Cons. Stato Sez. IV n. 7731 del 2 novembre 2010
Urbanistica. Terrapieno e distanze da confine
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 N. 07731/2010 REG.SEN.
 N. 06548/2008 REG.RIC.
 N. 02440/2004 REG.RIC.
 N. 06547/2008 REG.RIC.
 Il Consiglio di Stato
 
 in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 
 sul ricorso numero di registro generale 6548 del 2008, proposto dalla signora  Ferrari Albertina, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Cavallone e  Alessandro Clemente, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato  Alessandro Clemente in Roma, piazza Santiago del Cile 8;
 contro
 Il Comune di Parma, Dirigente Settore Interventi Urbanistici del Comune di  Parma, Giunta Provinciale di Parma;
 
 nei confronti di
 
 La Cbs Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,  rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Cantelli ed Adriano Giuffrè, con  domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Adriano Giuffrè in Roma, via  Gabriele Camozzi, 1;
 
 
 sul ricorso numero di registro generale 2440 del 2004, proposto dalla signora  Ferrari Albertina, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Cavallone e  Alessandro Clemente, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato  Alessandro Clemente in Roma, piazza Santiago del Cile 8;
 contro
 Dirigente Settore Interventi Urbanistici Comune di Parma, Giunta Provinciale di  Parma;
 Cbs Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,  rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Cantelli, Adriano Giuffrè ed  Emilio Radini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Adriano  Giuffrè in Roma, via Gabriele Camozzi, 1;
 Comune di Parma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso  dagli avvocati Guido Francesco Romanelli e Renzo Rossolino, con domicilio eletto  presso lo studio dell’avv. Guido F. Romanelli in Roma, via Cosseria, 5;
 
 
 
 sul ricorso numero di registro generale 6547 del 2008, proposto dalla signora  Ferrari Albertina, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Cavallone e  Alessandro Clemente, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato  Alessandro Clemente in Roma, piazza Santiago del Cile 8;
 contro
 Comune di Parma, Dirigente Settore Interventi Urbanistici del Comune di Parma,  Giunta Provinciale di Parma;
 
 nei confronti di
 
 La Cbs Costruzioni Srl, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e  difeso dagli avvocati Giancarlo Cantelli e Adriano Giuffrè, con domicilio eletto  presso lo studio dell’avvocato Adriano Giuffrè in Roma, via Gabriele Camozzi, 1;
 
 per la riforma
 
 quanto al ricorso n. 2440 del 2004:
 della sentenza del T.a.r. Emilia-romagna - Sez. staccata di Parma n. 00006/2004,  resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA PER LA COSTRUZIONE DI UNO  STABILE
 
 quanto al ricorso n. 6547 del 2008:
 della sentenza del T.a.r. Emilia-romagna - Sez. staccata di Parma n. 00320/2008,  resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA PER COSTRUZIONE DI UN  EDIFICIO
 
 quanto al ricorso n. 6548 del 2008:
 della sentenza del T.a.r. Emilia-romagna - Sez. staccata di Parma n. 00321/2008,  resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA PER COSTRUZIONE DI UN  EDIFICIO
 
 
 Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cbs Costruzioni Srl;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2010 il Cons. Sergio De  Felice e uditi per le parti gli avvocati Galletti, su delega dell’avv.  Cavallone, e Giuffrè;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia  Romagna, sezione di Parma, la attuale appellante chiedeva l’annullamento della  concessione edilizia rilasciata dal Comune di Parma alla CBS Costruzioni srl  relativa a nuove costruzioni finitime alla sua abitazione, sita in Parma alla  via Cremonese n.169.
 
 La ricorrente deduceva vizi seguenti: la violazione della distanza da osservarsi  dai confini e dalle costruzioni esterne al lotto (art. 38 Regolamento  urbanistico edilizio comunale), intendendosi per costruzione anche i balconi  aggettanti e scala di accesso, dai quali calcolare tali distanze; in subordine,  illegittimità del medesimo articolo 38 riguardo a densità, altezze, distanze;  difetto di motivazione.
 
 Con motivi aggiunti ella ha dedotto i vizi seguenti: violazione dell’art. 41  quinquies l.n. 1150 del 1942; violazione dell’art. 4 RUE comunale sui limiti  inderogabili sulle distanze; violazione dell’art. 8 del d.m. n. 1444 del 1968  sul rapporto tra altezza dei nuovi edifici e quella degli edifici circostanti;  la violazione dell’art. 3 del d.m. n. 1444 del 1968 sui limiti di densità  edilizia, difetto di motivazione, anche in relazione a quanto prescrive l’art.  11 del regolamento edilizio sui processi verbali.
 
