laurea specifici, orti-laboratori per progetti con le scuole, segnalatori per la fauna selvatica, cartellonistica con applicativo web per smartphone per diffondere le informazioni sui canali storici dei Regi Lagni e sui prodotti delle tradizioni agroalimentari locali)” (pag. 23 e 24 dell’AIA).
La censura, pertanto, è infondata.
Ne consegue, quindi, l’irrilevanza dell’ulteriore censura relativa alla asserita insufficienza di una motivazione in ordine alla riduzione dei flussi veicolari, non essendo questa l’unica ragione posta a sostegno della localizzazione dell’opera in zona agricola.
13.2. – Allo stesso modo, deve ritenersi infondato l’assunto relativo alla disponibilità di altre aree in zona industriale, con specifico riferimento all’ambito del Consorzio ASI e alla relativa procedura per l’assegnazione delle aree.
La sentenza impugnata ha respinto tale censura evidenziando che “i siti in questione risultano ancora indisponibili all’attualità, riguardando aree da espropriare e urbanizzare, di talché non risulta affatto contraddetta la certificazione del Consorzio A.S.I. da cui risulterebbe la non disponibilità, all’interno della zona industriale, di un lotto pianeggiante di circa 27.500 mq necessario per l’intervento” (punto 7.2.b, pag. 13 della sentenza impugnata).
Sul punto, la parte appellante, pur ammettendo che si tratta di lotti ancora da espropriare, ha dedotto però che tale situazione non solo sarebbe identica a quella del soggetto promotore che deve ancora acquistare il lotto su cui realizzare l’intervento, ma sarebbe addirittura migliore alla luce dell’art. 12, comma 3 (rectius, comma 4-bis), d.lgs. n. 387 del 2003 che consente al proponente di richiedere la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera con apposizione del vincolo preordinato all’esproprio delle aree interessate dalla realizzazione dell’impianto e delle opere connesse (cfr. pag. 17 dell’appello).
L’assunto è infondato.
Invero, la norma richiamata dalla parte appellante non si applica agli impianti di produzione di biometano come quello in esame.
Infatti, l’art. 12, comma 4-bis, d.lgs. n. 387 del 2003, prevede che “Per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa, ivi inclusi gli impianti a biogas e gli impianti per produzione di biometano di nuova costruzione, e per impianti fotovoltaici […] il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell'autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto” (primo periodo).
Il medesimo comma 4-bis, poi, aggiunge che “Per gli impianti diversi da quelli di cui al primo periodo il proponente, in sede di presentazione della domanda di autorizzazione di cui al comma 3, può richiedere la dichiarazione di pubblica utilità e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio delle aree interessate dalla realizzazione dell'impianto e delle opere connesse” (secondo periodo).
Pertanto, per gli impianti di produzione di biometano, come quello di specie, il proponente deve dimostrare la disponibilità del suolo prima del rilascio dell’autorizzazione (art. 12, comma 4-bis, primo periodo, d.lgs. n. 387 del 2003), con esclusione della possibilità di fare ricorso alla procedura espropriativa (12, comma 4-bis, secondo periodo, d.lgs. n. 387 del 2003).
Sul punto, peraltro, occorre altresì segnalare la norma di interpretazione autentica secondo cui “Il comma 4-bis dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, introdotto dall'articolo 27, comma 42, della legge 23 luglio 2009, n. 99, deve intendersi riferito esclusivamente alla realizzazione di impianti alimentati a biomasse situati in aree classificate come zone agricole dagli strumenti urbanistici comunali” (art. 65, comma 5, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27).
La censura, pertanto, è infondata, con conseguente assorbimento dell’ulteriore contestazione relativa alla mancata urbanizzazione delle aree situate nel Consorzio ASI (cfr. pag. 18 dell’appello).
