Cass.Sez. III n. 37224 del 11 settembre 2013 (Ud 28 mag 2013)
Pres.Teresi Est. Graziosi Ric. P.C. in proc. Gariboldi e altro. 
Urbanistica.Violazione delle distanze legali e azione civile 
In caso di costruzione abusiva che violi, oltre alle disposizioni incriminatrici, anche le norme civilistiche a tutela dei privati confinanti, la pendenza di procedura amministrativa per il rilascio di provvedimento concessorio non osta al riconoscimento, in favore della parte civile richiedente, del risarcimento nella forma specifica del ripristino dello stato dei luoghi.
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:         Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. TERESI   Alfredo            - Presidente  - del 28/05/2013
 Dott. FRANCO   Amedeo             - Consigliere - SENTENZA
 Dott. MARINI   Luigi              - Consigliere - N. 1638
 Dott. ORILIA   Lorenzo            - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. GRAZIOSI Chiara        - rel. Consigliere - N. 40731/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 TESI FABRIZIO N. IL 27/06/1947;
 nei confronti di:
 GARIBOLDI GIOVANNI N. IL 15/07/1952;
 CECCHINI GIUSEPPE N. IL 16/05/1943;
 CECCHINI JONATAN N. IL 22/03/1978;
 avverso la sentenza n. 3091/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del  13/02/2012;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/05/2013 la relazione fatta dal  Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G. Mazzotta, ha  concluso;
 Udito, per la parte civile, l'Avv. Rocca Alberto di Prato;
 Udito il difensore Avv.to Luigi Del Favero di Roma (sost. proc.).  RITENUTO IN FATTO
 1. Con sentenza del 13 febbraio 2012 la Corte d'appello di Firenze, a  seguito di appello proposto contro sentenza del 15 gennaio 2010 del  Tribunale di Pistoia dai difensori degli imputati condannati e della  parte civile, dichiarava non doversi procedere nei confronti di  Cecchini Jonatan, Cecchini Giuseppe, Calabrese Silvestro,  Gariboldi Giovanni, Aliperta Giuliano e Vignali Roberto per  essersi estinto per prescrizione il reato loro ascritto di cui  all'art. 110 c.p., e L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b), per avere  costruito in assenza di concessione un fabbricato lungo la via Gora  e Barbatole n. 138 in Pistoia, revocando l'ordine di demolizione e  condannando Gariboldi Giovanni, Cecchini Jonatan e Cecchini  Giuseppe al risarcimento dei danni alla parte civile Tesi Fabrizio  da liquidarsi in separato giudizio.
 2. Ha presentato ricorso il difensore della parte civile, lamentando  la negazione del risarcimento in forma specifica (ripristino o  demolizione) per preteso difetto di "elementi certi per valutare", e  rilevando che l'azione civile inserita nel processo penale è rivolta  a far valere tutti i diritti risarcitori, e non solo il risarcimento  per equivalente, non potendo d'altronde impedire il risarcimento  l'eventualità di nuovi atti amministrativi. Illogica inoltre sarebbe  l'affermazione dell'insussistenza di elementi certi sull'eventualità  di persistenza di violazioni civilistiche a seguito "dell'eventuale  modifica dei luoghi".
 In data 21 maggio 2013 sono state depositate memorie difensive  rispettivamente dal difensore di Cecchini Giuseppe e di Cecchini  Jonatan, che chiedono la dichiarazione di inammissibilità o in  subordine il rigetto del ricorso.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 3. Il ricorso è fondato.
 In sede di appello la parte civile, come rileva la corte  territoriale, si era lamentata del non avere il primo giudice  riconosciuto anche il danno materiale subito, consistente nella  diminuzione del valore commerciale dell'immobile confinante,  adducendo che prima ancora i della condanna di risarcimento per  equivalente avrebbe dovuto essere stata pronunciata condanna degli  imputati alla restituzione in pristino dello stato dei luoghi ex art.  872 c.c., mediante l'ordine di demolizione della costruzione abusiva,  ordine avente natura diversa e diverse possibili conseguenze rispetto  a quello di demolizione in base alla normativa edilizia che  costituisce sanzione amministrativa.
