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Cass. Sez. III sent. 26121 del 15 luglio 2005 (Ud. 12 aprile 2005)
Pres. Grassi Est. Fiale Ric. Rosato

Urbanistica - Persona offesa - Danno risarcibile

1. La condotta del costruttore abusivo può cagionare al Comune tanto un danno patrimoniale quanto nn danno non patrimoniale
2. La deduzione dell'omessa citazione a giudizio della p.o. compete esclusivamente al P.M. o alla medesima p.o.

 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. GRASSI Aldo - Presidente - del 12/04/2005
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 699
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 43569/2002
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROSATO Rita, n. a Fondi il 7.6.1951;
avverso la sentenza 7.5.2002 della Corte di Appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Fiale;
udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. IZZO Gioacchino che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 7.5.2002 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza 29.10.2001 del Tribunale di Latina - Sezione distaccata di Terracina, che aveva affermato la responsabilità penale di Rosato Rita in ordine ai reati di cui:
all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta concessione edilizia, un fabbricato in muratura di circa mq. 144 - acc. in Fondi, fino al 31.7.1999);
all'art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (per avere eseguito i lavori anzidetti senza la prescritta autorizzazione regionale);
agli artt. 17, 18 e 20 legge n. 64/1974;
all'art. 349 cpv. cod. pen. (violazione dei sigilli apposti al cantiere abusivo) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata per il delitto, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., la aveva condannata alla pena complessiva di mesi otto di reclusione, con ordine di demolizione del manufatto abusivo e concessione del beneficio della sospensione condizionale, subordinato all'effettiva demolizione delle opere nel termine di trenta giorni dalla formazione del giudicato.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la Rosato ed il suo difensore, i quali hanno eccepito:
la nullità del giudizio di primo grado e di tutti gli atti successivi, perché era stato erroneamente citato, come parte lesa, il Sindaco del Comune di San Felice Circeo e non quello dei Comune di Fondi;
la estraneità dell'imputata all'esecuzione dell'opera;
l'incongrua determinazione della pena anche per l'assenza dei ritenuti precedenti specifici.
Con "motivi aggiunti" la ricorrente ha prospettato di avere presentato istanze;
di concessione edilizia in sanatoria ex art. 36 del T.U., n. 380/2001 (in data 22.4.2001);
di condono edilizio ai sensi del D.L. n. 269/2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
1. Deve premettersi, quanto alla qualificazione di "parte offesa", che è sicuramente configurabile un diritto soggettivo del Comune suscettibile di essere leso dalla condotta costituente il reato di abuso edilizio.
Inteso il diritto soggettivo quale potere di agire (agere licere) per il soddisfacimento del proprio interesse direttamente protetto dall'ordinamento giuridico, è ormai generalmente ritenuto, infatti, che tale situazione giuridica attiva possa inerire anche ad interessi di rilievo pubblicistico, dando luogo alla figura del diritto soggettivo pubblico. Le dette situazioni giuridiche soggettive attive consistono, anzitutto, nel diritto di ogni ente pubblico al riconoscimento, al rispetto ed alla inviolabilità da parte di qualsiasi altro soggetto della propria posizione funzionale, cioè della sfera giuridica ad esso attribuita dall'ordinamento. Tale diritto può essere certamente compromesso dagli illeciti urbanistici per gli intralci, i condizionamenti e le preclusioni che da illeciti siffatti possono derivare al libero esercizio della pubblica funzione di cui si tratta.
Al diritto alla intangibilità della sfera relativa alla propria posizione funzionale si accompagna il diritto, egualmente protetto, alla realizzazione, alla conservazione ed all'ordinato sviluppo di un predeterminato assetto urbanistico, per la tutela degli interessi collettivi aventi come termine di riferimento l'assetto del territorio.
I comportamenti antigiuridici, pertanto, che incidono negativamente sui suddetti interessi protetti (quello inerente alla posizione funzionale e quello alla realizzazione del programmato assetto urbanistico) concretano un danno risarcibile, e sono quindi fonte di responsabilità civile, qualora si traducano nella perdita concreta di utilità o di posizioni di vantaggio di cui il Comune fruiva, ovvero comportino per esso nuovi e maggiori oneri, sul piano funzionale e finanziario: quali, ad esempio, quelli per la ricerca e la realizzazione di soluzioni rivolte ad ovviare ad inconvenienti, difficoltà, esigenze o carenze, provocati dagli illeciti edilizi. È, altresì, identificabile un danno non patrimoniale: consistente non tanto nella menomazione del prestigio dell'ente e della sua credibilità, ma piuttosto nel risultato negativo della mancata o ritardata realizzazione dell'interesse pubblico. In conclusione, dunque, può affermarsi che la condotta del costruttore abusivo può cagionare al Comune sia un danno non patrimoniale che un danno patrimoniale costituito dal conseguente squilibrio ecologico o sociologico, che deteriora l'assetto urbanistico, costringendo l'ente pubblico ad interventi riparatori che richiedono spesso l'impiego di ingenti mezzi finanziari (danno emergente). Il danno patrimoniale, inoltre, può consistere nella mancata o ritardata acquisizione gratuita di aree per le opere di urbanizzazione primaria o secondaria, nell'omessa assunzione da parte del privato degli oneri relativi atte opere di urbanizzazione e nella mancata corresponsione del contributo di costruzione (lucro cessante).
