Cass. Sez. III n. 7538 del 21 febbraio 2024 (UP 11 gen. 2024)
Pres. Ramacci Est. Semeraro Ric. Gervasi ed altro
Beni ambientali.Rapporti tra art. 146 dlv 42-2004 e dpr 31-2017

La regola generale di cui all'art. 146 d.lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), che prescrive che ogni intervento che comporti modificazioni o rechi pregiudizio all'aspetto esteriore delle aree vincolate e soggetto al previo dell'autorizzazione paesaggistica, consacrata in una fonte di rango primario, non può certamente essere derogata da una fonte di rango secondario, quale è il suddetto regolamento n. 31 del 2017, che è di attuazione e non di delegificazione, e dunque non può liberalizzare interventi che per la norma di rango primario sono assoggettati ad autorizzazione.  Ne consegue che l'accertamento, in punto di fatto, della riconducibilità degli interventi eseguiti in area sottoposta a vincolo nel novero di quelli non soggetti ad autorizzazione (cioè quelli di cui all'elenco allegato sub A al citato d.P.R. 31/2017) o di quelli di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato (di cui all'elenco allegato sub B del medesimo regolamento), deve essere condotto attenendosi a una interpretazione logico sistematica di carattere finalistico delle disposizioni del regolamento. 


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 20 gennaio 2022 il Tribunale di Trapani, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato Fabio Gervasi e Grazia Noto alla pena di 3 mesi di arresto ed euro 10.300 di ammenda ciascuno, ritenuta la continuazione e più grave quello sub a), concesse le circostanze attenuanti generiche, con la sospensione condizionale della pena, per i reati ex art. 110 cod. pen., 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (capo a), 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (capo b), 93-95 d.P.R. n. 380 del 2001 (capo c), per la realizzazione di un muro di recinzione in cemento prefabbricato, di un piazzale di calcestruzzo, senza permesso di costruire, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza autorizzazione della Soprintendenza, e senza la autorizzazione per l’esecuzione delle opere in zona sismica (accertato in Castellammare del Golfo il 25 novembre 2019).
1.1. Avverso tale sentenza hanno proposto appello gli imputati e ricorso per cassazione, convertito in appello, il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo.
1.2. Con la sentenza del 2 febbraio 2023 la Corte di appello di Palermo, in accoglimento del solo appello del Procuratore Generale, in parziale riforma della condanna inflitta dal Tribunale di Trapani il 20 gennaio 2022 a Fabio Gervasi e Grazia Noto, ha ordinato la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese dei condannati; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.

2. Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza.
2.1. Con il primo motivo si deducono la violazione degli artt. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, 181 d.lgs. n. 42 del 2004, 93-95 d.P.R. n. 380 del 2001, la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di appello si sarebbe limitata a rinviare, quanto all’elemento oggettivo della responsabilità, alla sentenza di primo grado, senza valutare la documentazione prodotta in base alla quale si sarebbe dimostrato che le opere eseguite erano da qualificarsi di manutenzione straordinaria; sarebbero state eseguite su manufatti già esistenti dal 1972, come da relazione tecnica, e consistite nel rifacimento di un muro di recinzione diroccato e nella risistemazione di un piazzale di calcestruzzo.
Inoltre, agli imputati è stata rilasciata la Cila tardiva, a cui è allegato il certificato di idoneità sismica del Genio Civile di Trapani del 16 giugno 2021.
Per quanto concerne poi il vincolo paesistico, si sostiene che per la natura delle opere non sarebbe necessaria l’autorizzazione ai sensi del d.P.R. N. 31 del 2017, all. a, punti A.12 e A.13 prodotto in giudizio; in ogni caso, l’autorizzazione sarebbe stata richiesta il 25 novembre 2020 al comune di Castellammare del Golfo ed ottenuta mediante il silenzio assenso.
Dopo i richiami alla giurisprudenza amministrativa, si rileva che il processo penale avverso la precedente proprietaria per la ristrutturazione della pavimentazione, si sarebbe concluso con l’assoluzione per tenuità del fatto.
Per la natura delle opere non occorrerebbe il permesso di costruire ma la Cila.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sull’esclusione della non punibilità per la lieve entità del fatto, di cui sussisterebbero tutti gli elementi applicativi: la occasionalità, la minima lesività della condotta, il rilascio della Cila tardiva.
2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio di violazione di legge sulla determinazione della pena per il mancato riconoscimento della diminuzione della metà della pena in virtù della scelta del giudizio abbreviato e per l’omessa risposta allo specifico motivo di appello sul punto.
