Cass. Sez. III n. 9894 del 5 marzo 2009 (Cc. 20 gen. 2009)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Tarallo
Urbanistica. Modifica della destinazione d’uso

La destinazione di un immobile non si identifica con l\'uso che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con quella impressa dal titolo abilitativo assentito (ovviamente quando tale titolo sussista e sia determinato sul punto). Ciò significa che "il concetto di uso urbanisticamente rilevante è ancorato alla tipologia strutturale dell\'immobile, quale individuata nell\'atto di concessione, senza che esso possa essere influenzato da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori.
Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l\'ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza, si configura in ogni caso un\'ipotesi di ristrutturazione edilizia (secondo la definizione fornita dall\'art. 3. l° comma, lett. d), del T.U. n. 380/2001), in quanto l\'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente". L\'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione. Un\'interpretazione coerente della disposizione di cui all\'art. l0, l° comma, lett. c), del T.U. n. 380/2001 può aversi soltanto allorché si ritenga che in essa il legislatore si è riferito alle "destinazioni d\'uso compatibili" già considerate dall\'art 3, l° comma, lett. c) dello stesso T.U. (nella descrizione della tipologia del restauro e risanamento conservativo). Soltanto un\'interpretazione siffatta consente di mantenere coerenza al sistema. Una diversa conclusione, nel senso della generalizzata esclusione, fuori dei centri storici, del limite dell\' immodificabilità delle destinazioni d\'uso, si porrebbe infatti in incoerente contrasto con tutta la disciplina degli interventi specificati dall\'art. 3 del T.U. n. 380/2001 (ove finanche la manutenzione straordinaria, non può comportare "modifiche della destinazione d\'uso").
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente -
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere -
Dott. FIALE Aldo - Consigliere -
Dott. MARMO Margherita - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.A., nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza 13.6.2008 del Tribunale per il riesame di
Napoli;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
Udita, in Camera di consiglio, la relazione fatta dal Consigliere Dr.
FIALE Aldo;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dr. PASSACANTANDO
Guglielmo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv.to Belloni Attilio - sostituto processuale
degli Avv.ti Furgiuele Alfonso ed Soprano Enrico - il quale ha
concluso chiedendo l\'accoglimento del ricorso.


FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 13.6.2008, rigettava l\'istanza di riesame proposta nell\'interesse di T.A. avverso il provvedimento 26.5.2008 con cui il GIP. di quello stesso Tribunale - in relazione agli ipotizzati reati di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b), e artt. 659 e 674 c.p. - aveva disposto il sequestro preventivo dei locali adibiti ad esercizio commerciale denominato "CONAD", siti in (OMISSIS), nonchè dei connessi impianti esterni acustici, di refrigerazione e condizionamento.
Secondo la prospettazione accusatoria, detti locali, ubicati al piano interrato di un edificio residenziale, erano stati interessati da lavori edilizi eseguiti senza permesso di costruire, che - finalizzati all\'adattamento degli stessi all\'esercizio dell\'attività commerciale di supermercato - avevano comportato: un aumento di superficie attraverso innovazioni apportate ad un soppalco;
l\'alterazione del prospetto dell\'edificio, mediante ampliamento di un preesistente varco di accesso, nonchè il mutamento della originaria destinazione d\'uso.
All\'effettivo esercizio dell\'attività commerciale si connetterebbero, poi:
- rumori (rilevanti ex art. 659 c.p.) - idonei a disturbare il riposo di un numero indeterminato di persone - prodotti dalle operazioni di carico, scarico e trasporto delle merci, oltre che dalla diffusione sonora di musica ed avvisi pubblicitari e dalla gestione e manutenzione degli impianti di refrigerazione e condizionamento;
- emissioni di polveri e odori molesti (rilevanti ex art. 674 c.p.), ricollegabili in particolare alla pulizia delle ventole degli impianti di refrigerazione mediante getti di aria compressa ed all\'esistenza di un ricettacolo di acqua stagnante su un telone di plastica posto a copertura della rampa di accesso al supermercato.