 Il giudice di primo grado, con la sentenza impugnata n. 6 del 2004, provvedeva  nel seguente modo: 1) rigettava in quanto infondate le eccezioni di  irricevibilità; 2) rigettava la censura relativa al calcolo della distanza dal  muro di contenimento del terrapieno artificiale, ritenendo che tale opera non  fosse idonea a concretizzare il concetto di costruzione; 3) rigettava in quanto  infondata la censura di illegittimità dell’art. 38, perché non in contrasto con  la normativa vigente in materia di distanze tra fabbricati; rigettava la censura  di difetto di motivazione; accoglieva il primo motivo proposto con i motivi  aggiunti, relativo alla violazione del limite delle distanze inferiori a metri  10, in quanto – a seguito di verificazione disposta – era risultato che sia le  scale di accesso che i balconi che sporgeranno verso il fabbricato confinante  erano posti a distanza inferiore ai dieci metri previsti dall’art. 9 del d.m. n.  1444 del 1968 e dall’art. 4, comma 4, del RUE e a distanza inferiore a metri  cinque dal confine; veniva rigettata la censura della violazione del limite di  altezza; venivano rigettati o dichiarati inammissibili gli ulteriori vizi  proposti.
 
 Inoltre, veniva dichiarato inammissibile il ricorso r.g.n.164 del 2003, con il  quale la ricorrente, in sostanza, proponeva le medesime censure.
 
 Avverso tale sentenza propone appello (r.g.n. 2440 del 2004) la signora Ferrari  Albertina, deducendo quanto segue.
 
 In primo luogo, viene riproposto il vizio di violazione dell’articolo 38 del RUE  di Parma, che impone “10 metri dalle costruzioni esterne al lotto”; in quanto  per costruzione deve intendersi anche il parallelo muro di cemento avente  funzioni di terrapieno, come emerso dalla verificazione svolta: non si tratta di  modesto muro di recinzione sormontato da rete metallica, ma muro – e quindi  costruzione - che crea dislivello artificiale rispetto al piano di campagna.
 
 Vengono riproposti il vizio di difetto di motivazione e quello di violazione  dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, nella parte in cui prescrive che, qualora  la distanza di 10 metri sia inferiore alla altezza del nuovo edificio, tale  distanza debba essere maggiorata sino a raggiungere tale altezza; violazione in  ogni caso dell’art. 8 DM 1444 del 1968 (limiti di altezza degli edifici); in  subordine illegittimità dell’art. 38 RUE di Parma su densità, altezze e  distanze.
 
 Nell’appello si ribadisce la specialità della previsione dell’art. 8 del d.m. n.  1444 del 1968 rispetto all’art. 38 del RUE di Parma; si sostiene inoltre che  l’altezza del fabbricato è stata calcolata in modo errato, in quanto è stato  omesso del tutto il piano della mansarda, impropriamente definita sottotetto.
 
 Viene reiterata la censura di violazione dell’art. 3 DM 1444 del 1968 sui limiti  di densità edilizia, il vizio di violazione di legge e eccesso di potere per  difetto di istruttoria e sviamento, nonché la erroneità di declaratoria di  inammissibilità del ricorso r.g.n.164 del 2003 per continenza.
 
 Si è costituito il Comune di Parma, chiedendo in via preliminare dichiararsi la  inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, in quanto, a seguito  dell’annullamento parziale in via giurisdizionale, è stata chiesta e ottenuta  nuova concessione edilizia (n. 2577 del 2003 a favore della CBS) impugnata anche  essa dinanzi al giudice di primo grado e oggetto di altro giudizio.
 
 Per il resto il Comune osserva che le censure introdotte con l’appello (su  altezze, mansarda, parcheggi, esistenza di tettoie) sono già oggetto della  successiva sentenza del TAR Emilia-Romagna n. 321 del 2008 e quindi sono  inammissibili; infine chiede rigettarsi l’appello perché in ogni caso infondato.
 
 Si è costituita anche la s.r.l. CBS, che chiede dichiararsi la improcedibilità  dell’appello, in quanto il nuovo permesso di costruire ha attuato le  prescrizioni relative all’abbattimento degli aggetti, ma costituisce nuovo  titolo. Per il resto insiste nel rigetto dell’appello perché infondato.
 
 Con ulteriore memoria la appellante afferma il suo persistente interesse al  ricorso, in quanto la attività edilizia è stata iniziata e in gran parte  realizzata sulla base proprio della prima concessione edilizia impugnata (n.  3134 del 2002) e in ogni caso è stata proposta azione risarcitoria anche dinanzi  al Tribunale civile di Parma, circostanza che impedisce la declaratoria di  improcedibilità. Per il resto insiste nelle sue deduzioni.
 
 Con ricorso r.g.n. 401/2003 proposto dinanzi al Tar Emilia-Romagna, sezione di  Parma, la medesima signora Ferrari Albertina impugnava la concessione edilizia  rilasciata dal Comune di Parma per la costruzione di edificio immediatamente  confinante con quello oggetto della concessione edilizia n. 3134 del 2002  nonché, sempre con motivi aggiunti, la concessione edilizia rilasciata per la  costruzione di un edificio immediatamente confinante con quello oggetto della  concessione edilizia 3134 del 2002 (ora 2577 del 2003).
 
 La ricorrente impugnava la concessione edilizia 1744 del 2002 rilasciata alla  s.r.l. CBS per la realizzazione di fabbricato che, sia pure non confinante con  il suo, è tuttavia localizzato a immediato ridosso dell’edificio vicino;  deduceva la violazione del limite delle altezze, il superamento del limite di  volumetria, il limite della distanza stabilito dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del  1968 rispetto ad altri due edifici confinanti, la indebita qualificazione quali  sottotetti di ben due mansarde, con incidenza sulla superficie lorda.
 
