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Cass. Sez. III sent.36955 del 12 ottobre 2005 (ud. 9 giugno 2005)
Pres. Savignano Est. Franco Ric. P.M. in proc. Noto ed altri
Nozione di rifiuto – Materiali provenienti da demolizione edilizia

I materiali provenienti da demolizione edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi e possono essere riutilizzati nello stesso o in diverso ciclo produttivo o di consumo (es.opere di riempimento) solo previo test di cessione ai sensi del D.M. 5 febbraio 98 in modo da non recare pregiudizio all’ambiente e ciò anche avuto riguardo al disposto dell’art. l4 D.L. l382002, sia nel caso in cui si ritenga che la scelta se procedere o meno al trattamento preventivo sia normativamente imposta dalla natura oggettiva del bene da riutilizzare, sia che si ritenga che essa sia rimessa alla decisione autonoma e discrezionale di colui che dovrebbe procedere al reimpiego

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Svolgimento del processo

Noto Angelo, Rino Michele, Rino Gian Luca, Rino Giovanni vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 51, primo comma, lett. a), ovvero 51, secondo comma, in relazione all'art. 14, primo comma, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per avere effettuato il tra­sporto ovvero il deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi consistenti in materiali di ri­sulta di lavori edili su un terreno di proprietà delta Azienda Agricola Tambussa.

Il giudice del tribunale di Novara, con sentenza dell' 11 maggio 2004, assolse tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.

Osservò, tra l'altro il giudice: a) che era rimasto accertato che si trattava di materiale di risulta della demolizione di un pavimento effettuata dalla stessa ditta Rino; b) che il trasporto di detto materiale presso la cascina Tambussa era avvenuto su richiesta del proprietario sig. Gerbino, che intendeva con esso sistemare alcune strade sterrate interne all'azienda agricola; c) che a tale sistemazione, consistente in copertura delle buche e livellamento del terreno, ave­va provveduto lo stesso Rino, utilizzando il materiale di risulta in precedenza scaricato; d) che quindi era rimasto provato con certezza che il materiale in questione era stato utilizzato per la sistemazione delle strade sterrate della cascina Tambussa; e) che non era emerso alcun ele­mento che potesse far ritenere l'esistenza nella specie di un danno per l'ambiente; f) che, di conseguenza, la prova dell'effettivo avvenuto riutilizzo e l'assenza di danno ambientale esclu­devano che il materiale in questione rientrasse nella nozione di rifiuto ai sensi dell’art. 14 del D.L. n. 138/02, convertito con legge 8 agosto 02 n. 178.

Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Novara ha proposto appello - convertito in ricorso per cassazione - osservando:

a) che l'art. 14 cit. distingue fra la ipotesi che il riutilizzo avvenga direttamente, e quindi senza alcun trattamento e quella in cui avvenga previa apposita operazione di trattamento, e che solo nella prima ipotesi richiede la condizione della mancanza del danno ambientale, es­sendo esclusa ab origine tale esigenza nella seconda ipotesi, dato che il trattamento del bene tutela già di per sé un negativo impatto ambientale;

b) che però non può ritenersi che la scelta fra effettuare o meno il trattamento sia rimessa alla discrezionalità dell'interessato, ma occorre stabilire se esista una preventiva individuazio­ne normativa del materiale che deve essere soggetto a trattamento in ragione delle sue caratte­ristiche oggettive. In altri termini la scelta del trattamento non è discrezionale ma dipende dalla natura del bene da riutilizzare, e solo per i beni per i quali non è previsto il trattamento è necessario l'ulteriore requisito della assenza del danno ambientale;

c) che nel caso di specie si tratta di beni per i quali è previsto un trattamento: infatti, il D.M. 5 febbraio 1998 in materia di individuazione di rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, definisce al n. 7 quali rifiuti recuperabili, previo trattamento «i cerami e inerti». In particolare la prove­nienza specificata al n. 7.1 è proprio la stessa del materiale in questione, ossia attività di de­molizione, frantumazione e costruzione. Ne consegue che si tratta di materiale idoneo al riuti­lizzo, e quindi a perdere il carattere di rifiuto, solo nel caso in cui venga trattato secondo le norme tecniche previste dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, come integrato dal D.M. 5 febbraio 1998.

d) che, in ogni caso, il venire meno del carattere di rifiuto è subordinato non ad un qua­lunque riutilizzo, ma ad un riutilizzo in analogo o altro ciclo produttivo. E' però difficile con­siderare il riempimento di buche dì una strada come un ciclo produttivo, trattandosi invece di un'operazione di smaltimento.

e) che la sentenza impugnata ha ritenuto l'assenza di danno ambientale con un giudizio secco ed immotivato, senza considerare le caratteristiche e la quantità del materiale ed il dan­no ambientale consistente nel deturpamento del territorio.

