Cass.Sez. III n. 3139 del 23 gennaio 2014 (Ud 3 dic 2013)
Pres.Squassoni Est. Scarcella Ric. Domingo e altro
Urbanistica.Ordine di demolizione dato dal giudice e ordine di demolizione dato dalla P.A. 
In materia di illeciti edilizi, il beneficio della sospensione condizionale della pena può legittimamente essere subordinato alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, mediante la demolizione dell'opera abusivamente eseguita, alla sola condizione che il condannato non sia impossibilitato ad ottemperare a tale ordine per effetto della già avvenuta acquisizione dell'opera al patrimonio del Comune. (In motivazione, la Suprema Corte ha escluso che il provvedimento giurisdizionale di subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'immobile abusivo costituisca esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi).
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. SQUASSONI Claudia          - Presidente  - del 03/12/2013
 Dott. AMOROSO   Giovanni         - Consigliere - SENTENZA
 Dott. MARINI    Luigi            - Consigliere - N. 3443
 Dott. GENTILI   Andrea           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. SCARCELLA Alessio     - rel. Consigliere - N. 32910/2013
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 DOMINGO LEONARDO, n. 12/08/1968 ad Alcamo;
 ROMANO VINCENZA, n. 8/07/1974 ad Alcamo;
 avverso la sentenza della Corte d'Appello di PALERMO in data  15/03/2013;
 visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
 udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
 udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto  Procuratore Generale Cons. dott. POLICASTRO Aldo che ha concluso per  l'inammissibilità del ricorso.
 RITENUTO IN FATTO
 1. DOMINGO LEONARDO e ROMANO VINCENZA hanno proposto  separatamente, a mezzo del difensore fiduciario - procuratore  speciale cassazionista, tempestivi ricorsi avverso la sentenza della  Corte d'Appello di PALERMO in data 15/03/2013, depositata in data  18/03/2013, confermativa della sentenza 16/02/2010 emessa dal  Tribunale di TRAPANI - SEZ. DIST. DI ALCAMO, con cui i medesimi  imputati sono stati condannati alla pena di giorni quindici di  arresto ed 10.000,00 Euro di ammenda ciascuno, ritenuta la  continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche e  demolizione delle opere abusive se non altrimenti eseguita, per i  seguenti reati: a) artt. 81 cpv. e 110 c.p., L. n. 47 del 1985, art.  20, lett. b), ora sostituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,  lett. b), (perché, in concorso tra loro, quali coniugi versanti in  regime patrimoniale di comunione legale dei beni tra di loro e  comproprietari dell'immobile, con più azioni esecutive di un  medesimo disegno criminoso e in assenza della prescritta concessione  edilizia/permesso di costruire, ponevano abusivamente in essere, un  appezzamento di terreno ubicato in zona sismica di Alcamo, via Mirga  o C.da Vallone di Nuccio, opere edili consistenti nella  realizzazione, con struttura di cemento armato e copertura a due  falde spioventi con travi e tavole in legno e tegole soprastanti, di  un fabbricato ad una sola elevazione fuori terra, internamente in  parte rifinito e privo di infissi, sanitari e rubinetteria, occupante  una superficie di mq. 170 circa e della recinzione, costituita da  muri in cemento armato alti mt. 0,80 circa, del lotto in cui il  succitato manufatto è stato costruito); b) artt. 81 cpv. e 110 c.p.,  art. 13 in relaz. alla L. n. 1086 del 1971, art. 2, commi 1 e 2, ora  sostituiti dall'art. 71 in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art.  64, commi 2 e 3, (per avere, nelle condizioni e qualità di cui al  capo a), realizzato le predette opere edili abusive senza che  l'esecuzione di queste avvenisse in base ad un progetto esecutivo  redatto e sotto la direzione di un ingegnere o architetto o geometra  o perito industriale edile iscritto nel relativo albo e nei limiti  delle proprie competenze); d) artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 20 in  relazione alla L. n. 64 del 1974, artt. 1, 3, 17 e 18 ora sostituiti  dall'art. 95, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 52, 83,  93 e 94 (per avere, nelle condizioni e qualità di cui sopra,  realizzato in zona sismica le predette opere edili abusive, senza  aver dato preavviso scritto al competente ufficio del Genio civile,  senza la preventiva autorizzazione scritta di quest'ultimo e in  difformità dalle prescrizioni tecniche previste dalla legge sismica  e dai relativi decreti interministeriali). Tutti accertati in  Alcamo, il 9/03/2009.
