 Cass. Sez. III n. 3638 del 1 febbraio 2011 (Cc. 21 dic. 2010)
Cass. Sez. III n. 3638 del 1 febbraio 2011 (Cc. 21 dic. 2010)
Pres. Ferrua Est. Ramacci Ric. PG in proc. D’Alessandro
Rifiuti. Attività organizzate per il traffico illecito
Vi è continuità normativa tra il reato di cui all’articolo 53bis D.Lv. 22\97 e quello ora contemplato dall’articolo 260 D.Lv. 152\06
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri  Magistrati:
 
 Dott.ssa Giuliana FERRUA                                  Presidente
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Amedeo FRANCO Consigliere
Dott. Silvio AMORESANO Consigliere
Dott. Luca RAMACCI Consigliere Est.
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale della  Repubblica presso la Corte d'Appello di Campobasso nel procedimento contro D'AL.  MI. nato a Ururi il xx/xx/xxx
 - avverso la sentenza emessa il 3/12/2009 dal G.U.P. del Tribunale di Larino  Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
 - Letta le requisitoria del Pubblico Ministero nella persona del Dott. Sante  SPINACI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Campobasso  proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa il 19 novembre 2009  dal G.U.P. presso il Tribunale di Larino con la quale, su concorde richiesta  delle parti, il procedimento a carico di D'ALESSANDRO Michele veniva definito  mediante applicazione della pena finale di euro 6.840 di multa, in sostituzione  di mesi 6 di reclusione, per i reati di cui agli articoli 81,112 C.P., 53bis  D.L.vo n.22/97; 434 C.P.;483 C.P.; 640, I e II comma C.P.
 Con il primo motivo il ricorrente denunciava la violazione dell'articolo 606  lettere b) ed e) C.P.P., premettendo che l'originaria imputazione riguardava  anche il reato di associazione per delinquere aggravata dal numero degli  associati superiori a dieci e quello di gestione illecita di rifiuti speciali  pericolosi, connotati dalla presenza di arsenico e solfuri, in parte smaltiti  mediante interramento in aree coltivate o interessate dalla presenza di falde  acquifere tanto, che era stato contestato anche il reato sanzionato  dall'articolo 434 C.P.
 Con il secondo motivo lamentava, inoltre, la errata applicazione dell'articolo  444, comma II C.P.P. per avere il G.I.P. ritenuto acriticamente corretta la  qualificazione dei fatti prospettata dalle parti, ritenendo più grave il reato  di cui all'articolo 53bis D.L.vo n. 22/97 - ormai abrogato e sostituito, dopo  l'entrata in vigore del D.L.vo n.152/06 dal'articolo 260 del medesimo decreto —  pur in presenza di altri reati particolarmente gravi quali il disastro, la  truffa aggravata ed il falso.
 Denunciava, altresì, che mancava ogni esplicitazione, da parte del G.I.P., sulle  ragioni che avevano indotto alla concessione delle attenuanti generiche e  l'omissione del necessario giudizio di comparazione tra dette attenuanti e  l'aggravante del fatto commesso da più di cinque persone, contestata per il  reato ritenuto più grave, della quale non si era tenuto conto.
 Veniva inoltre ritenuta errata l'applicazione dell'articolo 81 C.P., per avere  il giudice omesso l'indicazione dei singoli aumenti di pena, applicando, poi,  l'aumento di un mese di reclusione e determinando così una pena del tutto  incongrua rispetto alla gravità dei fatti.
 Con il terzo motivo denunciava la violazione, per erronea applicazione,  dell'articolo 53 Legge n. 689/81 perché, nel determinarsi a sostituire la pena  detentiva, il G.I.P. non aveva tenuto conto della gravità dei fatti contestati e  non aveva motivato sul punto.
 Concludeva pertanto per l'annullamento della sentenza impugnata.
 In data 3 dicembre 2010, la difesa del D'ALESSANDRO depositava una memoria  difensiva e di replica nella quale chiedeva la reiezione del ricorso del  Procuratore Generale, assumendo che la modifica dell'imputazione era stata  effettuata dal Pubblico Ministero autonomamente e senza preventivo accordo sul  reato, come dimostrato dalla scansione temporale risultante dal verbale di  udienza e trovava giustificazione nel contenuto dell'ordinanza applicativa di  misura cautelare, dove il G.I.P. riteneva assorbito il reato associativo in  quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
 Aggiungeva, infine, che la pena applicata era congrua ed era stata coerentemente  ratificata dal G.U.P.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso è inammissibile.
 Va in primo luogo osservato che correttamente il ricorso evidenzia l'erroneo  riferimento, relativamente al reato di attività organizzate per il traffico  illecito di rifiuti, all'ormai abrogato articolo 53 bis D.L.vo n. 22/97.
