Consiglio di Stato Sez. III n. 7967 del 30 novembre 2021
Caccia e animali.Rigetto istanza per rinnovo licenza di porto di fucile per uso caccia

Appare del tutto inconferente, il richiamo alla “funzione sociale e rieducativa dello sport” e alla rilevanza costituzionale dei beni indirettamente compromessi dalla restrizione alla pratica della caccia conseguente al r  in quanto la disciplina del porto d’armi fa perno sulla prevalenza della sicurezza e dell’ordine pubblico, per cui l’autorità amministrativa, nell’adottare i provvedimenti in questione, deve sempre mirare alla tutela della tranquilla convivenza, che non può in alcun modo soccombere rispetto all’interesse del singolo a detenere, per qualsivoglia ragione, un’arma.

Pubblicato il 30/11/2021

N. 07967/2021REG.PROV.COLL.

N. 06704/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6704 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Coscarella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro 13;

contro

Ufficio Territoriale del Governo Cosenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la domanda di annullamento del provvedimento emesso dalla Prefettura di Cosenza -OMISSIS-, contenente il rigetto dell'istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia formulata dal ricorrente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo Cosenza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2021 il Cons. Giovanni Pescatore e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso al TAR Calabria, sede di Catanzaro, -OMISSIS- ha impugnato il decreto della Prefettura di Cosenza recante il rigetto dell’istanza da lui presentata per il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia.

2. L’Amministrazione ha ritenuto il richiedente privo del requisito dell’affidabilità nell’uso delle armi a cagione di alcuni fatti sintomatici di rilevo penale, scaturenti da due condanne irrevocabili: l’una, pronunciata dalla Corte di Appello di Catanzaro -OMISSIS-, per la violazione dell’art. 21, comma 1 lett. b., legge 157/1992 in materia di protezione della fauna selvatica; l’altra, pronunciata dal Giudice di Pace di Cosenza -OMISSIS-per il reato di minaccia di cui all’art. 612 c.p.

3. Con la sentenza oggi impugnata -OMISSIS-, il giudice di primo grado ha respinto il ricorso.

4. -OMISSIS- ha quindi proposto l’appello qui in discussione, in resistenza al quale si è costituito il Ministero dell’Interno.

5. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata discussa dapprima all’udienza pubblica -OMISSIS-; quindi, a seguito di un rinvio disposto per acquisire la seconda delle due condanne innanzi menzionate, essa è passata in decisione all’udienza pubblica del 18 novembre 2021.

6. Nell’appello si lamenta l’insufficienza motivazionale inficiante sia le ermetiche e inappaganti considerazioni contenute nella sentenza di primo grado; sia le altrettanto inadeguate valutazioni espresse nell’atto di diniego, censurate come del tutto avulse da una considerazione circostanziata e specifica dei fatti contestati e addotti a fondamento del giudizio di inaffidabilità all’uso delle armi.

Entrando nel merito delle contestazioni, il ricorrente osserva come il fatto minatorio attribuitogli, ma in alcun modo connesso all’uso delle armi, -OMISSIS- e sia scaturito nel contesto di una vertenza lavoristica che lo vedeva contrapposto a-OMISSIS- per una questione di -OMISSIS-.

La condanna per l’esercizio dell’arte venatoria in area vietata fa riferimento, invece, ad un fatto -OMISSIS-, contestato a solo titolo di colpa - in quanto l’area violata era priva di idonea cartellonistica sicché non poteva dirsi che il ricorrente fosse consapevole di averne oltrepassato i confini. In relazione a questo secondo episodio, -OMISSIS- lamenta la disparità di trattamento consumatasi rispetto ai coimputati del medesimo reato, anch’essi condannati in concorso per la violazione dell’art. 21 legge 157/1992 e, tuttavia, diversamente da lui, beneficiati dal successivo rilascio della licenza al porto d’arma.

Aggiunge il ricorrente che, nel corso della titolarità -OMISSIS- della licenza, nessun rilievo gli è stato mai mosso sotto il profilo della idoneità psico-fisica alla detenzione delle armi. Indi, per effetto del diniego si configurerebbe, in suo danno, una lesione di interessi di rango costituzionale, per violazione degli artt. 2, 17, 18 e 32 della Carta Costituzionale, avendo il rigetto dell’istanza di rinnovo della licenza comportato delle “compromissioni delle attività realizzatrici della persona umana”, ovvero una significativa interferenza limitativa con un interesse costituzionalmente garantito quale “la pratica degli sport preferiti” e, dunque, il pregiudizio di una sua fondamentale esigenza di socialità ed espressione esistenziale.

7. L’appello è infondato.

7.1. L’oramai univoca giurisprudenza ha accertato l’insussistenza di una posizione di diritto soggettivo assoluto in relazione all’ottenimento ed alla conservazione del permesso di detenzione e porto di armi in deroga al generale divieto di cui all’art. 699 c.p. e di cui all’art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110 (Corte cost. n. 440 del 1993; Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018).