Avverso tale ordinanza di rigetto hanno proposto ricorso i difensori del T., i quali hanno eccepito, sotto il profilo della violazione di legge:
- la inesistenza della ritenuta modificazione della destinazione d\'uso dei locali, in quanto gli stessi sarebbero stati già adibiti, da oltre trent\'anni, a "sala giochi" e cioè ad attività pacificamente rientrante tra quelle commerciali.
La licenza edilizia rilasciata per la costruzione del fabbricato inibisce unicamente l\'utilizzazione dei locali in oggetto come autorimessa o deposito di materiali infiammabili, mentre le vigenti disposizioni pianificatorie comunali consentirebbero la destinazione commerciale anche per i vani interrati. In proposito erroneamente sarebbe stato ritenuto applicabile l\'art. 99 disp. att. c.p.p., del vigente piano regolatore generale, mentre la corretta disciplina della fattispecie dovrebbe rinvenirsi, invece, nelle previsioni poste dal successivo art. 124 disp. att. c.p.p.;
- la non riconducibilità a categorie disomogenee di utilizzazione dell\'uso residenziale e di quello di attività commerciale al minuto strettamente connessa con le residenze;
- la legittimità della esperita procedura di denunzia di inizio dell\'attività (DIA), alla quale ritualmente si sarebbe fatto ricorso, in alternativa alla richiesta del permesso di costruire, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, (pure qualora fosse effettivamente configurabile un\'ipotesi di ristrutturazione edilizia).
Nella specie la DIA presentata in data 23.6.2005 e la successiva "variante" del (OMISSIS) prevederebbero espressamente tanto la realizzazione di un nuovo soppalco in sostituzione di quello preesistente tanto l\'effettuato ampliamento del varco di accesso;
- la inconfigurabilità giuridica delle contravvenzioni di cui agli artt. 659 e 674 c.p.;
- la insussistenza del ravvisato "periculum in mora", poichè non sarebbero riscontrabili rumori ed emissioni recanti molestia ad un numero indeterminato di persone e, essendo stati ultimati i lavori edilizi nell\'anno (OMISSIS), non sarebbe ravvisabile alcuna incidenza negativa sul carico urbanistico in quanto - dovendosi classificare l\'esercizio commerciale in oggetto come "esercizio di vicinato" e non già come "media struttura di vendita" - esso potrebbe svolgere la sua attività senza doversi attenere al D.M. n. 1444 del 1968 ed alla L. n. 756 del 1967, per l\'apprestamento di proporzionali parcheggi.
Le doglianze anzidette sono state ulteriormente specificate ed illustrate in una memoria difensiva depositata all\'udienza odierna.
Il ricorso merita accoglimento nei limiti di seguito specificati. 1.
La qualificazione dell\'intervento edilizio.
1.1 A giudizio del Collegio si verte inconfutabilmente, nella specie, in tema di ristrutturazione edilizia.
Al riguardo va rilevato che:
a) Il D.P.R. n. 390 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), - come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 - definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell\'edificio, l\'eliminazione, la modifica e l\'inserimento di nuovi elementi ed impianti".
La ristrutturazione edilizia non è vincolata, pertanto, al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell\'edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, nè modifica della sagoma o mutamento della destinazione d\'uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l\'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d\'uso "compatibili" con l\'edificio conservato).
La stessa attività di ristrutturazione, del resto, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati.
L\'elemento caratterizzante, perè, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate partitamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo.
Alla stregua di tali considerazioni appaiono ad evidenza infondate le argomentazioni difensive che, nel caso in esame, tendono a frazionare le singole opere realizzate ed a valutarle autonomamente e separatamente nel contesto dell\'intervento complessivo di trasformazione dei locali in un supermercato.
b) Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, assoggetta permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d\'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A).
c) Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, lett. a), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, prevede, però, che - a scelta dell\'interessato ed in alternativa al permesso di costruire - gli interventi di cui all\'art 10, comma 1, lett. c), possono essere realizzati anche in base a semplice denunzia di inizio attività.