 2. Ricorrono avverso la predetta sentenza gli imputati, a mezzo del  difensore fiduciario - procuratore speciale cassazionista, deducendo,  il primo, 6 motivi di ricorso e, la seconda, 5 motivi di ricorso, di  seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la  motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
 3. Il DOMINGO deduce, con il primo motivo, l'erronea applicazione  dell'art. 110 c.p. e dell'art. 530 c.p.p. con riferimento a tutti i  reati di cui al capo d'imputazione (D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44,  71 e 95); in sintesi, si duole il ricorrente per aver la Corte  territoriale individuato la responsabilità del Domingo sulla base  di alcuni elementi: 1) essere coniuge della Romano, proprietaria e  committente dei lavori; 2) essere acquirente dell'area su cui si è  edificato abusivamente; c) essere sostanzialmente comproprietario in  quanto il fondo era stato acquistato in regime di comunione legale;
 4) essere la costruzione destinata a casa di abitazione della  famiglia. Ad avviso del ricorrente, nessuno di essi si troverebbe in  rapporto causale necessario con l'assunzione della qualità di  committente dei lavori abusivi, fondante l'ipotesi di concorso ex  art. 110 c.p..
 4. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, poi, come primo motivo di  ricorso comune ad entrambi, l'erronea applicazione dell'art. 157 c.p.  con riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44, 71 e 95, ex art.  606 c.p.p., lett. b); si dolgono, in sintesi, per non aver la Corte  territoriale dichiarato l'estinzione per prescrizione dei reati,  essendo emerso che la costruzione fosse stata eseguita nell'estate  del 2007, laddove invece la Corte d'appello avrebbe individuato  quale data di consumazione quella del sequestro; essendo i reati di  costruzione abusiva reati istantanei, la condotta illecita si sarebbe  consumata al momento dell'arresto dei lavori anche se la costruzione  non era ultimata.
 5. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, ancora, come secondo motivo  di ricorso comune ad entrambi, l'illogicità della motivazione ex  art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento alla tempo di consumazione  del reato, in quanto dall'istruttoria sarebbe emerso che la  costruzione abusiva si trovava nella consistenza attuale sin  dall'agosto 2007; tale risultanza istruttoria sarebbe stata  ignorata dalla Corte territoriale, facendo riferimento ad un  pregiudizio di verosimiglianza che l'intenzione dei proprietari  dell'immobile fosse quello di continuare nell'attività edilizia.  6. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, ulteriormente, come terzo  motivo di ricorso comune ad entrambi, l'erronea applicazione  dell'art. 165 c.p., in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e); la  Corte territoriale, come già il primo giudice, non avrebbe dato  alcuna motivazione circa i criteri di giudizio utilizzati per  subordinare l'efficacia della sospensione condizionale della pena  alla demolizione del fabbricato abusivo.
 7. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, inoltre, come quarto motivo  di ricorso comune ad entrambi, ancora l'erronea applicazione  dell'art. 165 c.p., in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e), per  aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l'eliminazione  dell'immobile abusivo integrasse la fattispecie all'art. 165 c.p.,  facendo così erronea ed immotivata applicazione del concetto di  danno nella stessa norma indicato; in sintesi, si dolgono i  ricorrenti per aver il giudice d'appello affermato che la costruzione  abusiva costituisce un danno in re ipsa, affermazione che non  consentirebbe alcuna prova ne' in senso favorevole ne' contrario,  ponendosi in contrasto con il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma  5, che prevedendo la possibilità del Comune di conservare il  manufatto abusivo ne esclude, per ciò stesso, la consistenza dannosa  in sè, altrimenti il Comune dovrebbe comunque demolirlo.  8. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, infine, come quinto motivo  di ricorso comune ad entrambi, l'erronea applicazione del D.P.R. n.  380 del 2001, art. 31, comma 5, per difetto di attribuzione, in  relazione all'art. 606 c.p.p., lett. a); in sintesi, si dolgono i  ricorrenti poiché il giudice di merito, subordinando la sospensione  condizionale della pena all'eliminazione del fabbricato, avrebbe  sottratto al Comune la possibilità di valutazione e di scelta di  acquisire al suo patrimonio ed utilizzare ai fini pubblici i  fabbricati abusivi non spontaneamente demoliti dai proprietari,  valutazione e scelta propria degli organi della PA e, nello  specifico, del Consiglio comunale a cui la legge sugli Enti locali  attribuisce il potere programmatorio sul territorio.  CONSIDERATO IN DIRITTO