2.4. Con il quarto motivo si deduce il vizio della motivazione con riferimento al rigetto della richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti ex art. 62, n. 6, e 62-bis, cod. pen., fondato sulla circostanza che gli imputati non si sarebbero adoperati per eliminare le conseguenze dannose o pericolose dei reati.
Il Tribunale non avrebbe contenuto la pena nei limiti edittali e la sentenza impugnata non rispetterebbe i principi della giurisprudenza sulla determinazione della pena riportati nel ricorso.
2.5. Il difensore ha depositato le conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso per cassazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato.
1.1. La condanna per il reato sub a) è stata pronunciata dal Tribunale, correttamente, per il reato ex art 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, poiché nell’imputazione, per quanto si indichi quale norma violata la lett. b), nella descrizione del fatto è ascritto agli imputati di aver realizzato opere edili in assenza di permesso di costruire ed in zona con vincolo paesistico, come rappresentato nel capo b).
1.1.1. Con il primo motivo di appello si sostenne, esclusivamente, l’insussistenza del reato perché sarebbero state realizzate opere di manutenzione straordinaria e per il rilascio della «Cila tardiva».
Non risultano essere state dedotte le questioni relative alla preesistenza delle opere, al d.P.R. N. 31 del 2017 ed alla precedente sentenza nei confronti del precedente proprietario dell’immobile: su tali punti, pertanto, il ricorso è inammissibile ex art. 606, comma 3, e 609 cod. proc. pen.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la lettura coordinata degli artt. 609 e 606, comma 3, cod. proc. pen. impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, quale rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale (in tal senso cfr. Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794, in motivazione).
1.1.2. La Corte territoriale ha risposto alle questioni dedotte con l’appello, per quanto con motivazione sintetica, ed ha correttamente applicato il principio per cui, in tema di reati edilizi, la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, pur se non realizza una nuova volumetria, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli «interventi di nuova costruzione» di cui all'art. 3, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; così Sez. 3, n. 31617 del 06/06/2019, Campisi, Rv. 276048 – 01, in relazione ad un muro costituito da blocchi di cemento, lungo m. 12 e alto circa cm. 60. 
Tale principio, di recente, è stato confermato da Sez. 3, n. 35851 del 2023 17/5/2023, Cassisi, non massimata.
1.1.3. La giurisprudenza ha, altresì, affermato, in tema di reati edilizi, che è soggetta a permesso di costruire l'esecuzione di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio; così Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 2017, Palma, Rv. 268847 – 01; tale principio è stato confermato anche da Sez. 3, n. 35849 del 17/5/2023, Fior, non massimata.
1.1.4. In base ad un giudizio di fatto qui non rivalutabile, la Corte di appello ha ritenuto che la realizzazione del muro di recinzione - di m.15 X 9.75, alto m. 1.40 – e del piazzale in gettato cementizio di m.23.50 X 4.80, ha comportato una modificazione a carattere stabile ed incidente in modo significativo sull’assetto urbanistico, per le dimensioni delle opere, per la realizzazione su fondo rustico ed in modo permanente. Ha, dunque, correttamente ritenuto necessario il permesso di costruire: è, di conseguenza, manifestamente infondata la tesi difensiva sulla natura delle opere realizzate, quali di manutenzione straordinaria, e sulla necessità per la loro realizzazione della sola Cila, anche se successivamente effettuata.
1.1.5. Per altro, la Cila successivamente presentata non produce alcun effetto estintivo dei reati contestati; la comunicazione della Cila, successivamente all’inizio dei lavori, ha come unico effetto la riduzione della sanzione, se effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione, come previsto dall’art. 6-bis, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001.
1.2. Quanto al reato ex art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, premesso che è incontestata l’esistenza del vincolo paesaggistico, va ribadito il principio per cui (Sez. 3, n. 36545 del 14/09/2022, Montinaro, Rv. 284312 – 01), in tema di reati paesaggistici, l'accertamento in fatto della riconducibilità degli interventi eseguiti in area sottoposta a vincolo paesaggistico nel novero di quelli non soggetti ad autorizzazione, di cui all'allegato A al d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, o di quelli di lieve entità sottoposti a procedimento autorizzatorio semplificato, di cui all'allegato B del citato d.P.R., deve essere condotto attenendosi ad un'interpretazione logico-sistematica di carattere finalistico delle disposizioni regolamentari, valevole a determinare l'applicazione delle disposizioni derogatorie previste dal decreto in oggetto ai soli interventi di lieve entità, tali essendo quelli che, per tipologia, caratteristiche e contesto in cui si inseriscono, non sono idonei a pregiudicare i valori paesaggistici tutelati dal vincolo.