 Tale riferimento, tuttavia, è irrilevante.
 Invero, l'articolo 264 D.L.vo n.152/97 ha espressamente abrogato, unitamente ad  altre disposizioni, l'intero decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 in  precedenza destinato alla disciplina dei rifiuti.
 Il menzionato delitto è ora disciplinato dall'articolo 260 del D.L.vo n. 152/06,  il cui contenuto è identico a quello della disposizione abrogata.
 Deve dunque concludersi, come peraltro già è avvenuto (Sez. III n. 9794, 8 marzo  2007), che tra il disposto dei due articoli sussiste continuità normativa.
 Tale assunto trova peraltro conferma non solo nell'identità di contenuto dei due  articoli, ma anche nel disposto del citato articolo 264, comma primo, lettera i)  D.L.vo n. 152/06 laddove il legislatore espressamente afferma l'intento di  "(...) assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio  dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta" e, a tale  proposito, dispone che i provvedimenti attuativi del D. L.vo n. 5 febbraio 1997  n. 22 continuino ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei  corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del D.L.vo n.  152/06.
 Indipendentemente dall'errato richiamo alla disposizione abrogata, merita  tuttavia attenzione la denunciata riformulazione in udienza dell'originaria  imputazione mediante riconduzione, nell'unico capo riguardante il menzionato  articolo 53 bis D.L.vo n. 22/97, dei fatti originariamente riferiti non solo al  reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ma anche a  quelli di associazione per delinquere aggravata e illecita gestione di rifiuti.
 Il Pubblico Ministero aveva infatti esercitato l'azione penale, mediante  richiesta di rinvio a giudizio, con riferimento ai reati indicati  nell'originaria imputazione, poi modificata nel corso dell'udienza preliminare,  come indicato in sentenza, considerando i capi A), B) e C) come un unico capo  (denominato capo A)) riferito alla sola ipotesi delittuosa di cui all'articolo  53 bis D.L.vo n. 22/97.
 Tale modifica dell'imputazione non sarebbe ammissibile allorquando si risolva in  un accordo sui reati e non sulla pena che la legge non consente (v. Sez. IV n.  10692, 18 marzo 2010) ma ciò, nella fattispecie, non è avvenuto, avendo comunque  il Pubblico Ministero contestato tutti i fatti originariamente ipotizzati  inglobandoli, successivamente, in un'unica imputazione.
 La riformulazione dell'originaria imputazione con le modalità in precedenza  descritte è pertanto frutto di un patto tra le parti che, non risolvendosi in un  accordo sui reati, è invece il risultato di una diversa qualificazione dei fatti  contestati che vede concordi le parti stesse sottoposto al vaglio critico del  giudice che lo ha recepito.
 Ciò posto, occorre ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, che il  Collegio condivide, ha precisato che "in tema di patteggiamento, la possibilità  di ricorrere per cassazione deducendo l'erronea qualificazione del fatto  contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai  casi in cui sussiste l'eventualità' che l'accordo sulla pena si trasformi in  accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa  qualificazione presenti margini di opinabilità" (Sez. IV n. 10692, 18 marzo  2010).
 Ed ancora: "è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti  della sentenza di patteggiamento e diretto a far valere asseriti vizi afferenti  a questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il  fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla  contestazione, poiché l'accusa, come giuridicamente formulata, non può essere  rimessa in discussione, in quanto l'applicazione concordata della pena  presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche  assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al  consenso ad essa prestato". (Sez. V. n. 21287, 4 giugno 2010. Conforme, sez. II  n. 5420, 14 gennaio 2009).
 Inoltre, non assume rilievo la mancata indicazione in sentenza degli aumenti  imputabili a ciascuno dei reati unificati sotto il vincolo della continuazione  (cfr. Sez. I n. 17815, 5 maggio 2008) e la mancanza di indicazioni in merito al  giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche concesse e l'aggravante  contestata, essendo la mera affermazione della congruità della pena sufficiente  a soddisfare l'obbligo di motivazione (v. Sez. III n. 42910, 11 novembre 2009;  Sez. V n. 4715, 10 novembre 1999).
 P.Q.M.
 Dichiara inammissibile il ricorso
 Così deciso in Roma il 21 dicembre 2010
 
 DEPOSITATO IN CANCELLERIA 1 Feb. 2011
 
                    