 9. Ambedue i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per le  ragioni di seguito evidenziate.
 10. Quanto al primo motivo proposto dal DOMINGO, con cui questi si  duole dell'erronea applicazione dell'art. 110 c.p. e dell'art. 530  c.p.p. con riferimento a tutti i reati di cui al capo d'imputazione  (D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44, 71 e 95), per l'assenza di  elementi conducenti ad attribuire la responsabilità dei fatti al  ricorrente, lo stesso si appalesa inammissibile per genericità, in  quanto non tiene in conto di quanto puntualmente argomentato dai  giudici d'appello sul punto. È pacifico, infatti, che è  inammissibile per genericità il ricorso per cassazione fondato su  motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in  appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito,  dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto  apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica  puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del  11/03/2009 - dep. 14/05/2009, Arnone e altri, Rv. 243838). Ed invero,  la sentenza impugnata si fa carico specificamente di disattendere  l'omologo motivo di appello, evidenziando come fosse da escludere che  l'imputato Domingo non avesse contribuito alla realizzazione delle  opere abusive, in quanto mero coniuge in regime di comunione dei beni  con la ROMANO, unica proprietaria del lotto di terreno in cui erano  stati realizzati i manufatti in questione. La Corte territoriale, sul  punto, deduce argomentatamente come, pur essendo vero che l'atto di  acquisto del predetto lotto fosse solo in favore della moglie  dell'imputato (e, dunque, che lo stesso non fosse formalmente il  comproprietario), era, tuttavia, altrettanto pacifico come dal rogito  notarile emergesse che l'acquisto era stato effettuato con assegno  bancario trattato dal c/c del DOMINGO, elemento, questo,  comprovante la consapevolezza dell'imputato quale comproprietario non  dichiarato del bene immobile il quale - come correttamente  evidenziato dalla Corte d'appello - essendo i coniugi in regime di  comunione legale al momento della stipula del rogito, ne' essendovi  una diversa indicazione, sarebbe stato considerato in caso di  successiva separazione ricadente nel patrimonio di entrambi.  Ulteriore elemento che consente di riferire anche soggettivamente i  fatti al DOMINGO è costituito dalla presenza in atti di un verbale  di dissequestro dell'immobile in cui ambedue gli imputati si  qualificarono e sottoscrissero come "proprietari"; infine, come  sempre risulta dalla sentenza impugnata, altro elemento di indubbia  rilevanza in tal senso, è costituito dalla circostanza che il  manufatto abusivo principale, era destinato ad abitazione della  ROMANO e della sua famiglia.
