Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3028, del 3 giugno 2013
Urbanistica.Legittimità diniego di autorizzazione all’installazione di una insegna pubblicitaria e ordine di rimozione della stessa. Limitazione perseguimento imprenditoriale.

E’ legittimo il diniego di autorizzazione e l’ordinanza di rimozione di una insegna nel caso in cui la motivazione è basata, oltre che su ragioni di estetica, anche sulle caratteristiche dell’insegna a cassonetto e sulle sue eccessive dimensioni. Infatti, quando il contrasto di una struttura con l’estetica urbana è evidente, per le sue dimensioni e caratteristiche, in base a dati di comune esperienza, non sono necessarie particolari motivazioni circa le ragioni che inducono a ritenerlo sussistente. Quanto al contrasto con i principi di iniziativa privata e libertà di impresa, essi sono recessivi rispetto agli interessi pubblici che l’ordinamento tutela subordinando inderogabilmente la possibilità di erigere una insegna luminosa alla previa autorizzazione amministrativa dei competenti organi comunali. Il perseguimento imprenditoriale dello scopo pubblicitario in relazione al quale è rilasciabile l'autorizzazione può essere infatti limitato dal perseguimento di preminenti interessi pubblici salvaguardati “ex lege”, in sintonia con l'art. 41, comma 2, della Costituzione, secondo il quale, anche se l'iniziativa economica privata è libera, essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03028/2013REG.PROV.COLL.

N. 02964/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2964 del 2002, proposto da: 
Comune di Livorno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Macchia, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

contro

Silva Neon s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Righi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.Carducci, n. 4;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Toscana – Firenze, Sezione II, n. 00738/2001, resa tra le parti, di accoglimento del ricorso n. 60/1986 (con cui era stato chiesto l’annullamento del provvedimento n. 3164 del 10.10.1985, recante diniego di autorizzazione alla installazione di insegna pubblicitaria e ordine di rimozione della stessa), nonché di declaratoria di inammissibilità del ricorso n. 130/1986 (con cui era stato chiesto l’annullamento del provvedimento del 9.12.1985, n. 46532, recante nuovo ordine di rimozione della medesima insegna);



Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della SilvaNeon s.r.l.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti i decreti 4 giugno 2012 n. 1465 e 19 settembre 2012 n. 2385;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Paolo Macchia e Angelo Clarizia, su delega dell'avv. Roberto Righi;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:



FATTO

Con provvedimento del Sindaco di Livorno n. 3164 del 10.10.1985 è stata respinta la richiesta formulata dalla SilvaNeon s.r.l. di autorizzazione alla installazione di una insegna pubblicitaria luminosa di grosse dimensioni sul tetto di un fabbricato posto nella Piazza della Repubblica ed è stato effettuato un “invito” alla rimozione della stessa, già installata.

Di detto provvedimento la citata società ha chiesto l’annullamento con ricorso giurisdizionale al T.A.R. Toscana, che, con la impugnata sentenza, ha innanzi tutto ritenuto infondata la eccezione di inammissibilità, sollevata dall’Amministrazione resistente, per mancata impugnativa di un precedente atto che già aveva disposto quanto censurato con il ricorso; in secondo luogo ha ritenuto infondata sia la censura di violazione della normativa edilizia, che prevede, previo decorso del termine previsto, la formazione del silenzio-assenso, sia la tesi che, poiché l’impianto in questione costituiva solo una variazione di precedente installazione, in quanto tale ed a termini del regolamento comunale in materia non poteva essere rifiutata, essendo stato già acquisito il diritto al mantenimento della insegna luminosa.

Ha invece ritenuto fondata il T.A.R. la censura con cui era stato sostenuto che l’autorizzazione, alla luce dei principi vigenti in materia, non poteva essere negata, come invece avvenuto, per ragioni estetiche. Ciò è stato ritenuto in netto contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia, che ritiene univocamente un tale motivazione del tutto apodittica e pertanto in conflitto con i princìpi costituzionali della iniziativa privata e della libertà di impresa, sacrificabili solo con adeguata motivazione. Sotto tale aspetto il ricorso è stato accolto, salvo restando il potere dovere dell’Amministrazione di emanare ulteriori provvedimenti in merito all’istanza.

Con detta sentenza è stato poi dichiarato inammissibile un secondo ricorso giurisdizionale, con cui era stato censurato un nuovo ordine di rimozione della medesima insegna, perché rivolto verso atto meramente confermativo di precedente provvedimento, già peraltro annullato in forza dell’accoglimento del precedente ricorso.

