Cass. Sez. III n. 23427 del 14 giugno 2022 (UP 29 apr 2022)
Pres. Andreazza Est. Scarcella Ric. Sharov
Urbanistica.Impossibilità sanatoria abuso edilizio in zona vincolata

Essendo la possibilità di una autorizzazione paesaggistica postuma espressamente esclusa dalla legge - ad eccezione dei casi, tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, relativi agli "abusi minori"- tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380/01 e l'eventuale emissione della predetta autorizzazione paesaggistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 28.05.2021 la Corte di Appello di Firenze, riconoscendo il beneficio della non menzione della condanna nei soli confronti di SHAROV IVAN e FORNI MARTINA, ha parzialmente riformato la sentenza del 14.05.2019 del Tribunale di Lucca, confermandola nel resto, con la quale i predetti imputati, unitamente a FABBRI ANDREA, erano stati riconosciuti colpevoli, per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 44, lett. c), DPR 380/2001 (capo 1) e artt.110 c.p., 181, comma 1, D.lgs. 42/2004 (capo 2) - contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nei rispettivi capi di imputazione, in relazione a fatti del 27.06.2017, data del sequestro – condannandoli alla pena di 1 mese di arresto e 31.000 euro di ammenda ciascuno, con il beneficio della sospensione condizionale.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il difensore fiduciario ha proposto tre separati ricorsi per cassazione, deducendo complessivamente dodici motivi di seguito sinteticamente illustrati.

2.1. Deducono, con il primo motivo, comune a tutti i ricorrenti, il vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonché il correlato vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi, con la presente doglianza la difesa contesta il provvedimento impugnato nella parte in cui la Corte di Appello di Firenze ha ritenuto che il titolo edilizio rilasciato in sanatoria non avesse effetto estintivo del reato di cui all’art. 44, lett. c), DPR n. 380/2001, difettando la c.d. “doppia conformità” dell’opera  pacificamente richiesta dalla giurisprudenza di legittimità, ossia la congruità dell’intervento alla normativa vigente tanto al momento del rilascio della sanatoria, quanto al tempo della realizzazione dell’intervento stesso.
Così statuendo, il giudice di seconde cure non avrebbe tenuto conto della consulenza tecnica di parte – allegata agli odierni ricorsi – attraverso cui la difesa avrebbe dimostrato che, invero, la casetta in legno era stata realizzata conformemente agli strumenti urbanistici impartiti dalla normativa di settore e che le indicazioni di adeguamento successivamente impartite dal Comune non erano state dettate al fine di rendere i manufatti conformi alla normativa urbanistica vigente, bensì esclusivamente per una questione di maggiore congruità dell’opera con la tipologia di manufatti previsti dall’art. 27.4 delle N.T.A. allegate al vigente R.U. del Comune di Lucca.
In altri termini, le costruzioni realizzate dagli imputati sarebbero sempre state rispettose delle superfici e delle altezze imposte dal Regolamento Urbanistico Vigente e il successivo intervento di adeguamento sarebbe stato finalizzato esclusivamente a rendere la torretta più consona all’uso di annesso agricolo, per il quale era stata congegnata.
Tale circostanza, del resto, sarebbe dimostrata anche dall’atto del Comune prot. 127538/18, richiamato in sentenza dalla stessa Corte di Appello (pagine 3 e 4) ed allegato ai presenti ricorsi, oltre che dalla normativa amministrativa di riferimento, costituita dall’ art. 27.4.2.1 N.T.A. allegate al Regolamento Urbanistico del Comune di Lucca vigente, con cui tuttavia il giudice di seconde cure avrebbe omesso di confrontarsi.

