Cass. Sez. III n. 32736 del 24 novembre 2020 (CC 18 set 2020)
Pres. Andreazza Est. Reynaud Ric. Yakubowskiy
Urbanistica.Rapporti tra legislazione statale e regionale

Le definizioni degli interventi edilizi di cui all’art. 3 T.U.E. rientrano tra i principi fondamentali della legislazione statale che vincolano il legislatore regionale ai sensi dell’art. 2 T.U.E. Ove possibile, le leggi regionali in materia vanno pertanto interpretate in modo tale da non collidere con i suddetti principi, ciò che vale anche con riguardo alla legislazione edilizia delle regioni a statuto speciale, posto che, pur spettando in tal caso alla regione una competenza legislativa esclusiva in materia, anche la relativa legislazione deve rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 24 febbraio 2020, il Tribunale di Sassari ha respinto la richiesta di riesame proposta dall’odierno ricorrente avverso il decreto con cui il G.i.p. del Tribunale di Tempio Pausania, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. aveva disposto il sequestro preventivo di alcuni manufatti edilizi in via di completamento, al fine di evitare l’aggravamento delle conseguenze dei ravvisati reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 181, comma 1-bis, lett. b), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per essere state realizzate, in area paesaggisticamente vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico del comune di Golfo degli Aranci, opere in assenza e in difformità dal permesso di costruire e dall’autorizzazione paesaggistica, con aumento dei manufatti superiore al trenta per cento dell’originaria volumetria.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Kirill Yakuboswkiy, indagato nel procedimento e proprietario dei beni in sequestro.
Premesso che in relazione alle opere di manutenzione straordinaria, regolarmente assentite dagli organi preposti ed effettuate sull’immobile in questione a partire dal 2017, il pubblico ministero aveva in precedenza avviato due procedimenti cautelari per sequestro, conclusisi favorevolmente per l’odierno ricorrente e sui quali era sceso il giudicato cautelare, con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 322 ter cod. pen., 321 e 125 cod. proc. pen. per non essere stato annullato il decreto di sequestro preventivo pur se emesso in assenza di autonoma valutazione dei presupposti per l’adozione della misura cautelare, in carezza assoluta di motivazione ed in violazione delle norme incriminatrici ipotizzate. In particolare, nel disattendere la doglianza con cui era stata eccepita la nullità del decreto di sequestro preventivo, l’ordinanza impugnata non dà atto di quali siano gli elementi di tipo valutativo e descrittivo dai quali emergerebbe che il g.i.p. abbia compiuto un’autonoma valutazione dei presupposti per l’adozione delle misura cautelare, essendosi invece il primo giudice limitato a richiamare gli atti indagine senza enunciare i facta probanda e le regole utilizzate per valutare la prova pur nei limiti del giudizio cautelare. La carenza di motivazione sul punto avrebbe dovuto determinare la declaratoria di nullità del decreto e, diversamente da quanto ritenuto nell’ordinanza, non legittimava invece il Tribunale del riesame a colmare le pur ravvisate lacune.

3. Con il secondo motivo si deduce la violazione delle medesime disposizioni di legge sostanziale e processuale per essere stati erroneamente ritenuti sussistenti, con motivazione apparente ed incongrua rispetto alle doglianze proposte, i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum.
