Cass.Pen. Sez. III n. 35849 del 28 agosto 2023 (UP 17 mag 2023)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Fior
Urbanistica.Scavi e sbancamenti
 
Integra un illecito edilizio l'esecuzione, in assenza del permesso di costruire, di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività, pur non comportando un'edificazione in senso stretto, determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio. Del resto, la giurisprudenza penale distingue tra diverse ipotesi di scavo, sbancamenti, livellamenti di terreno: interventi finalizzati ad attività agricole, interventi finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli che incidono sul tessuto urbanistico del territorio, interventi prodromici alla realizzazione di un immobile. Ebbene, nel primo caso non si ritiene necessario il permesso di costruire che, al contrario, è richiesto negli altri due casi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30/5/2022, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della pronuncia emessa il 28/9/2021 dal Tribunale di Udine, riconosceva a Franca Fior e Renzo Pozzo le circostanze attenuanti generiche, così rideterminando nella misura del dispositivo la pena loro inflitta per la violazione degli artt. 1161, r.d.30 marzo 1942, n. 327, 44, lett. a) e b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
2. Propongono congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- erronea applicazione dell’art. 1161 cod. nav. Pacifici i profili oggettivi della vicenda, così come l’avvenuta rimessione in pristino, la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere consumato l’illecito, dato che nessuna innovazione penalmente rilevante sarebbe mai stata realizzata; il livellamento della fascia di terreno sabbioso, già da decenni adibita a parcheggio, costituirebbe un intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria, si sarebbe tradotto in nient’altro che in un aiuto ai turisti per posizionare meglio le vetture senza rilievi né buche e, soprattutto, non avrebbe prodotto alcuna conseguenza – tantomeno negativa – sull’uso di quella fascia di zona demaniale, rimasto inalterato. La radicale mancanza del profilo oggettivo del reato, poi, inciderebbe anche su quello psicologico, che sarebbe stato riconosciuto in ragione di un fine economico del tutto assente e non provato, specie a fronte dell’ampiezza dell’area in concessione alla società facente capo gli imputati (S.I.L.-Società Imprese Lignano s.p.a.) e della assenza di un’apprezzabile modificazione morfologica e funzionale dei luoghi;
- la stessa censura, poi, è mossa con riguardo al reato di cui all’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001, contestato ai capi B) e C). Quanto al primo, la sentenza non avrebbe valutato l’entità della movimentazione di terreno, assolutamente scarsa e volta soltanto al livellamento, tale da non determinare alcuna modificazione permanente dello stato e della conformazione del suolo, rimasto uguale anche nell’impiego. Quanto al capo C), la Corte di appello non avrebbe esaminato le testimonianze raccolte, che avrebbero dato atto dello stato malato, malfermo e pericolante di molti alberi; quanto riscontrato (oltre al taglio degli alberi, che non integrerebbe l’art. 44 in esame) consisterebbe soltanto in precarissimi ed insignificanti sommovimenti di terreno sabbioso, eliminabili con poche tirate di rastrello, ove non subito fatti sparire da un po’ di raffiche di vento, oltre che, comunque, prontamente eliminati. Nessuna alterazione, dunque, sarebbe stata realizzata;
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la responsabilità della Fior sebbene la stessa, all’epoca dei fatti, si trovasse a Roma, dove vive dieci mesi all’anno; il marito Pozzo, peraltro, avrebbe confermato di aver commissionato lui i lavori. La sentenza, al riguardo, sarebbe viziata, in quanto riferirebbe all’imputata “tutte le richieste e le comunicazioni” relative alle opere, laddove la stessa ne avrebbe inviata solo una, concernente l’abbattimento degli alberi. Nessun elemento, dunque, confermerebbe il profilo soggettivo del reato in capo alla Fior, neppure a titolo colposo per omessa vigilanza, specie alla luce del marginalissimo rilievo degli interventi.
CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi risultano manifestamente infondati.
5. Con riguardo, innanzitutto, alla violazione dell’art. 1161 cod. nav., di cui al capo A), le sentenze - con carattere oggettivamente pacifico – hanno evidenziato che la S.I.L. aveva realizzato, nella parte nord del lungomare di Lignano Sabbiadoro, uno sbancamento di area adunale e boscale e l'abbattimento di alberi, al fine di realizzare un ampliamento dei parcheggi già esistenti, mediante la posa di ghiaia costipata; nella parte sud dello stesso lungomare, erano stati invece tagliati numerosi alberi ed asportate ceppaie. Questi interventi erano avvenuti al fine di realizzare una pista ciclabile, marciapiedi e l'ampliamento di parcheggi, per i quali la società aveva presentato al Comune un progetto “unitario ed integrato” nell'agosto 2017. Ancora con riguardo al carattere oggettivo delle opere, la Corte di appello ha poi richiamato una relazione stilata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, nella quale si dava atto di “una modificazione dunale per la realizzazione dei parcheggi con movimentazione di più di 100 mc di terreno, con asporto terra al colletto delle piante, creando instabilità alle stesse. I lavori sono proseguiti rispetto alla segnalazione del 14/11 con il completamento delle opere di scavo e riporto ghiaia per la realizzazione dei parcheggi verso nord (…). L’estensione degli interventi riguarda circa 800 m.”