 Sulla scorta di tali inequivoci elementi indiziari, dunque, ben può  essere ritenuto il DOMINGO comproprietario del lotto su cui venne  edificato l'immobile abusivo, a nulla rilevando la circostanza che  questi giuridicamente non fosse il comproprietario del lotto  medesimo, prevalendo la realtà fattuale sull'apparenza giuridica.  Tanto premesso, è pacifico nella giurisprudenza di questa Sezione  che la responsabilità del comproprietario, non formalmente  committente delle opere abusive, può dedursi da indizi quali la  piena disponibilità della superficie edificata, l'interesse alla  trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità  con l'esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo  svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi  anche in sanatoria, la fruizione dell'immobile secondo le norme  civilistiche sull'accessione nonché tutti quei comportamenti  (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi  della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla  realizzazione del fabbricato (v., tra le tante: Sez. 3, n. 25669 del  30/05/2012 - dep. 03/07/2012, Zeno e altro, Rv. 253065). Nel caso in  esame, come già anticipato la responsabilità del Domingo venne  identificata sulla base di alcuni elementi: 1) essere coniuge della  Romano, proprietaria e committente dei lavori; 2) essere acquirente  dell'area su cui si è edificato abusivamente; c) essere  sostanzialmente comproprietario, in quanto il fondo era stato  acquistato in regime di comunione legale; 4) essere la costruzione  destinata a casa di abitazione della famiglia. Trattasi di elementi  indiziari sufficienti a ritenere provata la compartecipazione del  ricorrente nella realizzazione dei reati oggetto di volontà comune  con il coniuge Romano Vincenza, di talché è evidente come la  Corte territoriale non sia incorsa nell'invocata violazione dell'art.  110 cod. pen..
 11. Quanto al primo motivo di ricorso comune ad entrambi i  ricorrenti, lo stesso si appalesa, al pari del precedente,  inammissibile perché generico, in quanto non tiene in conto di  quanto puntualmente argomentato dai giudici d'appello sul punto. Ed  infatti, la Corte territoriale chiarisce che i reati non potevano  dichiararsi estinti per prescrizione in quanto, al momento  dell'accertamento (9/03/2009), l'immobile non era definito, mancava  di impianto elettrico, rubinetterie, sanitari ed infissi e vi erano  tracce di cantiere attorno ad esso, come emergeva dalle fotografie in  atti; la stessa corte, peraltro, esclude che fosse verosimile che i  coniugi avessero abbandonato i lavori, in quanto l'immobile era  destinato a comune abitazione. Secondo i ricorrenti la costruzione  sarebbe stata eseguita nell'estate del 2007, laddove invece la  Corte d'appello avrebbe individuato quale data di consumazione quella  del sequestro, così commettendo un errore, attesa la natura  istantanea del reato di costruzione abusiva. Tale doglianza è  destituita di fondamento, atteso che il reato de quo, ha natura  permanente. La cessazione della permanenza del reato di costruzione  abusiva va, infatti, individuato nel momento dell'ultimazione  dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che  la particolare nozione di ultimazione, contenuta nella L. 28 febbraio  1985, n. 47, art. 31 e che anticipa tale momento a quello  dell'ultimazione della struttura, è funzionale ed applicabile solo  in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via  generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto  di concessione (ora permesso di costruire: v., ex multis: Sez. 3, n.  33013 del 03/06/2003 - dep. 05/08/2003, Sorrentino ed altro, Rv.  225553).
 12. In ordine, poi, al secondo motivo di ricorso comune ad entrambi,  lo stesso è inammissibile per genericità per le medesime ragioni  già esposte in sede di confutazione del primo motivo comune ad  ambedue i ricorrenti, cui pertanto si rinvia. Il riferimento al cd.  pregiudizio di verosimiglianza che inficerebbe la valutazione del  giudice d'appello, secondo cui l'intenzione dei proprietari  dell'immobile era quella di continuare nell'attività edilizia, in  realtà si risolve in un'infondata critica del ragionamento logico  attraverso il quale la Corte territoriale è pervenuta  argomentatamente a ritenere che alla data del 2009 le opere non  fossero ancora ultimate. Poiché l'accertamento relativo  all'ultimazione dei lavori costituisce un apprezzamento di fatto  insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente  motivato, ne discende che, non rilevandosi alcun vizio motivazionale  della decisione sul punto, la censura difensiva dev'essere disattesa.  