TAR Sicilia (CT) Sez. I n. 1488 del 8 maggio 2023     
Urbanistica.Ampliamento di edificio quale pertinenza

L’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell'edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato. Non può considerarsi pertinenza l’ampliamento di un edificio che per la relazione di congiunzione fisica con esso ne costituisca parte


Pubblicato il 08/05/2023

N. 01488/2023 REG.PROV.COLL.

N. 03228/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3228 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Arcifa, con domicilio fisico eletto presso il suo studio in Catania, via Gabriele D'Annunzio 111;

contro

Comune di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Daniela Macrì, con domicilio fisico eletto presso la Direzione Affari Legali in Catania, via Umberto 151;

per l'annullamento

dell'ordinanza prot. n. URB/-OMISSIS-, con cui il Comune di Catania - Direzione Urbanistica e Gestione del Territorio, servizio condono edilizio ed antiabusivismo, sezione antiabusivismo - ha ingiunto la demolizione delle opere asseritamente abusive realizzate nell'immobile ubicato in Catania,-OMISSIS-, nonché di tutti gli altri atti e provvedimenti del procedimento, antecedenti o conseguenti, connessi presupposti o consequenziali, anche non meglio conosciuti e specificati, ivi compresa la nota prot. n. -OMISSIS-con cui il Comune di Catania - Direzione Urbanistica e Gestione del Tenitorio, servizio condono edilizio ed antiabusivismo, sezione antiabusivismo - ha disposto l’avvio del procedimento amministrativo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Catania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2023 il dott. Giovanni Giuseppe Antonio Dato e uditi per le parti i difensori presenti come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso spedito per la notifica in data 16 dicembre 2013 e depositato in data 19 dicembre 2013 la deducente ha rappresentato quanto segue.

La ricorrente è comproprietaria, assieme al sig. -OMISSIS-, dell'immobile sito in Catania,-OMISSIS- (in catasto: fg. 69; partt. 3374); trattasi di un piccolo appartamento di due vani di vecchissima costruzione, acquistato nello stato di fatto odierno giusto preliminare di compravendita del 6 ottobre 1992 e successivo atto di compravendita del 12 gennaio 1993.

Con l’ingiunzione a demolire avversata l'Amministrazione resistente ha contestato alla ricorrente la realizzazione delle seguenti opere:

- realizzazione mediante l’apertura di un varco di m. 1,40 di un ampliamento di m. 13,75 circa avente altezza all’intradosso di m. 2,75 circa, rifinito, piastrellato alle pareti completo d’impianto elettrico, in atto adibito a tinello;

- realizzazione di un bagno di mq. 5,40 circa avente un'altezza all’intradosso di m. 2,70, completo di impianto idrico ed elettrico e di scarico, di servizi igienici sanitari, vasca da bagno e finestra;

- realizzazione di una veranda di m. 7,50 circa, ad una falda inclinata con sottostanti scatolari metallici e soprastante copertura in pannelli termo coibentato in alluminio anodizzato e vetri posta ad un'altezza media di m. 2,60 circa chiusa con pannelli di alluminio anodizzato e vetri sfruttando anche un muretto di cm. 0,90 circa, completa di impianto idrico-elettrico e di scarico, in atto adibita a cucina;

- realizzazione di una terrazza sul lato est di m. 30,85 circa nella quale sono state realizzate delle opere e precisamente: una tettoia di mq. 5,00 circa, ad una falda inclinata con sottostanti scatolari metallici e soprastante copertura con pannelli termo-coibentato posta ad un’altezza media di m. 2,45 circa chiusa con pannelli in alluminio anodizzato e vetri, adibita a deposito e masserizie;

- realizzazione di un varco sulla parete perimetrale ovest, di una finestra in alluminio anodizzato e vetri;

- realizzazione nel muro perimetrale lato ovest di un varco con installazione di una porta in alluminio anodizzato e vetri con chiusura esterna di un cancelletto in ferro a due ante, che immette su un terrazzino di mq. 14,00 circa delimitato da un muretto lungo m. 4,95 ed alto m. 1,60 sormontato da ringhiera in ferro alta cm. 75 circa.