6. Tanto premesso, la questione oggetto dei ricorsi concerne la qualificazione degli interventi nei termini delle “innovazioni” di cui all’art. 1161 cod. nav., riconosciuta dalla Corte di appello ma negata dai ricorrenti; ebbene, il Collegio ritiene che la motivazione della sentenza sul punto sia corretta e non meriti censura.
6.1. In particolare, la pronuncia ha adeguatamente richiamato i principi interpretativi affermati da questa Corte a più riprese, e qui da ribadire, in forza dei quali l'innovazione, per esser tale (e per dover essere autorizzata), deve avere l'attitudine di incidere in maniera non irrilevante sull'uso del bene demaniale; essa si qualifica per la funzione che svolge e per le conseguenze che ne derivano sull'uso stesso del bene, non solo e non tanto per le sue caratteristiche strutturali; ne consegue che l'inamovibilità non è requisito indispensabile dell'innovazione stessa, al pari della natura dei materiali utilizzati. Quel che rileva, dunque, è che l'innovazione non sia, sul piano funzionale, né irrilevante, né precaria (tra le altre, Sez. 3, n. 48179 del 15/9/2017, Mantoni, Rv. 271546; successivamente, tra le altre, Sez. 7, n. 14429 del 6/11/2020, Maltinti; Sez. 3, n. 15950 del 25/2/2020, Graziano, entrambe non massimate).
6.2. Tanto premesso in termini generali, la sentenza impugnata ha adeguatamente riscontrato tali caratteri negli interventi in oggetto, affermando che “non vi sono dubbi sulla riconducibilità delle opere descritte all’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 1161 r.d. n. 327 del 1942”. In particolare, la Corte di appello ha specificato che l’area dei parcheggi – già esistente - era stata pacificamente ampliata, con intervento sul bene demaniale ed immediato effetto sulla sua funzionalità: se è vero, infatti, che la sentenza menziona il miglioramento della “usufruibilità della zona da parte dei turisti”, è altresì vero che tale affermazione è resa proprio nell’ottica dell’ampliamento dell’area parcheggi, avvenuto sottraendo all’uso pubblico il bene demaniale ulteriormente coinvolto, al fine di aumentare il flusso turistico “a vantaggio della redditività della concessione”.
La motivazione sul punto, dunque, non appare censurabile, ben evidenziando – con argomento aderente alle oggettive emergenze istruttorie - per quali ragioni l’intervento in questione dovesse esser qualificato come innovazione ai sensi dell’art. 1161 cod. nav., anche in punto di elemento soggettivo.
7. Alle stesse conclusioni, poi, la Corte giunge quanto alle contravvenzioni di cui ai capi B) (relativa alle stesse opere del capo A) e C) (concernente il taglio di molte decine di alberi ed asportazione delle relative ceppaie, così modificando la conformazione morfologica naturale del terreno delle dune lì presenti).
7.1. Con riguardo, innanzitutto, al capo B), ed alla relativa contestazione di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, la Corte di appello ha sottolineato che i lavori eseguiti avevano comportato una modifica sostanziale dell'area - con lo sbancamento della sabbia esistente - in misura non certamente insignificante e con l'inserimento di un materiale diverso dall'originario, così ampliando la zona parcheggi e trasformando il terreno oggetto di intervento. Con argomento in fatto non censurabile in questa sede, la sentenza ha sottolineato che le fotografie scattate sul posto risultavano “estremamente significative” nel senso appena indicato, così da ritenere certamente integrata la contravvenzione in oggetto.
7.2. E’ stato confermato, dunque, che integra un illecito edilizio l'esecuzione, in assenza del permesso di costruire, di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività, pur non comportando un'edificazione in senso stretto, determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio (Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, Palma, Rv. 268847; successivamente, tra le altre, Sez. 3, n. 12936 del 10/3/2022, Barone; Sez. 3, n. 3966 del 10/1/2022, non massimate).