2.2. Deducono, con il secondo motivo, comune a tutti i ricorrenti, il vizio di violazione di legge con riferimento al capo 2 di imputazione nonché il correlato vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
La difesa contesta il provvedimento impugnato nella parte in cui la Corte di Appello fiorentina ha sostenuto che l’appellante aveva confuso la normativa relativa al condono ambientale con quella relativa al condono edilizio, utilizzando i criteri del secondo per valutare il primo ed asserendo di conseguenza l’estinzione del reato ex art. 181 D.lgs. n.42/2004.
Sul punto, la difesa assume di aver fatto riferimento alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione urbanistica anche per interpretare il contenuto della sanatoria paesaggistica perché l’amministrazione che ha rilasciato quest’ultima avrebbe prescritto, ai fini dell’ottenimento del condono, l’adeguamento alle prescrizioni urbanistiche già impartite agli imputati dall’autorità urbanistica.
Ciò posto, per quanto concerne la costruzione della casetta di legno, la difesa sostiene che tale intervento rientri nella previsione di cui all’art. 181, comma 1 ter, lett. a), D.lgs. 42/2004 in quanto l’opera abusiva in questione non avrebbe determinato un aumento di volumi rispetto a quelli legittimamente realizzati. Conseguentemente, a fronte dell’intervenuta sanatoria paesaggistica non sarebbe integrabile l’illecito di cui al comma 1 del medesimo articolo e sarebbe dunque da ritenersi errata la decisione impugnata laddove la Corte di Appello, incorrendo nei medesimi errori valutativi del primo giudice, avrebbe confermato la condanna degli imputati per il reato di cui all’art. 181 D.lgs. 42/2004 sostenendo che sotto il profilo paesaggistico la mera realizzazione di un manufatto senza la preventiva autorizzazione determini di per sé una superficie utile del tutto nuova - e quindi mai condonabile -  e che, nel caso di specie, abbia costituito abuso la costruzione dell’intero edificio in legno e non solo della torretta a due piani.
Quanto alla strada, la difesa ritiene che la realizzazione della stessa rientri nell’ipotesi di cui all’art. 181, comma 1 ter, lett. b), D.lgs. 42/2004 e ciò in quanto si tratterebbe di un’opera legittima, perché assentita sia da un punto di vista urbanistico che paesaggistico, per la quale è stata richiesta una modifica dei materiali utilizzati al solo fine di rendere l’opera stessa più armoniosa rispetto al contesto paesaggistico in cui essa è inserita. Sarebbe dunque da ritenersi errata la decisione impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha qualificato la realizzazione di detta strada come illegittima creazione di superficie utile posto che, così statuendo, il giudice di seconde cure avrebbe omesso di confrontarsi tanto con la sanatoria paesaggistica rilasciata, quanto con le caratteristiche concrete dell’intervento. Del tutto inconferente, del resto, sarebbe da ritenersi il richiamo operato dalla Corte territoriale alla giurisprudenza che inquadra la realizzazione di una strada tra le superfici utili suscettibili di essere qualificate come opera che impedisce l’applicazione della causa estintiva del reato paesaggistico, posto che la massima richiamata si riferirebbe ad un caso del tutto diverso da quello che ci occupa.  
In conclusione, la difesa afferma che, pur non sussistendo un automatismo tra condono paesaggistico ed estinzione del reato, in presenza di una sanatoria paesaggistica chiara e precisa il giudice penale dovrebbe motivare le ragioni che lo hanno condotto all’accertamento della responsabilità penale, non potendo ridurre tale accertamento all’automatismo per cui qualsiasi manufatto crea volume che comporta una violazione di natura penale. Ebbene, nel caso di specie i giudici del merito sarebbero venuti meno a tale obbligo motivazionale limitandosi a richiamare una serie di massime giurisprudenziali in materia di reati paesaggistici, peraltro relative a casi molto diversi da quello oggetto del presente processo.
La Corte territoriale, in particolare, avrebbe omesso di spiegare in che modo un piccolo annesso in legno di 25 mq e la relativa viabilità di ghiaia, realizzati nel contesto di un’area di 16.855 mq, abbiano potuto produrre un forte impatto sull’ambiente.

2.3. Deducono, con il terzo motivo, comune a tutti i ricorrenti, il vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 648, cod. proc. pen.
In sintesi, la difesa si duole perché la Corte di Appello avrebbe disatteso la tesi difensiva secondo cui, in relazione alla compatibilità paesaggistica della strada di accesso alla casetta di legno, si sarebbe formato giudicato interno, trattandosi di una questione su cui il giudice di primo grado non avrebbe preso posizione ritenendo evidentemente detta opera rientrante nella previsione di cui all’art. 181, comma 1 ter, lett.b), D.lgs. n.42/2004.
Non apprezzando tale tesi difensiva, la Corte territoriale si sarebbe comunque pronunciata sulla questione ritenendo che, poiché i capi di imputazione erano stati contestati in modo unitario, il giudice di primo grado avesse invero condannato gli imputati per la realizzazione tanto della casetta in legno, quanto, seppure implicitamente, della strada di accesso ad essa.
Con la presente doglianza la difesa contesta la valutazione del giudice di seconde cure asserendo che, in realtà, i due capi di imputazione non sono stati affatto contestati in modo unitario e che, dunque, la Corte gigliata non avrebbe potuto conoscere la questione concernente la compatibilità paesaggistica della strada in assenza di specifica impugnazione da parte della Procura, né tanto meno condannare gli imputati per il reato paesaggistico anche in riferimento alla strada.
Del resto – prosegue la difesa – il vizio motivazionale in cui è incorso il giudice di seconde cure sarebbe reso evidente dal fatto che il giudice di primo grado avrebbe motivato il suo giudizio sulla incompatibilità paesaggistica solo con riferimento alla casetta di legno, senza mai prendere in considerazione la strada.