Premesso che la richiesta di riesame riguardava soltanto alcune delle opere in sequestro e delle ipotesi di accusa provvisoriamente formulate, si lamentano plurimi profili di omessa motivazione:
        3.1. con riguardo al muro di recinzione in pietra, a proposito delle doglianze proposte quanto all’assenza di difformità dal progetto assentito in relazione all’altezza del muro stesso, al fatto che per l’art. 15 della l.r. n. 23 del 1985 i muri di cinta possono essere realizzati in regime di edilizia libera, all’assenza di periculum;
        3.2. con riguardo al posizionamento degli infissi in corrispondenza di un vano scala e di una veranda coperta, a proposito delle doglianze concernenti la lecita installazione, quali barriere frangivento consentite dalle n.t.a. al piano regolatore e peraltro previste in progetto, comunque la loro avvenuta rimozione prima dell’esecuzione del provvedimento di sequestro, con conseguente eliminazione del periculum e dello stesso fumus di reato stante l’estinzione del reato paesaggistico ex art. 181, comma 1-quinquies, d.lgs. 42/2004 e la possibilità di ottenere l’archiviazione per particolare tenuità del fatto;
        3.3. con riguardo alla modificazione della destinazione d’uso contestata sub punto 1 del capo A) della provvisoria imputazione, a proposito delle doglianze concernenti la compatibilità degli impianti tecnici con la destinazione non abitativa dei locali, dell’altezza inferiore a mt. 2,40 degli stessi, dell’assenza di un uso difforme da quello autorizzato anche con riguardo alla conseguente insussistenza del periculum.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 324 e 309, comma 9, cod. proc. pen. per aver il giudice del riesame ecceduto dai limiti che connotano il relativo giudizio, valorizzando fatti estranei alla contestazione mossa dal pubblico ministero, vale a dire – con riguardo all’installazione degli infissi di cui più sopra si è detto – la rilevata presenza di impianti “da interno” piuttosto che “da esterno”.

CONSIDERATO IN DIRITTO
    
    1. In relazione al primo motivo di ricorso, in diritto va innanzitutto richiamato il principio, affermato da questa Corte nella sua più autorevole composizione, secondo cui nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma nono dell'art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili - in virtù del rinvio operato dall'art. 324, comma settimo dello stesso codice - in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789).
    Ciò premesso, essendo nella specie applicabile il disposto di cui all’art. 325 cod. proc. pen., deve osservarsi che il ricorso per cassazione, proposto contro l'ordinanza del tribunale del riesame confermativa di un decreto di sequestro preventivo, è ammesso solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616). E in tema di misure cautelari reali costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119). L’esercizio, da parte del tribunale del riesame, del potere-dovere di annullamento previsto dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. - non sanzionato a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza - è pertanto sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti della carenza di motivazione dell’ordinanza decisoria del riesame rispetto all’eccepita nullità del provvedimento genetico originata dal mancato rispetto da parte del g.i.p., nell’adottare un decreto di sequestro preventivo, dell’obbligo di dare autonoma valutazione circa la sussistenza degli elementi che costituiscono il fondamento della misura cautelare reale nonché degli elementi forniti dalla difesa. Trattandosi di un accertamento di merito che esula dai compiti demandati al giudice di legittimità, il sindacato consentito a quest’ultimo sulla valutazione operata circa i fatti presupposto dell'applicazione di una norma processuale è di regola limitato alla verifica della sussistenza e della logicità della motivazione adottata sul punto (Sez. 4, n. 6222 del 19/12/2008, dep. 2009, Cirianni e aa., Rv. 243768) e soltanto al primo dei cennati profili laddove, come nella specie, il secondo non sia scrutinabile trattandosi di impugnazione di provvedimento applicativo di misure cautelari reali.

    2. Così chiarito l’ambito che delimita la cognizione del Collegio, il primo motivo di ricorso è infondato.
    2.1. Ed invero, nel censurare il rigetto della richiesta di riesame proposta sul punto osservando che nell’ordinanza «non si dà atto di quali siano gli elementi di tipo valutativo e descrittivo dai quali emergerebbe che il g.i.p. abbia compiuto un’autonoma valutazione dei presupposti per l’adozione della misura cautelare», il ricorrente si limita a richiamare le generiche doglianze che al proposito già aveva dedotto con il gravame di merito.
