TAR Toscana, Sez. III, n. 243, del 14 febbraio 2013
Urbanistica.Cambio di destinazione d’uso e contributo per oneri di urbanizzazione

Un cambio di destinazione d’uso intervenuto tra categorie autonome, quella industriale e quella commerciale, che ha comportato un aumento del carico urbanistico con conseguente mutamento degli standards, è sufficiente, per giurisprudenza unanime, a giustificare la richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione anche nel caso di mutamenti d’uso meramente funzionali. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00243/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02283/1996 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2283 del 1996, proposto da: 
Soc. Immobiliare Caterina S.a.s., rappresentata e difesa dagli avv. Vittorio Donato Gesmundo e Paolo Golini, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Firenze, via Gino Capponi n. 26;

contro

Comune di Prato, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Paola Tognini, Stefania Logli ed Elena Bartalesi, con domicilio eletto presso Monica Dominici in Firenze, via XXIV Maggio n. 14;
Dirigente p.t. del Settore XI - Concessioni Edilizie, del Comune di Prato;

per l'annullamento

del provvedimento di cui alla comunicazione del Dirigente del Settore XI - concessioni edilizie in data 6 febbraio 1996 prot. 7358, notificato il 10 aprile 1996, con il quale, vista la domanda di condono edilizio avanzata dalla ricorrente, "si comunica che l'importo del contributo previsto dall'art. 3 della legge 28 gennaio 1977 n. 10 calcolato a titolo di anticipazione e pertanto soggetto a successivo conguaglio è stato determinato"...in "L. 60.000.407", con la precisazione che la somma relativa avrebbe dovuto essere versata presso la Tesoreria comunale nel termine di 60 giorni dalla data di notifica del provvedimento pena l'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 3 della legge 47/85; nonché per l'annullamento di tutti gli atti presupposti conseguenziali e comunque connessi;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Prato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 giugno 2012 il dott. Eleonora Di Santo e uditi per le parti i difensori P. Golini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. In data 26 giugno 1986 l’Immobiliare Caterina, odierna ricorrente, in qualità di proprietaria di una unità immobiliare posta al piano terreno di un fabbricato sito in Prato, in Viale Marconi, presentava domanda di sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985, per un cambio di destinazione dei sovraindicati locali da industriale a commerciale, realizzato nell’anno 1982, senza esecuzione di opere.

Con provvedimento prot. 7358 del 6 febbraio 1996, l’amministrazione comunale di Prato provvedeva, quindi, a comunicare alla società richiedente la sanatoria l’importo dell’oblazione e del contributo di concessione (costo di costruzione e contributo per oneri di urbanizzazione) previsto dall’art. 3 della legge n. 10/1977, per complessive L. 60.000.407.

Avverso il suindicato provvedimento, la Immobiliare Caterina ha proposto il ricorso in esame, lamentando che l’atto sarebbe illegittimo in quanto, trattandosi di mutamento di destinazione d’uso senza opere non potrebbe essere considerato “abuso” e non sarebbe, quindi, in generale, intervento che possa o debba essere sanato. In particolare, la nuova disciplina in materia di cambio di destinazione d’uso delineata nel capo II della legge n. 47/1985 e la normativa regionale adottata in applicazione dell’art. 25 della medesima legge n. 47/1985, confermerebbero che in assenza del recepimento da parte del Comune della disciplina sul cambio di destinazione d’uso degli immobili senza opere edilizie, questo non costituirebbe attività soggetta al preventivo controllo dell’amministrazione sotto il profilo urbanistico edilizio e la sua attuazione non rappresenterebbe un abuso che possa o debba essere sanato. Conseguentemente l’istanza di sanatoria avrebbe dovuto essere respinta (primo profilo di doglianza del 1° motivo di ricorso).

In ogni caso, comunque, l’amministrazione comunale non avrebbe potuto richiedere, come invece ha fatto con l’atto impugnato, il pagamento di oneri concessori (nulla viene, invece, contestato per il pagamento dell’oblazione), trattandosi di un intervento attuato senza l’esecuzione di opere edilizie, che non era, né tuttora è, soggetto a concessione edilizia e tantomeno a concessione edilizia onerosa (secondo profilo di doglianza del 1° motivo di ricorso).

Infine, poi, il Comune avrebbe erroneamente conteggiato gli oneri concessori perché li avrebbe calcolati con riferimento alle tabelle in vigore all’attualità (1996) e non a quelle vigenti al momento della presentazione della domanda (1986), come invece avrebbe dovuto fare tenuto conto la legge regionale n. 51/1985, che ha dettato le disposizioni di attuazione della legge n. 47/1985, ha espressamente limitato agli edifici abusivi aventi destinazione residenziale l’applicazione delle tabelle in vigore al momento del rilascio delle concessioni in sanatoria (comma 4° dell’art. 1) (2° motivo di ricorso).