2.4. Deducono, con il quarto motivo, comune a tutti i ricorrenti, il vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 131 bis, cod. pen.
In sintesi, la difesa si duole perché la Corte di Appello di Firenze avrebbe negato l’applicabilità dell’art. 131-bis, cod. pen., ritenendo non indifferente il danno creato sotto il profilo urbanistico ed ambientale, omettendo tuttavia sia di specificare in cosa sarebbe consistito tale danno, sia di confrontarsi con le sanatorie emesse dalle autorità amministrative, le quali, avendo autorizzato il mantenimento  delle opere realizzate per non avere le stesse avuto ripercussioni negative sul territorio, sarebbero idonee ad attestare come, nel caso di specie, sia stata minimale la lesione all’interesse tutelato dalle norme disattese.
Più in particolare, il giudice di seconde cure avrebbe negato l’applicabilità dell’art. 131-bis, cod. pen., da un lato, riconducendo erroneamente ad una villetta il nesso agricolo realizzato e, dall’altro, valorizzando il materiale utilizzato per realizzare la strada di accesso alla pertinenza.
Così statuendo la Corte di appello avrebbe omesso di valutare l’opera secondo i parametri richiesti dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 2, n.11591 del 27/01/2020) ossia la consistenza e l’ingombro della stessa, nonché il contesto in cui essa è stata realizzata (una proprietà di 16.855 mq nella quale, ad avviso della difesa, un piccolo annesso agricolo di 24 mq, caratterizzato da tradizionale tetto a capanna, e la relativa viabilità in battuto di ghiaia, delimitata da classiche aiuole floreali, non potrebbero essere considerati non minimali e di forte impatto sul territorio).
Del resto, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione fornita dalla Corte di appello fiorentina emergerebbe in tutta evidenza dal testo della sentenza impugnata posto che, se ai fini dell’esclusione della particolare tenuità del fatto il giudice ha ritenuto l’intervento complessivo realizzato “non minimale”, il medesimo giudice, in punto di pena, avrebbe contraddetto sé stesso riconoscendo come gli imputati abbiano effettivamente realizzato un’opera di modeste dimensioni.

3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta datata 11.04.2022, depositata telematicamente, richiamata dal PG in sede di discussione orale all’udienza pubblica quanto alle conclusioni, ha chiesto a questa Corte il rigetto di ciascun ricorso.
Rileva, preliminarmente, il PG che costituisce ius receptum, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, il principio secondo il quale il giudice penale ha il potere - dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi e alla disciplina legislativa in materia urbanistico - edilizia (Sez. 3., n. 26144 del 01/07/08, Rv. 273218). La concessione rilasciata in sanatoria è dunque sindacabile perché non rimuove limiti o costituisce diritti del cittadino ma svolge la funzione di fatto estintivo di un reato già commesso, che, in quanto tale, come ogni altro fatto estintivo, deve essere controllato dal giudice. In particolare, il giudice penale può verificare in via incidentale l'illegittimità del permesso di costruire in sanatoria che lo rende privo di validi effetti, in quanto contrastante con le previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, dovendosi escludere che il mero dato formale dell'esistenza di tale permesso precluda al giudice ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato (Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170); non si tratta di una "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Manga, Rv. 273218).
Nel caso che occupa, la Corte di appello, con pronuncia conforme a quella di primo grado, secondo il PG, ha fatto buon governo di tali principi avendo rilevato l’assenza della cd. “doppia conformità” dell’opera. I giudici territoriali con motivazione approfondita hanno dato specifica e congrua risposta a tutte le doglianze difensive evidenziando che i manufatti realizzati dagli imputati non risultavano conformi agli strumenti urbanistici, dovendosi all’evidenza escludere che le modifiche richieste dal Comune fossero dettate da ragioni di “congruità”. Altresì, la Corte di appello, si è per il PG adeguatamente pronunciata anche in merito al secondo motivo di impugnazione escludendo anche l’estinzione del reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, dovendosi ritenere abusivamente realizzato l’intero edificio con conseguente creazione di volumi e superfici nuovi idonei ad incidere sull’assetto del territorio. Infondato per il PG è anche il terzo motivo di ricorso sul quale già si è correttamente pronunciata la Corte di merito, dovendosi escludere la formazione del giudicato interno in relazione alla compatibilità paesaggistica della strada, come chiaramente evincibile dalla mancanza di una pronuncia assolutoria sul punto da parte del primo giudice. Ad analoghe conclusioni deve giungersi per il Procuratore Generale avuto riguardo all’ultima doglianza, relativa alla esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. pen. Apparirebbe, infatti, adeguata la motivazione articolata dalla Corte territoriale che ha ritenuto l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità invocata, avendo i ricorrenti realizzato un’opera di non irrilevante impatto e implicante la compromissione dell'interesse protetto dalla normativa violata conseguente alla realizzazione dell’opera eseguita in zona vincolata. La pronuncia si presenterebbe, pertanto, conforme agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in materia che ha già avuto modo di evidenziare che indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto è anche la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano contestualmente violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali), sicché, anche l'intervento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, risulta, di per sé, indicativo di una maggiore gravità della condotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ciascun ricorso, trattato in presenza a seguito di istanza di trattazione orale, accolta ai sensi dell’art. 23 co. 8 del DL n. 137/2020, conformemente alle conclusioni del PG, è complessivamente infondato.

2. Con il primo motivo di ricorso, la difesa, in sintesi, asserisce l’estinzione per intervenuta sanatoria del reato edilizio di cui al capo di imputazione 1, consistito nella realizzazione di una casetta di legno e di una strada di accesso alla stessa in assenza del necessario permesso di costruire.
 Più in particolare, la difesa contesta il provvedimento impugnato per aver la Corte di Appello di Firenze escluso l’intervenuta estinzione del reato per il rilevato difetto del requisito della c.d. “doppia conformità” dell’opera, richiesto dall’art. 36, DPR 380/01. A dire della difesa, le opere realizzate sarebbero invero sempre state conformi alla disciplina urbanistica e edilizia comunale e gli adeguamenti compiuti in seguito alla richiesta del rilascio in sanatoria del titolo edilizio sarebbero stati finalizzati esclusivamente a rendere le opere in questione maggiormente congrue all’uso per il quale le stesse erano state congegnate.   

