Cass. Sez. III n. 34295 del 21 ottobre 2025 (UP 24 set 2025)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Montefusco
Urbanistica.Articolo 94-bis TUE

La disposizione di cui all'art. 94-bis, d.P.R. n. 380 del 2001 non deroga all'obbligo di dare preavviso scritto allo sportello unico comunale, limitandosi a prevedere una semplificazione amministrativa per le opere di scarsa rilevanza e non pericolose per la pubblica incolumità.

RITENUTO IN FATTO 
1. Con sentenza del 31/10/2024, la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia emessa il 12/10/2023 dal Tribunale di Avellino, proscioglieva Davide Izzo dalle contestazioni di cui agli artt. 44, lett. b), 65, 72, 93-95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, confermando la condanna di Francesco Montefusco, Liana Scarpa e Gerardo De Girolamo quanto alle medesime contravvenzioni.
2. Propongono comune ricorso per cassazione i tre condannati, deducendo i seguenti motivi:
- violazione degli artt. 20, lett. b), I. 28 febbraio 1985, n. 47, 9-bis, comma 1, 22, d.P.R. n. 380 del 2001. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con argomento errato, senza considerare che, sulla base delle risultanze istruttorie, emergerebbe che le modeste opere edilizie realizzate nel fabbricato principale avrebbero riguardato un volume preesistente, e sarebbero state da tempo ultimate; in particolare, già da una planimetria del 1976 risulterebbe la presenza di un "infisso/veranda", cosicché il successivo intervento - una loggia che aveva sostituito il preesistente balcone chiuso su due lati - ben avrebbe potuto essere assentito con "Super Scia", di cui all'art. 23, d.P.R. n. 380 del 2001. La legittima esecuzione dell'intervento stesso, peraltro, sarebbe confermata dal successivo rilascio del permesso di costruire n. 19/2020 e dall'assenza di qualunque intervento di sospensione o di interruzione dei lavori da parte del Comune interessato. In sintesi, dunque, la sentenza non avrebbe valutato che tanto l'immobile, quanto la veranda sarebbero esistiti da epoca precedente al 10 settembre 1967, data di entrata in vigore della I. n. 765, che avrebbe introdotto l'obbligo della licenza edilizia anche per le zone esterne ai centri abitati. In ogni caso, la modesta dimensione dell'intervento non condurrebbe ad un incremento di volumetria e non integrerebbe una nuova costruzione, potendo peraltro essere sanata in ragione della nuova disciplina;
- violazione degli artt. 65, 72, 93 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001, 20, I. 2 febbraio 1964, n. 74. La sentenza avrebbe confermato la responsabilità dei ricorrenti anche con riguardo alle contravvenzioni in materia sismica e di preventiva denuncia all'ufficio del Genio civile. Questa decisione, tuttavia, non considererebbe che gli interventi in esame sarebbero privi di rilevanza nei riguardi della pubblica incolumità, ai sensi dell'art. 94-bis, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, così che gli adempimenti contestati non risulterebbero necessari. Analogamente si conclude quanto all'autorizzazione sismica, in presenza di opere che non rivestirebbero carattere sostanziale; la stessa autorizzazione, comunque, sarebbe stata successivamente rilasciata dal Comune, con atto del 2020;
2 - violazione dell'art. 131-bis cod. pen. La Corte avrebbe negato la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto con argomento viziato, e senza considerare numerosi indici positivi, tra cui la mancanza di aggravio di carico urbanistico o di contrasti con il Piano regolatore comunale, la possibilità di sanatoria, l'assenza di vincoli, le modeste dimensioni dell'opera;
- infine, si contesta l'ordine di demolizione, disposto - in contrasto con la prima sentenza - senza che sia stato proposto appello da parte del Pubblico Ministero e, dunque, in contrasto con l'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., al pari, peraltro, della subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione stessa.
La parte civile ha depositato varie memorie, eccependo, peraltro, la tardività dei ricorsi, oltre alla loro inammissibilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
3. La Corte ritiene necessario affrontare, in primo luogo, l'eccezione di tardività dell'impugnazione, sollevata dalla parte civile.