Incomprensibile essendo la censura secondo cui il g.i.p., nel riportare il contenuto delle imputazioni, peraltro assai articolato e assolutamente chiaro, non avrebbe spiegato «quale fosse la ricaduta concreta sulla posizione degli indagati ai fini dell’integrazione del fumus commissi delicti» - ci si limita al proposito a rilevare che, in forza di un consolidato e risalente orientamento interpretativo, in tema di sequestro preventivo la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare non può e non deve tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, Mariano, Rv. 215840)
    Mutuando principi che questa Corte ha avuto modo di esplicitare circa l’interpretazione da riservarsi all’art. 309, comma 9, ult. parte, cod. proc. pen. nell’analoga situazione del riesame su misure coercitive, osserva dunque il Collegio che qualora, come nella specie, la nullità dell'ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione, da parte del giudice per le indagini preliminari, dei requisiti previsti dall'art. 292 cod. proc. pen. sia solo genericamente eccepita – in quanto carente di indicazioni relative ai passi dell'ordinanza che richiamano o ricalcano la richiesta cautelare o alle ragioni per cui la dedotta omissione avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario tali da condurre a conclusioni diverse – il tribunale del riesame, nel rigettare tale eccezione, non è tenuto a fornire una motivazione più articolata e ad indicare specificamente le pagine ed i passaggi del provvedimento impugnato in cui rinvenire detta autonoma valutazione (Sez.  2, n. 42333 del 12/09/2019, Devona, Rv. 278001). Piuttosto, il controllo del tribunale del riesame in merito all'autonoma valutazione compiuta dal giudice per le indagini preliminari va operato sulla base del complessivo contenuto del provvedimento (Sez. 6, n. 1430 del 03/10/2017, dep. 2018, Palazzo, Rv. 272179) e tale obbligo è osservato anche quando il giudice riporti - pure in maniera pedissequa - atti del fascicolo per come riferiti o riassunti nella richiesta del pubblico ministero, riguardando tali elementi esclusivamente i profili espositivi del fatto (Sez. 2, n. 13838 del 16/12/2016, dep. 2017, Schetter, Rv. 269970), non essendo escluso neppure l’utilizzo della  tecnica del c.d. copia-incolla (Sez. 2, n. 25750 del 04/05/2017, Persano, Rv. 270662; Sez. 6, n. 51936 del 17/11/2016, Aliperti, Rv. 268523). In sostanza – si è ancora ricordato - la previsione dell'autonoma valutazione introdotta ad opera dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, che ha novellato l'art. 292, comma 1,  lett. c), cod. proc. pen., non ha carattere innovativo, né mira ad introdurre un mero formalismo che imponga la riscrittura originale di ciascuna circostanza di fatto rilevante, essendo stata solo esplicitata la necessità che, dall'ordinanza, emerga l'effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante (Sez. 1, n. 8323 del 15/12/2015, dep. 01/03/2016, Cosentino, Rv. 265951; Sez. 2, n. 3289 del 14/12/2015, dep. 2016, Astolfi e a., Rv. 265807). Ciò che si impone al giudice, cioè, è di esplicitare le ragioni per cui egli ritiene di poter attribuire al compendio in fatto esaminato un significato coerente all'integrazione dei presupposti normativi per l'adozione della misura e non implica, invece, la necessità di una riscrittura "originale" degli elementi che la giustificano (Sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015, Belsito, Rv. 266428).
    Nell’ordinanza impugnata si legge che il provvedimento cautelare genetico – pur redatto con tenore estremamente sintetico – attesta, in alcune delle espressioni utilizzate, il vaglio critico operato dal g.i.p. sul materiale probatorio offerto al suo esame. In assenza di più specifiche censure - anche in questa sede si lamenta che nel decreto «il fumus poggia su proposizioni meramente assertive, affidate alle risultanze investigative, risolvendosi perciò, il mero richiamo alle predette risultanze, nella stesura di una motivazione soltanto apparente» - alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, tale valutazione di merito non è in questa sede sindacabile e non può essere ritenuta quale omessa motivazione.