Ritenendo che tutti gli interventi edilizi summenzionati configurino una “ristrutturazione edilizia”, l'Amministrazione ha ordinato la demolizione delle suddette opere asseritamente abusive, nonché il ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della L. n. 47/1985, come recepito nella Regione siciliana dalla L.R. n. 37/1985.

Le suddette opere (bagno, tinello e cucina) sono state realizzate dal precedente proprietario, a seguito del suo acquisto nel 1984, al fine di rendere abitabile il piccolo appartamento de quo di appena due vani.

1.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Catania chiedendo il rigetto del ricorso.

1.2. All’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2023, presenti i difensori della parte ricorrente e del Comune resistente, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Difetto di motivazione - Mancata tutela dell’affidamento del privato - Violazione dell’art. 3 della legge 241/90 – Violazione dei principi di buon andamento della P.A. - Art. 97 della Costituzione - Mancata comparazione con interesse privato anche in ragione del lasso di tempo trascorso.

La ricorrente, in sintesi, argomenta che le opere contestate sono state realizzate dai precedenti proprietari dell'immobile, negli anni ‘80, come risulta espressamente nel contratto preliminare di vendita del 6 ottobre 1992.

In questo lungo lasso di tempo l’Amministrazione resistente non ha mai contestato l’esecuzione di alcuna opera abusiva, nonostante le stesse fossero perfettamente visibili (essendo state realizzate sulla terrazza prospiciente la via pubblica); si è quindi ingenerato in capo all’esponente il più che legittimo affidamento per le opere realizzate nel lontano 1984 sull’immobile de quo dal precedente proprietario (opere essenziali - bagno, lavanderia e cucina - per poter rendere concretamente abitabile il piccolo appartamento de quo).

Per la giurisprudenza, osserva il deducente, è necessaria la comparazione dell’interesse pubblico con l'interesse del privato qualora per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, sussiste un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse diverso da quello al ripristino della legalità idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (mentre nel caso in esame l’Amministrazione non ha speso una sola parola per esternare le ragioni pubbliche diverse rispetto al ripristino della legalità per giustificare il sacrificio imposto al privato, avuto riguardo all'entità ed alla natura dell'abuso, al lunghissimo lasso di tempo trascorso ed all'inerzia del potere di vigilanza dell'Amministrazione).

L’Amministrazione resistente - secondo l’esponente - avrebbe dovuto prendere in esame e motivare sotto lo specifico profilo della buona fede dell'odierna ricorrente, che non ha realizzato le opere abusive, terzo incolpevole rispetto all'abuso contestato.

Lamenta l’esponente, inoltre, che l’attivazione del potere repressivo a distanza di tempo rende, fra l’altro, oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa.

L’onere di motivazione non potrebbe non chiamare in causa, tra gli altri elementi da considerare, anche la condizione di possibile buona fede dei soggetti che si vorrebbero in ipotesi sanzionare, né potrebbe andar disgiunto da una verifica circa gli eventuali indebiti vantaggi che questi avrebbero ritratto dall’illecito.

1.1. Il motivo è infondato.

1.1.1. La giurisprudenza amministrativa è intervenuta più volte, con un principio ribadito anche dall'Adunanza Plenaria (17 ottobre 2017, n. 9) per escludere la rilevanza del passaggio del tempo per quanto riguarda l'adozione dei provvedimenti repressivi edilizi, negando che in tale materia si possa formare un affidamento tutelabile rispetto al perpetrarsi dell'abuso edilizio.

L’irrilevanza del passaggio del tempo è stata affermata con riferimento al lasso temporale tra la realizzazione dell’abuso e l’ordine di rimessione in pristino, ovverosia per la stessa adozione della misura ripristinatoria, in quanto il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare e non potendo l’interessato dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi.