 Con motivi aggiunti ella impugnava anche la variante alla concessione edilizia  (1742 del 2004), riproponendo le medesime censure e deducendo l’illegittimo  incremento delle altezze del sottotetto, la sua erronea esclusione dal calcolo  della superficie utile e la inosservanza del regolamento edilizio.
 
 Con altri motivi aggiunti veniva impugnato il certificato di agibilità e  abitabilità.
 
 Con ordinanze collegiali, il giudice di primo grado disponeva la verificazione  in ordine al limite delle distanze e ai locali costituenti sottotetto.
 
 Con sentenza n.320 del 2008, il giudice di primo grado rigettava il ricorso  ritenendolo non fondato, in ordine a tutti i motivi proposti, riguardanti il  superamento della altezza, il limite di volumetria e superficie del lotto, il  limite della distanza di dieci metri tra pareti finestrate e edifici antistanti,  il computo dei sottotetti. Venivano rigettati anche i motivi riguardanti la  variante al permesso di costruire e il certificato di conformità edilizia.
 
 Con l’atto di appello r.g.n.6547 del 2008 la medesima signora Ferrari appella la  sentenza n.320 del 2008, in sostanza riproponendo le censure già proposte in  primo grado e rigettate in quella sede.
 
 Tali censure consistono nei seguenti mezzi:
 
 A) illegittimità per violazione dell’art. 41 quinquies L.n. 1150 del 1942 e art.  8 del d.m. n. 1444 del 1968 sui limiti di altezza dei nuovi edifici; erroneità  della sentenza per violazione dell’art. 8 del d.m. n. 1444 del 1968, per il  quale l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli  edifici preesistenti e circostanti; erroneamente il primo giudice ha ritenuto  che il limite di altezza vada riferito non alle sole costruzioni confinanti ma  alla intera zona dell’insediamento abitativo, senza indicare di quale zona si  tratti; l’art. 38 del RUE di Parma, laddove prevede la possibilità di costruire  edifici di altezza massima di metri 12,50, è in contrasto con l’art. 8 del d.m.;
 
 B) illegittimità per violazione dei limiti di volumetria e fabbricabilità del  lotto, nonché delle aree da destinare a parcheggio; erroneità della sentenza per  omesso esame delle risultanze istruttorie; infatti, è stato consentito di  realizzare un intervento che prevede una fabbricabilità maggiore rispetto a  quella ammissibile, in ordine alla fabbricabilità già consumata da CBS srl per  effetto di precedenti concessioni edilizie (come da relazioni tecniche agli  atti);
 
 C) illegittimità per violazione dell’art. 38 RUE e dell’art. 9 del d.m. n.  1444/1968 richiamato anche dall’art. 4 RUE di Parma in materia di distanze tra  costruzioni finestrate di altro edificio confinante con quello assentito,  rappresentando che i balconi frontistanti tra l’edificio n. 1 e quello n.2 sono  dieci; si specifica che, contrariamente a quanto sostenuto dal verificatore, gli  aggetti di un edificio sono da considerare costruzione; erroneità della sentenza  per illogicità e contraddittorietà della motivazione, violazione e falsa  applicazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 e dell’art. 4.4 del RUE di Parma  sulle distanze tra le costruzioni finestrate; si rappresenta che la deroga alla  distanza minima definita assoluta dall’art. 9 del d.m. non è applicabile fuori  dei casi tassativi degli specifici strumenti attuativi richiamati dal suo ultimo  comma, mentre nella specie si tratta di intervento edilizio diretto;
 
 D) violazione degli artt. 25 e seguenti del RUE di Parma; violazione degli artt.  28 e 30 del regolamento edilizio in materia di sottotetti, violazione dell’art.  3.4 sul computo delle superfici utili; si lamenta che esistano ampie superfici  utili che superano l’altezza di metri 2,40 (come risulta dalla relazione della  verificazione); si sostiene che i sottotetti, qualificati come mansarde, debbono  essere computati nella superficie utile lorda, con l’effetto di comportare la  violazione delle previsioni; violazione del regolamento comunale e della  delibera regionale 593 del 1995 sul requisito cogente rappresentato dall’altezza  e modalità di calcolo dell’altezza stessa delle nuove costruzioni; illogicità e  difetto di motivazione;
 
 E) illegittimità per ulteriore superamento dei limiti di fabbricabilità per  violazione della fascia di rispetto stradale; erroneità della sentenza per  violazione e erronea interpretazione dell’art. 81 POC in relazione all’art. 28  regolamento codice della strada;
 
 F) erroneità per erronea valutazione delle risultanze istruttorie, con riguardo  al presunto asservimento del lotto ad altra costruzione;
 
 G) erroneità della sentenza impugnata, in quanto le mansarde sono state  impropriamente definite sottotetto;
 
 H) illegittimità del certificato di agibilità e abitabilità e erronea  valutazione delle risultanze istruttorie.
 
 Si è costituita la s.r.l. CBS chiedendo il rigetto dell’appello perché  infondato.
 