1.2 La vicenda in oggetto è connotata dalla intervenuta trasformazione dei locati interrati mediante un insieme sistematico di opere, con modifiche riguardanti anche (sia pure lievemente) il prospetto ed inserimento di nuovi elementi ed impianti, che hanno portato ad un organismo diverso dal precedente.
Tale intervento, assoggettato in via ordinaria a permesso di costruire, si sarebbe potuto realizzare (a scelta dell\'interessato) - pure in ipotesi di connessa modifica della destinazione d\'uso - anche in base a semplice denunzia di inizio attività, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, lett. a).
Nella specie, però, la DIA in concreto presentata non conteneva alcun riferimento ad un mutamento di destinazione d\'uso, sicchè - ove tale mutamento fosse stato posto in essere - si configurerebbe la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA inoltrata, integrante pur sempre il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).
Giova ricordare, in proposito, che la DIA prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, non è istituto ontologicamente diverso da quello disciplinato dai due commi precedenti dal quale non si distingue certo per il carattere dell\'onerosità, che ben può essere comune e differisce da esso soltanto in relazione agli interventi assoggettatali (alternativamente) alla procedura. Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio, poichè:
a) Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, commi 1 e 2, - in cui la DIA si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire) - la mancanza della denunzia di inizio dell\'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata non comportano l\'applicazione di sanzioni penali ma sono sanzionate soltanto in via amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6). Dovendo ritenersi, però, che sia comunque punibile ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), - pure se preceduta da rituale denuncia d\'inizio - l\'esecuzione di interventi sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
b) Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, invece - in cui la DIA si pone come alternativa al permesso di costruire - (ai sensi del successivo art. 44, comma 2 bis) l\'assenza sia del permesso di costruire sia della denunzia di inizio dell\'attività ovvero la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b) (vedi Cass.: Sez. 5^, 26.4.2005, Giordano; Sez. 3^: 9 marzo 2006, n. 8303; 26 gennaio 2004, n. 2579, Tollon). Non trova comunque sanzione penale la difformità parziale (vedi Cass., Sez. 3^, 23 settembre 2004, Croattini).
Ciò che conta non è la qualificazione dell\'intervento data dal privato nella DIA presentata ma la esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere poi effettivamente eseguite.
2. La destinazione d\'uso degli immobili:
La questione controversa, nel caso che ci occupa, è quella di verificare:
- se effettivamente possa prospettarsi una intervenuta modifica della destinazione d\'uso dei locali;
- se tale modifica possa ritenersi consentita alla stregua delle disposizioni pianificatorie vigenti.
2.1 Al riguardo va evidenziato che la destinazione d\'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione.
Essa individua il bene sotto l\'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. L\'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d\'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull\'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale (vedi Cass., Sez. 3^: 7.3.2008, Desumine e 12.7.2002, Cinquegrani).
Lo strumento urbanistico rappresenta l\'atto di destinazione generica ed esso trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo che abilita a costruire, quale atto di destinazione specifica che vincola il titolare ed i suoi aventi causa. Possono conseguentemente distinguersi:
- una destinazione d\'uso urbanistico, riferita alle categorie specificate dalla legge e dal D.M. n. 1444 del 1968;
- una destinazione d\'uso edilizio, che attiene al singolo edificio ed alle sue capacità funzionali.
Duplice è, dunque, l\'esigenza correlata al controllo della destinazione d\'uso degli immobili: da un lato quella di assicurare tutela alla zonizzazione funzionale, dall\'altro quella di consentire l\'applicazione della normativa sugli standards, regolatrice della differenziazione infrastrutturale del territorio.
2.2 Il mutamento di destinazione d\'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, tenuto conto che nell\'ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico - contributivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell\'ambito della medesima categoria.
Il Consiglio di Stato (Sez. 5^, 3.1.1998, a 24) ha affermato, al riguardo, che "la richiesta di cambio della destinazione d\'uso di un fabbricato, qualora non inerisca all\'ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un\'alternazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede".