In caso di abusi edilizi il fattore tempo non agisce in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse; invero, di affidamento meritevole di tutela si può parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente e in senso compiuto resa nota la propria posizione all’Amministrazione, venga indotto da un provvedimento della stessa Amministrazione a ritenere come legittimo il suo operato, non già nel caso in cui sia stato commesso un illecito all'insaputa della stessa.

Tale orientamento ha, peraltro, trovato l'autorevole avallo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. supra) secondo la quale il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso.

Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.

Va infatti ribadito che la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo; in definitiva, non si può applicare a un fatto illecito (l'abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell'interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell'autotutela decisoria.

Nemmeno emerge un onere motivazionale di particolare spessore, in quanto nel caso di acclarata abusività del manufatto, l’ordine di demolizione è un atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi.

Va ricordato, inoltre, che, secondo consolidato orientamento, i provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2023, n. 7).

Infine, il decorso, anche di un lungo tempo, non è idoneo a far perdere il potere dell’amministrazione di provvedere in quanto, se così fosse, si realizzerebbe una sorta di sanatoria «extra ordinem», non potendo la distanza temporale tra l’abuso e la sua repressione giustificare la formazione di un legittimo affidamento; per tale ragione i provvedimenti repressivi in materia edilizia non necessitano di alcuna specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico al ripristino della situazione antecedente alla violazione e, questo, appunto, anche nel caso in cui l’abuso fosse stato commesso in epoca risalente (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur., 28 marzo 2022, n. 387).

1.1.2. Peraltro, nel caso in esame, neppure è possibile ipotizzare una situazione di buona fede e di legittimo affidamento in capo alla parte ricorrente, risultando espressamente declinato nel contratto preliminare di compravendita del 6 ottobre 1992 - e dunque conosciuto dall’acquirente, odierna deducente - la situazione di abusività (“Fa parte della presente promessa vendita un vano, bagno e terrazzino adiacente all’unità immobiliare promessa in vendita, lato nord, che è stato edificato senza licenza edilizia sul contiguo terreno di proprietà di essi promittenti venditori” […]).

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione dell’art. 40 della Legge 47/85, come recepita in Sicilia - Violazione del principio tempus regit actum - Violazione del principio di irretroattività delle leggi - Violazione dell’art. 11 delle preleggi.

Per l’esponente, in sintesi, le opere contestate sono state realizzate dal precedente proprietario, a seguito del suo acquisto avvenuto nel 1984 (come risulta dall’atto di compravendita del 12 gennaio 1993), prima dell’entrata in vigore della legge n. 47/1985, come recepita in Sicilia dalla legge reg. 10 agosto 1985, n. 37.

Dopo aver richiamato l’art. 40 della legge n. 47/1985, come recepita in Sicilia dalla legge reg. n. 37/1985, la deducente ha osservato che per gli abusi commessi prima dell’entrata in vigore della legge reg. n. 37 del 10 agosto 1985 si applicano le sanzioni in vigore all'epoca della realizzazione dell'abuso.

Infatti, per costante giurisprudenza le sanzioni amministrative comminate dalla legge n. 47/1985 non sono applicabili con effetto retroattivo e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa; questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento che la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo.

Ciò a maggior ragione, argomenta la deducente, laddove il Comune ha inteso applicare le sanzioni ad un evento verificatosi circa cinquanta anni prima, in violazione dell'affidamento ingeneratosi.

In conclusione, per la parte ricorrente la sanzione prevista dall'art. 9 della legge n. 47/1985 non poteva essere irrogata in quanto l'abuso è stato realizzato prima della sua entrata in vigore.

2.1. Il motivo è infondato.

2.1.1. Quanto al difetto di un legittimo affidamento tutelabile nel caso in esame si rinvia a quanto detto sopra (cfr. 1.1. e ss. in Diritto).

2.1.2. Va osservato in via preliminare che la parte ricorrente non ha dimostrato che le opere in questione sono state realizzate prima dell’entrata in vigore della legge reg. Sic. 10 agosto 1985, n. 37 che ha disposto l’applicazione nella Regione Siciliana della legge 28 febbraio 1985, n. 47 con le sostituzioni, modifiche ed integrazioni di cui alla stessa legge.