 Premesso che l'imputazione riguardava "la violazione della normativa  comunale sull'allineamento degli edifici e di quella sulle distanze  legali che, nel caso in esame, sarebbero state violate rispetto  all'immobile di proprietà della parte civile" (motivazione, pagina  3), la corte territoriale ne ha in sostanza accertato la fondatezza,  concludendo l'esame degli appelli degli imputati nel senso che "non  appare assolutamente necessario disporre la rinnovazione  dell'istruttoria dibattimentale attraverso una perizia sulle  questioni concernenti l'allineamento ed il rispetto o meno delle  distanze legali: l'argomento è stato esaustivamente trattato anche  nel presente procedimento e...le conclusioni sono nel senso che sono  state violate le norme edilizie" (motivazione, pagina 6). Rilevata  quindi la maturazione della prescrizione, con conseguente estinzione  del reato, la corte ha esaminato l'appello della parte civile,  osservando che il primo giudice aveva liquidato unicamente i danni  morali conseguenti alla perdita della riservatezza per la notevole  vicinanza tra gli edifici, non ritenendo acquisita la prova di un  danno patrimoniale perché i proprietari dell'edificio frontista a  quello in costruzione non avrebbero neppure dedotto che la loro  proprietà avesse subito una diminuzione di valore in conseguenza  della nuova costruzione. Il giudice di secondo grado invece ha  ritenuto che "proprio per l'estrema vicinanza tra gli edifici" la  parte civile avrebbe subito "un danno potenziale in termini di  riduzione del valore" della proprietà, essendo state violate "norme  edilizie sia in ordine alla non conformità dell'allineamento del  nuovo edificio ai criteri delle norme tecniche di attuazione al piano  regolatore del Comune di Pistoia, sia in ordine alla distanza tra gli  edifici dato che, secondo le stesse norme, avrebbe dovuto essere  costruito a 10 metri di distanza", in tal modo violandosi proprio le  norme che riguardano le distanze tra costruzioni, cioè norme  civilistiche poste a tutela dei privati confinanti e non soltanto  norme urbanistiche di tutela da un danno per la collettività  (motivazione, pagina 6). Nonostante questi rilievi, la corte  territoriale perviene a ritenere inaccoglibile la domanda proposta  dalla parte civile di risarcimento del danno in forma specifica  attraverso la riduzione in pristino, per avere la difesa degli  imputati Cecchini Giuseppe e Cecchini Jonatan allegato all'atto  d'appello un permesso di costruire datato 22 marzo 2010 per la  Cecchini Costruzioni S.r.l. ove "si fa riferimento all'istanza  presentata dalla società per ottenere un titolo abilitativo che, in  alternativa alla completa demolizione delle opere realizzate,  consentisse la realizzazione di un fabbricato che utilizzasse in  parte quanto già realizzato previo adeguamento alle disposizioni  regolamentari in tema di distanze": la pendenza di tale procedura  amministrativa secondo la corte non renderebbe possibile "allo stato"  la condanna al risarcimento del danno in forma specifica per la  mancanza "di elementi certi per valutare se ed in che misura  eventualmente persistano, a seguito della domanda presentata dagli  imputati al Comune di Pistoia, che, sembra di comprendere dalla  lettura del documento, deve essere oggetto di verifica da parte  dell'Autorità, ed a seguito dell'eventuale intervenuta modifica  dello stato dei luoghi, violazioni delle norme di natura civilistica"  (motivazione, pagina 7).
 Il ragionamento della corte territoriale è evidentemente  contraddittorio, oltre che non aderente alla realtà normativa.  L'esistenza della violazione "delle norme di natura civilistica" era  stata appena accertata dalla corte territoriale stessa nei passaggi  più sopra riportati della sua sentenza, là dove la corte aveva  appunto specificato che erano state violate "le norme che riguardano  le distanze tra costruzioni" cioè "norme di natura civilistica poste  a tutela dei privati confinanti". L'accertamento della violazione,  oltre che di norme penali, anche di norme civili mediante l'attività  criminosa che in tal caso integra congiuntamente illecito penale e  illecito civile - violazione da cui discende il danno che viene fatto  valere a scopo restitutorio e risarcitorio tramite l'azione civile  inserita nel processo penale qualora il danneggiato opti per la  costituzione come parte civile in esso - costituisce l'oggetto della  giurisdizione del giudice penale qualora, appunto, entro il veicolo  che tutela i beni collettivi maggiormente significativi per  l'ordinamento, cioè il processo penale, confluisce anche l'interesse  del privato per i propri beni, il quale di per sè può intersecarsi  con il pubblico interesse senza peraltro perdere appunto la propria  natura privatistica. Accanto alle violazioni di natura urbanistica,  nella fattispecie in esame, si è collocata la violazione delle  distanze nel senso di lesione dell'interesse del proprietario  confinante in ordine al valore del suo bene realizzata attraverso la  violazione del diritto soggettivo, appunto, di proprietà. Investito  del relativo obbligo accertatorio, il giudice di merito, come si è  visto, vi ha adempiuto. Il suo accertamento - allo stesso modo e  nella stessa misura in cui sarebbe intangibile da provvedimenti  amministrativi l'accertamento effettuato dal giudice nell'ambito di  un processo