2.3 Per determinare in concreto la precedente destinazione d\'uso, al fine di verificarne la variazione, sono stati utilizzati - nella pratica - riferimenti diversi e si è tenuto alternativamente conto:
della destinazione in atto, specie se consolidata nel tempo;
dell\'ultima destinazione nota (in caso di manufatto abbandonato);
della destinazione indicata nell\'ultima concessione o licenza edilizia relativa all\'edificio; della destinazione risultante dal catasto.
A giudizio del Collegio - in adesione all\'orientamento espresso anche dal Consiglio di Stato (vedi Sez. 5^, 9.2.2001, n. 583) - la destinazione di un immobile non si identifica con l\'uso che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con quella impressa dal titolo abilitativo assentito (ovviamente quando tale titolo sussista e sia determinato sul punto). Ciò significa che "il concetto di uso urbanisticamente rilevante è ancorato alla tipologia strutturale dell\'immobile, quale individuata nell\'atto di concessione, senza che esso possa essere influenzato da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori" (cosi T.a.r. Lombardia - Milano, Sez. 1^, 7.5.1992, n. 219). Alla destinazione stabilita dal titolo abilitativo assentito fanno espresso riferimento anche alcune legislazioni regionali (vedi ad esempio: la L. 16 aprile 2002, n. 19 della Regione Calabria; la L. 25 novembre 2002, n. 31 della Regione Emilia - Romagna; la L. 18 febbraio 2004, n. 1 della Regione Umbria).
2.4 Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l\'ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in esame), si configura in ogni caso un\'ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), in quanto l\'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente".
L\'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione.
2.5 Un delicato problema di coordinamento interpretativo si correla alla disposizione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), secondo la quale sono subordinati a permesso di costruire "gli interventi di ristrutturazione edilizia che ..., limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A), comportino mutamenti della destinazione d\'uso". Il che potrebbe portare ad affermare che, fuori delle zone omogenee A), la ristrutturazione edilizia (purchè non comporti aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superaci) sarebbe sottratta al regime del permesso di costruire e realizzabile mediante denuncia di inizio dell\'attività anche se si accompagni alla modifica della destinazione d\'uso.
Una conclusione siffatta, però, si porrebbe in contrasto con l\'assoggettamento al permesso di costruire, anche fuori dei centri storici, delle opere di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo (interventi di minore portata rispetto alla ristrutturazione edilizia) qualora comportino modifiche delle destinazione d\'uso.
Un\'interpretazione coerente della disposizione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. d), conseguentemente, può aversi soltanto allorchè si ritenga che in essa il legislatore si è riferito alle "destinazioni d\'uso compatibili" già considerate dallo stesso D.P.R., art. 3, comma 1, lett. c) (nella descrizione della tipologia del restauro e risanamento conservativo).
Gli interventi di ristrutturazione edilizia, in sostanza, alla stessa stregua degli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo:
- necessitano sempre di permesso di costruire, qualora comportino mutamento di destinazione d\'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico;
- fuori dei centri storici sono realizzabili mediante denunzia di attività qualora comportino il mutamento della destinazione d\'uso all\'interno di una stessa categoria omogenea;
- nei centri storici non possono essere realizzati mediante denunzia di attività neppure qualora comportino il mero mutamento della destinazione d\'uso all\'interno di una stessa categoria omogenea.
Soltanto un\'interpretazione siffatta consente di mantenere coerenza al sistema (vedi Cass., Sez. 3^, 21.10.2002, n. 35177, Cinquegrani).
Una diversa conclusione, nel senso della generalizzata esclusione, fuori dei centri storici, del limite dell\'immodificabilità delle destinazioni d\'uso, si porrebbe infatti in incoerente contrasto con tutta la disciplina degli interventi specificati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, (ove finanche la manutenzione straordinaria, come già si è detto, non può comportare "modifiche della destinazione d\'uso").
3. La legislazione della Regione Campania in materia di destinazione d\'uso.
Nella Regione Campania - ai sensi della L.R. 28 novembre 2001, n. 19, art. 2, modificata dalla L.R. 22 dicembre 2004, n. 16 - possono essere realizzati in base a semplice denuncia di inizio attività "i mutamenti di destinazione d\'uso di immobili o loro parti, che non comportino interventi di trasformazione dell\'aspetto esteriore, e di volumi e di superfici; la nuova destinazione d\'uso deve essere compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone territoriali omogenee". Il mutamento di destinazione d\'uso senza opere, nell\'ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee, è libero.
