Cass.Sez. III n. 42620 del 17 ottobre 2013 (Ud 20 set 2013)
Pres. Mannino Est.Lombardi Ric. Marcon
Urbanistica.Accumulo abusivo nell'alveo di un fiume

Integra il reato previsto dall'art. 44, comma primo, lett. a, del d.P.R. n. 380 del 2001, l'accumulo abusivo di rifiuti (nella specie, sfridi provenienti da scarifica del manto stradale) nell'alveo di un fiume costituente area di rilevante interesse ambientale secondo le norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente - del 20/09/2013
Dott. LOMBARDI Alfredo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 2823
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - N. 8046/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Marcon Arrigo, nato a Susegana il 24/04/1968;
avverso la sentenza in data 05/12/2012 della Corte di appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone, sezione distaccata di San Vito al Tagliamento, in data 29/06/2011, con la quale Marcon Arrigo era stato dichiarato colpevole dei reati: a) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a); b) di cui al R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 93; c) di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) a lui ascritti per avere realizzato un'attività di deposito e trattamento di rifiuti di circa 3.198 mc. composti da materiali derivanti da scarifica stradale in un'area esterna all'azienda, nell'alveo del Fiume Tagliamento, in assenza delle prescritte autorizzazioni idraulica ed in materia di rifiuti ed in contrasto con le prescrizioni della normativa urbanistica vigente, che non consentiva interventi del genere di quello attuato in detta zona.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva eccepito la carenza di correlazione tra accusa e pronuncia di condanna; dedotto l'esistenza dell'autorizzazione idraulica, la cui operatività non era soggetta a limitazioni temporali; l'insussistenza del ritenuto contrasto dell'attività di deposito temporaneo con le prescrizioni urbanistiche. Sul primo punto la sentenza ha affermato che la contestazione ed il successivo accertamento non si riferivano al mero deposito di rifiuti, ma altresì alla attività di trattamento ed, in particolare, di vagliatura dei rifiuti mediante un macchinario mobile, denominato Chieftain 400; sul secondo è stata affermata la natura precaria dell'autorizzazione idraulica rilasciata dal Magistrato delle Acque di Venezia nel 1992; sul terzo che l'attività di deposito e trattamento dei rifiuti risultava in contrasto con il Piano Regolatore del 2007, che aveva dichiarato l'intera zona di interesse agricolo, mentre con variante del 2008 era stata riconosciuta la legittimità della sola area perimetrata in cui aveva sede l'impianto.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore, che la denuncia con quattro mezzi di annullamento. 2.1 Nullità della sentenza per violazione dell'art. 521 c.p.p.. La Corte territoriale ha riferito erroneamente l'eccezione di carenza di correlazione tra accusa e sentenza all'imputazione concernente il reato in materia di rifiuti. L'eccezione, invece, si riferiva alle imputazioni per l'assenza di autorizzazione idraulica ed per violazione urbanistica. In ordine a detti reati l'accertamento della violazione risulta fondata sulla complessiva attività di creazione di cumuli e trattamento dei rifiuti, mentre nei corrispondenti capi di imputazione era stata contestata solo la realizzazione di un deposito di materiali, con la conseguenza che l'affermazione di colpevolezza risulta fondata su un fatto nuovo e diverso da quello contestato.
2.2 Inosservanza ed erronea applicazione della L.R. Friuli n. 24 del 1993.
Agli atti esisteva prova che i depositi di cui si tratta esistevano quanto meno dal 1980 e pacificamente dal 1988, venendo periodicamente rimossi e rinnovati. Ai sensi dell'art. 1, comma 3, della citata L.R. è ammesso, nell'area di pertinenza degli impianti di lavorazione di materiali inerti, regolarmente autorizzati, l'accumulo di materiali lavorati e da lavorare, che sia funzionale al normale svolgimento del ciclo produttivo in relazione alla capacità di lavorazione degli impianti medesimi. Nel caso in esame doveva essere applicata detta norma, che autorizza fin dal 1993 il mantenimento, nell'area di pertinenza dell'impianto, dei depositi di materiali funzionali allo svolgimento dell'attività autorizzata, e non le prescrizioni urbanistiche di molto successive alla realizzazione dei depositi. 2.3 Manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'assenza di autorizzazione idraulica.
La sentenza ha affermato la natura precaria dell'autorizzazione idraulica sulla base della deposizione della teste Missio, ispettrice della Guardia Forestale. Le dichiarazioni della teste, però, si riferivano all'autorizzazione edilizia e non a quella idraulica, per la quale non esistevano limitazioni temporali. Sul punto si precisa inoltre che tra le aree oggetto dell'autorizzazione erano comprese anche quelle adibite a depositi rimovibili per l'alimentazione dell'attività.
