Cass. Sez. III n. 14746 del 17 aprile 2012 (Ud. 28 mar. 2012)
Pres. Mannino Est. Ramacci Ric. Mattera
Beni Ambientali. Violazioni paesaggistiche (art. 734 cod. pen. e 181 d.lgs. 42\04)
La contravvenzione punita dall'articolo 734 C.P. e quella contemplata dall'articolo 181 D.Lv. 42\2004 possono pacificamente concorrere tra loro in quanto quella prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio sanziona penalmente la violazione del divieto di intervento in determinate zone senza la preventiva autorizzazione, mentre la contravvenzione prevista dal codice penale presuppone l’effettivo danneggiamento delle zone protette. L’articolo 181 D.Lv. 42\2004, il quale si pone in sostanziale continuità con la previgente Legge 431\85 e la normativa introdotta con il D.Lv. 490\99 ora abrogato, contempla un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione. E’ di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai fini delle configurabilità del reato contemplato dal menzionato articolo 181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull’originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. MANNINO   Saverio F.       - Presidente  - del 28/03/2012
 Dott. TERESI    Alfredo          - Consigliere - SENTENZA
 Dott. LOMBARDI  Alfredo M.       - Consigliere - N. 818
 Dott. MULLIRI   Guicla           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. RAMACCI   Luca        - rel. Consigliere - N. 24163/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) MATTERA NATALINO N. IL 28/03/1942;
 avverso la sentenza n. 3108/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del  			19/10/2010;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2012 la relazione fatta dal  			Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco,  			che ha concluso per l'inammissibilità.
 RITENUTO IN FATTO
 1. Con sentenza del 19 ottobre 2010, la Corte d'Appello di Napoli ha  			riformato la decisione emessa dal Tribunale di Napoli - Sezione  			Distaccata di Ischia il 13 luglio 2009 nei confronti di MATTERA  			Natalino, imputato dei reati di cui all'art. 81 cpv c.p., D.P.R. n.  			380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 64, 65, 71, 72, 83 e 95;
 D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, art. 734 c.p., art. 349 c.p., comma  			2, dichiarando non doversi procedere, ai sensi dell'art. 649 c.p.p.  			per precedente giudicato relativamente a parte delle imputazioni  			(riguardanti un "varco di accesso a locale garage" ed un "corpo di  			fabbrica con dimensioni interne pari a mt 3,40 X 4,00") e  			rideterminando la pena quale continuazione rispetto a precedente  			condanna inflitta con sentenza del medesimo Tribunale, irrevocabile  			dal 16 febbraio 2007.
 Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.  			2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il  			vizio di motivazione, rilevando che per le residue opere oggetto del  			giudizio e concernenti un manufatto di mq 70, andava disposta la  			sospensione conseguente alla presentazione di una domanda di "condono  			edilizio" ai sensi della L. n. 326 del 2003, trattandosi di  			interventi suscettibili di sanatoria in quanto realizzati in epoca  			antecedente al 1983 ed erroneamente ritenuti non condonabili dai  			giudici del gravame che avevano equivocato sulla natura delle opere,  			consistenti nella straordinaria manutenzione di un preesistente  			manufatto e sulla rilevanza, nella fattispecie, del vincolo  			paesaggistico, la cui sussistenza non impediva il condono stante la  			tipologia dell'intervento che non riguarderebbe una nuova  			costruzione, bensì lavori di mera manutenzione.
 3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed  			il vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di  			responsabilità per la violazione paesaggistica, avendo il giudice di  			prime cure, nel ritenere non sussistente il reato di cui all'art. 734  			c.p., escluso la compromissione dell'area soggetta a vincolo.  			4. Con un terzo motivo di ricorso rileva la violazione di legge e la  			mancata assunzione di una prova decisiva, avendo la Corte  			territoriale respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruzione  			dibattimentale finalizzata all'acquisizione di documenti ed alla  			escussione del tecnico comunale sulla preesistenza dell'intervento  			abusivo in data antecedente a quella dell'accertamento. Insiste,  			pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 5. Il ricorso è infondato.
 Occorre preliminarmente osservare, con riferimento al primo motivo di  			ricorso, che la Corte d'Appello, con accertamento in fatto, ha  			stabilito che l'intervento abusivo per cui è processo era in corso  			di esecuzione alla data del sequestro (27 marzo 2007), potendosi ciò  			desumere dalla documentazione fotografica in atti, che mostrava la  			presenza di un cantiere con attrezzi da lavoro ed un manufatto con  			"mattoni forati su pareti in abbozzo" e dalla descrizione delle opere  			effettuata dal tecnico comunale in sede di sopralluogo.  			Sulla base di tali dati i giudici del gravame escludevano la  			prescrizione dei reati, qualificando l'intervento come nuova  			costruzione, sottolineando la circostanza che esso non figurava in  			alcun altro accertamento della polizia giudiziaria o in altre  			sentenze ne', tanto meno, in altre relazioni dell'ufficio tecnico  			comunale, indicando nel dettaglio la natura e consistenza delle altre  			opere descritte in tali atti.