Invero, nell’atto pubblico di compravendita del 12 gennaio 1993 non vi è alcun elemento che consenta di affermare che le opere in questione siano state realizzate nel lasso temporale indicato dalla deducente.

E comunque, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ. - in base al quale l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti - l’efficacia probatoria privilegiata di un atto pubblico non concerne anche la veridicità ed esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti (cfr. Cass. civ., sez. II, 18 novembre 2019, n. 29871; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2021, n. 35037, secondo cui, per ogni atto pubblico, la piena efficacia probatoria fino a querela di falso non si estende al contenuto sostanziale delle dichiarazioni rese dalle parti o da terzi).

2.1.3. In ogni caso, anche ammettendo l’applicazione della normativa antevigente - ciò che il Collegio esclude per le ragioni già espresse - dovrebbe darsi attuazione alle misure sanzionatorie di cui all’art. 49 della legge reg. Sic. 27 dicembre 1978, n. 71 - abrogato dall’art. 39 della legge reg. Sic. 10 agosto 1985, n. 37 - secondo cui “Le opere eseguite in totale difformità o in assenza della concessione devono essere demolite, a cura e spese del proprietario, entro il termine fissato dal sindaco con ordinanza” (comma 1).

3. Con il terzo motivo la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Difetto di motivazione - Violazione dell’art. 5 della Legge Regionale 37/85 – Difetto di istruttoria.

Osserva la deducente, in sintesi, che nel provvedimento impugnato risulta contestata, tramite la realizzazione di un varco d’accesso, la realizzazione di un tinello/lavanderia e di un piccolo bagno e ne viene ordinata la demolizione (punti 1 e 2 dell’ingiunzione avversata).

Per l’esponente trattasi degli unici servizi igienici di cui è dotato l’appartamento e risultano eseguiti nel 1984 al fine di rendere abitabile l'immobile di vecchissima costruzione che ne era privo.

Argomenta la ricorrente che le suddette opere costituiscono un adeguamento tecnico-funzionale dell'organismo edilizio; tale intervento rientra nella nozione di pertinenza (tinello/lavanderia e piccolo bagno, privi di una propria autonomia funzionale in quanto posti in un durevole rapporto di subordinazione al fine di rendere possibile una migliore utilizzazione dell’appartamento ovvero per aumentarne il decoro), ovvero si tratta di intervento di manutenzione straordinaria e di restauro conservativo (art. 20 della L.R. 27 dicembre 1978, n. 71), per cui l'art. 5 della L.R. 37/1985 prevede che tali opere siano soggette a mera autorizzazione e non a concessione edilizia, con la conseguenza che non possono essere assoggettate alla sanzione della demolizione.

3.1. Il motivo è infondato.

3.1.1. In primo luogo, occorre osservare che l’ordinanza impugnata ha incasellato l’insieme delle opere abusivamente realizzate (contrassegnate dai nn. da 1 a 6) nell’immobile in questione in termini di “ristrutturazione edilizia” (“Considerato che le opere sopradescritte si configurano, nel loro complesso, come intervento di ristrutturazione edilizia […]”).

Orbene, al fine di valutare l’incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere va compiuto un apprezzamento globale; i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 ottobre 2022, n. 8906; invero, l’opera edilizia abusiva va “identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato”: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2023, n. 3138).

3.1.2. Anche prescindendo da quanto prima osservato, nel caso in esame la realizzazione di un varco d’accesso, di un tinello e di un bagno non può essere qualificata né in termini di pertinenza, né di manutenzione straordinaria ovvero di restauro conservativo.

Invero, ad una attenta lettura degli atti del procedimento repressivo emerge - in relazione all’immobile in questione, che in origine era “costituito da n. due vani più accessori” - la realizzazione di “opere edilizie abusive di ampliamento” (poste a una quota di calpestio più alta di circa mt. 0,60 con la realizzazione di tre gradini).