Con il ricorso in appello in esame il Comune di Livorno ha chiesto l’annullamento o la riforma della citata sentenza, deducendo i seguenti motivi:

1.- Error in iudicando, erronea motivazione su un punto decisivo della controversia, eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti.

Nel caso di specie la motivazione era basata, oltre che su ragioni di estetica, anche sulle caratteristiche dell’insegna a cassonetto e sulle sue eccessive dimensioni ed era quindi idonea a consentire agli interessati la ricostruzione dell’iter logico giuridico seguito dal Comune.

Con memoria depositata il 2.10.2007 si è costituita in giudizio la SilvaNeon s.r.l., che ha chiesto la declaratoria della inammissibilità o della improcedibilità dell’appello, ovvero che sia respinto perché infondato.

Con decreto 4 giugno 2012 n. 1465 (premesso che, a seguito di avviso di perenzione, era stata presentata in data 3 giugno 2010 nuova domanda di fissazione, ma che, nel termine e nel modo previsti dall’art. 1, co. 1, dell’all. 3 al d. lgs. n104/2010, non era stata presentata nuova istanza di fissazione di udienza) è stata dichiarata la perenzione del ricorso.

Con decreto 19 settembre 2012 n. 2385 (visto l'atto, depositato in data 23 luglio 2012 prot. 6128 e sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, con il quale è stato dichiarato che sussisteva ancora interesse alla trattazione della causa, nonché visto il co. 2 dell’art. 1 dell'all. 3 al d.lgs. n. 104/2010) è stato revocato detto decreto di perenzione ed è stata disposta la reiscrizione del ricorso in epigrafe sul ruolo di merito.

Con memoria depositata il 28.12.2012 la SilvaNeon s.r.l. ha dedotto l’infondatezza dell’appello, in particolare sostenendo che le motivazioni poste a base dell’impugnato provvedimento erano apodittiche ed inidonee a dare conto della incompatibilità estetica delle caratteristiche e delle dimensioni dell’impianto con il paesaggio.

Con memoria depositata il 4.1.2013 il Comune di Livorno ha dedotto che, dopo la rimozione della insegna in questione, la SilvaNeon s.r.l. ha chiesto ed ottenuto concessione edilizia n. 281 del 6.8.1986 per l’installazione di una nuova insegna (con lettere staccate), di diversa forma e dimensioni rispetto alla precedente (a cassonetto) rispondente alle esigenze estetiche architettoniche in precedenza evidenziate (che, tuttavia, dopo alcuni anni è stata smantellata); tanto dimostrerebbe che la società ha ritenuto giustificate le motivazioni poste a base del precedente diniego. Ha poi ribadito tesi e richieste, in articolare affermando che si verte in materia di apprezzamento tecnico discrezionale, la cui delibazione in sede giurisdizionale è limitata alla sussistenza di macroscopici errori o di evidente carenza di motivazione, nel caso di specie non riscontrabile.

Con atto depositato il 15.1.2013 la SilvaNeon s.r.l. ha replicato alle avverse argomentazioni, deducendo tra l’altro che la nuova richiesta di autorizzazione non ha comportato acquiescenza, essendo stata effettuata solo per ragioni commerciali per sfruttare la posizione pubblicitaria.

Alla pubblica udienza del 5.2.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal Comune di Livorno, di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla SilvaNeon s.r.l. per l’annullamento del provvedimento n. 3164 del 10.10.1985, recante diniego di autorizzazione alla installazione di insegna pubblicitaria e ordine di rimozione della stessa, nonché è stato dichiarato inammissibile un successivo ricorso con cui era stato chiesto l’annullamento di un ulteriore provvedimento, recante nuovo ordine di rimozione della medesima insegna.

2.- A sostegno del gravame il Comune ha dedotto che con il provvedimento n. 3164/1985 è stato respinto il ricorso contro il diniego di installazione della insegna, sentito il parere della C.E. (confermato dalla G.M.), per motivi di estetica date le caratteristiche dell’insegna a cassonetto e le sue eccessive dimensioni.

Le sentenze richiamate dal T.A.R., relative alla apoditticità di una motivazione come quella posta a base del provvedimento impugnato, si riferirebbero in effetti a fattispecie in cui la autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari era stata negata esclusivamente “per ragioni estetiche”.