13.3. – Dalla infondatezza delle suddette censure in ordine alla localizzazione dell’impianto in zona agricola, deriva l’infondatezza anche del rilievo secondo cui tale localizzazione sarebbe stata in realtà motivata da mere esigenze economiche di carattere speculativo (cfr. pag. 17-18 dell’appello).
Invero, l’espressa previsione di legge (art. 12, d.lgs. n. 387 del 2003), unitamente alla specifica motivazione in ordine alla considerazione dei valori paesaggistici e ambientali, nonché la dimostrata assenza di ragionevoli alternative all’ubicazione dell’impianto (indisponibilità di lotti in zona industriale), consentono di ritenere legittimamente effettuata la ponderazione degli interessi in gioco in ordine alla localizzazione dell’impianto, fermo restando la naturale sussistenza di un interesse economico del soggetto promotore che di per sé non è idoneo ad evidenziare un sintomo di eccesso di potere per sviamento.
A ciò si aggiunga, inoltre, che il bilanciamento degli interessi risulta correttamente effettuato, anche avuto riguardo alle esigenze espressamente indicate di: - incrementare la produzione di un combustibile green da fonte rinnovabile (biometano); - ridurre il gap impiantistico della Regione Campania per gli impianti di trattamento della frazione organica di rifiuti urbani da raccolta differenziata; - ridurre la movimentazione dei rifiuti prodotti in Campania, con sostanziale riduzione dell’inquinamento e dei rischi legati alla logistica, nel rispetto del principio di prossimità; - ridurre l’infrazione comunitaria per l’emergenza rifiuti in Campania (pag. 22 dell’AIA), con specifico riferimento alla procedura sanzionatoria di 40.000,00 euro al giorno per la mancanza di impianti di trattamento di rifiuti organici (pag. 12 dell’AIA).
14. – Con riferimento al vincolo paesaggistico, infine, il primo giudice ha respinto l’ultimo motivo di ricorso di primo grado relativo alla violazione della normativa di tutela per i “Regi Lagni”, ritenendo che le caratteristiche proprie del vincolo paesaggistico siano state adeguatamente approfondite nel corso del procedimento, avuto riguardo al parere con prescrizioni della Regione e al parere favorevole con prescrizioni della Soprintendenza (punto 7.3, pag. 14 della sentenza impugnata).
14.1. – Sul punto, la parte appellante ha reiterato la censura, ribadendo la sussistenza di un vincolo paesaggistico (c.d. Regi Laghi) e contestando la genericità della motivazione della Soprintendenza sulla possibile rimozione del vincolo ripresa poi dalla sentenza impugnata.
In particolare, ha dedotto la sussistenza di un “un equivoco di fondo e cioè la convinzione che l’intervento antropico verificatosi nella zona avrebbe comportato un’alterazione tale dell’intera zona per cui sarebbe impossibile una tutela diversa da quella proposta attraverso le opere di compensazione paesaggistiche e di mitigazione del rischio oggetto della tutela” (pag. 19 dell’appello).
14.2. – La censura è infondata.
Invero, dall’esame degli atti impugnati, risulta che la questione della sussistenza di un vincolo paesaggistico sia stata oggetto di particolare approfondimento istruttorio, anche mediante apposito sopralluogo tecnico al fine di verificare l’effettivo stato dei luoghi, da parte della Regione Campania, dell’Università degli studi di Napoli Parthenope, del Comune di Caivano e della società Biotech s.r.l., all’esito del quale è emerso che l’originario corso d’acqua “Lagno Vecchio” non esiste più, in quanto «A seguito dei lavori di installazione del collettore fognario la morfologia dei luoghi è stata profondamente modificata e ad oggi non è possibile rilevare, in quanto non presenti, le caratteristiche geomorfologiche, idrografiche e naturalistiche che caratterizzano un “corso d’acqua”» (verbale di sopralluogo del 29 ottobre 2019, testualmente riportato a pag. 11 dell’AIA).