 Con altra memoria datata 10 settembre 2010, ritualmente depositata, la  appellante ha ribadito le sue censure in ordine ai seguenti aspetti: violazione  delle distanze; violazione della altezza; violazione della fabbricabilità e  delle regole sui sottotetti.
 
 Con altro ricorso proposto in primo grado r.g.n.113 del 2004, la signora Ferrari  Albertina impugnava il permesso di costruire n. 2577 del 2003 rilasciato dal  Comune di Parma per la realizzazione di edificio confinante con la sua  abitazione; con motivi aggiunti impugnava il medesimo atto; con ulteriori motivi  aggiunti impugnava la variante n. 2235 del 2004 al permesso di costruire; con  ulteriori motivi aggiunti impugnava il rigetto della richiesta di  autoannullamento del permesso di costruire n. 2577 del 2003; con ulteriore  ricorso per motivi aggiunti impugnava anche il certificato di abitabilità e  agibilità.
 
 Il giudice di primo grado disponeva una verificazione sulla violazione del  limite delle distanze e sul computo della superficie lorda utile.
 
 Con la sentenza impugnata, il giudice di primo grado rigettava la censura di  violazione delle statuizioni della sentenza demolitoria n. 6 del 2004, in quanto  l’annullamento derivava dalla ritenuta violazione del limite delle distanze  quanto agli aggetti; rigettava le censure della violazione delle distanze dal  muro di contenimento, della distanza tra pareti finestrate e edifici antistanti,  del superamento delle volumetrie disponibili, del computo delle superfici  abitabili, della violazione dell’art. 8 del d.m. n. 1444 del 1968, della  violazione della distanza minima di dieci metri dall’edificio ubicato nel lato  opposto, del computo dei sottotetti, dell’indice di fabbricabilità; venivano  rigettate anche le ulteriori censure.
 
 Con l’atto di appello r.g. n. 6548 del 2008, la appellante signoraFerrari  Albertina impugnava la sentenza n. 321 del 2008, deducendo i seguenti motivi di  appello:
 
 A) illegittimità per violazione dell’art. 11 della legge n. 47/1985 e per  illegittimo rilascio di titolo edilizio di fatto in sanatoria; violazione  dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001; si sostiene la illegittimità della  nuova concessione edilizia, rilasciata a seguito di annullamento giurisdizionale  per motivi sostanziali e non formali, come invece ritenuto dal primo giudice;
 
 B)illegittimità per violazione dell’art. 38 RUE di Parma, erroneità della  sentenza per difetto di motivazione, travisamento di fatto, violazione dell’art.  873 c.c., errata interpretazione dell’art. 38 RUE di Parma anche in relazione  all’art. 7 della legge regionale Emilia Romagna n. 20 del 2000 e alla vigente  legislazione urbanistica che definisce la nozione di costruzione; ha errato il  TAR nel ritenere che il muro di sostegno del terrapieno posto sulla proprietà  Ferrari fosse un semplice muro di recinzione sormontato da rete metallica, con  conseguente insussistenza dell’obbligo di rispettare la distanza di metri 10  dalle costruzioni esterne al lotto imposta dall’art. 38 RUE di Parma; deve  intendersi per costruzione anche il muro di contenimento con funzione di  terrapieno, ai fini del rispetto del limite delle distanze;
 
 C) illegittimità per ulteriore violazione dell’art. 38 RUE di Parma, dell’art.  4.4 RUE di Parma e dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 in materia di distanze,  erroneità della sentenza per violazione di legge, errata valutazione delle  risultanze della istruttoria e contrasto con i documenti in atti; la violazione  sia del limite di 10 metri dalla costruzione Ferrari che dei 5 metri dal confine  risulta dalla documentazione del progetto assentito;
 
 D) illegittimità per ulteriore violazione degli artt. 38 RUE, art. 4.4. RUE di  Parma e dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 in materia di distanze; erroneità  della sentenza per violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della  motivazione, erronea interpretazione e violazione delle norme statali e comunali  sulla distanza tra costruzioni finestrate; la nuova costruzione è stata  assentita a meno di metri 10 dalle pareti finestrate di altro edificio in  precedenza assentito; i numerosi balconi in muratura che si sporgono dalle  pareti finestrate riducono la distanza assoluta di metri 10 di cui al d.m. a  metri 7 circa; i balconi frontistanti sono dieci; secondo l’art. 9 d.m. soltanto  il piano particolareggiato e il piano di lottizzazione convenzionata possono  fissare in modo dettagliato e specifico le eventuali minori distanze in deroga  tra costruzioni finestrate che per le zone B sono di 10 metri assoluti;
 
 E) illegittimità per violazione dei limiti di volumetria e superficie  edificabile del lotto; erroneità della sentenza per violazione di legge,  violazione dell’art. 38 RUE e dell’art. 21 L.TAR; si contesta la correttezza  della sentenza di primo grado che, in ordine alla censura di violazione del  limite di fabbricabilità, ha ritenuto inammissibile la censura, per avere  sollecitato dapprima i poteri istruttori e poi avere depositato i necessari  documenti: la mancata produzione della documentazione non dovrebbe generare la  decadenza dalla impugnativa;
 