    2.2. Conseguentemente destituita di fondamento, poi, è la doglianza relativa all’indebita “integrazione”, da parte del tribunale del riesame, della motivazione del provvedimento del primo giudice, che sarebbe vietata dal disposto di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., richiamato dal successivo art. 324, comma 7. Tale disciplina, infatti, preclude soltanto la possibilità del tribunale del riesame di sanare la nullità del provvedimento applicativo della misura che sia irrimediabilmente viziato dalla mancanza di motivazione o di autonoma valutazione dei presupposti di applicazione della misura e degli elementi eventualmente forniti dalla difesa, poiché in tali casi il legislatore ha individuato un vizio di motivazione del titolo cautelare genetico e non emendabile, al quale deve seguire necessariamente l'annullamento del provvedimento impositivo della misura (Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, dep. 2016, Calandrino, Rv. 265984). Nulla è mutato, invece, quanto alla possibilità – che l’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., richiamato dal successivo art. 324, comma 7, continua a prevedere – della conferma del provvedimento applicativo di misura per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dello stesso: in tema di misure cautelari, le modifiche introdotte negli artt. 292 e 309 cod. proc. pen. a seguito della legge 16 aprile 2015, n. 47 non hanno carattere innovativo, essendovi solo esplicitata la necessità che dall'ordinanza emerga l'effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante; ne consegue che, anche alla luce della nuova succitata disciplina, sussiste il potere-dovere del tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato, salvo che ricorra il caso di motivazione mancante sotto il profilo grafico o inesistente per inadeguatezza argomentativa (Sez. 5, n. 3581 del 15/10/2015, dep. 2016, Carpentieri, Rv. 266050; nello stesso senso: Sez.  5, n. 643 del 06/12/2017, dep. 2018, Pohl e aa., Rv. 271925; Sez.  6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Liccardo e aa., Rv. 272596).
    
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza poiché il ricorrente si limita a riproporre in questa sede le doglianze rassegnate nel giudizio di riesame ed alle quali - contrariamente a quanto si assume - il tribunale ha fornito ampia, puntuale e congrua risposta, con decisione che va esente da censure in questa sede di legittimità.
Ed invero, la genericità è causa di inammissibilità che ricorre non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti e puntualmente disattesi dal giudice dell’impugnazione di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la pronuncia oggetto di ricorso (Sez.  2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Con riguardo alle doglianze specificamente avanzate e sopra riepilogate in fatto  sub §§. 3.1, 3.2 e 3.3, tutte congruamente disattese dal provvedimento impugnato, è dunque sufficiente osservare, rispettivamente, quanto segue.
3.1. Con giudizio in fatto qui incensurabile anche in relazione all’impossibilità di rendere un penetrante sindacato sulla motivazione, condividendo il giudizio del consulente tecnico del pubblico ministero, l’ordinanza spiega perché sussiste la difformità in altezza tra il muro perimetrale eseguito e quello autorizzato con permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica, sicché certamente sussiste il fumus di entrambi i reati contestati. Con riguardo alla contravvenzione urbanistica ed alla contestazione sulla natura della difformità, ci si limita a rilevare che, in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell'individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l'art. 32, comma terzo, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali (Sez.  3, n. 37169 del 06/05/2014, Longo, Rv. 260181; Sez.  3, n. 16392 del 17/02/2010, Santonicola e a., Rv. 246960).