2.1. Il motivo è privo di pregio.  
Com’è noto, ai sensi dell’art. 10 DPR 380/2001 il permesso di costruire costituisce titolo edilizio necessario per la realizzazione di opere qualificabili come “nuove costruzioni” ai sensi dell’art. 3, lett. e), DPR 380/2001; la realizzazione di tali opere in assenza (o in difformità) del sopracitato titolo costituisce abuso edilizio destinato alla rimozione o demolizione (art. 31 DPR 380/2001), rilevante anche sotto il profilo penale quale illecito di natura contravvenzionale (art. 44, lett. b, DPR 380/01) suscettibile di estinzione in caso di rilascio in sanatoria del permesso di costruire (art. 45, comma 3,  DPR 380/2001).
Orbene, per espressa previsione legislativa (art. 36 DPR 380/2001), rispetto agli interventi realizzati in assenza (o in difformità) del permesso di costruire, il presupposto necessario per il rilascio in sanatoria del titolo edilizio,  e conseguentemente per l’estinzione del reato contravvenzionale posto in essere, è la c.d. “doppia conformità” dell’opera ossia la rispondenza dell’intervento realizzato alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente tanto al momento della realizzazione dell’opera, quanto al momento della presentazione della domanda.
La ratio di tale precetto emerge chiaramente dal dettato normativo e si sostanzia nell’esigenza di non rimuovere o demolire, né tanto meno ritenere penalmente rilevanti, opere che si presentano “abusive” solo formalmente ma non anche sostanzialmente, opere, cioè, “abusive” perché costruite sine titulo ma sulla cui integrale conformità agli strumenti urbanistici non v’è dubbio alcuno.
Ciononostante, nella prassi amministrativa è tutt’altro che infrequente il rilascio da parte dell’autorità comunale di c.d. “sanatorie condizionate” ossia sanatorie caratterizzate dal fatto che i loro effetti vengono subordinati all’esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito – che non posseggono – della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della richiesta del titolo in sanatoria.
Orbene, la giurisprudenza penale è totalmente uniforme nel ritenere illegittimo, e non estintivo del reato edilizio di cui all'art. 44, lett. b), DPR 380/2011, il permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, posto che un tale provvedimento contrasta con il tenore dell'articolo 36, d.P.R. 380/01, il quale si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la conformità agli strumenti urbanistici debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria; ciò senza considerare che il rilascio del provvedimento consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (Sez. 3, n. 28666 del 07/07/2020 - dep. 15/10/2020, Murra, Rv. 280281 – 01; Sez. 3, n. 51013 del 5/11/2015 – dep. 29/12/2015, Carratù. Rv.266034 e giurisprudenza ivi citata: Sez. 3, n. 7405 del 15/1/2015, Bonarota, Rv. 262422; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973; Sez. 3, n. 19587 del 27/4/2011, Montini e altro, Rv. 250477; Sez. 3 n. 23726 del 24/2/2009, Peoloso, non massimata; Sez. 3, n. 41567 del 4/10/2007, P.M. in proc. Rubechi e altro, Rv. 238020; Sez. 3, n. 48499 del 13/11/2003, P.M. in proc. Dall'Oro, Rv. 226897 ed altre prec. Conf.).
Ai fini del rilascio in sanatoria del permesso di costruire, dunque, la verifica di conformità dell’opera realizzata sine titulo deve riguardare l’opera allo stato in cui si trova e non a quello in cui potrebbe trovarsi ove l’interessato esegua determinati interventi.