Inoltre, come evidenziato dalla sentenza impugnata, la Soprintendenza Archeologia di Napoli ha espresso parere favorevole, con prescrizioni, richiedendo, in particolare, “che la palazzina uffici venga ulteriormente allontanata dall'ingresso del lotto distanziandola dunque dall'originario percorso dei Regi lagni; che venga aggiunta in tale zona ulteriore piantumazione autoctona ad alto fusto; che si ottemperi a tutte le misure di mitigazione paesistiche-ambientali e tutte le misure di compensazione paesisticheambientali cosi come descritte nella relazione paesaggistica allegata alle integrazioni acquisite dalla Soprintendenza il 12.05.2020 con prot. n. 6458”.
Tali misure, come chiarito nel parere, sono “finalizzate non solo all'incremento della compatibilità paesaggistica del progetto nell'area in cui è collocato ma anche alla valorizzazione del sistema ambientale e culturale del tratto dei Regi Lagni”.
Ne consegue, quindi, l’infondatezza della censura di parte appellante, non essendovi alcun difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla tutela del vincolo paesaggistico.
15. – Infine, con riguardo alla censura relativa all’omessa considerazione dell’aumento dei flussi veicolari (pag. 19-20 dell’appello), anch’essa deve essere respinta.
Invero, con tale motivo di censura, la parte appellante si è limitata a dedurre un vizio di omessa pronuncia su di un motivo di ricorso assumendo che il primo giudice avrebbe omesso “qualsiasi considerazione sugli specifici motivi di doglianza prospettati nel ricorso di primo grado” essendosi limitato “a riprodurre quanto contenuto nella perizia prodotta dal ricorrente” (pag. 19 dell’appello), con conseguente riproposizione testuale del motivo di primo grado (pag. 20 dell’appello e pag. 20 del ricorso di primo grado).
Tale censura, a prescindere dalla sua inammissibilità per difetto di specificità, deve ritenersi infondata, in quanto con il ricorso di primo grado il Comune aveva dedotto un vizio di difetto di istruttoria sulla questione dei flussi veicolari, su cui invece il primo giudice non solo si è espressamente pronunciato (con conseguente insussistenza del vizio di omessa pronuncia) ma ha anche adeguatamente motivato in ordine alla insussistenza del difetto di istruttoria.
Sul punto, infatti, il primo giudice ha correttamente ritenuto che “Dalla documentazione prodotta, infatti, si evince che i mezzi pesanti non attraversano le aree abitate, sviluppandosi sempre in contesti extraurbani. Difatti, come emerge in particolare dalla perizia in atti depositata dalla Biotech – che all’uopo fa rinvio, tra gli altri, all’elaborato prodotto nell’ambito del procedimento VIA “VII 10 Studio delle condizioni locali di traffico” con le molteplici planimetrie allegate - emerge, in particolare, che l’impianto si trova in prossimità della zona ASI e la viabilità di collegamento è sempre esterna ai centri abitati e che, al massimo, risulterebbe lambita solo per un brevissimo tratto un’area a prevalenza industriale/commerciale, che costituisce l’estrema periferia del Comune di Acerra. Dunque, anche tale ulteriore profilo risulta adeguatamente approfondito e superato favorevolmente. Del resto, nell’ambito del tavolo tecnico del 5 novembre 2019 (presenti, tra gli altri, il competente dirigente regionale e due esponenti dell’Università degli studi Parthenope), lo stesso Comune di Caivano ha ritenuto superate, all’esito della valutazione delle controdeduzioni tecniche effettuate dalla società Biotech, tutte le criticità rappresentate” (punto 7.2.c, pag. 13-14 della sentenza impugnata).
Si tratta, peraltro, di statuizioni che non sono state oggetto di specifiche censure in sede di appello.
16. – In conclusione, quindi, l’appello deve essere respinto.
17. – Le spese di lite possono essere compensate in ragione della complessità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Michele Conforti, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere
Rosario Carrano, Consigliere, Estensore