Nel caso di specie, invece, la motivazione era basata, oltre che su ragioni di estetica, anche su importanti ed essenziali precisazioni, come il riferimento alle caratteristiche dell’insegna a cassonetto e alle sue eccessive dimensioni, ed era quindi idonea a consentire agli interessati la ricostruzione dell’iter logico giuridico seguito dal Comune e a riproporre la istanza con correzioni implicitamente contenute nell’atto, proponendo la realizzazione di una insegna luminosa non a cassonetto, ma con lettere staccate e di dimensioni inferiori a quelle della insegna in questione (m. 16,05 X 4,50).

2.1.- La Sezione ritiene che provvedimenti come quello di specie, per essere correttamente motivati, debbano contenere una esplicazione concreta della realtà dei fatti e delle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla pubblica amministrazione di ammettere l’intervento, tale da non risultare vaga e apodittica, ma riferita a specifici e concreti valori, in modo da permettere, sebbene sintetica, la ricostruzione dell'iter logico seguito dall'Amministrazione nell'effettuazione delle sue valutazioni.

Ovviamente essendo il provvedimento espresso nell'esercizio di valutazioni tecniche, è censurabile dal g.a. non in forma sostitutiva, ma soltanto per evidenti vizi di illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti o per evidente difetto di motivazione.

Nel caso che occupa con il provvedimento impugnato è stato respinto dall’Amministrazione il ricorso contro il diniego di installazione di una insegna luminosa della “Cassa di Risparmio di Firenze” su un immobile sito in Piazza della Repubblica, perché, sentito nuovamente il parere espresso dalla Commissione edilizia, era stato deciso di non accogliere la richiesta “per motivi di estetica date le caratteristiche dell’insegna << a cassonetto>> e le sue eccessive dimensioni”.

Ritiene la Sezione che le indicazioni contenute in detto provvedimento consentissero una adeguata ricostruzione dell’iter logico giuridico seguito dal Comune nel denegare la richiesta autorizzazione, non essendo stato fatto richiamo a mere ragioni estetiche, ma a circostanze di fatto concrete; era stato infatti specificato che la estetica era stata violata a causa delle caratteristiche della insegna, che era prevista “a cassonetto”, cioè composta da una “scatola” contenente all’interno lampade (solitamente tubi al neon), che per sua natura è di forte impatto visivo, nonché per le sue dimensioni (la parte appellante afferma, senza essere stata sul punto smentita, che essa occupava lo spazio di metri 16.05 per metri 4,50) perché eccessive, evidentemente in riferimento e in proporzione sia all’edificio su cui essa era stata apposta, oltre che al contesto urbano circostante.

Non può quindi condividere la Sezione la affermazione del Giudice di prime cure che l’affermazione contenuta nell’impugnato provvedimento fosse “del tutto apodittica” ed in contrasto con i princìpi della iniziativa privata e della libertà di impresa.

Invero quando il contrasto di una struttura con l’estetica urbana sia evidente, per le sue dimensioni e caratteristiche, in base a dati di comune esperienza, non sono necessarie particolari motivazioni circa le ragioni che inducono a ritenerlo sussistente.

Quanto al contrasto con i principi di iniziativa privata e libertà di impresa, essi sono recessivi rispetto agli interessi pubblici che l’ordinamento tutela subordinando inderogabilmente la possibilità di erigere una insegna luminosa alla previa autorizzazione amministrativa dei competenti organi comunali.

Il perseguimento imprenditoriale dello scopo pubblicitario in relazione al quale è rilasciabile l'autorizzazione può essere infatti limitato dal perseguimento di preminenti interessi pubblici salvaguardati “ex lege”, in sintonia con l'art. 41, comma 2, della Costituzione (secondo il quale, anche se l'iniziativa economica privata è libera, essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza).

2.2.- Per le considerazioni sopra espresse e tenuto conto che la resistente SilvaNeon s.r.l. non ha impugnato con appello incidentale condizionato le parti della sentenza oggetto di appello con le quali sono state respinte le ulteriori censure poste a base del ricorso introduttivo di primo grado, mentre la proposizione di ogni contestazione al riguardo avrebbe dovuto avvenire mediante apposito gravame ex art. 96 del c.p.a., va riformata la impugnata sentenza e va respinto l’originario ricorso proposto da detta società.

Tanto comporta l’assorbimento della eccezione di acquiescenza formulata dal Comune appellante con memoria depositata il 4.1.2013.

3.- L’appello deve essere conclusivamente accolto e per l’effetto, in riforma della prima decisione, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado proposto dalla SilvaNeon s.r.l..

4.- Nella parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l’appello in esame e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. dalla SilvaNeon s.r.l.

Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Antonio Bianchi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)