2.2. Tanto premesso, venendo al caso di specie si rileva quanto segue.
Pacifico, in quanto incontestato, che le opere descritte nei capi di imputazione rientrano nella categoria di “nuove costruzioni” ai sensi dell’art. 3, lett. e), DPR 380/01 e che le stesse sono state realizzate dagli imputati, in concorso tra di loro, in assenza del necessario permesso di costruire, dalla sentenza impugnata (pag.1) - così come anche dalla sentenza di primo grado (pag. 4) -  si ricava che il titolo edilizio richiesto dalla legge è stato rilasciato in sanatoria subordinatamente alla preventiva realizzazione di lavori diretti a rendere le opere conformi alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia comunale: in particolare, il Comune di Lucca ha subordinato il rilascio della sanatoria alla previa eliminazione delle torrette previste sulla casetta e alla sostituzione del manto stradale in cemento con materiali naturali.
Ciò, del resto, emerge espressamente anche dall’atto comunale di sanatoria (prot.127538/18) - allegato dai ricorrenti agli odierni ricorsi e richiamato da entrambi i giudici del merito nelle intervenute sentenze di condanna -  nel quale il Comune di Lucca ha affermato testualmente che “le opere compiute, parte in difformità, altre in assenza di atti autorizzativi, risultano sanabili in applicazione dell’art. 209 della L.R. 65/2014 e s.m.i., subordinatamente alla preventiva esecuzione delle opere necessarie per ristabilire la conformità urbanistica ed edilizia del complesso immobiliare. In particolare, si chiede il ripristino dello stato dei luoghi per: “(…) a) l’annesso di 25 mq. realizzato in legno, dal momento che la torretta a due piani risulta incongrua con la tipologia prevista per i manufatti di cui all’art. 27.4 delle N.T.A. allegate al vigente R.U; b) la strada cementata a grezzo deve essere ripristinata con materiali consoni a quanto disciplinato dalle norme tecniche di attuazione del Regolamento Urbanistico”.
Il sopracitato passaggio dell’atto con cui il Comune di Lucca ha risposto alla richiesta di rilascio in sanatoria del titolo edilizio è pienamente dimostrativo del fatto che la sanatoria richiesta è stata sì emessa, ma con prescrizioni, e che dunque essa non ha avuto per oggetto l'opera edilizia come realizzata, bensì una futura e diversa opera edilizia. In altri termini, gli adeguamenti realizzati successivamente dagli imputati costituiscono con tutta evidenza vere e proprie attività edilizie richieste dal Comune attraverso un atto dal quale emerge esplicitamente la non conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, come del resto correttamente rilevato dalla stessa Corte d'appello. Infatti, se la costruzione in legno e il vialetto di accesso fossero stati conformi alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della sanatoria, l'amministrazione non avrebbe avuto la necessità di imporre, sotto forma di condizione, alcuna ulteriore attività edilizia.

2.3. A fronte di tali evidenze, devono ritenersi prive di pregio le doglianze difensive con cui ciascun ricorrente asserisce che le opere realizzate in assenza del titolo edilizio sono sempre state conformi alla disciplina urbanistica e edilizia comunale e che gli adeguamenti realizzati in seguito alla richiesta di sanatoria erano finalizzati esclusivamente a rendere le opere maggiormente congrue all’uso per il quale le stesse erano state congegnate.
Per contro, si presentano ineccepibili le conclusioni della Corte di Appello laddove, proprio alla luce del passaggio poc’anzi citato dell’atto comunale di sanatoria, aderendo alle pregresse valutazioni del Tribunale di Lucca, ha affermato che non “vi è dubbio che la sanatoria non sia stata rilasciata ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380/2001 e non attesti la “doppia conformità (…). Entrambi i manufatti così come realizzati dagli imputati, cioè la casetta munita di una torretta a due piani e la strada cementata, non rispettavano il regolamento urbanistico, e le modifiche richieste dal Comune e poi eseguite dagli imputati non erano dettate solo per ragioni di “incongruità”, come si sostiene nel primo motivo di appello, ma per rendere detti manufatti conformi agli strumenti urbanistici vigenti, che non consentivano per un annesso agricolo una torretta a due piani e per una strada campestre l’uso del cemento. Correttamente, quindi, il giudice di primo grado ha escluso che la sanatoria rilasciata abbia l’effetto estintivo previsto dall’art. 45 u.c. DPR n. 380/01, e la sua decisione deve essere confermata, respingendo il primo motivo di ricorso”.  (pagg. 3 e 4 sentenza di appello).
L’appena citato passaggio motivazionale della sentenza oggi ricòrsa rende evidente come l’odierna doglianza sia stata invero già esaustivamente affrontata e risolta dal giudice del precedente grado di giudizio e come la stessa sia oggi reiterata acriticamente in sede di legittimità incorrendo, pertanto, in un giudizio di inammissibilità per difetto di specificità (tra le altre, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 - dep. 14/10/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01).
 
3. Con il secondo motivo di ricorso la difesa, in sintesi, si duole per avere i giudici del merito condannato gli imputati per il reato di cui all’art. 181, comma 1, D.lgs. 42/2004 nonostante le opere da questi realizzate fossero state oggetto di condono ambientale da parte dell’autorità competente.