1.2.1. L'art. 2 del d.P.R. 13 febbraio 2017, con cui è stato emanato il regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, esclude dalla necessità di autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all'Allegato A del regolamento stesso. Quest'ultimo contiene, da A.1. ad A.31., l'elencazione di 31 classi di interventi su opere e in aree vincolate esclusi dalla autorizzazione paesaggistica, alcuni dei quali caratterizzati dalla facile amovibilità e dalla temporaneità (ad esempio quelli di cui alle lettere A.16. e A.17.).
Come affermato dalla sentenza Montinaro, la regola generale di cui all'art. 146 d.lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), che prescrive che ogni intervento che comporti modificazioni o rechi pregiudizio all'aspetto esteriore delle aree vincolate e soggetto al previo dell'autorizzazione paesaggistica, consacrata in una fonte di rango primario, non può certamente essere derogata da una fonte di rango secondario, quale è il suddetto regolamento n. 31 del 2017, che è di attuazione e non di delegificazione, e dunque non può liberalizzare interventi che per la norma di rango primario sono assoggettati ad autorizzazione. 
Ne consegue che l'accertamento, in punto di fatto, della riconducibilità degli interventi eseguiti in area sottoposta a vincolo nel novero di quelli non soggetti ad autorizzazione (cioè quelli di cui all'elenco allegato sub A al citato d.P.R. 31/2017) o di quelli di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato (di cui all'elenco allegato sub B del medesimo regolamento), deve essere condotto attenendosi a una interpretazione logico sistematica di carattere finalistico delle disposizioni del regolamento. 
1.2.2. Orbene, con un giudizio in fatto qui non rivalutabile, la Corte di appello ha di fatto escluso l’applicazione del d.P.R. n. 31 del 2017, all. a, punti A.12, nel momento in cui ha ritenuto essersi realizzata una modificazione permanente del fondo rustico, attraverso la realizzazione del muro e del piazzale.
Ferme restando le osservazioni in diritto già operate, quanto al piazzale, il punto A.12 dell’all. A, esclude la necessità dell’autorizzazione paesistica per gli «interventi da eseguirsi nelle aree di pertinenza degli edifici non comportanti significative modifiche degli assetti planimetrici e vegetazionali, quali l'adeguamento di spazi pavimentati, la realizzazione di camminamenti, sistemazioni a verde e opere consimili che non incidano sulla morfologia del terreno …».
Quanto al muro di cinta, va ricordato che trattandosi di un unitario intervento edilizio, il regime autorizzativo per le opere realizzate non muterebbe, non potendo invocarsi, isolatamente, l’applicazione della lett. A.13. citata dalla difesa.
1.2.3. Inoltre, va ricordato che la giurisprudenza è costante nell’affermare, cfr. Sez. 3, n. 190 del 12/11/2020, dep. 2021, Susana, Rv. 281131 – 01, che il rilascio postumo dell'autorizzazione paesaggistica al di fuori dei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non consentendo la sanatoria urbanistica ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi né preclude l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino dell'immobile abusivo edificato in zona vincolata.
1.3. Manifestamente infondato è il motivo quanto al reato di cui al capo c).
1.3.1. Le disposizioni previste dagli artt. 83 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità e per le quali si rende pertanto necessario il controllo preventivo da parte della P.A., a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell'intervento (cfr. Sez. 3, n. 9126 del 16/11/2016, Rv. 269303, Aliberti: fattispecie relativa a muri di semplice recinzione costruiti con dei «forati»; Sez. 3, n. 48950 del 04/11/2015, Rv. 266033, Baio: fattispecie relativa a chiusura di veranda mediante mattoni forati. Cfr. anche Sez. 3, n. 6591 del 24/11/2011, Rv. 252441, D'Onofrio). 
La disciplina prevista dal Testo Unico dell'edilizia in tema di contravvenzioni antisismiche trova applicazione anche nel caso in cui la costruzione si trovi all'interno di una proprietà privata, in quanto la disciplina in esame è volta a tutelare dagli effetti delle azioni sismiche la pubblica incolumità, rientrando in tale concetto anche il possibile danno al singolo individuo e, quindi, allo stesso proprietario del manufatto (Sez. 3, n. 14432 del 29/02/2008, Rv. 239664, Morina). 
Nel caso in esame è stato realizzato un muro, ritenuto di significative dimensioni, in zona sismica e nulla è stato richiesto prima della esecuzione delle opere edili.
