Cass. Sez. III n. 40687 del 13 settembre 2018 (Ud 25 giu 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Masi
Rifiuti.Qualificazione di una sostanza o un oggetto quale rifiuto

La qualificazione di una sostanza o un oggetto quale rifiuto consegue a dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsene, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettive ed indipendentemente da una eventuale riutilizzazione economica, potendosi tali dati ricavare anche dalla natura della sostanza o dell’oggetto, dalla sua origine, dalle condizioni, dalla conseguente necessità di successive attività di gestione e da ogni altro elemento idoneo a ricondurlo nell’ambito della definizione datane dall’art. 183, comma 1, lett. a) d.lgs. 152\06

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 2/11/2016 il Tribunale di Siena ha accolto la richiesta di riesame presentata nell'interesse di Idilio MASI avverso l'ordinanza di convalida di sequestro e conseguente decreto di sequestro preventivo di un annesso agricolo e dell'area circostante, emessa dal giudice delle indagini preliminari in data 8/10/2016 sul presupposto della commissione dei reati di cui all'articolo 256, comma 2 d.lgs. 152/2006, accertati il 5/10/2016.
Veniva infatti ipotizzato il deposito incontrollato, nei pressi di un capannone agricolo adiacente un podere nella disponibilità dell'impresa individuale “La Soluzione di Masi Idilio”, all'interno di una superficie di circa 140 metri quadrati, di rifiuti pericolosi e non pericolosi consistenti in materassi in gommapiuma; sacchi in plastica di colore nero, del tipo RSU, contenenti divise con catarifrangenti del tipo in uso ai vigili del fuoco; una roulotte con le insegne della Croce Rossa Italiana senza vetri e con evidenti rotture; 30 monitor costituenti RAEE (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche pericolosi e non pericolosi).
Veniva altresì ipotizzato il medesimo reato con riferimento al deposito incontrollato, all'interno di un capannone agricolo adiacente il podere nella disponibilità della medesima impresa, di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi consistenti in apparecchiature sanitarie in stato di abbandono; materiale ospedaliero, tra cui siringhe, protesi, cateteri scaduti nel novembre 2011, garze idrofile, kit di medicazione con all'interno fiale di soluzione di iodio palesemente vetuste; materassi in gommapiuma.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siena, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione dell'articolo 183, comma 1 lett. a) d.lgs.  152/2006, evidenziando che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la natura di rifiuto delle cose rinvenute, del tutto evidente in ragione delle condizioni in cui detti materiali si trovavano al momento del controllo.
Aggiunge che il Tribunale avrebbe giustificato la propria decisione sulla base di una non consentita nozione soggettiva di rifiuto, fondata sulle sole dichiarazioni dell'indagato, il quale avrebbe riferito che detti materiali erano destinati alla commercializzazione in Africa, peraltro senza fornire alcun riscontro documentale di quanto sostenuto.
I giudici del riesame, inoltre, non avrebbero tenuto conto delle condizioni in cui versava il materiale, le quali rendevano evidente la impossibilità un effettivo riutilizzo di quanto rinvenuto.
Insiste pertanto per l'accoglimento del ricorso.
In data 15/6/2018 la difesa dell’indagato ha depositato memoria difensiva con allegata documentazione.



CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.

2. Va premesso che, dall’esame del provvedimento impugnato, non risultano poste in discussione le condizioni e le caratteristiche delle cose rinvenute all’atto del controllo, compiutamente descritte nell’incolpazione provvisoria, opportunamente riprodotta nel ricorso del Pubblico Ministero e delle quali i giudici del riesame danno conto nella prima parte dell’ordinanza.
Il Tribunale, effettuata tale descrizione, specifica che la difesa dell’indagato ha documentalmente dimostrato, mediante produzione di visura ordinaria della C.C.I.A.A. di Pisa, che la ditta individuale a questi facente capo avrebbe ad oggetto prevalente “il commercio all’ingrosso di oggetti, mobili di arredo, beni mobili registrati usati, articoli ospedalieri, materiale plastico, materiale edile e legname”.
I giudici del riesame precisano, altresì, che l'impresa individuale dell’indagato deteneva gli immobili in forza di un contratto di acquisto di ramo d'azienda concluso con il curatore fallimentare della “Soluzione s.r.l.” in liquidazione, di cui faceva parte anche il contratto di locazione immobiliare stipulato con il proprietario. Il ramo di azienda oggetto del contratto era formato da elementi patrimoniali sotto forma di beni mobili strumentali, da rimanenze di magazzino e dal contratto di locazione, che erano funzionali allo svolgimento dell'attività sociale costituita dalla “commercializzazione di materiali fuori uso dismessi e servizi collegati al ritiro dei beni usati”.
Sulla base di tali considerazioni il Tribunale ha dunque escluso la natura di rifiuto dei materiali rinvenuti, in quanto “in attesa di essere ceduti a terzi e, quindi, di essere riutilizzati”, come riscontrabile dalle dichiarazioni rese dallo stesso indagato all’atto della perquisizione, avendo egli sostenuto che il materiale era destinato alla commercializzazione in Africa.

3. Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici del riesame sono errate e contrastano con la definizione di rifiuto che è stata testualmente riprodotta nell’ordinanza impugnata.