Orbene, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell'edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato (cfr. Cass. pen., sez. III, 13 dicembre 2017, n. 4139); come anche ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, non può considerarsi pertinenza l’ampliamento di un edificio che per la relazione di congiunzione fisica con esso ne costituisca parte (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 19 aprile 2021, n. 1237; T.A.R. Umbria, sez. I, 22 febbraio 2021, n. 81).

Non a caso la parte ricorrente evidenzia (cfr. pag. 9 del ricorso) che trattasi degli unici servizi igienici di cui è dotato l’appartamento: dunque, oltre alla relazione di congiunzione fisica, ricorre anche l’aspetto del completamento della struttura per meglio soddisfare i bisogni cui il manufatto è destinato.

Inoltre, il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ovvero l’alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile è incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino “inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2023, n. 1853; Cons. Stato, sez. VI, 25 luglio 2022, n. 6519; Cons. Stato, sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735; Cons. Stato, sez. I, 11 ottobre 2019, n. 2611).

4. Con il quarto motivo la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione dell’art. 20 della L.R. 4/2003 – Violazione dell’art. 9 della Legge Reg. 37/1985 – Difetto di motivazione - Violazione dell’art. 5 della Legge Reg. 37/85 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria – Violazione dell’art. 2 della Legge 37/85.

Per la deducente, in sintesi, in ordine al punto 3 dell'ingiunzione impugnata, risulta contestata la realizzazione della veranda di mq. 7,5 circa adibita a cucina (unica di cui è dotato l'appartamento, realizzata nel 1984 al fine di rendere abitabile l'immobile di vecchissima costruzione che ne era priva, tramite la chiusura del balcone con infissi amovibili e precarie).

Per l’esponente deve quindi applicarsi l'art. 9 della legge reg. n. 37/1985 che prevede che non è considerato aumento di superficie utile o di volume né modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande o balconi con strutture precarie (invero, per la giurisprudenza la chiusura di una terrazza coperta con infissi amovibili richiede una semplice comunicazione).

In subordine la parte ricorrente osserva che le suddette opere rientrano nella nozione di pertinenza, ovvero di manutenzione straordinaria e di restauro conservativo (così come è previsto dall'art. 20 della L.R. 27/12/1978, n. 71), per cui l'art. 5 della L.R. 37/1985 prevede che tali opere siano soggette a mera autorizzazione e, come tali, non possono essere assoggettate alla sanzione della demolizione.

Per l’esponente, un piccolo cucinino di mq 7,50 costituisce pertinenza dell'appartamento cui afferisce, in quanto privo di una propria autonomia funzionale in quanto posto in un durevole rapporto di subordinazione al fine di rendere possibile una migliore utilizzazione dell’appartamento o per aumentarne il decoro.

In ogni caso, conclude la deducente, mai potrà applicarsi la sanzione della demolizione: non essendo necessaria alcuna concessione edilizia e/o permesso di costruire per la chiusura di balconi e/o terrazze, al più l'Amministrazione avrebbe dovuto irrogare la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 20 della L.R. 4 del 2003 o ex art. 9 della L.R. 37/1985 che richiama - in ordine alla sanzione - l’art. 10 della legge 47/1985 come recepita dalla legge 37/1985.

4.1. Il motivo è infondato.

4.1.1. Fermo quanto osservato supra (cfr. 3.1.1. in Diritto), l’opera in questione non può essere qualificata né come pertinenza (trattandosi, in sintesi, di parte integrante dell’edificio) né l’intervento può essere classificato nell’ambito della manutenzione straordinaria ovvero del risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (cfr. 3.1.2. in Diritto).

4.1.2. Inoltre, non è stata offerta dalla parte ricorrente alcuna dimostrazione della natura precaria dell’opera de qua ex art. 9 della legge reg. Sic. 10 agosto 1985, n. 37 e ex art. 20, comma 4, della legge reg. Sic. 16 aprile 2003 n. 4.

Invero, è da porre a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 2967 cod. civ., l’onere di provare la precarietà e la facile rimovibilità delle strutture realizzate (cfr., ex plurimis, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Sez. Riun., 10 gennaio 2012, n. 815).