 F) illegittimità per superamento dei limiti di fabbricabilità in violazione  dell’art. 81 POC di Parma, erroneità della sentenza e erronea interpretazione  dell’art. 81 POC in relazione all’art. 28 Regolamento codice della strada, in  quanto erroneamente il Comune ha ritenuto interamente fabbricabile la fascia di  rispetto stradale;
 
 G) ulteriore illegittimità per violazione del d.m. n. 1444/1968 da parte  dell’impugnato art. 3.3 del RUE di Parma; ulteriore illegittimità dell’art. 3.3  RUE di Parma per violazione dell’art. 3 Costituzione, erroneità della sentenza  per violazione di legge, illogicità, omesso esame delle risultanze istruttorie;
 
 I) illegittimità per violazione dell’art. 8 del d.m. n. 1444/1968 sui limiti di  altezza dei nuovi edifici, violazione dell’art. 9, ultimo comma, del d.m. sulla  maggiorazione delle distanze in rapporto alla altezza delle nuove costruzioni,  erroneità della sentenza per violazione dell’art. 8 del d.m. e dell’ultimo comma  dell’articolo 9;
 
 L) illegittimità per avvenuto asservimento dei lotti residui ad altra  costruzione precedentemente assentita; l’asservimento di aree circostanti a  quella per cui è data la concessione edilizia, conseguente a tale concessione,  estingue il carattere originariamente edificatorio dell’area asservita;  erroneità della sentenza per contraddittorietà e illogicità della motivazione,  nonché per insufficiente esame delle risultanze istruttorie;
 
 M) violazione dell’art. 38 RUE per la permanenza di costruzioni sul lato  Ferrari;
 
 N) difetto di motivazione, quanto ai concreti dettagli di superficie, cubatura,  ubicazione, altezze e distanze;
 
 O) violazione di legge e di normativa subordinata quanto ai sottotetti, quali  emergono anche dalle risultanze tecniche;
 
 P) violazione dell’art. 59.12 (sulla disciplina dei parcheggi privati), per  sproporzione del numero dei posti auto rispetto al numero delle unità abitative  dichiarate;
 
 Q) illegittimità derivata della variante e ulteriore illegittimità per  violazione degli artt. 25 e seguenti e degli artt. 28 e 30 del regolamento  edilizio di Parma, nonché dell’art. 3.4. RUE di Parma sul mancato computo nella  SLU delle mansarde impropriamente definite “sottotetto”;
 
 R) illegittimità per rigetto della istanza di autoannullamento;
 
 S) erroneità della sentenza per illegittimità del certificato di agibilità e  abitabilità.
 
 Con memoria depositata datata 10 settembre 2010, la appellante ha ribadito le  sue censure relativamente alla violazione delle distanze, dell’altezza, della  necessità della motivazione,della fabbricabilità, relativamente ai sottotetti.
 
 Alla udienza pubblica del 19 ottobre 2010 le tre cause sono state trattenute in  decisione.
DIRITTO
 1.Preliminarmente, deve disporsi, come richiesto anche dalle parti, la riunione  dei sopra indicati giudizi, per connessione soggettiva e oggettiva; infatti, il  primo appello (n. 2440 del 2004) ha ad oggetto l’appello sulla prima concessione  edilizia (n. 3134 del 2002); il secondo (in realtà r.g. n. 6548 del 2008) ha ad  oggetto l’appello sul secondo permesso di costruire (n. 2577 del 2003), emanato  a seguito dell’annullamento giurisdizionale; il terzo (r.g. n.6547 del 2008) ha  ad oggetto l’appello sulla concessione edilizia rilasciata per la costruzione di  edificio immediatamente confinante con quello oggetto della concessione edilizia  n. 3134 del 2002.
 
 2. In via preliminare, ancora, va rigettata la eccezione di improcedibilità  sollevata in relazione al primo appello (r.g.n.2440 del 2004), eccezione  giustificata con la argomentazione che a seguito dell’annullamento  giurisdizionale disposto con la sentenza del TAR Parma n.6 del 2004 la prima  concessione oggetto di impugnazione (n. 3134 del 2002) sarebbe stata  completamente sostituita dalla successiva concessione (n. 2577 del 2003).
 
 E’ assorbente la considerazione, controdedotta da parte appellante, della  proposizione della azione risarcitoria (dinanzi al Tribunale civile) a fare  ritenere senz’altro sussistente l’attuale interesse a ricorrere riguardo alla  richiesta di annullamento della prima concessione, quantomeno per i danni che  dovessero ritenersi medio tempore prodotti.
 
 Inoltre, parte appellante sostiene che buona parte dei motivi – non accolti e  riproposti con l’appello – relativi a tutte le censure sopra riprodotte, in  realtà già riguardavano la prima concessione e sono comuni all’ altra  concessione successiva, che pure si contesta quanto a distanza, altezza,  violazione della normativa urbanistica.
 
 3. Gli appelli sono fondati nei sensi che seguono.
 
 In primo luogo, in via prioritaria dal punto di vista logico, è da rigettare il  primo motivo dell’appello n. 6548 del 2008 (pagina 13 e 14), con il quale si  sostiene la violazione dell’art. 11 L.47 del 1985 (in realtà sostenendo la  violazione della precedente sentenza del TAR n. 6 del 2004).
 