13. In ordine al terzo motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato  sull'asserita assenza di motivazione circa i criteri di giudizio  utilizzati per subordinare l'efficacia della sospensione condizionale  della pena alla demolizione del fabbricato abusivo, è sufficiente  richiamare in questa sede, per disattenderne la consistenza  argomentativa, quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte  (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 - dep. 03/02/1997, Luongo, Rv. 206659)  secondo cui il giudice, nel concedere la sospensione condizionale  della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza  di concessione edilizia o in difformità, legittimamente può  subordinare detto beneficio all'eliminazione delle conseguenze  dannose del reato mediante demolizione dell'opera eseguita, disposta  in sede di condanna del responsabile. È ben vero che il potere di  "subordinazione" è previsto dalla legge come discrezionale, ma è  altrettanto vero che la demolizione ordinata dal giudice configura  una sanzione amministrativa specifica, che ha una funzione  direttamente ripristinatoria del bene urbanistico offeso ed è,  quindi, un provvedimento giurisdizionale che irroga una sanzione  amministrativa in via accessoria rispetto alla sanzione penale,  svolgendo una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e  riconnettendosi, conseguentemente, all'interesse sotteso  all'esercizio stesso dell'azione penale, dal momento che  l'incriminazione del reato urbanistico ha per oggetto, in senso  sostanziale e finale, la tutela dell'assetto del territorio (v., sul  punto: Sez. 3, sentenza n. 25930 del 2013, Tascone, non massimata).  Ne discende, pertanto, che il giudice esercita legittimamente il  potere discrezionale di subordinare il beneficio di cui all'art. 163  alla demolizione dei manufatti abusivi ogniqualvolta, come avvenuto  nel caso di specie, la prognosi di astensione del reo dal commettere  nuovi reati richiede, quale manifestazione di effettivo ravvedimento,  l'adempimento di un obbligo di tacere funzionale direttamente al  ripristino del bene offeso. E ciò si evince chiaramente dalla  motivazione dell'impugnata sentenza, laddove si evidenzia che nessuno  dei ricorrenti si era attivato per demolire i manufatti abusivi  nonostante a ciò ingiunti dal Comune, comportamento, questo, che  giustificava, in assenza di uno spontaneo adempimento dell'obbligo  demolitorio, l'esercizio del potere discrezionale di subordinare il  beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione  del manufatto abusivo entro il termine di gg. 90 dal passaggio in  giudicato della sentenza.
 14. In ordine al quarto motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato  ancora sull'asserita violazione dell'art. 165 c.p. per aver il  giudice d'appello affermato che la costruzione abusiva costituisce un  danno in re ipsa, affermazione che non consentirebbe alcuna prova ne'  in senso favorevole ne' contrario, ponendosi in contrasto con il  D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, a sottolinearne  l'inammissibilità per manifesta infondatezza è sufficiente  richiamar quanto già in precedenza affermato da questa Corte,  secondo cui la subordinazione della concessione della sospensione  condizionale della pena alla demolizione, da parte del condannato,  dell'opera abusiva, è da ritenersi, in via generale, legittima, in  quanto corrispondente alla espressa previsione dell'art. 165 c.p.,  comma 1, configurandosi la presenza sul territorio di una  costruzione, realizzata in violazione della legge, come conseguenza  dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (Sez. 1, n. 7660 del  06/06/1996 - dep. 02/08/1996, Spina ed altro, Rv. 205709). Peraltro,  nessun contrasto è ravvisabile con il D.P.R. n. 380 del 2001, art.  31, comma 5 poiché è altrettanto pacifico che l'ordine di  demolizione è operativo fino a quando, con esso, il parallelo e  concorrente ordine della P.A. persegua lo stesso obiettivo, oppure  fino a quando la stessa Amministrazione rimanga inerte, omettendo,  cioè, sia di ingiungere la demolizione, sia di procedere  all'acquisizione dell'opera: nel caso in cui, invece, la P.A. abbia  proceduto all'acquisizione dell'opera, con specifica deliberazione  contraria alla demolizione, viene a verificarsi, rispetto all'obbligo  di osservare l'ordine del giudice, una situazione oggettivamente  impeditiva, sicché sarebbe illegittima la condizione apposta alla  concessione del predetto beneficio, consistente nel subordinare la  concessione stessa alla demolizione dell'opera, allorquando sia  sopravvenuta l'impossibilità per il condannato di ottemperare a tale  ordine. Poiché, però, dalla sentenza impugnata atti non risulta che  la P.A. abbia proceduto all'acquisizione dell'opera, nessuna  illegittimità della "subordinazione" è ravvisabile nel caso in  esame.
