Cass. Sez. III n. 19081 del 7 maggio 2009 (ud. 24 marzo 2009)
Pres. Onorato Est. Petti Ric. Bucciarelli
Beni ambientali. Sanatoria paesaggistica (legge 308-2004)

L\'articolo 1 comma 37 della legge 308-2004 fa riferimento a "lavori compiuti" ed a "lavori effettivamente eseguiti". Quindi devono essere ritenuti compatibili con paesaggio le opere già compiute e non quelle da compiere, sia pure modificando quelle originarie. In altre parole il certificato compatibilità non può essere condizionato, poiché una sanatoria subordinata a determinati adempimenti sarebbe in contrasto con la ratio della norma che collega la sanatoria alla già avvenuta esecuzione delle opere ed alla compatibilità paesaggistica delle opere già eseguite e non a quelle da eseguire. In definitiva sono suscettibili di sanatoria a norma dell’articolo 1 comma 37 della legge dianzi citata solo le opere che in origine sarebbero assentibili perché compatibili con il paesaggio. Nella fattispecie, il certificato di compatibilità paesaggistica era subordinato alla sistemazione di serbatoi in un luogo privo di vegetazione ed al rinverdimento delle zone di manovra al termine delle operazioni. Orbene, il taglio di un bosco non può considerarsi sanato per effetto dell’imposizione dell’obbligo del rinverdimento trattandosi d’intervento che ha già deturpato il paesaggio e quindi non si può parlare d’intervento ab origine compatibile con il paesaggio


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente -

Dott. PETTI Ciro - Consigliere -

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -

Dott. MULLIRI Guicla I. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.F., nata a

(OMISSIS);

L.S., nato a (OMISSIS);

F.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza della corte d'appello di Firenze del 24 gennaio

del 2008;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. PETTI Ciro;

sentito il sostituto procuratore generale nella persona del Dott.

MONTAGNA Alfredo, il quale ha concluso per l'inammissibilità del

ricorso;

sentiti, per la B., l'avv. BELLOMIA Salvatore, in

sostituzione dell'avv. D'AVIRRO Antonio;

per il L., l'avv. DE PORCELLINIS Carlo, i quali hanno

concluso per l'accoglimento del ricorso;

letti il ricorso e la sentenza denunciata osserva quanto segue.

 

IN FATTO

La corte d'appello di Firenze,con sentenza del 24 gennaio del 2008, confermava quella resa dal tribunale di Grosseto, con cui B.F., L.S. e F.S. erano stati condannati alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile, quali responsabili dei reati di cui al D.Lgs. n 490 del 1999, art. 163 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), per avere la B. nella qualità di proprietaria committente, il L. nella qualità di direttore dei lavori ed il F. come committente, realizzato sul (OMISSIS), in assenza del permesso di costruire e del nulla osta paesaggistico, un nuovo tracciato stradale lungo m 1450 e largo da m 2,90 a m. 6,20 con creazione di una piazzola di metri 31 X 8,10 ed eliminazione della vegetazione esistente. Fatto commesso il (OMISSIS).

Ricorrono per cassazione gli imputati con separati ricorsi ma con motivi parzialmente comuni. In particolare la B. ed il L. deducono:

1) erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione, per avere la corte ritenuto infondati i motivi svolti dagli appellanti circa la qualificazione di variante non essenziale da attribuirsi ai lavori eseguiti dalla REI s.p.a. e circa la necessità dell'allargamento della sede stradale per ragioni di sicurezza e per esigenze del cantiere, dovendo la strada essere utilizzata per il transito dei mezzi che trasportavano il materiale necessario alla realizzazione dei lavori di restauro presso la "(OMISSIS)"; in particolare la sentenza aveva omesso di valutare l'istanza di autorizzazione provvisoria presentata dalla REI per l'allargamento della via d'accesso, il parere favorevole espresso dal funzionario del comune ed il conseguente accoglimento dell'istanza;

2) omessa motivazione in ordine alle censure mosse sull'illegittima subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al ripristino dello stato originario dei luoghi;

3) esercizio da parte del giudice di potestà riservata all'autorità amministrativa per avere i giudici disapplicato l'intervenuto condono ambientale che, peraltro, non era illegittimo come affermato dalla corte;

4) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle statuizioni civili: assumono che le associazioni di protezione ambientale possono costituirsi parti civili solo in caso di inerzia dell'ente locale; nella fattispecie il comune, concedendo il condono, aveva fatto venir meno il presupposto per la proposizione di qualsiasi azione civile;

Il F. oltre a ribadire l'illegittimità della disapplicazione dell'atto amministrativo da parte della corte territoriale,deduce:

1) la violazione dell'art. 110 c.p. per avere egli posto in essere una condotta diversa da quella contestata agli altri imputati, in quanto si era limitato a realizzare solo gli impianti elettrici e le opere di cavidotto che potevano essere compiute solo ad opera edilizia completata;

2) violazione dei criteri di valutazione della prova per avere la corte omesso di prendere in considerazione la documentazione prodotta dal prevenutola quale documentazione evidenziava la natura accessoria dell'attività svolta dal F..

