Cass. Sez. III sent. 20460 del 25 maggio 2007 (Ud. 27 mar. 2007)
Pres. Onorato Est. Marmo Ric. Bonacorsi
Rifiuti. Esercizio di attività in luogo diverso dall’autorizzato

Il possesso di una autorizzazione per l'attività di recupero dei rifiuti non legittima l’esercizio, da parte dello stesso soggetto, della medesima attività in luogo diverso da quello in relazione al quale venne originariamente presentata istanza, atteso che le finalità di controllo perseguite in materia risultano soddisfatte solo se sussiste legame con le caratteristiche tecniche dell' impianto per il quale l'autorizzazione risulta inizialmente rilasciata

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 27/03/2007
Dott. MARMO Margherita - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 00950
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 033678/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BONACORSI GABRIELE, N. IL 18/11/1963;
avverso SENTENZA del 28/04/2006 TRIB. SEZ. DIST. di FANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. MARMO MARGHERITA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. D'Angelo Giovanni, che ha concluso per
l'inammissibilità,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 28 aprile 2006 e depositata l'il maggio 2006 il Tribunale di Pesaro dichiarava Bonacorsi Gabriele responsabile della contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, per avere depositato in Orciano, fino al 12 settembre 2003, in maniera incontrollata, rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, in attesa di trattamento per il recupero in area esterna al capannone della ditta di cui era titolare, senza autorizzazione o comunicazione di iscrizione ai sensi del citato decreto, artt. 31 e 33, poggiandoli direttamente sul terreno esposti agli agenti atmosferici e lo condannava alla pena di Euro 5.000,00 di ammenda.
Proponeva appello il Bonacorsi, riconvertito in ricorso per Cassazione, trattandosi di condanna alla sola pena dell'ammenda. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo ed il secondo motivo, per la loro logica connessione, vanno esaminati congiuntamente.
Con il primo motivo il Bonacorsi deduce che il giudice di primo grado aveva valutato in modo inadeguato le deposizioni testimoniali raccolte nel dibattimento ed aveva completamente omesso di valutare la ratio del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Era infatti evidente, dalle deposizioni raccolte e dalle fotografie acquisite agli atti, che il deposito all'esterno del capannone poteva sembrare esteticamente poco gradevole ma sicuramente era controllato ed organizzato in maniera consapevole conformemente alla organizzazione aziendale ed alle autorizzazioni concesse. Non si era quindi in presenza di un deposito incontrollato e non autorizzato. Con il secondo motivo il ricorrente deduce che non sussistevano gli elementi che contraddistinguono la contravvenzione di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, n. 2 del in quanto tale norma intende impedire che i rifiuti vengano abbandonati o depositati in modo incontrollato o immessi nelle acque superficiali o sotterranee, o gestiti senza le prescritte autorizzazioni, mentre, nel caso in esame, il deposito era avvenuto esclusivamente nel recinto di pertinenza del fabbricato, e dunque nei limiti di spazio regolarmente autorizzati dalla provincia e dall'Arpam.
Inoltre il deposito era organizzato dentro cassoni e limitato allo stretto tempo necessario per il successivo carico su camion e spedizione.
Entrambi i motivi sono infondati.
Considerato che, come è specificato nella sentenza impugnata, il titolo autorizzativo era costituito dalla Comunicazione protocollata il 3 aprile 2001, nella quale il Buonaccorsi dava atto della tipologia dei rifiuti stoccati costituiti da materiale elettronico di vario genere, la cui messa in riserva e stoccaggio sarebbe dovuta avvenire al coperto, in apposite zone e contenitori specifici, mentre i rifiuti sono stati trovati nelle adiacenze del capannone dell'azienda in area scoperta e alla rinfusa costituendo, secondo la testimonianza del tecnico ambientale dell'Arpam, pericolo per l'igiene ed il decoro, con parte di essi soggetti a putrefazione, deve ritenersi congruamente motivata la sentenza impugnata che, alla luce dei suddetti elementi probatori, confermati dalla documentazione fotografica in atti proveniente dal Comando Carabinieri Tutela Ambiente, ha ritenuto sussistente la responsabilità dell'imputato in ordine alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, per aver depositato in maniera incontrollata rifiuti non pericolosi prodotti da terzi. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che il giudice di merito, ingiustificatamente, non aveva ritenuto di concedere le attenuanti generiche e comunque non aveva applicato la legge correttamente, dal momento che eventualmente avrebbe dovuto applicare alla fattispecie il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, n. 4, con conseguente riduzione alla metà delle pene.
In ordine al motivo il Collegio rileva, in primo luogo, che i rifiuti si trovavano al di fuori dell'area oggetto dell'autorizzazione, sicché per essi non è applicabile l'ipotesi lieve di cui alla citata legge, art. 51, n. 4. In proposito questa Corte ha precisato che "il possesso di una autorizzazione per l'attività di recupero dei rifiuti non legittima l'esercizio, da parte dello stesso soggetto, della medesima attività in luogo diverso da quello in relazione al quale venne originariamente presentata istanza, atteso che le finalità di controllo perseguite in materia risultano soddisfatte solo se sussiste legame con le caratteristiche tecniche dell'impianto per il quale l'autorizzazione risulta inizialmente rilasciata (Cass. pen. sez. 3^, sent. 4 dicembre 2001, n. 554, Francavilla).
Per quel che attiene all'entità della pena, considerato che essa è stata comminata in misura prossima ai minimi edittali, (in quanto l'art. 51 comma 1, a) richiamato dall'art. 51, comma 2, prevede la pena di arresto da tre mesi ad un anno o l'ammenda da Euro 2.582,00 ad Euro 25.822,00), deve ritenersi motivata la sentenza, anche se essa si limita ad indicare come equa la pena irrogata, richiamando i criteri di cui all'art. 133 c.p..
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosta molto dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125 c.p.p., comma 3, adoperando espressioni come pena congrua, pena equa e congruo aumento, ovvero si richiami alla gravità del reato e alla personalità del reo (v. per tutte Cass. pen. sez. 1^, sent. 14 febbraio 1997, n. 1059).
Va quindi respinto anche il terzo motivo di impugnazione. Con il quarto motivo il ricorrente deduce che il giudice non poteva esimersi da una valutazione, seppure minimale, dell'elemento soggettivo del reato mentre nel caso in esame non vi era stata alcuna volontà ne', tanto meno, consapevolezza da parte dell'imputato di depositare in modo incontrollato i rifiuti.
Anche questo motivo è infondato, atteso che l'elemento soggettivo risulta evidenziato dall'inosservanza, da parte del ricorrente, delle modalità di stoccaggio dei rifiuti indicate nel titolo autorizzativo, sia in relazione alla loro collocazione all'esterno dell'area, - che ha condotto alla parificazione della fattispecie a quella di stoccaggio in assenza dello stesso titolo autorizzativo,- sia in relazione alla modalità della custodia che prevedeva la copertura e la protezione in apposite zone e in contenitori appositi dei rifiuti.
Va quindi respinto il ricorso.
Consegue al rigetto dell'impugnazione l'obbligo del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2007