1.3.2. Va, altresì, ribadito che il deposito allo sportello unico, dopo la realizzazione delle opere e, quindi, «a sanatoria», della comunicazione richiesta dall'art. 93 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e degli elaborati progettuali non estingue la contravvenzione antisismica, che punisce l'omesso deposito preventivo di detti elaborati, in quanto l'effetto estintivo è limitato dall'art. 45 del medesimo d.P.R. alle sole contravvenzioni urbanistiche (Sez. 3, n. 19196 del 26/02/2019, Greco, Rv. 275757 – 01).
Per altro, (cfr. Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Casà, Rv. 284058 – 01), il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cd. «doppia conformità»), richiesto ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è da ritenersi escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell'autorizzazione sismica.

2. Il secondo motivo, con cui si deduce l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulla esclusione della non punibilità per la lieve entità del fatto, è manifestamente infondato.
Va ribadito il principio per cui – cfr. Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 - ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma primo, cod. pen. – tenuto conto altresì della condotta susseguente al reato - ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti. 
Cfr. nello stesso senso Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647: in motivazione la Corte ha ritenuto corretta la mancata applicazione di tale causa di esclusione della punibilità in conseguenza della fuga dell'imputato subito dopo il fatto, senza che ciò si ponga in contrasto con la concessione delle attenuanti generiche, giustificata dalla successiva condotta processuale del predetto.
Inoltre, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678 – 01).
La Corte di appello ha ritenuto decisiva, per escludere la particolare tenuità del fatto, con giudizio corretto in diritto e valutazione in fatto non rivalutabile, la concreta lesione del bene interesse protetto, per le dimensioni e le caratteristiche delle opere, realizzate in zona vincolata con apprezzabile alterazione dell’assetto locale del territorio, per altro su immobile in parte sanato ed in parte in corso di sanatoria.

3. Il quarto motivo, con cui si deduce il vizio della motivazione con riferimento al rigetto della richiesta di applicazione della circostanza attenuante ex art. 62, n. 6, cod. pen., è manifestamente infondato, poiché correttamente la Corte di appello ha ritenuto che gli imputati non si siano adoperati per eliminare le conseguenze dannose o pericolose dei reati.
3.1. Secondo la giurisprudenza, nei reati edilizi tale circostanza attenuante è applicabile solo allorquando l'abbattimento volontario dell'opera abusiva sia avvenuto in epoca anteriore al giudizio ed in assenza dell'ordinanza sindacale di demolizione (Sez. 3, n. 15731 del 10/03/2016, Ledda, Rv. 266585 – 01) o in caso di spontanea ed efficace esecuzione ad opera del reo, a lavori ultimati, di un'ulteriore attività edilizia con finalità ripristinatorie o di adeguamento del manufatto abusivo alle prescrizioni urbanistico-edilizie violate (Sez. 3, n. 43844 del 24/09/2009, Di Natale, Rv. 245224 – 01).
Nel caso de quo risulta solo posto in essere un iter amministrativo inidoneo ad ottenere il rilascio del permesso in sanatoria.
3.2. Del tutto generiche sono le contestazioni sulla congruità del trattamento sanzionatorio, tenuto conto che le circostanze attenuanti generiche sono già state concesse nella massima estensione, che è stata applicata una pena prossima al minimo edittale dell’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001.

4. Il terzo motivo è fondato.
4.1. Dalla sentenza del Tribunale risulta che il processo si è celebrato con il giudizio abbreviato – cfr. pag. 1 - ma che non è stata effettuata la riduzione della pena per il rito, come risulta dal calcolo indicato a pag. 5.
In tema di giudizio abbreviato, l'art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge 23 maggio 2017, n. 103, prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina.
Nonostante lo specifico motivo di appello (pag.9), la Corte di appello ha confermato la pena inflitta.
4.2. Come prima indicato, la condanna è intervenuta per il reato di cui all’art. 44, lett. C), d.P.R. n. 380 del 2001, poiché la sentenza dà atto che le opere sono state realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico. 
In primo grado era stata inflitta una pena pecuniaria di € 15.000 ammenda, inferiore al minimo edittale previsto dalla norma, tenuto conto, altresì, che il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, ha disposto, con l'art. 32, comma 47, che «Le sanzioni pecuniarie di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono incrementate del cento per cento».
Sulla determinazione della pena pecuniaria non è vi è stata, però, impugnazione da parte del Pubblico ministero.
4.3. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio che può essere rideterminato, ai sensi dell’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., operando la riduzione della metà sulla pena finale già prevista, non modificabile: applicando la riduzione per il rito, si determina la pena finale in un mese e 15 giorni di arresto ed € 5.150 di ammenda, ferme restando le altre statuizioni delle sentenze di merito.
I ricorsi devono essere rigettati nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in mesi uno e giorni quindici di arresto e euro 5.150 di ammenda. 
Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso il 11/01/2024.