Consiglio di Stato Sez. II n.8662 del 20 dicembre 2019
Urbanistica.Misure di salvaguardia
 
Lo scopo della disposizione relativa alle cd. misure di salvaguardia è di evitare di mettere l'autorità di pianificazione di fronte al fatto compiuto di interventi che siano in contrasto con l'assetto voluto per il futuro del territorio, e vengano realizzati ugualmente nelle more dell'approvazione dello strumento che li intende proibire . Infatti, la previsione di cui all'art. 12 comma 3 d.P.R. n. 380 del 2001 e cioè delle misure di salvaguardia, è finalizzata ad evitare che la non ancora intervenuta approvazione da parte della Regione, o comunque di altra autorità competente, di eventuali previsioni di non edificabilità previste dal piano in vigore consenta ai proprietari delle aree interessate di realizzare nuove costruzioni nel periodo intercorrente tra la predisposizione di un nuovo piano e l'approvazione di questo da parte della Regione, in tal modo eludendo, durante tale fase, le stesse previsioni contenute nel progettato nuovo piano



Pubblicato il 20/12/2019

N. 08662/2019REG.PROV.COLL.

N. 03921/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3921 del 2009, proposto dal
signor Michele Terrera, rappresentato e difeso dall'avvocato Salvatore Di Pardo, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Comune di Riccia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sabato Criscuolo e Rosario Losito, con domicilio eletto presso l’avv. Carmine De Vita in Roma, via Gallia n.122;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise n. 96/2008, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento di diniego della concessione edilizia del 13 dicembre 1999


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Riccia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Salvatore Di Pardo e l’avvocato Ugo De Luca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Il signor Terrera, proprietario di un terreno sito in via Colle della Macchia nel Comune di Riccia, in data 22 ottobre 1999, ha presentato richiesta di concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato urbano da destinare in parte ad attività commerciale ed in parte a civile abitazione sul terreno di sua proprietà, identificato al catasto alla particella 664 del foglio n. 41.

In base a quanto affermato nella relazione tecnica allegata alla domanda, si trattava di un ampliamento volumetrico in zona C2, ma il progetto e la domanda di concessione riguardavano una nuova costruzione (per complessivi 1800 metri cubi). Nella relazione tecnica l’area veniva indicata come destinata, in base all’allora vigente Programma di fabbricazione, in parte in zona B ed in parte in zona C/2.

Con delibera n. 36 del 15 novembre 1999 il Comune di Riccia ha adottato il nuovo Piano Regolatore, successivamente approvato solo con la delibera di Consiglio Regionale n. 99 del 27 aprile 2004.

Con provvedimento del 13 dicembre 1999 prot. n. 8695, il Responsabile del V settore del Comune di Riccia ha comunicato il diniego di concessione edilizia motivandolo con riferimento al parere negativo espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 13 dicembre 1999 in quanto: "La proposta progettuale si configura come nuova costruzione e, pertanto, appare incongruente la richiesta di ampliamento. Si invita il progettista a revisionare eventualmente il progetto alla luce delle norme più restrittive di salvaguardia dell’attività urbanistica - edilizia (L. 1150/49 e successive modificazioni) ".

Tale provvedimento è stato impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Molise unitamente agli atti preordinati, consequenziali o connessi, compreso il parere della commissione edilizia del Comune di Riccia del 23 novembre 1999 n. 4, nonché la delibera n. 36 del 15 novembre 1999, con la quale il Consiglio Comunale di Riccia ha adottato il nuovo P.R.G.

Con il ricorso di primo grado si è sostenuto il difetto di motivazione del provvedimento impugnato e la conformità del progetto presentato in allegato all’istanza di concessione edilizia con lo strumento urbanistico preesistente in relazione all’esistenza di una sagoma all’interno del Programma di fabbricazione del 1983; si è, inoltre, contestata la illegittimità della delibera n. 36 del 15 novembre 1999 di adozione del nuovo PRG, in relazione alla mancata astensione di consiglieri in conflitto di interessi, alla mancata fase di valutazione di compatibilità ambientale antecedente al PRG; infine, il ricorrente ha dedotto con riferimento al nuovo PRG la mancata comparazione tra interesse urbanistico e interesse delle posizioni giuridiche consolidate e delle aspettative dei privati.

Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso sulla base della destinazione dell’area prevista dal programma di fabbricazione incompatibile con l’intervento di nuova costruzione, ritenendo comunque inesistente il fabbricato da ampliare; ha ritenuto che il programma di fabbricazione, prevedesse la destinazione in parte C1 in parte C2; la destinazione C2 avrebbe consentito sul confine della zona C2 un ampliamento del fabbricato esistente in zona B, ma nel caso di specie non esistente; mentre la zona C1 avrebbe consentito la nuova edificazione ma entro i limiti previsti in tale zona; infine, ha ritenuto la carenza di interesse alla impugnazione del nuovo PRG, comunque non applicato dal Comune, mentre l’invito a ripresentare il progetto è stato qualificato come un atto privo di natura lesiva.

Con l’atto di appello è stato dedotta l’erroneità della sentenza e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, in quanto sarebbe stato erroneamente integrato in giudizio dalla difesa comunale; l’erroneità del provvedimento e della sentenza che hanno ritenuto incompatibile il progetto presentato con la destinazione delle zone B e C2; sono state dedotte, inoltre, censure relative alla violazione dei principi di buon andamento, buona fede, collaborazione , in quanto l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto invitare alla ripresentazione del progetto eventualmente indicando le modifiche non semplicemente rigettarlo; è stata, inoltre, contestata pur genericamente la dichiarazione di inammissibilità della impugnazione avverso la parte del provvedimento impugnato con cui il Comune invitava alla presentazione di un nuovo progetto alla luce del nuovo PRG, senza peraltro riproporre le censure formulate in primo grado avverso il PRG.

Si è costituito in giudizio il Comune di Riccia eccependo l’inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, non essendo stata contestata nell’atto di appello la destinazione urbanistica dell’area considerata dal giudice di primo grado e non essendo mai stata impugnata la delibera di approvazione del PRG; ha comunque contestato la fondatezza dell’appello

All’udienza pubblica del 26 novembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio di prescindere dall’esame delle eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse in relazione alla evidente infondatezza dello stesso.

In relazione al motivo di appello relativo al difetto di motivazione del provvedimento impugnato e alla illegittima integrazione in giudizio della motivazione, ritiene il Collegio di precisare che il provvedimento comunale impugnato ha respinto la richiesta di concessione edilizia, presentata in data 22 ottobre 1999, per la realizzazione di: “un fabbricato urbano da destinare in parte ad attività commerciale ed in parte a civile abitazione”, sulla base della “incongruità” dello stesso progetto presentato, facendo esso riferimento in parte ad un ampliamento di un fabbricato esistente (ma in realtà non esistente) e in altre parti ad un progetto di nuova costruzione.

Tale incongruità ha sostanzialmente impedito l’esame della domanda, la quale, peraltro, come dimostrato nel corso del giudizio di primo grado dalla difesa comunale, non avrebbe potuto comunque avere esito positivo, in quanto la destinazione urbanistica dell’area non consentiva le nuove costruzioni.

Ciò pacificamente, in quanto, in base alle NTA del programma di fabbricazione depositate nel giudizio di primo grado dalla difesa ricorrente, in zona B erano ammessi solo interventi sugli immobili esistenti e demolizioni e ricostruzioni; in zona C2 erano consentite solo costruzioni in ampliamento.

Nel caso di specie, sia dal progetto presentato che da quanto emerge dalle difese in giudizio risulta evidente che nell’area in questione non fosse presente alcun fabbricato, mentre il riferimento alla “sagoma” esistente, riguarda le indicazioni contenute in alcune disposizioni del programma di fabbricazione, ma ai fini di individuare la volumetria consentita al momento del rilascio del titolo edilizio; la previsione di una “sagoma” nel programma di fabbricazione non comportava, quindi, alcuna modifica circa la futura qualificazione di un intervento edilizio come di nuova costruzione, che tale sarebbe rimasta in base alla situazione effettivamente esistente al momento della richiesta e del rilascio del titolo edilizio.

La indicazione di una “sagoma” nel programma di fabbricazione, che, peraltro, era contenuta nelle NTA relative alla zona C1, non comportava dunque alcuna possibilità di considerare l’intervento realizzato come ampliamento.

Né soccorre la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Molise n. 274 del 1984, depositata in giudizio dalla parte appellante, in quanto tale sentenza riguarda l’annullamento del programma di fabbricazione nella parte in cui non consentiva l’intervento diretto in mancanza di piano attuativo.

In base al progetto presentato in allegato all’istanza di concessione edilizia, deriva, quindi, che, applicando le norme tecniche del Programma di fabbricazione, seppure il terreno fosse rientrato in area destinata in parte in zona B ed in parte in zona C/2 dello strumento urbanistico, come affermato dalla parte appellante, da ciò non sarebbe potuta conseguire una concessione edilizia, poiché, il piano precludeva comunque nuove costruzioni.