 Parte appellante invoca il principio secondo cui la concessione edilizia in  sanatoria, di una costruzione eseguita in base ad una concessione annullata per  motivi sostanziali di contrarietà allo strumento urbanistico, sarebbe  illegittima, ammettendosi l’emanazione della concessione successiva soltanto in  caso di annullamento per motivi procedurali o formali.
 
 In realtà, il primo annullamento (disposto con la sentenza n.6 del 2004, oggetto  dell’appello 2440 del 2004) era avvenuto sulla base della riscontrata violazione  del limite delle distanze in relazione ai c.d. aggetti (balconi), sicché in  teoria – salve ulteriori violazioni, che pure gli appelli ripropongono – sarebbe  stata ben legittima una concessione successiva al primo annullamento, che però  fosse emendata dal vizio relativo riscontrato dal giudice.
 
 Dalla previsione di cui all’art. 38 del DPR 380 del 2001 – che prevede la  rimozione dei vizi delle procedure amministrative in caso di permesso di  costruire annullato in via giurisdizionale - non deriva quindi un generale  divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede  giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
 
 4. Si ritiene di analizzare contestualmente le censure comuni ai diversi  appelli, che si ritengono fondate.
 
 E’ fondato il motivo proposto con l’appello n. 6548 del 2008, con il quale si  lamenta la violazione delle distanze, rispetto al muro di contenimento di  proprietà Ferrari.
 
 Il giudice di prime cure ha rigettato il motivo, sostenendo che il muro di  sostegno al terrapieno sarebbe un semplice muro di recinzione sormontato da rete  metallica, e non si tratterebbe di una costruzione.
 
 Come invece deduce la appellante, il limite imposto dal Regolamento urbanistico  del Comune di Parma impone il rispetto della distanza di “10 metri dalle  costruzioni esterne al lotto”.
 
 Decisiva è la considerazione che il muro concreta gli estremi per essere  ritenuto una costruzione, ai fini delle distanze, sia per dimensioni che per la  funzione espletata.
 
 Il limite di 10 metri, prima ancora che dalle pareti finestrate della abitazione  della appellante, deve essere computato dal parallelo muro di cemento, avente la  funzione di contenimento del terrapieno.
 
 In fatto, il muro realizza una funzione di contenimento del terrapieno ed è  della altezza di un metro e mezzo circa e della lunghezza di circa trenta metri,  rispetto al piano di campagna, oggi di proprietà della s.r.l. CBS.
 
 Anche le relazioni tecniche prodotte in atti, alle quali fa riferimento parte  appellante (v. la relazione tecnica dell’ing. Crescentini del 14 novembre 2003 e  quella dell’ing. Uberti del 6.3.2007) ribadiscono la natura di costruzione al  muro suddetto.
 
 In ordine al principio di diritto, costituisce orientamento consolidato che, ai  fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed  il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già  esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a  incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine (così,  Consiglio Stato, Sez. IV, 24 aprile 2009, n.2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28  giugno 2000, n.3637).
 
 Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno  ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno  aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove  costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24 aprile 2009, n.2579).
 
 In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze  legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello  medio del piano di campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II, 11  novembre 2003, n.1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26 giugno 2000, n.3637; anche  Cassazione Sez. II, 15 giugno 2001, n. 8144, secondo cui, ai fini della  applicazione delle distanze legali, il muro di sostegno costituisce  costruzione).
 
 Il muro in questione costituisce quindi una vera e propria costruzione da cui  computare la distanza prevista dall’art. 38 del regolamento urbanistico edilizio  di Parma.
 
 In accoglimento dell’appello, va quindi accolto il motivo con il quale si  lamenta la illegittimità dei permessi di costruire per violazione dell’art. 38  del RUE di Parma, per avere il titolo edilizio consentito una costruzione a meno  di dieci metri dal muro del terrapieno di proprietà della signora Ferrari.
 
 5. Una ulteriore violazione del limite delle distanze viene asserito  nell’appello con riferimento al superamento dei dieci metri tra le pareti  finestrate.
 
 E’ da ritenere fondato anche tale ulteriore motivo dell’appello n. 6548 del 2008  (pagine 22 e seguenti), con il quale si lamenta la violazione dell’art. 9 del  d.m. n. 1444 del 1968 e in ogni caso la violazione del limite delle distanze,  perché l’assentimento sarebbe inferiore ai previsti metri dieci, calcolandolo  dalle pareti finestrate di entrambi gli edifici.
 
 Come deduce parte appellante, i numerosi balconi in muratura che reciprocamente  sono inseriti nelle costruzioni riducono la distanza assoluta di metri 10  (prevista dal DM su richiamato) a circa sette metri, come emerge dalla  verificazione effettuata in primo grado.
 
 Il primo giudice ha ritenuto che la deroga alle distanze minime di cui all’art.  9 del DM 1444 del 1968 sarebbe consentita – oltre che per i piani  particolareggiati e per le lottizzazioni convenzionate, come prevede la  normativa – anche per gli interventi edilizi diretti, consentiti dallo strumento  urbanistico, interventi tra i quali ricomprendere il permesso di costruire  rilasciato alla s.r.l. CBS.
 