3.1. Anche il secondo motivo di ricorso non ha pregio.  
Com’è noto, nelle zone paesisticamente vincolate, in assenza della relativa autorizzazione ex art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 42/2004), è inibita qualsiasi modificazione dell’assetto del territorio, fatta eccezione per gli interventi di cui all’art. 149 del medesimo codice.
Ai sensi del citato art. 146, l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio e, al di fuori dei casi previsti dall’art. 167, commi 4 e 5, essa non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi stessi. Lo stesso codice (art. 181, comma 1), del resto, attribuisce rilevanza penale agli interventi realizzati in zona vincolata in assenza (o in difformità) della relativa autorizzazione, qualificando gli stessi quali illeciti contravvenzionali ai sensi dell’art. 44, lett. c), DPR 380/2001.
L’eccezione contemplata dall’art. 146 e riferita all’art. 167, commi 4 e 5 riguarda i c.d. abusi minori di cui all’art. 181-ter del medesimo testo normativo e cioè: i lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e, infine, i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del T.U. edilizia.
Quelli poc’anzi citati sono dunque gli unici interventi rispetto ai quali il nostro ordinamento giuridico ammette un’autorizzazione paesaggistica postuma (c.d. condono ambientale), e ciò in quanto si tratta di interventi evidentemente connotati da uno scarso impatto sul territorio; al di fuori di tali ipotesi opera il disposto dell'art. 146 d.lgs. 42/2004 che, come si è detto, stabilisce perentoriamente che l'autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.
Ora, ai sensi dell’art. 181, comma 1 ter, D.lgs. 42/2004, il conseguimento della sanatoria paesaggistica esclude la punibilità dell’intervento realizzato quale illecito contravvenzionale ai sensi degli artt. 181, comma 1, Dlgs 42/2004 e 44, lett. c), DPR 380/2001, tuttavia - come correttamente rilevato dai giudici del merito - la giurisprudenza di legittimità ha meglio chiarito il significato proprio di tale causa di non punibilità affermando che il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica non determina automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l'accertamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti l'applicazione del cosiddetto condono ambientale (Fattispecie relativa alla realizzazione di un intervento edilizio che comportava l'aumento di superfici utili e volumi, con conseguente ritenuta inapplicabilità del condono ambientale nonostante l'intervenuto rilascio del parere di compatibilità paesaggistica: Sez. 3, n. 13730 del 12/01/2016 - dep. 06/04/2016, Principato, Rv. 266955 – 01; in senso conforme: Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011 - dep. 13/01/2012, Falconi, Rv. 251640 – 01; Sez. 3, n. 27750 del 27/05/2008 - dep. 08/07/2008, Sarro, Rv. 240822 – 01; più recentemente, Sez. 3, n. 36454 del 31/05/2019 - dep. 27/08/2019, D’acunto, Rv. 276758 – 01).

3.2. Ciò posto, nel caso di specie i giudici del merito risultano aver fatto buon governo del sopra richiamato principio giurisprudenziale laddove, a prescindere dall’intervenuto provvedimento amministrativo di sanatoria paesaggistica, hanno rilevato l’inapplicabilità del condono ambientale alle opere realizzate dagli odierni ricorrenti (casetta in legno e strada di accesso alla stessa) avendo esse evidentemente determinato un aumento di volumi e di superfici utili.
La questione risulta essere stata approfondita, in particolare, dal giudice di seconde cure attraverso osservazioni che si presentano ineccepibili tanto sul piano logico quanto su quello giuridico.

3.2.1. Ed infatti, con riferimento alla casetta di legno realizzata in zona vincolata senza  previa autorizzazione paesaggistica, la Corte ha osservato che “la costruzione abusiva dell’intero edificio, e non solo della torretta a due piani, ha comportato la realizzazione di volumi e superfici nuovi, non autorizzati sotto il profilo paesaggistico ma idonei a modificare fortemente l’assetto del territorio, con la conseguenza che la successiva legittimazione del manufatto sotto il profilo urbanistico, peraltro eliminandone una parte e non “spalmandone” la volumetria altrove, è irrilevante”. (pag.4)
Come anticipato, la valutazione operata dalla Corte territoriale fiorentina è pienamente condivisibile: correttamente, infatti, il giudice di seconde cure ha rilevato che, ai sensi della sopracitata normativa del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la realizzazione di una casetta di legno in zona vincolata sarebbe stata legittima solo in presenza di una previa autorizzazione ex art. 146 D.lgs. 42/2004. Sotto il profilo paesaggistico, dunque, quella realizzata dagli odierni ricorrenti è da ritenersi un’opera abusiva, in quanto realizzata in assenza della relativa autorizzazione, non suscettibile di condono ambientale, avendo essa evidentemente determinato la creazione di un volume nuovo.