3.1. L'argomento a fondamento della stessa risiede nella inapplicabilità al caso di specie dell'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., in forza del quale "I termini previsti dal comma 1 sono aumentati di quindici giorni per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza"; a giudizio della parte civile, infatti, gli imputati, avendo rilasciato una procura speciale al proprio difensore, conferendogli i relativi poteri, avrebbero dovuto esser considerati comunque presenti ai sensi dell'art. 420, comma 2-ter, cod. proc. pen., a nulla rilevando la difforme indicazione nel verbale di udienza (e nella intestazione della sentenza), nei termini dell'assenza. Al riguardo, peraltro, non avrebbe rilievo il fatto che la stessa procura speciale non fosse stata poi utilizzata per la richiesta di un rito alternativo, in quanto il mero rilascio della stessa comporterebbe la presenza in giudizio degli imputati, per il tramite del procuratore, e, dunque, impedirebbe l'applicazione dell'art. 585, comma 1-bis citato, come peraltro recentemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 20976 del 14/5/2025, Racco, Rv. 288269).
3.2. L'eccezione risulta infondata.
3.3. Gli imputati Montefusco, Scarpa e De Girolamo, infatti, hanno conferito procura speciale 1'8/1/2024, successivamente alla pronuncia di primo grado (emessa il 12/10/2023), in una fase processuale, dunque, nella quale nessun procedimento speciale poteva più essere richiesto; analogamente, peraltro, al concordato in appello (anche a volerlo a tali effetti equiparare ad un procedimento speciale), in quanto l'art. 599, comma 4, cod. proc. pen., richiamato nelle stesse 3 Et procure, era norma già abrogata al momento del rilascio delle stesse, come da d.l.
23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla I. 24 luglio 2008, n. 125.
3.4. Ne consegue che correttamente gli imputati sono stati dichiarati assenti, anche nel giudizio di appello, non riscontrandosi alcun "procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale", come richiesto dall'art. 420, comma 2-ter, cit., necessario perché gli stessi fossero considerati presenti.
3.5. L'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., pertanto, ha trovato piena applicazione, ed i ricorsi - depositati il 31/3/2025 - non sono tardivi.
4. Nel merito, i ricorsi medesimi risultano manifestamente infondati.
5. Con riguardo al primo motivo, che concerne la responsabilità per la contravvenzione di cui al capo A), la Corte osserva che lo stesso si fonda sul presupposto che l'immobile - costruito prima del 1967 - avrebbe di certo riportato la presenza di un "infisso/veranda" (tanto da risultare in una planimetria catastale del 1976), così che l'intervento successivamente realizzato, ed oggetto del processo, avrebbe giustificato la presentazione soltanto di una SCIA (del 7/6/2019); il carattere legittimo dell'intervento, che "teoricamente" non poteva essere escluso, emergerebbe - in ottica difensiva - anche dall'assenza di qualunque provvedimento sospensivo da parte del Comune interessato, che, anzi, nel 2020 avrebbe rilasciato un permesso di costruire.
5.1. Queste considerazioni in fatto, unite a quella per cui le opere in esame non avrebbero comunque incrementato la volumetria, né raffigurerebbero una nuova costruzione, evidenziano della censura, dunque, il carattere propriamente ed esclusivamente di merito, come tale inammissibile in sede di legittimità; invero, sono riproposte le stesse valutazioni che avevano sostenuto il gravame in punto di esiti istruttori, e di questi si chiede alla Corte di legittimità una differente e più favorevole lettura, sebbene evidentemente non consentita.
5.2. Queste stesse considerazioni, ancora, risultano prive di un effettivo confronto con la sentenza impugnata, che ha confermato la pronuncia di primo grado (particolarmente analitica) con una motivazione del tutto solida, fondata su oggettive emergenze istruttorie e priva di illogicità manifesta; come tale, dunque, non censurabile.
5.2.1. In particolare, dalla documentazione catastale del 1976 era stato accertato che, sul prospetto sud del fabbricato, insisteva un balcone aperto delimitato da ringhiera; fonti testimoniali avevano poi riferito che, all'inizio del 1980, questo balcone era stato trasformato in una veranda chiusa da struttura in alluminio e vetri; l'ulteriore trasformazione del 2019, oggetto del processo, era infine consistita nella chiusura della veranda con muri inglobati nel volume dell'appartamento, dando origine ad un loggiato rientrante, con un lato 4 completamente chiuso, dunque ad un nuovo volume che non poteva essere assentito con la sola SCIA.