 15. In ordine, infine, al quinto motivo di ricorso comune ad  entrambi, fondato sull'asserita erronea applicazione del D.P.R. n.  380 del 2001, art. 31, comma 5, per aver sottratto i giudici di  merito al Comune la possibilità di valutazione e di scelta di  acquisire al suo patrimonio ed utilizzare ai fini pubblici i  fabbricati abusivi non spontaneamente demoliti dai proprietari,  l'inammissibilità per manifesta infondatezza del medesimo discende  dall'ovvia considerazione che l'ordine di demolizione ha natura di  provvedimento accessorio alla condanna ed è emesso sulla base  dell'accertamento della persistente offensività dell'opera nei  confronti dell'interesse tutelato dalla norma. Proprio l'art. 165  cod. pen. prevede che la sospensione della pena può essere  subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose  del reato e non può esservi dubbio che il manufatto abusivamente  realizzato costituisce, come già in precedenza evidenziato,  conseguenza del reato edilizio dannosa per l'assetto del territorio.  Ne discende, pertanto, che, costituendo l'ordine di demolizione di  opera abusiva, dato dal giudice, atto dovuto in caso di condanna e di  mancata esecuzione della demolizione, non è nemmeno ipotizzabile un  contrasto con il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, che  disciplina l'ordine di demolizione amministrativo (con ordinanza del  dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese  dei responsabili dell'abuso) "salvo che con deliberazione consiliare  non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre  che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o  ambientali". Non è, invero, ipotizzabile alcun rapporto alternativo  tra l'ordine di demolizione emesso dall'A.G. e l'ordine emesso dalla  Pubblica Amministrazione, dal momento che la misura emessa dal  giudice rappresenta un rafforzamento di quella adottata  dall'autorità amministrativa ed è diretta a rendere ineludibile  l'obbligo della demolizione delle opere abusive e dal momento,  altresì, che essa va subito revocata a cura dello stesso giudice (e  tale revocabilità conferma il carattere amministrativo della  sanzione) qualora vengano meno i presupposti che l'avevano  determinata (v., in tal senso: Sez. 3, n. 73 del 30/04/1992 - dep.  12/06/1992, Rizzo, Rv. 190604).
 Alla luce di quanto evidenziato, pertanto, non sussiste la denunciata  violazione dell'art. 606 cod. proc. pen., lett. a); tale norma  considera, quale motivo di ricorso per cassazione, che giustifica  l'annullamento senza rinvio della sentenza (art. 620 cod. proc.  pen.), l'esercizio da parte del giudice di merito di una potestà  riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero  non consentita ai pubblici poteri. L'esercizio di una potestà  riservata agli organi dell'amministrazione si realizza quando il  giudice con il provvedimento impugnato abbia usurpato poteri  amministrativi (ad esempio, annullando o revocando un atto  amministrativo) e, cioè, abbia esercitato una potestà tipica  spettante all'amministrazione. Non sussiste pertanto l'esercizio di  una siffatta potestà allorché il giudice ordina la demolizione  dell'opera abusiva, atto dovuto in caso di condanna e di mancata  esecuzione della demolizione, previsto espressamente dal cit. art. 31  comma 9 che obbliga infatti il giudice "per le opere abusive di cui  al presente articolo" ad ordinare "con la sentenza di condanna per il  reato di cui all'art. 44 ... la demolizione delle opere stesse se  ancora non sia stata altrimenti eseguita". Ed è pacifico che la  clausola normativa "se non altrimenti eseguita" non attiene ad un  limite estrinseco al potere del giudice, ma considera la eventualità  del suo esercizio, che può renderlo "inutiliter datum" quando  l'offesa sia rimossa anche mediante acquisizione al patrimonio del  Comune, circostanza - come detto - non emergente dall'impugnata  sentenza (Sez. 3, n. 7148 del 07/05/1998 - dep. 15/06/1998, Dionisi  L, Rv. 211220).
 16. I ricorsi vanno, dunque, dichiarati entrambi inammissibili.  Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun  ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo  ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende,  a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare,  in Euro 1000,00 (mille/00) ciascuno.
 dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al  			pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00  			(mille) in favore della Cassa delle ammende.
 Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013.
 Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2014
                    