3.2.2. Per quanto riguarda invece la strada di accesso alla casetta di cui sopra, la Corte territoriale ha osservato che essa “costituisce, sotto il profilo paesaggistico, una superficie utile del tutto nuova, che avrebbe dovuto quindi essere autorizzata quanto al vincolo paesaggistico stante il suo indubbio ed evidente impatto sul territorio e sulla sua idoneità ad alterarlo in modo rilevante” (pag. 4).
Anche tale passaggio motivazionale è immune da qualsiasi criticità logico-giuridica presentandosi del tutto conforme a quella giurisprudenza, richiamata dalla Corte territoriale in modo tutt’altro che inconferente, secondo cui la "creazione di superfici utili", che impedisce il perfezionamento del cd. "condono ambientale" previsto dall'art. 181, comma primo ter e primo quater, del D.lgs. n. 42 del 2004, consiste in una immutazione permanente dell'assetto territoriale rispetto alla originaria conformazione dello stato dei luoghi (Fattispecie in cui, nonostante l'intervenuto rilascio del parere di compatibilità paesaggistica, non è stato dichiarato estinto il reato per la realizzazione di due strade di arroccamento ad elevata pendenza: Sez. 3, n. 44189 del 19/09/2013 - dep. 29/10/2013, Tognotti, Rv. 257527 – 01).
3.3. Corretto è dunque ritenere – come ha fatto il giudice di appello – che l’intervenuta sanatoria urbanistica (peraltro illegittima, per i motivi già esplicitati nella trattazione del precedente motivo di ricorso) non abbia in alcun modo inciso sulla compatibilità paesaggistica delle opere realizzate posto che, ai fini della qualificazione del fatto reato come contravvenzione, ai sensi dell'art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, o come delitto, ai sensi dell'art. 181, comma 1-bis, dello stesso decreto, la nozione di "volumetria", così come quella di “superfici utili”, deve essere individuata prescindendo dai criteri applicabili per la disciplina urbanistica e considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio (Sez. 3, n. 23028 del 24/06/2020 - dep. 29/07/2020, Barzaghi, Rv. 279708 – 01; Sez. 3, n. 16697 del 28/11/2017 - dep. 16/04/2018, Alimonda, Rv. 272844 – 01; Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011 - dep. 13/01/2012, Falconi e altri, Rv. 251641 - 01).
Per quanto sopra, è evidente che nel caso di specie la sanatoria paesaggistica è stata rilasciata al di fuori dei casi previsti dalla legge, conseguentemente essa non ha prodotto alcun effetto estintivo dei reati paesaggistici, né tanto meno dei reati edilizi.
Infatti, essendo la possibilità di una autorizzazione paesaggistica postuma espressamente esclusa dalla legge - ad eccezione dei casi, tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, relativi agli "abusi minori"- tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380/01 e l'eventuale emissione della predetta autorizzazione paesaggistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino (Sez. 3, n. 190 del 12/11/2020 - dep. 07/01/2021, Susana, Rv. 281131 – 01).

4. Con il terzo motivo di ricorso la difesa, in sintesi, contesta la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello condannato gli imputati per il reato di cui all’art. 181, comma 1, D.lgs. 42/2004 non solo in relazione alla struttura di legno ma anche in relazione alla strada di accesso alla stessa, nonostante, su tale ultima questione, il giudice di primo grado non avesse preso posizione ritenendo evidentemente la strada realizzata rientrante nella previsione di cui all’art. 181, comma 1 ter, lett. b, D.lgs. 42/2004 e, dunque, paesaggisticamente compatibile con conseguente formazione del giudicato interno sulla questione.

4.1. La doglianza è priva di pregio in quanto formulata a prescindere da un confronto critico con le sentenze di merito.
La difesa erra macroscopicamente laddove afferma che il giudice di primo grado non ha preso posizione in ordine alla compatibilità paesaggistica della strada, condannando gli imputati per il reato di cui all’art. 181, comma 1 D.lgs. 42/2004 solo in relazione alla casetta di legno.
Dalla lettura della sentenza di primo grado, infatti, emerge chiaramente la posizione del Tribunale di Lucca in ordine alla compatibilità paesaggistica della strada di accesso alla struttura in legno; in particolare, sulla questione il giudice di primo grado ha affermato quanto segue: “ Lo stesso discorso vale anche per la realizzazione della strada, di consistente lunghezza e anche ampiezza, che ha modificato in maniera durevole l’area interessata, soggetta tra l’altro a vincolo paesaggistico, il che vale ad integrare altresì la contravvenzione di cui all’art. 181 del DLvo 42/2004” (pag. 3 sentenza del Tribunale).
Nel prosieguo della motivazione, il Tribunale di Lucca è tornato sulla questione della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate dagli imputati, spiegando, attraverso molteplici richiami di precedenti giurisprudenziali in materia, che il c.d. condono ambientale è riservato ai soli interventi minori di cui al comma 1 ter dell’art. 181 D.lgs. 42/2004, caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull’assetto del territorio vincolato rispetto agli altri considerati dalla medesima disposizione, essendo tali solo i lavori realizzati in assenza o in difformità dell’autorizzazione paesaggistica che tuttavia non abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi, quelli che abbiano comportato l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e quelli che costituiscono interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria a norma dell’art. 3 d.p.r. 6 giugno 2001 n.380 (vd. pag. 5 sentenza del Tribunale).
L’appena richiamato frangente motivazionale sostiene evidentemente la precedente affermazione giudiziale concernente la ritenuta integrazione della contravvenzione di cui all’art. 181 D.lgs. 42/2004 in relazione alla realizzazione della strada, oltre che della casetta di legno.
Del resto, che il Tribunale di Lucca abbia ritenuto di condannare gli imputati per tutti i reati oggetto di imputazione lo si evince chiaramente dal passaggio in cui, esplicitamente, il giudice di prime cure ha affermato che “i reati in contestazione, dunque, risultano pienamente integrati” (pag. 3 sentenza del Tribunale).