4. Invero, come è noto, secondo la definizione fornita dall’art. 183, comma 1, lettera a) d.lgs. 152\06, nell'attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi».
Tale definizione rispecchia quella contenuta nella direttiva comunitaria di riferimento ed è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla previgente disciplina (d.lgs. 22\97 e, ancor prima, d.P.R. 915\82).
E' altrettanto noto che la corretta individuazione del significato del termine «disfarsi» ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza, nazionale e comunitaria, la quale ultima ha più volte chiarito alcuni concetti fondamentali quali, ad esempio, la necessità di procedere ad una interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli); di interpretare il verbo «disfarsi» considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti; di assicurare un elevato livello di tutela e l’applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit).  
In più occasioni questa Corte, prescindendo dall'esaminare le diverse – note - posizioni, ha rilevato come sia assolutamente certo che, secondo i principi generali ormai consolidati, debba ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poiché è rifiuto non ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ciò che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale (v., da ultimo, Sez. 3, n. 19206 del 16/3/2017, Costantino, Rv. 269912).
Si è altresì specificato (Sez. 3, n. 5442 del 15/12/2016 (dep. 2017), P.M. in proc. Zantonello, Rv. 269249) che la natura di rifiuto di un determinato materiale non viene meno in ragione di un accordo di cessione a terzi, né del valore economico dei beni stessi riconosciuto nel medesimo accordo, occorrendo fare riferimento alla condotta e volontà del cedente di disfarsi dei beni, e non all'utilità che potrebbe ritrarne il cessionario, ricordando anche come, in altra occasione (Sez. 3, n. 15447 del 20/1/2015, Napolitano, non massimata), si sia ulteriormente chiarito che, nel verificare la natura di rifiuto di un determinato materiale, si deve evitare di porsi nella sola ottica del cessionario del prodotto e della valenza economica che allo stesso egli attribuisce (sì da esser disposto a pagare per ottenerlo), occorrendo, per contro, verificare "a monte" il rapporto tra il prodotto medesimo ed il suo produttore e, soprattutto, la volontà/necessità di questi di disfarsi del bene, poiché, si è aggiunto, ponendosi in un ottica diversa, verrebbero facilmente a crearsi pericolose aree di impunità, nelle quali numerose condotte, oggettivamente integranti una fattispecie di reato, ben potrebbero esser dissimulate da accordi - dolosamente preordinati - volti a privare il bene di una particolare qualità, ex se rilevante sotto il profilo penale, invero già "a monte" acquisita ed insuscettibile di essere cancellata.
Va peraltro considerato come l’affermazione secondo la quale il fatto che una sostanza o un oggetto siano suscettibili di riutilizzazione economica non esclude necessariamente la loro natura di rifiuto si pone perfettamente in linea con quanto, ormai da tempo, è stato affermato dalla giurisprudenza comunitaria (v. ad es. Corte Giustizia 28 marzo 1990, Vessoso ed altro;  25 giugno 1997, Tombesi).
Si è pure individuato, quale sicuro indice rivelatore dell'intenzione di disfarsi di una cosa - quando essa non si sia sostanziata, in modo di per sé incompatibile con un altro diverso atteggiamento della volontà, in un abbandono da parte del detentore e nella conseguente perdita di ogni possibilità di suo controllo su determinati beni – oltre alla tipologia dei materiali, le modalità con le quali essi sono depositati, ritenendo di tutta evidenza che un deposito di materiali che già hanno esaurito la loro utilità principale secondo modalità che non fanno ritenere che gli stessi siano più suscettibili di fornirne una ulteriore, lascia legittimamente presumere che di questi il detentore si sia in tal modo disfatto ovvero abbia l'intenzione di disfarsene (così Sez. 3, n. 29069 del 20/1/2015, Dappi, non massimata).

5. Le oggettive caratteristiche di una sostanza o un oggetto, la sua origine, le condizioni in cui è rinvenuta sono dati certamente significativi ai fini della qualificazione della stessa come rifiuto, non soltanto perché consentono di verificare se l’originario detentore abbia inteso disfarsene, ma anche per il fatto che, da tali dati, è possibile constatare la necessità o meno di specifiche attività di gestione, quali il recupero, cui sono sottoposti i rifiuti.
Va conseguentemente ribadito che la qualificazione di una sostanza o un oggetto quale rifiuto consegue a dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsene, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettive ed indipendentemente da una eventuale riutilizzazione economica, potendosi tali dati ricavare anche dalla natura della sostanza o dell’oggetto, dalla sua origine, dalle condizioni, dalla conseguente necessità di successive attività di gestione e da ogni altro elemento idoneo a ricondurlo nell’ambito della definizione datane dall’art. 183, comma 1, lett. a) d.lgs. 152\06.  

6. Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale, come emerge dalla semplice descrizione riportata nell’incolpazione, le cose rinvenute avevano diversa origine e tipologia, erano detenute senza alcuna evidente cautela atta ad assicurarne la conservazione o ad impedirne l’ulteriore degrado, necessitavano chiaramente di interventi di recupero o erano palesemente non più utilizzabili, come osservato in ricorso, nel caso dei cateteri scaduti e dei kit di medicazione.
Nel ricorso, peraltro, viene fatto riferimento testuale a quanto riferito dalla polizia giudiziaria all’esito del sopralluogo circa la collocazione dei materiali sul suolo, con esposizione alle intemperie ed in presenza di vegetazione spontanea, il cui stato veniva segnalato come indicativo della giacenza sul luogo da lungo tempo, lamentando la mancata considerazione di tali ulteriori elementi.
Si tratta, dunque, di dati certamente significativi non soltanto ai fini della individuazione della natura dei materiali, ma anche tali da rendere meritevoli di concreto riscontro le affermazioni dell’indagato acriticamente recepite dai giudici del riesame.

7. Il ricorso del Pubblico Ministero merita pertanto accoglimento e l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale per nuovo esame, da effettuarsi tenendo conto dei principi dianzi richiamati.


P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Siena.
Così deciso in data 25/6/2018