Cass. Sez. III n. 38988 del 3 dicembre 2025 (CC 13 nov 2025)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. Lorenzini
Beni ambientali.Ordine di ripristino ed ordine di demolizione

Sebbene l'ordine di rimessione in pristino abbia contenuto più ampio rispetto all'ordine di demolizione - in quanto comprende tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio e comporta la reintegrazione totale del bene nell'area protetta, con un carattere di maggiore completezza ed effettività rispetto alla demolizione prevista in materia urbanistica - non rileva l'omessa statuizione relativa all'ordine medesimo quando esso debba intendersi ricompreso nell'ordine di demolizione delle opere abusive disposto dal giudice con la sentenza di condanna, ciò che si verifica nel caso in cui quest'ultimo soddisfi pienamente anche le esigenze di ripristino del primo, ben potendo i due ordini avere un contenuto identico o differenziato a seconda della fattispecie concreta cui si riferiscono.


RITENUTO IN FATTO 
1. Con ordinanza del 22 maggio 2025 la Corte d'appello di Roma, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta presentata da Alfonso Lorenzini, volta a ottenere l'annullamento della ingiunzione a demolire emessa il 9 maggio 2023 dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Roma, sulla base dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza del 14 gennaio 1997 della medesima Corte d'appello di Roma, giudicando irrilevanti, nella prospettiva dell'annullamento o della revoca dell'ordine di demolizione, le istanze di condono presentate dal Lorenzini, in quanto ancora pendenti pur risalendo al 1994.
2. Avverso tale ordinanza il condannato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l'Avvocato Luca Ciaglia, che lo ha affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 7 e 20 I. n. 47 del 1985 e 1-sexies l. n. 431 del 1985, in quanto l'ordine di demolizione era stato impartito con la sentenza di primo grado del Pretore di Roma del 5 luglio 1994, in relazione a una parte delle violazioni edilizie di cui al capo a), ossia per la realizzazione di un muro di contenimento e di due tettoie, in relazione alle quali la Corte d'appello di Roma aveva dichiarato non doversi procedere, confermando la condanna solamente per le violazioni paesaggistiche di cui all'art. 1-sexies I. 431 del 1985 (ora contemplate dall'art. 181 I. n. 42 del 2004), con la conseguente erroneità della ingiunzione a demolire emessa dal Procuratore Generale e oggetto della richiesta di annullamento, relativa a reati edilizi per i quali era intervenuta sentenza di proscioglimento, non essendo mai stata ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi ai sensi dell'art. 1-sexies della citata I. 431 del 1985, avente comunque contenuto diverso rispetto all'ordine di demolizione.
2.2. Con un secondo motivo ha denunciato la violazione dell'art. 666 cod.
proc. pen. a causa della mancata considerazione della pendenza di istanze di condono edilizio presentate ai sensi della I. 724 del 1994, la cui mancata definizione non era imputabile al ricorrente, essendo riconducibile al mancato rinvenimento degli originali delle domande di condono, a causa del loro sequestro penale disposto in relazione a un procedimento penale conclusosi con provvedimento di archiviazione.
2.3. Infine, con un terzo motivo, ha lamentato, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l'illogicità della motivazione, per essere stato confermato l'ordine di demolizione anche con riferimento a manufatti per i quali già in primo grado era intervenuta sentenza di assoluzione o di proscioglimento, ossia una piccola unità immobiliare (in relazione alla quale era stata in primo grado pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste) e una scala interna di collegamento con due piccoli ambienti in muratura (per la quale era intervenuta sentenza di proscioglimento per intervenuto rilascio di concessione in sanatoria).
3. Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, sottolineando che le questioni relative all'esatto contenuto del titolo esecutivo non erano state dedotte con l'incidente di esecuzione; la persistenza e l'irrevocabilità dell'ordine di demolizione emesso ai sensi della violazione dell'art. 1-sexies della legge n. 431 del 1985 (corrispondente alle odierne violazioni della legge n. 42 del 2004); la mancanza di elementi in ordine al prossimo e probabile accoglimento della istanza di condono presentata dal ricorrente.