4.2. Ineccepibile è dunque la sentenza oggi impugnata laddove, disattendendo la tesi difensiva concernente la formazione del giudicato interno in ordine all’asserita compatibilità paesaggistica della strada realizzata dagli imputati, è tornata sulla questione rafforzando le pregresse valutazioni del Tribunale attraverso la specificazione che “(…) la strada costituisce, sotto il profilo paesaggistico, una superficie utile del tutto nuova, che avrebbe dovuto quindi essere autorizzata quanto al vincolo paesaggistico stante il suo indubbio ed evidente impatto sul territorio e sulla sua idoneità ad alterarlo in modo rilevante” (pag. 4 sentenza impugnata), e ribadendo il granitico orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di tutela del paesaggio, la "creazione di superfici utili", che impedisce il perfezionamento del cd. "condono ambientale" previsto dall'art. 181, comma primo ter e primo quater, del D.lgs. n. 42 del 2004, consiste in una immutazione permanente dell'assetto territoriale rispetto alla originaria conformazione dello stato dei luoghi (Fattispecie in cui, nonostante l'intervenuto rilascio del parere di compatibilità paesaggistica, non è stato dichiarato estinto il reato per la realizzazione di due strade di arroccamento ad elevata pendenza: Sez. 3, n. 44189 del 19/09/2013 Ud.  (dep. 29/10/2013), Tognotti, Rv. 257527 – 01; conformi: Sez. 3, Sentenza n. 9060 del 04/10/2017 Ud.  (dep. 28/02/2018), Veillon, Rv. 272450 - 01 Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011 - dep. 13/01/2012, Falconi e altri, Rv. 251641 – 01).

5. Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso la difesa, infine, si duole dell’omessa applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen. ai fatti oggetto di contestazione, nonostante le modeste dimensioni degli interventi realizzati dagli imputati e la conseguente inidoneità degli stessi ad incidere significativamente sul territorio, tanto sotto il profilo urbanistico, quanto sotto il diverso profilo ambientale-paesaggistico, come del resto attestato dalle sanatorie rilasciate dall’ autorità amministrativa.

5.1. La doglianza è parimenti priva di pregio.
La questione concernente l’applicabilità dell’art. 131-bis, cod. pen. alla fattispecie concreta risulta essere stata affrontata da entrambi i giudici del merito, i quali, sulla questione, hanno speso le considerazioni che seguono.
Il Tribunale di Lucca ha affermato che il fatto “non può essere giudicato come di particolare tenuità, tenuto conto della pluralità degli interventi, tutt’altro che minimali ma che al contrario hanno inciso in maniera significativa sulla conformazione del territorio, in zona che è stata significativamente modificata, con la realizzazione di un corpo di fabbrica e di una strada, e la cui sanatoria è stata possibile solo con il previo compimento di un parziale ripristino dello stati dei luoghi” (pag. 3).
Successivamente, la Corte territoriale è tornata sulla questione ritenendo “del tutto inaccoglibile” la richiesta degli appellanti di applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen., e ciò in quanto “l’intervento realizzato non è stato minimale ed il suo impatto sul territorio, anche sotto il profilo paesaggistico, è rilevante, anche perché dalle foto risulta evidente che non è stato costruito un vero e proprio annesso agricolo con le caratteristiche esteriori tipiche di quell’area bensì una sorta di villetta sopraelevata su pali, sia pure di dimensioni limitate. I reati commessi non possono quindi essere valutati come “di particolare tenuità”, stante il non indifferente danno creato sotto il profilo urbanistico e sotto il profilo ambientale” (pag.5).
Orbene, dalla lettura congiunta delle due sentenze di condanna (che com'è noto si integrano reciprocamente: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 - dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), si ricava che i giudici del merito hanno invero fatto buon governo del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590 – 01); tuttavia, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti. (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018 - dep. 10/12/2018, Milone, Rv. 274647 – 01; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018 - dep. 20/07/2018, Foglietta, Rv. 273678 - 01).

5.2. In particolare, nel caso di specie i giudici del merito, in via del tutto logica e dunque non sindacabile in sede di legittimità, hanno ritenuto di escludere la particolare tenuità del fatto in ragione, essenzialmente, di due elementi ritenuti assorbenti: la pluralità di atti tipici realizzati (nella specie, due) e la loro incidenza sul territorio, ritenuta non minimale.
Tale ultimo aspetto è stato particolarmente messo a fuoco dalla Corte territoriale, la quale ha spiegato che, se pure di dimensioni limitate, gli interventi in questione hanno inciso in modo significativo sul territorio, tanto sul piano urbanistico quanto su quello paesaggistico, avendo comportato la realizzazione di una costruzione non avente le caratteristiche proprie di quell’area.
Per quanto sopra, le doglianze difensive si presentano distoniche rispetto al contenuto delle sentenze di condanna, non solo perché – diversamente da quanto asserito dalla difesa – la Corte territoriale non ha mancato di spiegare il motivo per cui, nonostante le rilevate modeste dimensioni delle opere realizzate, essa ha ritenuto non minimale il danno urbanistico/ambientale dalle stesse arrecato in un’area che – giova ricordarlo – risulta essere paesaggisticamente vincolata, ma anche perché i ricorrenti pretenderebbero di mettere in crisi la tenuta logica delle valutazioni dei giudici del merito esclusivamente richiamando le sanatorie amministrative intervenute nella vicenda in esame, le quali tuttavia risultano essere state rilasciate al di fuori dei casi consentiti dalla legge, e minimizzando assai genericamente  la costruzione realizzata – qualificata dalla Corte territoriale come “villetta” – a mero “annesso agricolo”.
Tanto basta a ritenere la presente doglianza infondata.

6. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 29 aprile 2022