2. Il Comune, dunque, è sicuramente parte offesa nei procedimenti penali aventi ad oggetto i reati urbanistici (nei quali può costituirsi parie civile: vedi Cass,: Sez. Unite, 21.4.1979, ric. Pelosi e Armellini e 21.4.1979, ric. Guglielmini; Sez. 3^ 14.6.2002, ric. Arrostuto) e ad esso deve essere notificato il decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 429 c.p.p..
Sebbene l'art. 178, lett. C) c.p.p. preveda a pena di nullità la citazione a giudizio della parte offesa, il diritto alla sua deduzione compete, però, esclusivamente alla parte che ha interesse all'osservanza della disposizione normativa violata e, quindi, al pubblico ministero, quale organo istituzionalmente preposto alla retta osservanza della legge processuale, od alla stessa parte offesa, quale titolare dell'interesse teso od esposto a pericolo dal reato. Non compete, invece, all'imputato, che ha normalmente l'interesse opposto. Qualora quest'ultimo ritenga tuttavia che la presenza medesima sia a lui utile può proporre tempestivamente, nelle forme e nei termini di legge, le istanze riguardanti le acquisizioni probatorie (vedi Cass., Sez. 3^, 3.6.1998, n. 6443). L'imputato, pertanto, non è legittimato a dedurre la nullità del decreto di citazione per omessa notifica detto stesso all'offeso dal reato (vedi, tra te decisioni più recenti, Cass.: Sez. 6^, 16.9.2003, n. 35555; Sez. feriale, 18.11.2002, n. 38480). 3. In ordine alla ritenuta responsabilità per l'esecuzione della costruzione abusiva, la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori abusivi (vedi Cass., Sez. 3^, 29.3.2001, Bertin).
Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto dalla piena disponibilità, giuridica e di fatto, del suolo e dall'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest) bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario;
dell'eventuale presenza "in loco", dello svolgimento di attività di materiale vigilanza dell'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano tirarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa (cfr. in proposito Cass., Sez. 3^ 29.4.1999, n. 5476, Zarbo; 16.5.2000, Di Marco ed altro; 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro; 3,5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri;
10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 26.11.2001, Sutera Sardo ed altra;
25.2.2003, Capasso ed altro).
Alla stregua di tali principi, la sentenza in esame fonda correttamente la responsabilità della Rosato sulla disponibilità giuridica e di fiuto del suolo e del manufatto abusivamente edificati e sull'esistenza di comportamenti positivi (presenza in cantiere mentre i lavori erano in pieno svolgimento; violazione dei doveri di custodia dopo l'apposizione dei sigilli al cantiere abusivo) da cui è stata razionalmente dedotta la partecipazione diretta all'esecuzione delle opere abusive (vedi Cass., Sez. 3^, 31.5.2000, Lo Giudice).
4. La pena risulta motivatamente commisurata, nel rispetto dei criteri direttivi indicati dall'art. 133 cod. pen., all'entità delle condotte illecite ed alla personalità della Rosato, lumeggiata anche dalla reiterata violazione dei sigilli.
5. Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già art. 13 detta legge n. 47/1985): la relativa richiesta risulta presentata il 22.4.2003 e, ai sensi del 3 comma della norma medesima, non essendo intervenuta pronuncia entro i successivi 60 giorni, la richiesta medesima deve intendersi rifiutata.
6. La inammissibilità del ricorso:
a) Non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati contravvenzionali, scaduta in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).
b) Non consente di applicare la sospensione del procedimento, ex art. 38 della legge n. 47/1985, in relazione alla sanatoria (cd. condono edilizio) disciplinata dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e 28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili" dei capi 4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724 (vedi, in tal senso, le argomentazioni svolte in Cass., Sez. 3^: 13.11.2003, Sciaccovelli; 27,11.2003, Nappo; 9.3.2004, Modica; 6.4.2004, Paparusso).
Nella vicenda che ci occupa, comunque, si verte in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a).
Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la norma anzidetta ammette, infatti, la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'Allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
In proposito, appare opportuno ricordare che la Relazione governativa al D.L. n. 269/2003 si esprime nel senso che "... è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano ... quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientati e paesistici ... Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggetto a vincolo, l'ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale". 7. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 500,00. P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione;
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro 500,00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 12 aprile 2005.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2005

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica Dott. GRASSI Aldo - Presidente - del 12/04/2005 Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - SENTENZA Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 699 Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 43569/2002 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: ROSATO Rita, n. a Fondi il 7.6.1951; avverso la sentenza 7.5.2002 della Corte di Appello di Roma; Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Fiale; udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. IZZO Gioacchino che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 7.5.2002 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza 29.10.2001 del Tribunale di Latina - Sezione distaccata di Terracina, che aveva affermato la responsabilità penale di Rosato Rita in ordine ai reati di cui: all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta concessione edilizia, un fabbricato in muratura di circa mq. 144 - acc. in Fondi, fino al 31.7.1999); all'art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (per avere eseguito i lavori anzidetti senza la prescritta autorizzazione regionale); agli artt. 17, 18 e 20 legge n. 64/1974; all'art. 349 cpv. cod. pen. (violazione dei sigilli apposti al cantiere abusivo) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata per il delitto, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., la aveva condannata alla pena complessiva di mesi otto di reclusione, con ordine di demolizione del manufatto abusivo e concessione del beneficio della sospensione condizionale, subordinato all'effettiva demolizione delle opere nel termine di trenta giorni dalla formazione del giudicato. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la Rosato ed il suo difensore, i quali hanno eccepito: la nullità del giudizio di primo grado e di tutti gli atti successivi, perché era stato erroneamente citato, come parte lesa, il Sindaco del Comune di San Felice Circeo e non quello dei Comune di Fondi; la estraneità dell'imputata all'esecuzione dell'opera; l'incongrua determinazione della pena anche per l'assenza dei ritenuti precedenti specifici. Con "motivi aggiunti" la ricorrente ha prospettato di avere presentato istanze; di concessione edilizia in sanatoria ex art. 36 del T.U., n. 380/2001 (in data 22.4.2001); di condono edilizio ai sensi del D.L. n. 269/2003. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato. 1. Deve premettersi, quanto alla qualificazione di "parte offesa", che è sicuramente configurabile un diritto soggettivo del Comune suscettibile di essere leso dalla condotta costituente il reato di abuso edilizio. Inteso il diritto soggettivo quale potere di agire (agere licere) per il soddisfacimento del proprio interesse direttamente protetto dall'ordinamento giuridico, è ormai generalmente ritenuto, infatti, che tale situazione giuridica attiva possa inerire anche ad interessi di rilievo pubblicistico, dando luogo alla figura del diritto soggettivo pubblico. Le dette situazioni giuridiche soggettive attive consistono, anzitutto, nel diritto di ogni ente pubblico al riconoscimento, al rispetto ed alla inviolabilità da parte di qualsiasi altro soggetto della propria posizione funzionale, cioè della sfera giuridica ad esso attribuita dall'ordinamento. Tale diritto può essere certamente compromesso dagli illeciti urbanistici per gli intralci, i condizionamenti e le preclusioni che da illeciti siffatti possono derivare al libero esercizio della pubblica funzione di cui si tratta. Al diritto alla intangibilità della sfera relativa alla propria posizione funzionale si accompagna il diritto, egualmente protetto, alla realizzazione, alla conservazione ed all'ordinato sviluppo di un predeterminato assetto urbanistico, per la tutela degli interessi collettivi aventi come termine di riferimento l'assetto del territorio. I comportamenti antigiuridici, pertanto, che incidono negativamente sui suddetti interessi protetti (quello inerente alla posizione funzionale e quello alla realizzazione del programmato assetto urbanistico) concretano un danno risarcibile, e sono quindi fonte di responsabilità civile, qualora si traducano nella perdita concreta di utilità o di posizioni di vantaggio di cui il Comune fruiva, ovvero comportino per esso nuovi e maggiori oneri, sul piano funzionale e finanziario: quali, ad esempio, quelli per la ricerca e la realizzazione di soluzioni rivolte ad ovviare ad inconvenienti, difficoltà, esigenze o carenze, provocati dagli illeciti edilizi. È, altresì, identificabile un danno non patrimoniale: consistente non tanto nella menomazione del prestigio dell'ente e della sua credibilità, ma piuttosto nel risultato negativo della mancata o ritardata realizzazione dell'interesse pubblico. In conclusione, dunque, può affermarsi che la condotta del costruttore abusivo può cagionare al Comune sia un danno non patrimoniale che un danno patrimoniale costituito dal conseguente squilibrio ecologico o sociologico, che deteriora l'assetto urbanistico, costringendo l'ente pubblico ad interventi riparatori che richiedono spesso l'impiego di ingenti mezzi finanziari (danno emergente). Il danno patrimoniale, inoltre, può consistere nella mancata o ritardata acquisizione gratuita di aree per le opere di urbanizzazione primaria o secondaria, nell'omessa assunzione da parte del privato degli oneri relativi atte opere di urbanizzazione e nella mancata corresponsione del contributo di costruzione (lucro cessante). 