5. Con il quinto motivo la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione dell’art. 5 della Legge Reg. 37/85 – Violazione dell’art. 20 della L.R. 4/2003 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

Per l’esponente, in sintesi, la realizzazione di una terrazza di circa mq. 30 con sovrastante un piccolo sgabuzzino, realizzato con strutture precarie, di mq. 5,00 adibito a deposito di masserizie (punto 4 dell'ordinanza impugnata) rientra nel concetto di pertinenza e necessita, pertanto, solamente di un provvedimento autorizzatorio ex art. 5 della L.R. 37/85.

Di conseguenza, l’Amministrazione avrebbe dovuto, al più, applicare la sanzione pecuniaria, e non la più grave sanzione della demolizione dell'opera.

In ogni caso, conclude la deducente, per il piccolo sgabuzzino potrà applicarsi, al più, la disciplina di cui all'art. 20 Legge reg. 4/2003 sopracitata.

5.1. Il motivo è infondato.

5.1.1. Fermo quanto osservato supra (cfr. 3.1.1. in Diritto), la nozione di “pertinenza” enucleata dalla giurisprudenza amministrativa in materia edilizia è meno ampia di quella civilistica, in quanto ai suoi fini la funzione pertinenziale delle opere non può commisurarsi semplicemente al servizio reso all'edificio principale ma dipende anche dalla consistenza delle opere stesse, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e comunque inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze dell'edificio principale (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur., 31 luglio 2017, n. 368).

In coerenza con le coordinate esposte è agevole osservare che il terrazzo in discussione, della superficie di circa mq. 30, non soddisfa i requisiti necessari per qualificarlo come pertinenza edilizia.

Invero, il vincolo pertinenziale è riconoscibile soltanto in relazione a opere di modesta entità e accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Ad. Sez. riun., 14 febbraio 2023, n. 77).

5.1.2. In merito allo sgabuzzino, il concetto di “precarietà” ex art. 20, comma 4, della legge reg. Sic. 16 aprile 2003 n. 4 è normativamente correlato alla “facile rimozione” delle strutture: la testuale lettura della norma, dunque, induce a privilegiare la valutazione dei metodi e dei materiali usati nella realizzazione delle opere per poterle qualificare come precarie (in altri termini, per precarietà si deve intendere la strutturale smontabilità secondo i criteri di meccanica razionale propri dell’architettura prefabbricata: cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Sez. Riun., 1 aprile 2020, n. 105).

Ciò premesso, va osservato che processualmente è da porre a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 2967 cod. civ., l’onere di provare la precarietà e la facile rimovibilità delle strutture realizzate: da un lato, si tratta di circostanza di cui tale parte processuale ha la piena disponibilità e, d’altronde, integra il presupposto costitutivo di quella “deroga ad ogni altra disposizione di legge” su cui si fonda l’interesse fatto valere dalla stessa parte (cfr. cit. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Sez. Riun., 10 gennaio 2012, n. 815).

Nel caso in esame la parte ricorrente si è limitata solo ad affermare - senza idonea dimostrazione - la natura precaria dell’opera, sottraendosi all’onere probatorio di cui si è detto.

6. Con il sesto motivo la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione dell’art. 9 della L.R. 37/1985 – Difetto di motivazione – Violazione dell’art. 5 della Legge Reg. 37/85 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria – Violazione dell’art. 2 della Legge 37/85.

In ordine ai punti 5 e 6 del provvedimento impugnato (realizzazione di un varco nella parete perimetrale ovest, di una finestra in alluminio anodizzato e vetri e, rispettivamente, realizzazione nel muro perimetrale di un varco con installazione di una porta in alluminio anodizzato e vetri con chiusura esterna di un cancello in ferro a due ante) per la deducente, in sintesi, dette opere sono classificabili tra quelle “interne”, ai sensi dell'art. 9 della L.R. 37/1985 (che sostituisce l’art. 26 della L. 47/1985): in questi casi non è prevista la sanzione della demolizione, ma solo la sanzione pecuniaria ex art. 10 L47/85, ridotta di un terzo.