2. Il ricorso è infondato.

In relazione al primo motivo di ricorso, per la parte in cui si sostiene che il mutamento di destinazione d’uso, essendo avvenuto senza l’esecuzione di opere edilizie, non avrebbe potuto o dovuto essere condonato in quanto non soggetto, ab origine, ad alcun titolo edilizio, e, pertanto, non sarebbe dovuto alcun contributo di concessione, si può prescindere dall’esame dell’eccezione di tardività dello stesso – sollevata dall’amministrazione resistente sul rilievo che la censura avrebbe dovuto essere rivolta contro l’effettivo atto di condono, rilasciato dal Comune di Prato il 31 ottobre 2011 e mai impugnato dalla ricorrente, e non già avverso l’atto di determinazione del contributo previsto dall’art. 3 della legge n. 10/1977 – stante l’infondatezza del motivo nel merito.

Nel caso di specie, infatti, non si discute dell’assoggettabilità ad autorizzazione o a concessione, ovvero ad alcun titolo abilitativo, del mero cambio d’uso dell’immobile, bensì dell’assoggettabilità agli oneri concessori del passaggio da una categoria di destinazione ad altra, passaggio rispetto al quale è irrilevante se il cambio di destinazione d’uso sia avvenuto con o senza opere.

Ciò premesso, in caso di cambio di destinazione d’uso l’obbligo di corrispondere il contributo concessorio è principio enucleabile dall’art. 10, ultimo comma, della legge n. 10/1977, ribadito dall’art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985, la cui ratio, come chiarito dalla giurisprudenza, è da ricercare nell’esigenza “di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all’immobile avrebbe comportato all’origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente e, di contro, con l’aggravio urbanistico già valutato in sede di fissazione di quel regime contributivo” (Cons. di Stato, sez. V, 7 dicembre 2010, n. 8620).

E, nella specie, il mutamento di destinazione d’uso attuato dalla ricorrente dal 1982 ha comportato il passaggio della tipologia di intervento da una classe contributiva originaria e meno “pesante” (industriale, appunto) ad un’altra tipologia (commerciale), non solo diversa ma anche più gravosa in termini di carico urbanistico. Si è trattato, cioè, di un cambio di destinazione d’uso intervenuto tra categorie autonome, quella industriale e quella commerciale, che ha comportato un aumento del carico urbanistico con conseguente mutamento degli standards. Presupposto, questo, sufficiente, per giurisprudenza unanime, a giustificare la richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione anche nel caso di mutamenti d’uso meramente funzionali (cfr., ex multis, TAR Lazio, II bis, 4 gennaio 2005, n. 54; II, 17 settembre 2001, n. 7518).

Parimenti dovuto è il contributo per il costo di costruzione in considerazione della destinazione d’uso commerciale impressa all’immobile dal 1982.

A riguardo si rinvia a quanto statuito da questa Sezione in ordine ad analoga controversia instaurata nei confronti del Comune di Prato, lì dove si è statuito (sentenza n. 6057 del 24 novembre 2004) che si applica la normativa statale di cui alla legge n. 10/1977 che esenta dal costo di costruzione gli interventi edilizi destinati ad attività industriale ed artigianale ma non quelli (come l’immobile della ricorrente) che alla data di legittimazione degli abusi erano già destinati ad attività commerciale.

Le considerazioni che precedono sono di per sé sufficienti a dimostrare l’infondatezza del primo motivo di ricorso, in quanto dalle stesse emerge che l’imposizione operata nei confronti della ricorrente sarebbe stata legittima anche se non correlata al condono, nel senso che l’Immobiliare Caterina avrebbe, anche se non avesse presentato l’istanza di condono, dovuto corrispondere al Comune il suindicato costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione.

Peraltro, non può non soggiungersi che la legittimità dell’imposizione emerge anche dalla stessa normativa sul condono.

Infatti, la normativa relativa al condono edilizio di cui agli artt. 31 e segg. della L. n. 47/1985 prevede (art. 37) la corresponsione – per sanare gli abusi commessi – oltre che dell'oblazione anche del contributo di concessione previsto dall'art. 3 della L. n. 10/1977 (oneri di urbanizzazione e contributo commisurato al costo di costruzione), ove dovuto.