All'esito della odierna udienza il Collegio ha ritenuto di accogliere il ricorso e quindi di annullare con rinvio la sentenza impugnata.

Ritiene infatti il Collegio di dover aderire alla soluzione adottata da questa Sezione con la sentenza n. 30127/04 del 27 maggio 2004, Piacentino, dep. 9.7.04, m. 229.467, secondo la quale «i materiali provenienti da demolizione edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi e possono essere riutilizzati nello stesso od in diverso ciclo produttivo o di consumo - ad esem­pio nelle opere di riempimento - solo previo «test di cessione» degli stessi, in conformità al D.M. 5 febbraio 1998, in modo da non recare pregiudizio all'ambiente; sicché in assenza del menzionato test ogni recupero dei materiali cosiddetti di risulta integra la contravvenzione di cui all'art. 51 , comma primo, lett. a) del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22». Ha poi affermato la richiamata decisione che non può pervenirsi ad una diversa soluzione in forza dell'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002, n. 178, per il motivo «che la riutilizzazione dei materiali di risulta in opere di sottofondo stradale da parte del detentore, senza l'adozione dei menzionati test di cessione (previsti all'evidente fine di evitare inquinamenti del sottosuolo), comunque li sottrae all'ambito di applicabilità delle deroghe ap­portate dal suddetto intervento normativo alla previgente disciplina, poiché la riutilizzazione, nello stesso o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, deve avvenire con modalità tali da non arrecare pregiudizi all'ambiente».

Deve inoltre considerarsi che il richiamato art. 14, secondo comma, del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002, n. 178, dispone che i beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo non possono considerarsi rifiuti qualora sussi­sta una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutiliz­zati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22.

Orbene, anche a non voler seguire l'orientamento adottato dalla richiamata sent. n. 30127/04, Piacentino, e sostenuto dal pubblico ministero ricorrente, ossia anche a non voler ritenere che la scelta se procedere o meno al trattamento preventivo non sia normativamente imposta dalla natura oggettiva del bene da riutilizzare (sicché, per i materiali provenienti da attività di demolizione, frantumazione e costruzione, sarebbe sempre obbligatorio seguire le procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, perché tali materiali sono definiti dall'art. 7 del D.M. 5 febbraio 1998 quali rifiuti recuperabili previo trattamento, consistente, ai sensi del punto 7.1.3 nella macinazione, vagliatura, selezio­ne granulometrica e separazione delle frazioni indesiderate per l'ottenimento di frazioni inerti di natura lapidea a granulometria idonea e selezionate e nel successivo test di cessione) ma a voler invece ritenere - soprattutto per dare un senso alla previsione della necessità di assenza di un pregiudizio per l'ambiente contenuta nella lett. a) del secondo comma dell'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002, n. 178 - che tale scelta sia rimessa alla decisione autonoma e discrezionale dell'interessato, ossia di colui che dovreb­be reimpiegare il materiale residuale, ai sensi della citata lett. a) la possibilità di reimpiego e l'effettivo reimpiego di tale materiale in un analogo e diverso ciclo produttivo o di consumo senza sottoporre lo stesso al trattamento preventivo previsto dal citato decreto ministeriale, in tanto possono escludere la qualifica di rifiuto soltanto in quanto in concreto sia accertato che il riutilizzo è avvenuto senza recare pregiudizio all'ambiente.

Ora, effettivamente la motivazione della sentenza impugnata sulla mancanza nel caso di specie di un pregiudizio per l'ambiente è del tutto carente o meramente apparente. Il giudice del merito, infatti, senza peraltro nemmeno accertare la natura di tale materiale e se per caso esso contenesse anche elementi estranei, si è limitato ad affermare che nella specie l'esistenza di un danno per l'ambiente doveva essere esclusa in considerazione del tipo di materiale rin­venuto (sulla cui natura peraltro, come rilevato, non risulta essere stato effettuato alcun accer­tamento e sulla quale non viene fornita alcuna specificazione, se non che si trattava di «mate­riale di demolizione, comprendente mattoni, pezzi di ceramica e terriccio», senza indicare l'assenza di elementi estranei) e soprattutto per la circostanza che non era stato adottato nes­sun provvedimento cautelare dopo l'accertamento del 6 ottobre 2001. Come però esattamente osserva il pubblico ministero ricorrente, è evidente che si tratta di una motivazione meramente apparente o comunque manifestamente illogica, dal momento che è chiaramente inconferente il riferimento al mancato sequestro preventivo, che di per sé solo non ha alcun rilievo nel caso di specie e non può certamente escludere la presenza di un danno per l'ambiente, anche perché è l'autorità amministrativa (art. 14 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) e non quella giudiziaria che deve provvedere ad eliminare le conseguenze del reato, le quali anzi verrebbero aggravate dal permanere del vincolo cautelare.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio dal tribunale di Novara.