4. A tali conclusioni ha replicato il ricorrente, con memoria del 29 ottobre 2025, ribadendo la fondatezza di tutti i motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo, mediante il quale è stata eccepita la erroneità del rigetto della richiesta di annullamento della ingiunzione a demolire le opere oggetto dell'ordine di demolizione impartito dal Pretore di Roma con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 20, lett. c), I. n. 47 del 1985 (ora art. 44, comma 1, lett. C, d.P.R. 380/2001), per essere intervenuta in secondo grado sentenza di non doversi procedere in ordine a tale contestazione, non è fondato, essendo stata confermata la condanna del ricorrente per il reato paesaggistico di cui al capo c) contestato ai sensi dell'art. 1-sexies l. 431 del 1985 (ora art. 181 dlv.42 del 2004), che prevede come necessaria statuizione accessoria l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi; questo, come osservato anche dal ricorrente, ha contenuto più ampio rispetto all'ordine di demolizione, in quanto comprende tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio e comporta la reintegrazione totale del bene nell'area protetta, con un carattere di maggiore completezza ed effettività rispetto alla demolizione prevista in materia urbanistica (Sez. 3, n. 10032 del 15/01/2015, Cacace, Rv. 262753 - 01, che ha anche chiarito che la conferma in appello della sentenza di condanna per il reato paesaggistico, con contestuale dichiarazione di estinzione per prescrizione del concorrente reato urbanistico, non impone la revoca dell'ordine di demolizione impartito dal primo giudice, poiché esso resta assorbito nell'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi).
Non rileva, poi, l'omessa statuizione relativa all'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato, quando detto ordine debba intendersi ricompreso nell'ordine di demolizione delle opere abusive disposto dal giudice con la sentenza di condanna, ciò che si verifica nel caso in cui, come quello in esame, quest'ultimo soddisfi pienamente anche le esigenze di ripristino del primo (Sez. 3, n. 39001 del 26/09/2007, Salemme, Rv. 237817 - 01, che ha precisato che i due ordini possono avere un contenuto identico o differenziato a seconda della fattispecie concreta cui si riferiscono).
Poiché non risulta dal provvedimento impugnato, né ciò è stato dedotto dal ricorrente, che l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi dovesse avere un contenuto diverso o più ampio rispetto all'ordine di demolizione delle opere abusive, lo stesso deve ritenersi compreso nell'ordine di demolizione e deve, quindi, essere eseguito, essendo divenuta definitiva la condanna per il reato paesaggistico, con la conseguenza che correttamente la Corte d'appello ne ha rigettato la richiesta di revoca.
3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata la omessa considerazione delle istanze di condono presentate dal ricorrente, è manifestamente infondato, dovendo aversi riferimento al reato paesaggistico, per il quale è intervenuta condanna definitiva e in relazione al quale è stata disposta, come osservato, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi (mediante demolizione delle opere abusive), e non a quello urbanistico, per il quale vi è stata sentenza di non doversi procedere, stante l'autonomia strutturale dei due provvedimenti e i diversi beni protetti (v. Sez. 3, n. 47331 del 16/11/2007, Minaudo, Rv. 238531 - 01), e occorrendo, pertanto, per ottenere la revoca di tale ordine, il rilascio postumo della autorizzazione paesaggistica, che non è stato neppure affermato essere stata richiesta dal condannato, che non ha considerato la condanna per il reato paesaggistico né la previsione dell'ordine di rimessione in pristino che ne consegue.
4. Il terzo motivo, relativo all'oggetto della ingiunzione a demolire, che comprenderebbe indebitamente anche opere per le quali è intervenuta sentenza di assoluzione o proscioglimento, è inammissibile, perché attiene a un punto che non è stato sottoposto al giudice dell'esecuzione con la richiesta di revoca rigettata dalla Corte d'appello, in quanto tale istanza si fondava solamente sulla regolare presentazione di istanze di condono nel 1994 e sulla rappresentazione del sopravvenuto smottamento di una delle opere oggetto di tale ingiunzione, ossia il muro di sostegno di 23 metri di lunghezza, con la conseguenza che risulta ora preclusa la deduzione di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del consolidato principio secondo cui non può essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il punto non gli era stata sottoposto e l'eventuale travisamento della prova non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv.261438 - 01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 - 01).
5. Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, a cagione della infondatezza del primo motivo e della inammissibilità del secondo e del terzo.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/11/2025