5.3. Ancora con argomento incensurabile, la Corte di appello ha peraltro evidenziato che l'eventuale preesistenza al 1967 della veranda in vetro e alluminio, negata nelle sentenze e ribadita (con inammissibile affermazione in fatto) nei ricorsi, non rivestirebbe alcun ruolo ai fini della decisione: come già rilevato nella prima pronuncia, invero, tale preesistenza non consentirebbe comunque di ritenere legittimo il successivo intervento, in quanto il titolo individuato dalle parti non potrebbe sostenerlo in ragione dei caratteri propri di nuova costruzione e di ristrutturazione "pesante".
5.4. Il primo motivo dei ricorsi, esclusivamente fondato sul profilo cronologico dell'intervento, risulta pertanto privo di ogni fondamento.
6. Alle medesime conclusioni, poi, la Corte giunge quanto al secondo profilo di censura, che attiene al capo B); anche al riguardo, infatti, la sentenza di appello risulta sostenuta da una motivazione più che adeguata e saldamente ancorata agli esiti istruttori.
6.1. Quanto alla preventiva comunicazione ed al deposito degli atti presso il competente ufficio del Genio civile, che i ricorsi ritengono non necessari in presenza di interventi strutturali giudicati privi di rilevanza, ai sensi dell'art. 94- bis, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, la sentenza impugnata ha evidenziato, innanzitutto, che la sfera di rilevanza degli artt. 64 e 65, stesso decreto, non contiene alcuna esclusione con riguardo ad opere con tali caratteri, concernendo comunque quelle costituite da cemento armato o struttura metallica, "in ragione della potenziale pericolosità di essa derivante dal materiale impiegato".
Tanto premesso, la stessa Corte di appello ha sottolineato che le opere qui a giudizio erano consistite nella chiusura della veranda con muri di tompagno inglobati e creazione di un loggiato rientrante, con muro laterale completamente chiuso, così da far emergere con piena evidenza le significative caratteristiche dell'intervento. Queste, peraltro, non possono esser in alcun modo superate dalle considerazioni ancora evidentemente fattuali del ricorso (in particolare, le numerose fonti dichiarative riportate a pag. 12), come tali inammissibili.
6.2. In ordine, poi, al profilo sismico della procedura amministrativa, la Corte di appello ha correttamente rilevato che la disposizione di cui all'art. 94-bis, d.P.R. n. 380 del 2001, richiamata anche nei ricorsi, non deroga all'obbligo di dare preavviso scritto allo sportello unico comunale, limitandosi a prevedere una semplificazione amministrativa per le opere di scarsa rilevanza e non pericolose per la pubblica incolumità. Ebbene, con pertinente argomento in fatto, la sentenza ha sottolineato che la realizzazione della muratura laterale aveva comportato un incremento ponderale sulle strutture portanti dell'edificio, rispetto a quelle che derivavano dalla preesistente veranda, così da rendere necessaria la preventiva comunicazione, peraltro dovuta anche per opere di minore rilevanza.
6.3. Nessun rilievo, peraltro, assume al riguardo il dedotto, successivo rilascio di un'autorizzazione sismica (n. 78412 del 2020), in quanto - come da costante giurisprudenza (tra le altre, Sez. 3, n. 18267 del 13/4/2023, Pepe, Rv. 284612; Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, Casà, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 24326 del 27/2/2024, Fonti) - diversamente da quanto previsto per la realizzazione di opere in assenza del permesso di costruire, la specifica disciplina antisismica non contempla alcuna forma di sanatoria o autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, prevedendone invece la mera riconduzione a conformità, come si ricava da quanto dispone il terzo comma dell'art. 98 d.P.R. 380/2001, il quale stabilisce non soltanto che, con il decreto o la sentenza di condanna, il giudice deve ordinare la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità dalla specifica disciplina, ma anche che possa impartire le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi a essa, fissando il relativo termine. Non vi sono, dunque, effetti estintivi conseguenti alla regolarizzazione postuma delle opere realizzate in violazione della normativa antisismica, ma neppure effetti propriamente sananti, posto che manca una procedura che consenta all'interessato di richiedere una autorizzazione postuma (in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa, in TAR Campania (NA), Sez. 8, n. 1347 del 1/3/2021; nel medesimo anche Cons. di Stato, Sez. 3, n. 4142 del 31/5/2021).