 

IN DIRITTO

Tutti i ricorsi vanno respinti perchè infondati.

Con riferimento al primo motivo di ricorso proposto nell'interesse della B. e del L., è opportuno premettere in fatto che la società REI s.p.a., rappresentata da B. F., autorizzata ad eseguire lavori di restauro e risanamento della torre spagnala sita in località "(OMISSIS)" del (OMISSIS) e di sistemazione esterna dell'area, anzichè limitarsi a ripristinare e sistemare il sentiero esistente, aveva creato una nuova strada mediante l'allargamento del tracciato originario, nella parte iniziale, e la realizzazione di un tracciato nuovo nella parte finale oltre alla creazione di una vasta piazzola di sosta, deturpando in tal modo la bellezza panoramica del luogo. L'entità dell'allargamento non era irrilevante perchè si estendeva per una lunghezza di mi 1450 ed aveva una larghezza variabile da m 2,90 a m 6,20 con la creazione di una piazzola di m 31 X 8,50.

Tale fatto oltre a configurare un abuso edilizio per la difformità dalla concessione, realizza anche il reato paesaggistico per l'assenza del relativo nulla osta. In proposito è opportuno sottolineare che il D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181), in zone paesaggisticamente vincolate, vietava l'esecuzione di qualsiasi lavoro senza la prescritta autorizzazione.

La norma, a differenza degli interventi edilizi, non distingue tra la difformità totale o parziale o tra variazione essenziale o non essenziale. Qualsiasi modificazione del territorio, realizzata in assenza del nulla osta o in difformità da esso, configura il reato in questione a condizione che si tratti di modificazione,anche minima, ma astrattamente idonea a ledere il bene oggetto di tutela.

L'abuso in questione non può considerarsi all'evidenza inidoneo a ledere il bene protetto. Il reato contestato è quindi configurabile e non v'è stato alcun travisamento di prove o omissioni motivazionali da parte dei giudici del merito. Le autorizzazioni alle quali alludono i prevenuti sono state rilasciate dopo l'esecuzione dei lavori ossia dopo che il reato era stato già commesso. Sulla loro efficacia estintiva si tornerà in seguito allorchè sarà esaminato il terzo motivo.

Infondato è anche il secondo motivo. A norma dell'art. 165 c.p. il giudice può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. In tema di reati edilizi o paesaggistici, il giudice, con la sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato (cfr Cass n. 38071 del 2007 ; conf.

Sez. Un n 714 del 1997; n 18304 del 2003; n 4086 del 2000).

Ugualmente infondato è anche il terzo motivo. Premesso che rientra nei compiti del giudice penale stabilire se il reato si sia o no estinto ed a tal fine compete al giudice penale controllare l'idoneità della sanatoria amministrativa ad estinguere il reato, si rileva che il certificato di compatibilità paesaggistica, rilasciato dal Comune di (OMISSIS) a norma della L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 37, è assolutamente inidoneo a determinare l'estinzione del reato, non solo e non tanto per le incoerenze del procedimento sottolineate dai giudici del merito, ma anche e soprattutto per il suo contenuto.

La L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 37 dispone che "Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre del 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l'accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all'autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l'estinzione del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 ed ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni:

a) che le tipologie edilizie realizzate ed i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell'eventuale autorizzazione, rientrino tra quelli previsti ed assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto del paesaggio;

b) che i trasgressori abbiano preventivamente pagato ...".