7.3. Del resto, la giurisprudenza penale distingue tra diverse ipotesi di scavo, sbancamenti, livellamenti di terreno: interventi finalizzati ad attività agricole, interventi finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli che incidono sul tessuto urbanistico del territorio, interventi prodromici alla realizzazione di un immobile. Ebbene, nel primo caso non si ritiene necessario il permesso di costruire che, al contrario, è richiesto negli altri due casi (cfr. Sez. 3, n. 17114 del 16/12/2014, Bettoni, non massimata; Sez. 3, n. 4916 del 13/11/2014, Agostini, Rv. 262475 Sez. 3, n. 8064 del 2/12/2008, P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242741, Sez. 3, n. 45492 del 29/10/2008, Marinangeli, non massimata).  
7.4. In senso contrario, peraltro, non possono essere qui accolte le considerazioni a sostegno del motivo, secondo cui i lavori avrebbero “interessato un paio di centinaia di metri di quella fascia di terreno sabbioso (…) di entità assolutamente scarsa e sono valsi semplicemente a livellarla”, senza determinare alcuna modifica permanente dello stato dei luoghi, né impiego diverso da quello che gli è proprio: si tratta, infatti, di affermazioni poste su una evidente linea di merito, propria del solo giudizio di cognizione e non ammessa in questa sede.
8. Negli stessi termini, poi, si conclude per la contestazione di cui al capo C), relativa al reato di cui all’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, concernente gli esiti del taglio degli alberi. Anche in questo caso, infatti, la censura si muove entro argini di puro merito, inammissibili al Giudice di legittimità, richiamando deposizioni testimoniali e verbali di sopralluogo, per poi concludere che “quello a cui è stato dato luogo (…) ed è stato contestato sono stati semplicemente precarissimi e assolutamente insignificanti sommovimenti del terreno solo sabbioso di quella fascia retrostante il litorale… eliminabili con poche tirate di rastrello, ove non subito fatti sparire da un po’ di raffiche di vento di bora, e comunque del tutto prontamente eliminati.”
8.1. Questa doglianza, inoltre, non tiene conto delle considerazioni contenute nelle sentenze impugnate, che hanno rilevato che l'abbattimento degli alberi e l'asportazione delle ceppaie aveva modificato sostanzialmente la morfologia naturale del terreno. Al riguardo, peraltro, la Corte di appello ha evidenziato che erano stati eliminati 108 alberi, di cui 85 sul lungomare, e che la dichiarazione prodotta al Comune dalla Fior - secondo cui sarebbero stati abbattuti 75 alberi, di cui 60 danneggiati ed instabili - non aveva trovato conferma in dibattimento, laddove non era stata dimostrata la necessità dell'abbattimento, come da deposizioni richiamate a pag. 6.
Anche il terzo motivo di ricorso, pertanto, risulta manifestamente infondato.
9. Alle stesse conclusioni, infine, il Collegio giunge anche in ordine alla quarta censura, con la quale si lamenta che la Fior sarebbe stata condannata sebbene non si fosse occupata di alcun profilo della vicenda (tutta gestita dal procuratore speciale della società, il marito Pozzo) e, nei mesi della contestazione, fosse stata sempre a Roma; si lamenta, inoltre, l'erroneità dell’affermazione secondo cui la stessa avrebbe firmato tutte le richieste e le comunicazioni inerenti alle opere, dato che la Fior avrebbe sottoscritto soltanto la comunicazione di abbattimento degli alberi del 14/8/2017. Dal che, la mancanza di prova circa la consapevolezza di quanto riscontrato, peraltro di marginalissimo rilievo.
9.1. Questa affermazione, in quanto legata alla lettura degli esiti istruttori e, dunque, ad elementi di puro merito, non può essere qui ammessa. A ciò si aggiunga, peraltro, che, quand’anche si riscontrasse che la ricorrente non aveva sottoscritto “tutte le richieste e le comunicazioni”, come si legge in sentenza, ma soltanto quella relativa al taglio degli alberi, la sua responsabilità dovrebbe comunque essere affermata, come correttamente rilevato dalla Corte di appello. La sentenza, infatti, ha evidenziato che il legale rappresentante di una società che esegue opere di rilievo edilizio od urbanistico – come la Fior rispetto alla S.I.L. – è chiamato comunque ad osservare doveri propri di vigilanza e diligenza nella realizzazione degli interventi e nel rispetto della normativa, derivanti dalla carica rivestita, rispondendo, diversamente, quantomeno a titolo colposo. L’aver, peraltro, sottoscritto comunicazioni inerenti alle stesse opere, o anche solo una di esse, dimostra che la ricorrente non si era disinteressata di ogni profilo della vicenda, come si legge nel ricorso, ma l’aveva seguita nei suoi aspetti tecnico-amministrativi, così ulteriormente confermando una propria responsabilità, come ben affermato dalla Corte di merito.
10. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2023