7. I ricorsi, di seguito, risultano manifestamente infondati anche con riguardo al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.
7.1. Rispondendo alla medesima questione posta nell'atto di appello, la sentenza ha sottolineato che la consistenza dell'abuso costituisce solo uno dei parametri alla luce dei quali valutare la possibile applicazione dell'esimente, rilevando anche ulteriori elementi quali la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli, la violazione di più disposizioni, l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti. Tanto premesso, la Corte di merito ha evidenziato che, sebbene l'opera in oggetto non risulti idonea a realizzare una lesione profonda del territorio, la stessa ha comunque comportato la violazione di più disposizioni, sottese alla tutela di differenti beni, con danno prodotto non solo all'interesse pubblico, ma anche alla parte civile. In forza di questi elementi, è stata dunque congruamente esclusa la particolare tenuità del fatto.
8. Infine, quanto alla demolizione, quale espressione di risarcimento in forma specifica, la relativa censura risulta ancora del tutto infondata.
6 8.1. Al riguardo, la Corte di appello ha richiamato la costante e condivisa giurisprudenza di legittimità in forza della quale, in tema di condanna per la responsabilità civile, è legittima la statuizione con la quale il giudice penale, in accoglimento della richiesta di risarcimento in forma specifica avanzata dalla parte civile, disponga, a norma dell'art. 2058 cod. civ., il ripristino dello stato originario dei luoghi, alterato in conseguenza del reato (tra le altre, Sez. 5, n. 26 del 27/11/2019, Pacilio, Rv. 278319). Ancora, è stato evidenziato che la parte civile aveva documentato di aver avanzato detta richiesta in sede di conclusioni di primo grado, domandando, peraltro, specifica integrazione o correzione della parte dispositiva della sentenza, invece negata.
8.2. Con riguardo, poi, alla possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena alla restituzione in forma specifica (ancora richiesta dalla parte civile appellante), senza che sia violato il divieto di reformatio in peius, è ormai prevalente l'orientamento di legittimità - che il Collegio condivide e ribadisce - secondo cui la parte civile può proporre impugnazione ex art. 576 cod. proc. pen. in merito alla quantificazione della somma assegnata a titolo di provvisionale ed anche al capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento di quanto liquidato a titolo risarcitorio (l'art. 165 cod. pen. contempla anche il danno civilistico patrimonialmente inteso ed è istituto funzionale a soddisfare le esigenze di anticipazione della liquidazione dei danno in favore della parte civile, causate dalla durata del processo); conseguentemente, il giudice di appello - come nel caso in esame - in virtù del noto principio devolutivo, pronunciandosi su tale impugnazione, ben può determinarsi in tal senso, senza incorrere nella violazione del divieto di reformatio in peius (Sez. 6, n. 9063 del 10/1/2023, Maddaloni, Rv. 284337; Sez. 5, n. 11738 del 30/1/2020, Crescenzo, Rv. 278929. Tra le non massimate, Sez. 2, n. 3841 del 27/11/2024, Bianchi; Sez. 4, n. 4345 del 23/1/2024; Sez. 2, n. 1319 del 14/12/2023, Alaya).
8.3. A tale ultimo riguardo, ancora, è stato più volte affermato (tra le altre, Sez. 2, n. 30237 del 17/6/2025, non massimata) che l'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. riconduce all'ambito applicativo della norma, per quanto in questa sede rileva, unicamente la "revoca del beneficio", e, pertanto, a tale dato letterale occorre necessariamente limitarsi nel definire l'operatività del divieto, che non ricomprende, quindi, il caso - diverso dalla revoca stessa - in cui il giudice d'appello modifichi, in senso peggiorativo, le modalità di applicazione del beneficio, condizionandolo all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165 cod. pen. (Sez. 2, n. 34727 del 30/06/2022, Pastore, Rv. 283845).
9. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00. Si condannano i ricorrenti, inoltre, Alla diffusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge, in favore del difensore antistatario.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2025