Quanto al fatto che per l’art. 15 della l.r. n. 23 del 1985 i muri di cinta possono essere realizzati in regime di edilizia libera, basti osservare come, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di reati edilizi, la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli "interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez.  3, n. 31617 del 06/06/2019, Campisi, Rv. 276048, relativa a fattispecie concernente un muro costituito da blocchi di cemento, lungo m. 12 e alto circa cm. 60; Sez.  3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e a., Rv. 261521; Sez.  3, n. 4755 del 13/12/2007, dep. 2008, Romano, Rv. 238788). Se è vero che, a norma dell’art. 2, comma 1, prima parte, T.U.E., «le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia», rientrando questa nella materia del “governo del territorio” di cui all’art. 117, terzo comma, Cost, in omaggio alla previsione contenuta nell’ultima parte del richiamato precetto costituzionale la disposizione di legge ordinaria prosegue precisando che la potestà legislativa regionale soggiace al «rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico». Come da tempo ha riconosciuto la Corte costituzionale, le definizioni degli interventi edilizi di cui all’art. 3 T.U.E. rientrano tra i principi fondamentali della legislazione statale che vincolano il legislatore regionale ai sensi dell’art. 2 T.U.E. (cfr., ex multis, Corte cost. n. 309 del 18/10/2011). Ove possibile, le leggi regionali in materia vanno pertanto interpretate in modo tale da non collidere con i suddetti principi (Sez.  F, n. 46500 del 30/08/2018, C., Rv. 274173; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016, dep. 2017, Calabrò e a., Rv. 270210), ciò che vale anche con riguardo alla legislazione edilizia delle regioni a statuto speciale, posto che, pur spettando in tal caso alla regione una competenza legislativa esclusiva in materia, anche la relativa legislazione deve rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale (Sez.  3, n. 28560 del 26/03/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez.  3, n. 2017 del 25/10/2007, dep. 2008, Giangrasso, Rv. 238555).
Quanto al periculum, è lo stesso ricorrente a riconoscere che anche il muro in questione era in via di completamento, sicché certamente sussistono i presupposti che legittimano il sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
3.2. Con riferimento al posizionamento degli infissi in corrispondenza di un vano scala e su tutti e tre i lati di una veranda coperta, contrariamente a quanto allega il ricorrente, l’ordinanza attesta che la loro collocazione non era prevista dal progetto e, comunque – ed il rilievo è in ogni caso assorbente - che la loro installazione aveva determinato un aumento di cubatura di ben 132 mc. rispetto a quanto autorizzato. Mentre quest’ultima circostanza – a tacer d’altro - certamente non depone nel senso della particolare tenuità del fatto, essendo peraltro stato provvisoriamente contestato il delitto di cui all’art. 181, comma 1-bis d.lgs. 42/2004, l’aumento di cubatura rene non applicabile la causa estintiva del reato prevista dal successivo comma 1-quinquies. Da ultimo, non è sindacabile la logicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto sussistente il periculum sul rilievo che – tenendo anche conto degli impianti installati in quelle aree – la rimozione degli infissi successiva al sopralluogo ed alla contestazione doveva ritenersi soltanto temporanea, con pericolo che la libera disponibilità del bene potesse nuovamente dar luogo alla loro collocazione.
3.4. Inammissibili perché poggianti esclusivamente sulla contestazione della motivazione sono le doglianze (ri)proposte con riguardo alla ritenuta modificazione della destinazione d’uso contestata sub punto 1 del capo A) della provvisoria imputazione ed alla sussistenza, anche per tale opera, del periculum, ampiamente argomentato alle pagg. 14 e 15 dell’ordinanza.

4. Parimenti inammissibile per manifesta infondatezza è l’ultimo motivo di ricorso, posto che il provvedimento impugnato non ha in alcun modo ampliato (o modificato) la contestazione di cui al punto 3 del capo A) di incolpazione – relativa alle opere abusive analizzate supra, sub §. 3.2 - essendo il riferimento alla natura degli impianti collocati nella aree abusivamente chiuse con gli infissi un mero indizio fattuale, del tutto legittimamente utilizzato dal giudice del merito cautelare a sostegno del fumus commissi delicti e dello stesso periculum di reiterazione della condotta illecita con la nuova ricollocazione delle chiusure temporaneamente rimosse.

5. Il ricorso, nel complesso infondato, deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18 settembre 2020.