puramente civile, e non quindi in una ipotesi di  contaminano delle tutele come quella che nel processo penale discende  dalla costituzione di una parte civile - non può quindi essere messo  in discussione da una valutazione della P.A., neanche in sede di  sanatoria, poiché la tutela offerta dalle norme civilistiche degli  interessi privati sotto forma di diritti soggettivi di proprietà  attinenti alle distanze non patisce incidenza alcuna dai  provvedimenti amministrativi concessori, i quali poi, qualora  sussistano e confliggano con tali diritti per il loro contenuto,  possono essere disapplicati dal giudice ordinario (ex multis S.U.  civ. ord. 19 ottobre 2011 n. 21578) dando così piena tutela anche in  forma specifica al privato (cfr. da ultimo Cass. civ., sez. 3^, 4  giugno 2013 n. 14022: "Il provvedimento di acquisizione del bene  illecitamente edificato, e dell'area su cui sorge, al patrimonio del  Comune, nell'ipotesi in cui il responsabile dell'abuso non provveda  alla demolizione di opere eseguite in assenza di concessione, in  totale difformità o con variazioni essenziali, ai sensi della L. 25  febbraio 1985, n. 47, art. 7, (poi D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art.  31), non può determinare il sacrificio di diritti reali di terzi su  beni diversi da quello abusivo; ne consegue che detto provvedimento  non è incompatibile con l'esecuzione della sentenza che abbia  ordinato la riduzione in pristino della costruzione abusiva per  l'accertata violazione delle distanze legali dal fondo finitimo,  comportando altrimenti tale acquisizione al patrimonio comunale la  costituzione ex lege di una servitù a carico della proprietà del  vicino, senza indennizzo alcuno in favore di quest'ultimo"), persino  qualora ad avere violato le distanze sia la stessa P.A. (Cass. civ.  sez. 2^, 11 marzo 2008 n. 6469), l'unico limite della tutela del  diritto soggettivo rispetto alla potestà amministrativa essendo  costituito dall'esistenza, alla base della costruzione del manufatto  sia ad opera della P.A. sia ad opera di un privato, di un prevalente  interesse pubblico quale l'esercizio di un'attività di pubblica  utilità, della quale il privato viene comunque indennizzato (per un  caso di violazione delle distanze legali tra un fondo e il manufatto  costruito in quello confinante e negazione del conseguente ripristino  trattandosi di un'opera di pubblica utilità per la realizzazione di  un esercizio pubblico rappresentato dalla produzione di energia cfr.  S.U. 21 novembre 2011 n. 24410; cfr. altresì Cass. civ. sez. 1^, 23  agosto 2012 n. 14609): fattispecie che qui indubbiamente non ricorre.  Dunque, non corrisponde al vero che la corte territoriale non fosse  "in possesso di elementi certi" per valutare violazioni delle norme  civilistiche, avendo al contrario essa stessa accertato tali  violazioni; ne', ovviamente, una "eventuale intervenuta modifica  dello stato dei luoghi" - evidentemente, in un indefinito futuro -  potrebbe incidere nel senso di privare la parte civile del suo  diritto soggettivo accertato come attuale e sussistente. D'altronde,  logicamente, avendo la corte territoriale riconosciuto l'esistenza  dell'illecito quale fonte di danno patrimoniale a carico della parte  civile, se quanto da essa affermato nella parte conclusiva della sua  motivazione in ordine alla inesistenza di elementi certi per  escludere il risarcimento in forma specifica fosse fondato, avrebbe  dovuto essere escluso anche il risarcimento del danno per  equivalente, poiché, come si è visto erroneamente, la corte metteva  in gioco così l'esistenza della violazione delle norme civilistiche,  fonte tanto del risarcimento in forma specifica quanto del  risarcimento per equivalente. Invero, nella liquidazione del quantum  risarcibile, la misura del danno deve avere per oggetto l'intero  pregiudizio, essendo il risarcimento diretto alla completa restitutio  in integrum - per equivalente o in forma specifica - del patrimonio  leso (Cass. civ. sez. 2^, 5 febbraio 2013 n. 2720); ne', d'altronde,  la risarcibilità per equivalente può costituire un elusivo  strumento di deminutio del risarcimento, che si conforma invece  proprio alle caratteristiche del diritto leso, il che ha condotto la  giurisprudenza proprio ad escludere il risarcimento per equivalente  in luogo della reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c.,  comma 2, qualora si tratti di diritto reale - come nel caso in esame  -, la cui tutela infatti "esige la rimozione del fatto lesivo, come  nel caso della domanda di riduzione in pristino per violazione delle  norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso"  (da ultimo Cass. civ. sez. 2^, 17 febbraio 2012 n. 2359), tranne  nell'ipotesi, già sopra richiamata, in cui la distruzione della res  indebitamente edificata venga a costituire un pregiudizio  all'economia pubblica (cfr. ancora Cass. civ. sez. 1^, 23 agosto 2012  n. 14609).
 In conclusione, per quanto si è fin qui rilevato risultando fondato  il ricorso proposto dalla parte civile, la sentenza deve essere  annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di  Firenze.
 Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte  			d'appello di Firenze.
 Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
 Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2013
                    