E la giurisprudenza, in più occasioni, ha avuto modo di chiarire come, ai sensi dell’art. 2 comma 53 l. 23 dicembre 1996 n. 662 – che è norma di interpretazione autentica, applicabile, quindi, anche alle fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore - la modifica della destinazione d’uso con o senza opere, anche se in difformità dalle previsioni urbanistiche, rientri nella tipologia 4 (opere di ristrutturazione edilizia e opere che abbiano determinato un mutamento di destinazione d’uso) della tabella allegata alla l. 28 febbraio 1985 n. 47, la quale, ai fini dell’individuazione della misura dell’oblazione, elenca la tipologia degli abusi cui si applica la disciplina sul condono (cfr., ex multis, TAR Lombardia, Milano, 28 gennaio 2008, n. 225; TAR Toscana, 29 novembre 2004, n. 6057; TAR Abruzzo, 4 gennaio 2002, n. 16).

Ciò comporta che la condonabilità dell’abuso è subordinata al pagamento dei contributi concessori rapportati agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione (art. 3 della legge n. 10/1977), in considerazione – giova ribadirlo - dell’innegabile vantaggio economico che il richiedente la sanatoria ha ricevuto dal mutamento di destinazione, tenuto anche conto dell’aggravio urbanistico della zona in cui il manufatto s’inserisce (cfr., ex multis, TAR Marche, Ancona, 11 dicembre 2000 n. 1539).

Ne consegue, pertanto, che il Comune – come dallo stesso evidenziato nella propria memoria difensiva - nel qualificare l’intervento di cui si discute e nell’assoggettarlo al versamento degli oneri, non ha fatto altro che applicare la specifica disciplina regolante il condono la quale, per l’appunto, contemplava espressamente fra le tipologie di abuso “sanabili” anche i mutamenti di destinazione d’uso, fra i quali sono compresi, come successivamente chiarito dal legislatore con norma di interpretazione autentica, anche quelli non accompagnati dalla esecuzione di opere edilizie.

Il primo motivo di ricorso risulta, pertanto, infondato.

Con il secondo motivo di ricorso, concernente le modalità di calcolo del contributo concessorio, si sostiene che il Comune avrebbe erroneamente ritenuto di dover calcolare tale contributo in base alla normativa vigente al momento del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, mentre avrebbe dovuto applicare la normativa vigente al momento della presentazione della relativa domanda.

Anche tale censura non può essere condivisa.

La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere, per quanto attiene alla disciplina di carattere generale, che l’entità del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia, giacché il costo delle opere da prendere in considerazione ai fini della commisurazione dei relativi oneri non può essere che quello del momento in cui sorge l’obbligazione, ossia, appunto, quello del rilascio della concessione (cfr., Cons. di Stato, sez. V, 26 marzo 2003, n. 1564; 22 settembre 1999, n. 1113; 25 ottobre 1993, n. 1071; 26 ottobre 1987, n. 661, 12 maggio 1987, n. 278; 4 agosto 1986, n. 401; TAR Lazio n. 9982/02; TAR Puglia, Lecce, n. 3394/04).

Ciò in quanto l’esercizio delle potestà pubbliche, che è destinato a soddisfare interessi preminenti della collettività, non può avvenire che in conformità della disciplina che è prevista per l’epoca in cui l’Autorità agisce e che è conformata dal legislatore, per l’appunto, in stretta connessione con le esigenze e valutazioni correnti nella società contemporanea; sicché costituirebbe, di massima, un fuor d’opera pretendere che l’Amministrazione preposta alla cura dei pubblici interessi agisca, invece, facendo ossequio a modelli che sono stati ritenuti superati e non più rispondenti ed aderenti a reali bisogni collettivi (cfr. la decisione n. 401/1986 cit.).

A queste conclusioni non possono essere sottratte le opere oggetto di sanatoria edilizia, non avendo, il legislatore, con riguardo alle stesse, introdotto alcuna specifica disposizione di carattere derogatorio.

L'art. 37 della legge n. 47/1985 sancisce, invero, l'obbligo, per il richiedente la concessione edilizia in sanatoria, di pagare, oltre alla necessaria oblazione, anche il contributo concessorio inerente il tipo di intervento edilizio realizzato. Tale norma stabilisce, in particolare, che “il versamento dell'oblazione non esime i soggetti di cui all'art. 31, primo e terzo comma, dalla corresponsione al Comune, ai fini del rilascio della concessione, del contributo previsto dall'art. 3 della L 28 gennaio 1977, n. 10, ove dovuto”.

Il richiamato art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, prevede, infatti, che ''la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.

E, a norma degli artt. 3 e ss. della legge n. 10/1977, gli oneri concessori vengono determinati e corrisposti all’atto del rilascio della concessione edilizia.