2. Il Comune, dunque, è sicuramente parte offesa nei procedimenti penali aventi ad oggetto i reati urbanistici (nei quali può costituirsi parie civile: vedi Cass,: Sez. Unite, 21.4.1979, ric. Pelosi e Armellini e 21.4.1979, ric. Guglielmini; Sez. 3^ 14.6.2002, ric. Arrostuto) e ad esso deve essere notificato il decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 429 c.p.p.. Sebbene l'art. 178, lett. C) c.p.p. preveda a pena di nullità la citazione a giudizio della parte offesa, il diritto alla sua deduzione compete, però, esclusivamente alla parte che ha interesse all'osservanza della disposizione normativa violata e, quindi, al pubblico ministero, quale organo istituzionalmente preposto alla retta osservanza della legge processuale, od alla stessa parte offesa, quale titolare dell'interesse teso od esposto a pericolo dal reato. Non compete, invece, all'imputato, che ha normalmente l'interesse opposto. Qualora quest'ultimo ritenga tuttavia che la presenza medesima sia a lui utile può proporre tempestivamente, nelle forme e nei termini di legge, le istanze riguardanti le acquisizioni probatorie (vedi Cass., Sez. 3^, 3.6.1998, n. 6443). L'imputato, pertanto, non è legittimato a dedurre la nullità del decreto di citazione per omessa notifica detto stesso all'offeso dal reato (vedi, tra te decisioni più recenti, Cass.: Sez. 6^, 16.9.2003, n. 35555; Sez. feriale, 18.11.2002, n. 38480). 3. In ordine alla ritenuta responsabilità per l'esecuzione della costruzione abusiva, la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori abusivi (vedi Cass., Sez. 3^, 29.3.2001, Bertin). Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto dalla piena disponibilità, giuridica e di fatto, del suolo e dall'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest) bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario; dell'eventuale presenza "in loco", dello svolgimento di attività di materiale vigilanza dell'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano tirarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa (cfr. in proposito Cass., Sez. 3^ 29.4.1999, n. 5476, Zarbo; 16.5.2000, Di Marco ed altro; 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro; 3,5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 26.11.2001, Sutera Sardo ed altra; 25.2.2003, Capasso ed altro). Alla stregua di tali principi, la sentenza in esame fonda correttamente la responsabilità della Rosato sulla disponibilità giuridica e di fiuto del suolo e del manufatto abusivamente edificati e sull'esistenza di comportamenti positivi (presenza in cantiere mentre i lavori erano in pieno svolgimento; violazione dei doveri di custodia dopo l'apposizione dei sigilli al cantiere abusivo) da cui è stata razionalmente dedotta la partecipazione diretta all'esecuzione delle opere abusive (vedi Cass., Sez. 3^, 31.5.2000, Lo Giudice). 4. La pena risulta motivatamente commisurata, nel rispetto dei criteri direttivi indicati dall'art. 133 cod. pen., all'entità delle condotte illecite ed alla personalità della Rosato, lumeggiata anche dalla reiterata violazione dei sigilli. 5. Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già art. 13 detta legge n. 47/1985): la relativa richiesta risulta presentata il 22.4.2003 e, ai sensi del 3 comma della norma medesima, non essendo intervenuta pronuncia entro i successivi 60 giorni, la richiesta medesima deve intendersi rifiutata. 6. La inammissibilità del ricorso: a) Non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati contravvenzionali, scaduta in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca). b) Non consente di applicare la sospensione del procedimento, ex art. 38 della legge n. 47/1985, in relazione alla sanatoria (cd. condono edilizio) disciplinata dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e 28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili" dei capi 4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724 (vedi, in tal senso, le argomentazioni svolte in Cass., Sez. 3^: 13.11.2003, Sciaccovelli; 27,11.2003, Nappo; 9.3.2004, Modica; 6.4.2004, Paparusso). Nella vicenda che ci occupa, comunque, si verte in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a). Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la norma anzidetta ammette, infatti, la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'Allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. In proposito, appare opportuno ricordare che la Relazione governativa al D.L. n. 269/2003 si esprime nel senso che "... è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano ... quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientati e paesistici ... Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggetto a vincolo, l'ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale". 7. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 500,00. P.Q.M. la Corte Suprema di Cassazione; visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro 500,00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 12 aprile 2005. Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2005