2.4 Inosservanza delle norme in materia di trattamento di rifiuti ex D.Lgs. n. 152 del 2006.
In sintesi, si contesta che l'attività di mera vagliatura, non riguardante la natura dei materiali selezionati ma esclusivamente la loro consistenza granulometrica, possa definirsi attività di trattamento dei rifiuti. Il materiale depositato, peraltro, era anche idoneo ad essere direttamente reimpiegato per la realizzazione di sottofondi stradali. In effetti si trattava di un mero deposito temporaneo di materiali, mentre le attività di trattamento erano svolte negli impianti dell'azienda debitamente autorizzata. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. Osserva la Corte in ordine all'eccezione di cui al primo motivo di ricorso che i vari capi di imputazione, concernendo gli stessi fatti, si integrano quanto all'attività descritta nella contestazione. Peraltro, l'imputazione afferente all'assenza dell'autorizzazione idraulica e per violazione dello strumento urbanistico si riferisce essenzialmente all'attività di accumulo dei rifiuti nell'alveo del Fiume Tagliamento in assenza di autorizzazione ed in contrasto con la normativa urbanistica vigente.
3. Anche gli ulteriori motivi di gravame sono infondati. Emerge con chiarezza dall'accertamento di fatto descritto nella sentenza di primo grado, la cui motivazione per l'uniformità della decisione integra quella di appello, che l'azienda del ricorrente aveva creato grossi cumuli di sfridi di asfalto, provenienti da attività di scarifica del manto stradale, lungo la massicciata dell'argine del fiume Tagliamento, al di fuori della zona perimetrata dell'impianto. In loco inoltre detto materiale veniva selezionato mediante l'utilizzazione di un macchinario per il vaglio mobile.
Emerge inoltre dalla sentenza di primo grado che mancava una specifica autorizzazione idraulica, resa necessaria dall'ubicazione dei rifiuti all'interno dell'alveo del fiume Tagliamento, e che l'accumulo dei rifiuti nel luogo descritto risultava in contrasto con la normativa urbanistica vigente nel comune di San Vito al Tagliamento ed, in particolare, con l'art. 17 del Piano di Assetto Idrageologico, entrato in vigore il 6 ottobre 2007, che vieta di ubicare nelle aree fluviali strutture mobili o immobili di ogni genere e tipo, come da nota dell'Autorità di Bacino del 04/08/2009, nonché in contrasto con le NTA del nuovo PRG del medesimo Comune entrato in vigore nel 2008.
Orbene, alla luce dei citati rilievi fattuali, correttamente sono stati configurati i reati di cui alla contestazione. Ed, infatti, correttamente è stata ravvisata la fattispecie di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a), quale conseguenza dell'accumulo di materiali costituenti rifiuto in area di rilevante interesse ambientale in violazione delle previsioni delle citate NTA del PRG del Comune di San Vito al Tagliamento, che espressamente vietavano qualsiasi ampliamento degli impianti di lavorazione di inerti.
Egualmente vietato era l'accumulo dei predetti materiali in area classificata di pericolosità idraulica molto elevata "P4" secondo il Piano di Assetto Idrogeologico, a nulla rilevando la preesistenza di un'autorizzazione risalente al 1993, secondo i giudici di merito, temporalmente legata allo svolgimento di una determinata attività di accumulo di inerti e, in ogni caso, superata dalle nuove previsioni del PAI.
Osserva, infine, la Corte, quanto alla violazione della normativa in materia di rifiuti, che l'accumulo degli sfridi di asfalto al di fuori del perimetro dell'azienda non può, in ogni caso, qualificarsi come deposito temporaneo, poiché non risultavano rispettate le condizioni indicate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1 lett. bb), non sussistendo, in particolare, il requisito del deposito di rifiuti, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti.
Si è trattato, pertanto, di operazioni di deposito preliminare, prodromico ad operazioni di smaltimento, o di messa in riserva finalizzata al successivo recupero, entrambe necessitanti di apposita autorizzazione (cfr. sez. 3, sentenza n. 49911 del 10/11/2009, Rv. 245865; massime precedenti conformi: N. 39544 del 2006 Rv. 235703, N. 19883 del 2009 Rv. 243719).
Peraltro, anche l'asserita attività di vagliatura degli sfridi di asfalto, finalizzata eventualmente alla separazione dei materiali riutilizzabili come sottoprodotto da quelli da inviare a successivo trattamento, rientra tra le attività di gestione dei rifiuti necessitanti di apposita autorizzazione.
Nel resto le deduzioni del ricorrente hanno essenzialmente natura fattuale, richiedendosi alla Corte un nuovo esame delle risultanze processuali, inammissibile in sede di legittimità. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2013