Non essendo, dunque, esistente alcun fabbricato da ampliare, e non essendo tale circostanza di fatto mai contestata dalla parte né in primo grado né in appello, risulta legittimo l’operato dell’amministrazione comunale che ha respinto la richiesta di concessione edilizia.

Peraltro, nel caso di specie, in seguito alla domanda di concessione edilizia era stato adottato un nuovo piano regolatore con delibera n. 36 del 15 novembre 1999 (poi approvato con delibera regionale del 27 aprile 2004) che per l’area in questione, ha previsto la classificazione in zona C/1, che ammetteva la nuova edificazione anche se con limiti di edificabilità restrittivi (con superficie minima del lotto di 500 metri quadri e indice di fabbricabilità di mc/mq 1,00).

Il Comune, dunque, chiamato ad esprimersi su una richiesta di concessione edilizia era tenuto a valutare in forza della legge del 3 novembre 1952 n. 1902 oggi confluito nell’art. 12 comma 3 del DPR 380 del 2001, per cui “a decorrere dalla data della deliberazione comunale di adozione dei piani regolatori generali e particolareggiati, e fino all'emanazione del relativo decreto di approvazione, il sindaco, su parere conforme della Commissione edilizia comunale, può, con provvedimento motivato da notificare al richiedente, sospendere ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui all'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato”.

Nel caso di specie, risulta evidente dalla formulazione letterale del provvedimento impugnato, e dalla sua conformità al parere della Commissione edilizia, la volontà del Comune di valutare il progetto di edificazione sulla base della conformità al PRG adottato.

Come è noto, secondo la consolidata giurisprudenza, lo scopo della disposizione relativa alle cd. misure di salvaguardia è di evitare di mettere l’autorità di pianificazione di fronte al fatto compiuto di interventi che siano in contrasto con l’assetto voluto per il futuro del territorio, e vengano realizzati ugualmente nelle more dell’approvazione dello strumento che li intende proibire (Cons. di Stato, sez. VI, 14 giugno 2017 n. 2919). Infatti, la previsione di cui all’art. 12 comma 3 d.P.R. n. 380 del 2001 e cioè delle misure di salvaguardia, è finalizzata ad evitare che la non ancora intervenuta approvazione da parte della Regione, o comunque di altra autorità competente, di eventuali previsioni di non edificabilità previste dal piano in vigore consenta ai proprietari delle aree interessate di realizzare nuove costruzioni nel periodo intercorrente tra la predisposizione di un nuovo piano e l’approvazione di questo da parte della Regione, in tal modo eludendo, durante tale fase, le stesse previsioni contenute nel progettato nuovo piano (Cons. di Stato, sez. IV, 6 aprile 2016 n. 1354).

Nel caso di specie, dal testo del provvedimento di diniego adottato dal Comune emerge la volontà di fare riferimento a tali misure di salvaguardia, esprimendo appunto il Comune il riferimento alla valutazione del progetto alla luce della nuova disciplina urbanistica, in conformità al parere della Commissione edilizia comunale.

Peraltro, come rilevato dal giudice di primo grado, non risulta una formale presa di posizione del Comune sul nuovo Piano regolatore, proprio in relazione alla “incongruenza” del progetto presentato. Tale incongruenza, essendo il progetto riferito ad una nuova costruzione, ma indicando anche l’ampliamento, aveva impedito il concreto esame del progetto stesso; per questo l’Amministrazione invitava alla presentazione di un nuovo progetto, preannunciando che sarebbe stato esaminato alla luce del nuovo PRG, in relazione appunto alle cd. misure di salvaguardia.

Ne deriva, quindi anche la infondatezza della censura (peraltro non proposta in primo grado) relativa alla violazione del principio del buon andamento e della buon fede in relazione alla mancata attivazione di un obbligo di collaborazione da parte del Comune con la richiesta di un nuovo progetto, essendo esattamente questo il contenuto dell’ “invito” rivolto alla parte nel provvedimento impugnato, anche tenuto conto che il nuovo PRG aveva previsto per l’area di proprietà dell’appellante la destinazione C1, “Aree residenziali di espansione edilizia soggette a interventi diretti”, che consentiva entro certi limiti la possibilità di nuove costruzioni.

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 2500,00 (duemilacinquecento,00) oltre accessori di legge, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Riccia, pari a euro 2500,00 (duemilacinquecento,00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l'intervento dei magistrati:

Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Carla Ciuffetti, Consigliere