 Sulla base di tale premessa la Corte territoriale ha escluso la  			condonabilità dell'intervento abusivo rilevando, altresì, che la  			domanda di condono, sulla base della quale la difesa aveva richiesto  			la sospensione del processo, riguardava opere diverse insistenti su  			area sottoposta a vincolo paesaggistico.
 Contrariamente a quanto affermato in ricorso, peraltro, i giudici del  			gravame non si esprimono affatto in forma dubitativa sul punto,  			poiché l'espressione "la domanda di condono non sembra proprio  			riguardare il manufatto di mq 60 in sequestro" altro non è che un  			mero artificio stilistico cui segue l'affermazione che tale dato,  			estremamente significativo, è desumibile dalla semplice lettura  			degli atti e la dettagliata indicazione degli elementi che sostengono  			tale asserzione e, cioè, la descrizione dettagliata degli interventi  			oggetto di precedenti accertamenti e di quelli indicati nella domanda  			di condono e l'osservazione che tali ultime opere corrispondevano,  			per superficie, a quella degli abusi già accertati e che appariva  			del tutto illogico ritenere che, nel 2004, fosse stata presentata una  			domanda di condono per opere che, alla data del 28 marzo 2007, quindi  			tre anni dopo, si trovavano nelle condizioni dianzi descritte.  			La Corte ha dunque proceduto ad una verifica dei dati fattuali  			offerti al suo esame operando in maniera perfettamente lineare,  			attraverso un percorso argomentativo dei tutto immune da cedimenti  			logici o palesi contraddizioni e, in quanto tale, non censurabile in  			questa sede di legittimità.
 6. La sentenza impugnata si presenta inoltre, sul punto,  			giuridicamente corretta.
 La natura di nuova costruzione dell'intervento, accertata in fatto e  			la incontestata presenza del vincolo paesaggistico ne precludevano  			comunque la condonabilità, indipendentemente dallo stato di  			avanzamento dei lavori.
 Infatti, la giurisprudenza di questa Corte, opportunamente richiamata  			dai giudici del gravame, ha ripetutamente affermato, con riferimento  			al condono edilizio introdotto con la L. n. 326 del 2003, che la  			realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove  			costruzioni in assenza di permesso di costruire non è suscettibile  			di sanatoria (v. da ultimo, Sez. 3, n. 16471, 28 aprile 2010, nonché  			ex. pl. Sez. 3, n. 35322, 21 settembre 2007; Sez. 3, n. 38113, 21  			novembre 2006; Sez. 4, n. 12577, 5 aprile 2005).
 In altra occasione, nel ribadire il concetto, si è anche fornita  			dettagliata confutazione di alcune posizioni dottrinarie divergenti  			che avevano prospettato una interpretazione più permissiva delle  			disposizioni menzionate (Sez. 3, n. 6431, 15 febbraio 2007).  			Tale ultima pronuncia evidenziava, tra l'altro, l'inequivocabile  			contenuto della Relazione governativa al D.L. n. 269 del 2003, che  			chiariva alcuni dubbi interpretativi e non smentiva il tenore delle  			disposizioni successivamente emanate.
 In particolare, con riferimento alle conseguenze delle modifiche  			apportate alla L. n. 47 del 1985, art. 32, richiamate anche in  			ricorso, in detta decisione si osservava che la lettura della norma  			che riteneva incongrua la condonabilità dei soli abusi minori non  			poteva condividersi in quanto:
 anche l'effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria,  			restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree  			assoggettate a vincolo paesaggistico-ambientale, è subordinata al  			preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle  			relative previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole  			impatto che può avere sul paesaggio già il solo rifacimento totale  			dell'intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora  			ne alteri il precedente aspetto esteriore); - la previsione della L.  			n. 47 del 1985, art. 32, ben si spiega con riferimento ai "vincoli"  			di natura diversa da quello paesaggistico e, quanto a quest'ultimo  			vincolo, può comunque correlarsi ad eventuali prescrizioni poste dal  			piano paesaggistico, ex D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 143, comma 5 -  			lett. b, nonché a previsioni degli strumenti urbanistici  			espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche  			paesaggistiche ed ambientali; per l'acquisizione dell'autorizzazione  			paesaggistica la conferenza di servizi non è imprescindibilmente  			obbligatoria.
 Quanto alla L. n. 326 del 2003, art. 321, comma 17 si osservava che  			tale disposizione è riferita alle "opere eseguite da terzi su aree  			di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale". Essa  			però: è significativamente limitata dall'esclusione (posta dal  			precedente comma 14) "del demanio marittimo, lacuale e fluviale,  			nonché dei terreni gravati da diritti di uso civico" (immobili  			assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege); non comporta  			certamente, quale inevitabile conseguenza, che - nel caso di nuove  			costruzioni realizzate abusivamente su suolo di proprietà dello  			Stato e soggetto a vincolo paesaggistico, idrogeologico o forestale -  			queste possano essere sanate ed il trasgressore possa anche  			acquistare il suolo sui quale sono state realizzate, previa  			disponibilità dello Stato a cederlo ed acquisizione dei parere  			favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. La  			disposizione va correttamente interpretata, invece, sempre alla  			stregua dell'ermeneusi della L. n. 47 del 1985, art. 32, dianzi  			illustrata, tenendo conto dell'ampia nozione di "vincolo" che detto  			articolo presuppone".