7.2. L’Amministrazione, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del Tulps, può quindi legittimamente fondare il giudizio di “non affidabilità” del titolare del porto d’armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla “buona condotta”, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto, né un comprovato abuso nell’utilizzo delle armi (Cons. Stato, sez. III, n. 2987 del 2014; n. 4121 del 2014; n. 4518 del 2016; sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2404 del 2017; n. 4955 del 2018; n. 6812 del 2018). In questa valutazione prettamente discrezionale possono essere apprezzati, quali indici rivelatori della possibilità d’abuso delle armi, anche fatti o episodi privi di rilievo penale, purché la considerazione che se ne renda non sia irrazionale e sia motivata in modo congruo (Cons. Stato, sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018).

7.3. La ragione di questa ampia latitudine del raggio valutativo dell’amministrazione rimanda al fatto che la misura in materia di armi è priva di intento sanzionatorio o carattere punitivo, essendo connotata da natura essenzialmente cautelare e concepita, dunque, in un’ottica preventiva di possibili abusi, ovvero a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018).

7.4. Corollario dei suddetti principi è che la valutazione fatta dall’Amministrazione deve essere sorretta da una motivazione che dia adeguato conto degli elementi concreti che, nel caso di specie, hanno determinato l’autorità prefettizia a sospettare delle garanzie di buona condotta nella detenzione e nell’uso delle armi fornite dall’interessato.

7.5. Per tenere fede a questo vincolo di adeguatezza motivazionale – particolarmente avvertito nel caso di reiezione della richiesta di rinnovo del titolo in precedenza rilasciato – occorre che dal provvedimento emergano chiaramente le ragioni per le quali la valutazione della personalità complessiva del soggetto, della sua storia di vita pregressa e delle presumibili evoluzioni del suo percorso di vita hanno condotto l’autorità a determinarsi nel senso di vietargli la detenzione e l’uso delle armi, avendolo ritenuto allo stato pericoloso o comunque capace di abusarne. Non potrà, invece, ritenersi sufficiente una motivazione scarna, apodittica, fondata su un singolo elemento non corroborato da ulteriori indizi (Cons. St., sez. III, n. 6457 del 2019).

8. Tutto ciò chiarito in fatto e diritto, l’appello è infondato e non merita accoglimento.

Appaiono infatti destituiti di fondamento i tentativi del ricorrente di sminuire la rilevanza dei fatti oggetto delle due condanne penali.

8.1. La prima pronuncia, acquisita agli atti del giudizio con ordinanza istruttoria -OMISSIS-, fornisce riscontro della grave minaccia rivolta dal -OMISSIS- a-OMISSIS- e ricostruisce gli elementi probatori e logici attraverso i quali la condotta contestata è stata ritenuta adeguatamente comprovata. D’altra parte, il reato di minaccia di cui all’art. 612 c.p. presenta evidentemente una valenza prognostica maggiore di altri, in quanto denota una tendenza alla reattività verbale e una propensione all’uso della forza che mal si concilia con un corretto uso delle armi.

8.2. Dalla seconda sentenza emerge, invece, che i violati confini della riserva di caccia erano segnalati da appositi cartelloni posti al limite della stessa che indicavano, tra gli altri, anche il divieto di esercizio dell’attività venatoria; risulta inoltre che gli imputati si fossero introdotti all’interno della stessa per circa -OMISSIS-, che fossero cacciatori esperti, certamente consapevoli dell’esistenza dell’area di riserva, essendo questo un fatto notorio e trattandosi di area indicata con esattezza su tutte le cartografie in uso ai cacciatori. Il fatto quindi che l’imputazione della violazione sia stata ascritta “almeno a tiolo di colpa” non vale ad escludere, alla stregua della complessiva congerie di circostanze innanzi richiamate, una valutazione di consapevolezza della violazione commessa.

8.3. Non è poi ipotizzabile nessuna disparità di trattamento rispetto ad altri soggetti ai quali è stata regolarmente rilasciata l’autorizzazione al porto di fucile dalla medesima Amministrazione, pur essendo stati condannati anch’essi in concorso con il ricorrente per la violazione dell’art. 21 legge 157/1992.

Non solo non si dimostra, infatti, la sussistenza a carico dei correi delle medesime condizioni ritenute inibitorie dell’autorizzazione eccepite all’odierno appellante; ma a carico di quest’ultimo grava la condanna per un reato dal ben più pregnante carattere indiziario (la minaccia), senza considerare che il provvedimento impugnato trae argomenti anche da ulteriori elementi istruttori, quale il parere sfavorevole al rinnovo del titolo reso dai Carabinieri -OMISSIS-.

9. Appare del tutto inconferente, infine, il richiamo alla “funzione sociale e rieducativa dello sport” e alla rilevanza costituzionale dei beni indirettamente compromessi dalla restrizione alla pratica della caccia in quanto, come si è detto ampiamente in precedenza, la disciplina del porto d’armi fa perno sulla prevalenza della sicurezza e dell’ordine pubblico, per cui l’autorità amministrativa, nell’adottare i provvedimenti in questione, deve sempre mirare alla tutela della tranquilla convivenza, che non può in alcun modo soccombere rispetto all’interesse del singolo a detenere, per qualsivoglia ragione, un’arma.

10. Tanto esposto, l’appello non può trovare accoglimento.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere in favore della parte appellata le spese del presente grado di giudizio che liquida nel complessivo importo di € 2.000,00 (duemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Giulio Veltri, Presidente FF

Giovanni Pescatore, Consigliere, Estensore

Solveig Cogliani, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere

Umberto Maiello, Consigliere