 Al contrario, contestando, in punto di fatto, che la s.r.l. CBS ha nel tempo  frazionato catastalmente il suo terreno (creando quindi più lotti, con la  conseguenza che ogni edificio di pertinenza è tenuto a rispettare le distanze  previste dall’art. 38 RUE), la appellante lamenta in punto di diritto la  violazione della disciplina imperativa prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del  1968.
 
 Il motivo è fondato, sia perché la disciplina imperativa delle distanze di cui  all’art. 9 prevale, sia perché tra gli interventi diretti che consentirebbero la  deroga non è contemplato il titolo abilitativo diretto, ma solo la  pianificazione attuativa.
 
 Sul primo punto, l'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, che detta disposizioni  in tema di distanze tra le costruzioni, stante la natura di norma primaria,  sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di  attuazione (Consiglio Stato , sez. IV, 05 dicembre 2005 , n. 6909).
 
 Le distanze legali previste dagli standards urbanistici sono immediatamente  applicabili ai rapporti privati, ove gli strumenti urbanistici prevedono  distanze minori.
 
 L'art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, laddove prescrive la distanza di dieci  metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i  casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini  nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile.
 
 Pertanto, le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere  cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive  connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è  lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in  materia di equo contemperamento degli opposti interessi (Consiglio Stato , sez.  IV, 05 dicembre 2005 , n. 6909).
 
 In materia di distanze legali, l’art. 136 d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in  vigore l’art. 47 quinquies, commi 6, 8, 9, della legge nazionale n. 1150 del  1942, per cui in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 la distanza minima  inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate e di edifici antistanti è  quella che tutti i Comuni sono tenuti ad osservare, ed il giudice è tenuto ad  applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse  negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente  inserita nel prg al posto della norma illegittima (Cassazione civile, Sez. II,  29 maggio 2006, n.12741).
 
 Inoltre, se la deroga è consentita solo per piani particolareggiati e le  lottizzazioni convenzionate, in tale previsione non può ricomprendersi il  permesso di costruire.
 
 Sussiste pertanto la lamentata violazione della distanza minima assoluta di 10  metri tra le costruzioni finestrate, non contenendo l’art. 38 del RUE di Parma  alcuna previsione di distanza in deroga inferiore e essendo state in fatto  verificate distanze di circa sette metri tra l’edificio assentito a CBS, tenendo  conto degli aggetti in muratura (balconi e scale esterne).
 
 Con riguardo a tale ultima considerazione, si richiamano i precedenti secondo  cui la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti,  prevista dall'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, va calcolata con  riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si  fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale,  prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (così,  Consiglio Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909).
 
 Ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi  costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri  della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si  tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente  decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile  rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto  della sicurezza, della salubrità e dell’igiene (Consiglio di Stato, Sez. V, 19  marzo 1996, n.268).
 
 Gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non  attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che  si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti  verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di  ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le  sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che  siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte  dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo (Consiglio Stato , Sez.  IV, 5 dicembre 2005 , n. 6909).
 
 6. Con altro motivo dell’appello n. 6548 del 2008 (pagina 40), la parte  appellante si duole della violazione dell’art. 8 del d.m. n. 1444 del 1968, per  essere il fabbricato di altezza superiore a quella delle costruzioni vicine (“…  l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici  preesistenti e circostanti…”); altra violazione sarebbe in relazione al già  sopra invocato articolo 9 del d.m. n. 1444 del 1968, e cioè il superamento della  distanza da tenere in conto in relazione alla altezza del fabbricato (“…Qualora  le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori  all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a  raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa…”).
 
 Il giudice di primo grado ha rigettato il motivo, ritenendo che il limite di  altezza non deve essere riferito alle sole costruzioni confinanti con il  fabbricato, ma ad un ambito territoriale che identifichi la intera zona  dell’insediamento abitativo.
 
 Inoltre, parte appellante lamenta, sia pure specificandolo anche in altro  motivo, che l’altezza reale andrebbe calcolata computando interamente i  sottotetti, non qualificabili invece come mansarde: ne discende una maggiore  altezza e quindi una maggiore distanza da rispettare.
 
 Con riguardo all’iter logico seguito dal primo giudice, e cioè che si dovrebbe  tenere conto degli edifici circostanti della zona, l’appellante sostiene che non  si desume a quale ambito territoriale debba farsi riferimento: conseguentemente,  se la regola da rispettare è che non deve essere superata l’altezza delle  costruzioni preesistenti e circostanti, tale limite è da ritenersi  ingiustificatamente superato.
 
 Il motivo è fondato.
 
 L’articolo 8 sopra richiamato – che prevale sul contrastante articolo 38 del RUE  di Parma, laddove quest’ultimo prevede di poter costruire edifici di altezza di  metri 12,50 indipendentemente dalla altezza degli edifici contermini - prevede  che nelle zone territoriali omogenee l’altezza massima degli edifici nuovi non  può superare l’altezza massima degli edifici preesistenti e circostanti.
 