Il mutamento di destinazione d\'uso, con opere che incidano sulla sagoma dell\'edificio o che determinano un aumento plano volumetrico, che risulti compatibile con le categorie edilizie previste per le singole zone omogenee è soggetto a permesso di costruire.
Il mutamento di destinazione d\'uso, con opere che incidano sulla sagoma, sui volumi e sulle superfici, con passaggio di categoria edilizia, purchè tale passaggio sia consentito dalla norma regionale, è soggetto a permesso di costruire.
4. Le prescrizioni degli strumenti di pianificazione del Comune di Napoli.
4.1 Ai sensi dell\'art. 14 del Regolamento edilizio del Comune di Napoli (Delib. Consiglio comunale n. 104 del 1998 e Delib. Consiglio provinciale n. 47 del 1999):
"1. Le destinazioni d\'uso delle costruzioni e delle aree non edificate sono definite dallo strumento urbanistico, generale o esecutivo, secondo le seguenti categorie omogenee:
a) residenze, singole o collettive, studi professionali, attività culturali;
b) attività turistico - ricettive e di ristorazione;
c) altre attività terziarie (direzionali, commerciali, finanziarie);
attività produttive di tipo manifatturiero artigianali se laboratoriali e funzioni di servizio; attività produttive industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni e alla prestazione di servizi;
d) attrezzature e servizi pubblici o a uso pubblico;
e) attività agricole o connesse al loro svolgimento, ad esclusione della residenza;
f) parcheggi, autorimesse e box auto.
2. Nelle more dell\'approvazione della legge regionale, le opere che comportano il mutamento di destinazione d\'uso da una categoria omogenea a un\'altra, laddove consentite dallo strumento urbanistico, devono essere munite di provvedimento autorizzativo se riferite a immobile ricadente in area omogenea A, di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 2.
3. All\'interno della medesima categoria non vi è mutamento di destinazione d\'uso, poichè rientrante nello ius utendi.
4. Non costituisce cambio di destinazione d\'uso il diverso utilizzo di locali a piano terra o interrati, se precedentemente adibiti a uso improprio".
In detta norma regolamentare, dunque, le attività commerciali rientrano in una categoria omogenea diversa da quella delle residenze, ma, ai fini della verifica della variazione d\'uso, deve tenersi conto anche della precedente destinazione ad uso improprio.
4.2 Le Norme di attuazione del PRG del Comune di Napoli (approvato con D.P.G.R. 11 giugno 2004, n. 323 e quindi successivo al Regolamento edilizio) disciplinano:
All\'art. 21 le destinazioni d\'uso degli immobili, secondo le seguenti categorie omogenee:
a) abitazioni ordinarie, specialistiche e collettive; attività artigianali e commerciali al minuto per beni di prima necessità;
altre destinazioni non specificamente residenziali, ma strettamente connesse con la residenza quali servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali età;
b) abitazioni agricole, attività agricole e di produzione e commercio dei prodotti agricoli all\'origine e relative funzioni di servizio; attività ricettive di tipo agrituristico e relative funzioni di servizio;
c) attività per la produzione di servizi (ad esempio direzionali, ricettive, culturali, sanitarie, per l\'istruzione universitaria, sportive, commerciali all\'ingrosso, etc.) e relative funzioni di servizio;
d) attività per la produzione di beni e relative funzioni di servizio.
All\'art. 99 "La unità edilizia di base novecentesca originaria a struttura autonoma", prevedendo che essa è "caratterizzata da un corpo di fabbrica isolato nel lotto di pertinenza, inserita generalmente in contesti di edilizia estensiva di primo novecento" ed è articolata nei tipi della "villa novecentesca" e della "villa a pianta libera".
Per tali unità l\'inserimento di soppalchi è consentito soltanto a particolari condizioni e sono consentiti "al piano terra e ai piani ammezzati" anche "esercizi commerciali al minuto" non è prevista, dunque, la possibilità di adibire i locali interrati ad esercizi commerciali.