Sempre l'art. 37 della legge 47l 1985, prevede, inoltre, che ''le regioni possono modificare, ai fini della sanatoria, le norme di attuazione degli artt. 5, 6 e 10, L 28 gennaio 1977 n. 10; la misura del contributo di concessione, in relazione alla tipologia delle costruzioni, alla loro destinazione d'uso ed alla loro localizzazione in riferimento all'ampiezza e all'andamento demografico dei comuni nonché alle loro caratteristiche geografiche, non può risultare inferiore al 50 per cento di quello determinato secondo le disposizioni vigenti all'entrata in vigore della presente legge”; aggiunge, poi, che il potere di legiferare delle Regioni “è esercitato entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge; decorso inutilmente tale termine si applicano le norme vigenti all'entrata in vigore della presente legge”.

E tale potere è stato esercitato dalla Regione Toscana, entro i termini previsti dalla legge nazionale, attraverso l’emanazione della legge regionale n. 51 del 1985, recante "Prime disposizioni di attuazione L. 47l 1985”.

L'art. 1 di tale legge, dopo la previsione della disciplina di carattere generale, secondo la quale "1) In base a quanto stabilito dall'art. 37 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 le concessioni rilasciate in sanatoria, ai termini della predetta legge, per le opere realizzate tra il 30 gennaio 1977 e il 1° ottobre 1983, comportano, se dovuta, la corresponsione del contributo riferito al costo di costruzione nella misura prevista dal 3° comma dell'art 6 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 così come sostituito dal sesto comma dell'art. 9 della legge 25 marzo 1982, n. 94 in base alla tabella D della LR 30 giugno 1984, n. 41 e tenuto conto delle effettive destinazioni realizzate nonchè del contributo per oneri di urbanizzazione nella misura determinata dai Comuni sulla base delle disposizioni di cui alla legge regionale 30 giugno 1984, n. 41 e successive modificazioni”, ha stabilito, al 4° comma, che “per gli edifici abusivi aventi destinazione residenziale si applicano, indipendentemente dalla localizzazione degli edifici stessi sul territorio, oneri di urbanizzazione nella misura massima stabilita per edifici con tale destinazione d' uso, dalle deliberazioni comunali adottate in attuazione della citata legge regionale 30 giugno 1984, n. 41, in vigore al momento del rilascio delle concessioni in sanatoria”.

Ora, tenuto conto dell’impianto complessivo della legge regionale 30 giugno 1984, n. 41, è da ritenere che, richiamando tale normativa, ai fini della determinazione dei contributi concessori applicabili alla sanatoria edilizia, la legge regionale del 1985 non abbia inteso fare un rinvio di carattere statico, avente riferimento a costi cristallizzati, determinati in sede di prima applicazione della legge n. 41/1984, ma che abbia inteso, invece, logicamente ai costi via via, nel tempo, determinati in base a tale ultima legge e al carattere dinamico della stessa, in quanto legati al continuo variare degli elementi da prendere espressamente in considerazione a tal fine (cfr., Cons. di Stato, n. 1564/2003 cit.).

Né a diverse conclusioni può indurre la sola circostanza che per la categoria degli “edifici abusivi aventi destinazione residenziale” la citata legge regionale n. 51/1985 abbia espressamente ancorato il calcolo dell’entità dei dovuti contributi concessori alla disciplina vigente al momento del rilascio della concessione in sanatoria.

Tale elemento, infatti, da solo non appare sufficiente per giustificare una interpretazione della normativa in argomento diversa da quella suindicata, con conseguente introduzione, nell’ipotesi di rilascio di concessioni edilizie in sanatoria ex art. 31 e ss. della legge n. 47/1985, di una deroga al predetto principio di carattere generale, secondo il quale l’entità del contributo dovuto per gli oneri concessori debba essere riferito al momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia.

Deroga che, peraltro, non sarebbe nemmeno supportata da ragioni di “giustizia sostanziale”, dal momento che la disciplina di favore, relativa al condono, già costituisce un’eccezione destinata a privilegiare l’autore delle opere abusive; sicché non è dato vedere la ragione per cui il medesimo, già avvantaggiato dalla mancata sottoposizione alla norma penale e dalla mancata rimozione o perdita dell’opera (abusivamente) realizzata, dovrebbe essere anche beneficiato dall’assoggettamento ad oneri urbanistici ormai da molto tempo “storicamente” superati (cfr., Cons. di Stato, n. 1564/2003 cit.).

Correttamente, quindi, il Comune ha determinato, nella specie, i contributi concessori applicando i valori definiti e aggiornati in base alla disciplina ivi vigente al momento del rilascio del titolo in sanatoria.

3. Il ricorso va, pertanto, respinto.

4. Quanto alle spese di lite, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente a rifondere all’amministrazione resistente le spese di lite, che quantifica nella complessiva somma di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Eleonora Di Santo, Consigliere, Estensore

Gianluca Bellucci, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)