 7. Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, anche sul punto  			la decisione impugnata appare immune dai vizi denunciati.  			Facendo, ancora una volta, buon uso della giurisprudenza di questa  			Corte, i giudici del gravame hanno correttamente individuato gli  			elementi di distinzione tra la contravvenzione punita dall'art. 734  			c.p. e quella contemplata dal D.Lgs. n. 2 del 2004, art. 181.  			Dette contravvenzioni possono, infatti, pacificamente concorrere tra  			loro in quanto quella prevista dal Codice dei beni culturali e del  			paesaggio sanziona penalmente la violazione del divieto di intervento  			in determinate zone senza la preventiva autorizzazione, mentre la  			contravvenzione prevista dal codice penale presuppone l'effettivo  			danneggiamento delle zone protette (cfr. con riferimento alla  			normativa previgente, Sez. 6, n.9749, 9 settembre 1994).  			Va poi ricordato che il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, il quale si  			pone in sostanziale continuità con la previgente L. n. 431 del 1985  			e la normativa introdotta con il D.Lgs. n. 490 del 1999 ora abrogato,  			contempla un reato formale e di pericolo che si perfeziona,  			indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice  			esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere  			negativamente sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a  			protezione (v. Sez. 3, n.2903, 22 gennaio 2010 ed altre prec. conf.).  			È di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del  			legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai  			fini delle configurabilità del reato contemplato dal menzionato art.  			181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo,  			sull'originario assetto del territorio sottoposto a vincolo  			paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della  			prescritta autorizzazione.
 L'individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve  			inoltre essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta  			quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed  			all'ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente  			idoneo a ledere il bene giuridico tutelato (v. ex pl. Sez. 3, n.  			14461, 28 marzo 2003; n.14457, 28/3/2003; n. 12863, 20 marzo 2003;
 n.10641, 7 marzo 2003).
 È quindi richiesta la preventiva valutazione da parte dell'ente  			preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e  			diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed  			edilizia.
 Alla luce di tali premesse è conforme a diritto la decisione della  			Corte territoriale di ritenere rilevante, sotto il profilo  			paesaggistico e, pertanto, intrinsecamente idonei a comportare  			modificazioni ambientali, gli interventi descritti nell'imputazione.  			Nè la decisione si pone in contraddizione logica, per le medesime  			ragioni, rispetto alla pronuncia assolutoria del primo giudice per la  			violazione dell'art. 734 c.p. (cfr. per un caso analogo, relativo  			alla previgente disciplina, Sez. 3, n.9965, 6 novembre 1997, citata  			anche nella sentenza gravata).
 8. La pronuncia della Corte napoletana risulta parimenti conforme a  			legge anche per quanto riguarda l'oggetto del terzo motivo di  			ricorso.
 Va ricordato, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte  			è costante nell'affermare che l'istituto della rinnovazione  			dibattimentale di cui all'art. 603 c.p.p. costituisce un'eccezione  			alla presunzione di completezza dell'istruzione dibattimentale di  			primo grado dipendente dal principio di oralità del giudizio di  			appello, cosicché si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su  			richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo  			ritenga indispensabile ai fini del decidere non potendolo fare allo  			stato degli atti (v. Sez. 2, n. 3458, 27 gennaio 2006 ed altre prec.  			conf.)
 Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale  			dell'istituto, è richiesta una motivazione specifica solo nel caso  			in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve  			rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante  			dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli  			atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione  			implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a  			sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la  			sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso  			positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente  			mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n.  			24294, 25 luglio 2010; Sez. 5, n. 15320, 21 aprile 2010; Sez. 4, n.  			47095, 11 dicembre 2009).
 Per tali ragioni si è anche ritenuto che il giudice di legittimità  			può sindacare la correttezza della motivazione sulla richiesta di  			rinnovazione del dibattimento entro l'ambito del contenuto  			esplicativo del provvedimento adottato e non anche sulla concreta  			rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire (Sez. 4, n.  			47095/09 cit; Sez. 4, n. 37624, 12 ottobre 2007; SS.UU. n. 2110, 23  			febbraio 1996).
 Date tali premesse, è evidente che i giudici del gravame non avevano  			alcuna necessità i procedere all'incombente sollecitato dalla  			difesa, disponendo di tutti gli elementi necessari per pervenire  			agevolmente ad una decisione e, pertanto, il rigetto della richiesta  			risulta del tutto giustificato.
 9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali  			statuizioni indicate in dispositivo.
 P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  			del procedimento.
 Così deciso in Roma, il 28 marzo 2012.
 Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2012
                    