Orbene l'autorità amministrativa che rilascia il certificato di compatibilità paesaggistica, oltre ad acquisire i prescritti pareri, della cui sussistenza in effetti si da atto nel provvedimento in questione, ed a controllare l'avvenuto pagamento della sanzione, deve soprattutto verificare la compatibilità paesaggistica dell'intervento e di tale compiuta verifica deve dare conto nel provvedimento per consentire al giudice penale, che deve in concreto applicare la causa estintiva, di verificare la sussistenza dei presupposti legislativi per l'applicabilità dell'estinzione del reato. Nella fattispecie si doveva in definitiva stabilire se una strada di quelle dimensioni fosse compatibile con il contesto ambientale. Nel provvedimento in questione non v' è menzione di tale compatibilità, ma si richiama un parere della Sopraintendenza il cui contenuto non risulta però riprodotto nell'atto conclusivo. Quindi questa Corte non può verificare la conformità alla legge del certificato con riferimento alla compatibilità ambientale dell'intervento. Ma non è solo per tale ragione formale che il certificato di compatibilità paesaggistica prodotto dai ricorrenti è inidoneo ad estinguere il reato. Invero la norma dianzi richiamata fa riferimento a "lavori compiuti" ed a "lavori effettivamente eseguiti". Quindi devono essere ritenuti compatibili con il paesaggio le opere già compiute e non quelle da compiere, sia pure modificando quelle originarie. In altre parole il certificato di compatibilità non può essere condizionato, poichè una sanatoria subordinata a determinati adempimenti sarebbe in contrasto con la ratto della norma che collega la sanatoria alla già avvenuta esecuzione delle opera ed alla compatibilità paesaggistica delle opere già eseguite e non a quelle da eseguire. In definitiva sono suscettibili di sanatoria a norma dell'art. 1, comma 37 della legge dianzi citata solo le opere che in origine sarebbero assentibili perchè compatibili con il paesaggio. Nella fattispecie il certificato di compatibilità paesaggistica era subordinato alla sistemazione dei serbatoi in un luogo privo di vegetazione ed al rinverdimento delle zone di manovra al termine delle operazioni. Orbene, il taglio di un bosco non può considerarsi sanato per effetto dell'imposizione dell'obbligo del rinverdimento trattandosi d'intervento che ha già deturpato il paesaggio e quindi non si può parlare d'intervento ab origine compatibile con il paesaggio. Le opere particolarmente aggressive dell'ambiente devono essere autorizzate preventivamente, in quanto è prima della loro realizzazione che l'autorità amministrativa deve essere posta in condizione di valutare l'effettiva loro necessità.

L'autorizzazione al taglio ed all'allargamento del sentiero doveva essere chiesta preventivamente e poteva essere accordata solo previa comparazione degli eventuali interessi contrapposti. I ricorrenti, anzichè chiedere la preventiva autorizzazione, hanno preferito porre l'autorità di fronte al fatto compiuto.

Questa corte, in materia di accertamento della conformità edilizia di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 (già L. n. 47 del 1985, artt. 13 e 22) ha già affermato l'inidoneità di un certificato di conformità edilizia ad estinguere il reato allorchè sia subordinato all'esecuzione di determinate opere (Cass n. 41567 del 2007; n. 291 del 2004; n. 42927 del 2002; n 10601 del 2000; 41669 del 2001).

Del pari infondato è anche il quarto motivo. Premesso che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318, comma 2 abrogando il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 9, comma 3, il quale autorizzava le associazioni di protezione ambientale a costituirsi parte civile per conto degli enti territoriali, in caso di inerzia degli stessi, non incide sulle costituzioni già effettuate prima dell' entrata in vigore della legge, trattandosi di norma di natura processuale, si osserva che la costituzione in giudizio di tali associazioni era subordinata alla semplice inerzia dell'ente territoriale a prescindere dalle ragioni dell'inerzia. Quindi il fatto che il comune abbia rilasciato il certificato di compatibilità paesaggistica non impediva la costituzione di parte civile da parte del W.W.F., stante l'obiettiva inerzia del comune.

Per quanto concerne il ricorso del F., il primo motivo relativo alla dedotta illegittimità della disapplicazione del certificato di compatibilità ambientale, è stato già esaminato in occasione della valutazione del ricorso proposto dagli altri imputati. Gli altri due motivi addotti, al limite dell'ammissibilità perchè si ripropongono censure già disattese dalla corte territoriale, sono comunque infondati e vanno pertanto respinti.

Essi vanno esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi. La tesi del ricorrente di essere intervenuto quando l'opera era stata già eseguita per effettuare interventi accessori, è stata smentita dai giudici del merito, i quali lo hanno indicato come esecutore dei lavori. Tale ruolo è stato desunto dalla presenza sul cantiere in occasione dei vari sopralluoghi, dal suo atteggiarsi nei confronti degli ispettori verbalizzanti come il responsabile del cantiere; dal fatto che era stato indicato come il datore di lavoro dagli operai rinvenuti sul posto nonchè dal collegamento familiare con l'altra ditta che operava sul posto.

 

P.Q.M.

La Corte letto l'art. 616 c.p.p. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 24 marzo del 2009.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2009