 Né può essere fatto riferimento ad una non identificata zona, piuttosto che agli  edifici limitrofi, in mancanza di ulteriori specificazioni e con il rischio di  palesemente vanificare la portata del precetto.
 
 E’ da riformare la sentenza di primo grado anche nel punto in cui ha ritenuto  priva di un principio di prova, ai limiti della inammissibilità,la censura della  violazione dell’art. 9 – sul rapporto tra distanze e altezze – in quanto l’adito  giudice è stato messo in grado di valutare sia l’altezza del fabbricato  (oggetto, peraltro, di altra specifica censura sotto altro e diverso aspetto)  sia le distanze.
 
 Vale, in ultimo, la considerazione che, ai fini del corretto computo della  altezza, l’appellante sostiene che debba essere computato anche ogni opera da  qualificarsi come sottotetto.
 
 7. Proprio con un successivo motivo del medesimo appello n. 6548 del 2008  (pagina 51) si lamenta la illegittimità per il mancato computo delle mansarde,  impropriamente definite sottotetto, dal calcolo della superficie assentibile  assentita (oltre che, evidentemente, del calcolo della altezza).
 
 I sottotetti - non computati nella superficie lorda utile - sarebbero di  dimensioni e caratteristiche tali che, secondo parte appellante, integrerebbero  mansarde abitabili ed esulerebbero dalla tipologia dei vani destinati  esclusivamente a depositi occasionali, con conseguente violazione della  normativa urbanistica locale e alterazione della superficie e della volumetria  utilizzate.
 
 Il motivo è fondato.
 
 Come ha dedotto e comprovato la parte appellante, le relazioni tecniche (v.  anche la relazione del CTU Pedrelli, depositata nel corso del processo civile)  hanno dimostrato che esistono numerose superfici dei c.d. sottotetti di altezza  superiore al minimo abitabile di metri 2,30 previsto dall’art. 26 del  regolamento edilizio di Parma, per locali della categoria di disimpegni,  sottoscala, ripostigli e così via.
 
 Tali locali, a causa delle loro dimensioni e della loro natura, non possono  essere esclusi dal computo della superficie utilizzabile, il cui limite risulta  pertanto ampiamente superato.
 
 I volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti  necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo  interno.
 
 Pertanto non sono tali - e quindi sono computabili ai fini della volumetria  consentita - le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli "di sgombero"; e non è  volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma  costituente, in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media  rispetto al piano di gronda (così, Consiglio Stato , sez. V, 13 maggio 1997 , n.  483).
 
 8. A causa della fondatezza dei sopra esposti motivi di appello, il Collegio  ritiene di poter prescindere dall’esame degli altri motivi riproposti, quali, in  prospettava via subordinata, la violazione del richiamato art. 38 del RUE di  Parma, di cui per altro verso si pretende il rispetto, il vizio di difetto di  motivazione, la violazione degli standards e dei parcheggi.
 
 9. Conseguentemente, debbono ritenersi fondati e da accogliere gli appelli r.g.  n.2440 del 2004 (che già conteneva censure corrispondenti a quelle riproposte  con l’appello successivo, e rivelatesi fondate) e r.g. n. 6548 del 2008.
 
 10. Deve essere accolto altresì l’appello r.g. n. 6547 del 2008, avente ad  oggetto l’altra concessione.
 
 Infatti, sono svolti anche nell’appello r.g. n. 6547 del 2008 i motivi  riguardanti la violazione dell’articolo 8 del d.m. n. 1444/1968 (limiti di  altezza dei nuovi edifici, che non possono superare l’altezza degli edifici  preesistenti e circostanti), la violazione dell’articolo 9 del d.m. 1444/1968  sul rispetto delle distanze e sulla inammissibilità della deroga al rispetto di  tali distanze, sul rispetto della distanza dalle pareti finestrate, sul computo  dei sottotetti nella superficie.
 
 11. Per le considerazioni sopra svolte, previa riunione, vanno accolti i tre  appelli proposti e, in riforma delle impugnate sentenze, vanno accolti  integralmente i ricorsi di primo grado, con conseguente annullamento degli atti  impugnati.
 
 La condanna alle spese e agli onorari del doppio grado di giudizio segue il  principio della soccombenza. Di essa è fatta liquidazione in dispositivo.
 P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), previa loro  riunione, accoglie i proposti appelli indicati in epigrafe e, in riforma delle  impugnate sentenze, accoglie i ricorsi proposti in primo grado, con conseguente  annullamento degli atti impugnati.
 
 Condanna gli appellati al pagamento delle spese e degli onorari del doppio grado  di giudizio, liquidandoli in complessivi euro diecimila (oltre accessori di  legge), di cui tremila a carico del Comune di Parma e settemila a carico della  s.r.l. CBS Costruzioni.
 
 Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 ottobre 2010, con  l’intervento dei magistrati:
 
 Luigi Maruotti, Presidente
 Pier Luigi Lodi, Consigliere
 Anna Leoni, Consigliere
 Salvatore Cacace, Consigliere
 Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 Il Segretario
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 02/11/2010
                    