In subordine, argomenta la ricorrente, relativamente alla realizzazione di una porta in alluminio anodizzato e vetri con chiusura esterna di un cancello, la recente giurisprudenza ha statuito che tali opere, che consentono l’accesso ad una proprietà privata, non comportano una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio che imponga di premunirsi del permesso di costruire, sicché tali interventi sono subordinati alla presentazione di una semplice DIA: anche sotto tale aspetto, pertanto, non poteva essere comminata la sanzione della demolizione.

6.1. Il motivo è infondato.

6.1.1. Va preliminarmente osservato che, proprio l’insieme delle opere prese in esame - varco d’accesso, tinello, bagno, veranda adibita a cucina, terrazza e tettoia, varco nella parete perimetrale, finestra, varco nel muro perimetrale con installazione di una porta e con chiusura esterna di un cancello -, pone in evidenza che le innovazioni seguono un disegno sistematico, il cui risultato oggettivo è la creazione di un organismo edilizio nell'insieme diverso (in tutto o in parte) da quello esistente (ricadendo, dunque, nella ristrutturazione): cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 25 gennaio 2023, n. 44; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 28 novembre 2016, n. 5491.

6.1.2. Fermo quanto sopra, tra gli interventi suscettibili di dare luogo alla ristrutturazione edilizia vi sono quelli incidenti sui prospetti.

Per consolidato orientamento giurisprudenziale, l’apertura di porte e finestre rientra fra le opere modificatrici dell'aspetto degli edifici; trattasi di opere, dunque, che vanno ricomprese fra quelle di ristrutturazione edilizia per la cui realizzazione è necessario il rilascio della concessione edilizia (cfr. cit. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 25 gennaio 2023, n. 44).

6.1.3. Infine, appare evidente, quanto alla realizzazione di una porta in alluminio anodizzato e vetri con chiusura esterna di un cancello, che non rilevano dette opere isolatamente assunte, venendo in rilievo il complesso delle opere descritte (“6) realizzazione nel muro perimetrale lato ovest di un varco con istallazione di una porta in alluminio anodizzato e vetri con chiusura esterna di un cancello in ferro a due ante, che immette su un terrazzino di mq. 14,00 circa delimitato da un muretto lungo mt, 4,95 ed alto mt. 1,60 sormontato da ringhiera inferro alta cm. 75 circa”).

7. Infine, con l’ultimo motivo la parte ricorrente ha dedotto - in subordine e senza recesso - la Violazione dell’art. 9 della L. 47/1985.

Per l’esponente, anche a voler considerare per pura ipotesi le opere come rientranti nel concetto di ristrutturazione, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo: all’uopo, la deducente, dopo aver richiamato l’art. 9, comma 2, della L. 47/1985, ha osservato che l'Amministrazione non ha proceduto alla valutazione circa l'impossibilità (o meno) di procedere alla demolizione ed alla irrogazione della sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale del bene.

Infine, essendo materialmente impossibile la demolizione, doveva essere irrogata solo la sanzione pecuniaria e non la demolizione.

7.1. Il motivo è infondato.

Per costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, che è successiva ed autonoma rispetto a quella che sfocia nell’ordine di demolizione: è in sede esecutiva, dunque, che la parte interessata può far valere la situazione di pericolo eventualmente derivante dall’esecuzione della demolizione delle parti abusive di un immobile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 ottobre 2021, n. 7261).

Ne consegue che tale questione deve essere valutata a valle del provvedimento di demolizione, senza incidere sulla legittimità dello stesso laddove ne sussistano i relativi presupposti.

8. In conclusione, in ragione dell’infondatezza delle censure il ricorso deve essere respinto.

9. La natura interpretativa delle questioni esaminate e la peculiarità della vicenda contenziosa giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le persone menzionate.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:

Pancrazio Maria Savasta, Presidente

Agnese Anna Barone, Consigliere

Giovanni Giuseppe Antonio Dato, Primo Referendario, Estensore