All\'art. 124 "La unità edilizia di recente formazione", sia a carattere residenziale sia destinata ad altri usi, costruita nel secondo dopoguerra su sedime libero o su sedime di demolizione, ovvero risultante da processi di ristrutturazione di edilizia preesistente avvenuti nel dopoguerra senza demolizione e sostituzione integrale della fabbrica.
"Per tutte le unità edilizie di recente formazione ricadenti al di fuori del perimetro del centro storico come delimitato dal Prg approvato con D.M. 31 marzo 1972, n. 1829, sono consentiti interventi fino alla ristrutturazione edilizia ..., a parità di volume". Non è previsto alcun divieto di adibire i locali interrati ad esercizi commerciali.
5. La valutazione degli aspetti urbanistico - edilizi della fattispecie in esame.
Nella vicenda in oggetto il Tribunale del riesame ha rilevato che:
-- nella DIA effettivamente presentata i lavori da eseguirsi risultano rappresentati non come un intervento di ristrutturazione, bensì come "opere di manutenzione ordinaria e straordinaria senza cambio di destinazione d\'uso";
- la destinazione d\'uso di un immobile non può essere identificata in base all\'utilizzazione che in concreto è stata fatta di esso;
- la destinazione a supermercato si pone in contrasto con le prescrizioni dell\'art. 99 della variante generale al piano regolatore, che - per i locali interrati ricadenti in zona A) - consentono esclusivamente destinazioni accessorie al fabbricato;
- il supermercato realizzato non costituisce esercizio commerciale "di vicinato", bensì "media struttura di vendita", essendo stata destinata alla vendita una superficie pari a mq. 370, in luogo dei previsti mq. 240, con conseguente ulteriore violazione dei vigenti standards urbanistici in tema di destinazione di una proporzionale area di parcheggio, del tutto assente nel caso di specie".
A fronte di tali argomentazioni però - e tenuto conto delle disposizioni normative e pianificatorie, nonchè delle interpretazioni giurisprudenziali dianzi citate - deve rilevarsi che lo stesso giudice del riesame non ha dato risposta alle eccezioni della difesa riguardanti:
- la necessità di riferire le previsioni pianificatorie alla suddivisione delle destinazioni d\'uso degli immobili in categorie omogenee effettuata dall\'art. 21 disp. att. c.p.p. in attuazione dell\'art. 14 del Regolamento edilizio del Comune di Napoli;
- la prospettata applicabilità, quanto alla ricognizione delle previsioni pianificatorie che disciplinano l\'attività edilizia in oggetto, dell\'art. 124 e non dell\'art. 99 disp. att. c.p.p.;
- la necessità di tenere conto, quanto all\'individuazione della precedente destinazione d\'uso, della prescrizione derogatoria posta dall\'art. 14, u.c., del Regolamento edilizio del Comune di Napoli.
6. Le contravvenzioni di cui agli artt. 659 e 674 c.p..
Anche in ordine a tali reati il Tribunale del riesame non ha tenuto conto delle specifiche prospettazioni difensive, al fine di stabilire - sia pure nella prospettiva di ragionevole probabilità che deve caratterizzare il giudizio in sede cautelare - la idoneità a disturbare la quiete pubblica dei rumori e delle emissioni sonore connessi alla gestione del supermercato, nonchè la portata delle emissioni moleste di polveri ed odori anche in seguito alla addotta avvenuta rimozione del telo protettivo interessato da ristagno di liquidi.
7. La ordinanza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli, per una nuova delibazione sui punti dianzi indicati, in conformità agli enunciati principi di diritto.
La valutazione della sussistenza di esigenze cautelari dovrà essere poi effettuata alla stregua della accertata configurabilità dei reati ipotizzati e, per la contravvenzione edilizia (qualora ne sia ravvisato il fumus), con adeguato apprezzamento dell\'incidenza del realizzato intervento sulle opere di urbanizzazione primaria ed in particolare sulla dotazione di parcheggi.
P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., annulla l\'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2009