TAR Sicilia (CT) sez. I n. 4113 del 12 ottobre 2010
Urbanistica. Indici di densità
L’edificazione di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici di densità. Tra questi, la densità territoriale indica la quantità massima di volumi realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in funzione della prima. Ogni lotto di terreno edificabile esprime, o meglio possiede, dunque, una propria caratteristica “vocazione” o possibilità edificatoria che si esprime in termini di cubatura ammissibile o consentita.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04113/2010 REG.SEN.
N. 01389/2006 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1389 del 2006, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Mirabito Rita, rappresentata e difesa dall'avv. Fulvio Cintioli, con domicilio eletto presso avv. Carmelo Toscano in Catania, via della Scogliera, 1;
contro
Comune di Lipari (Me), rappresentato e difeso dall'avv. Milena Sindoni, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
con ricorso principale:
della nota n. prot. 9561 del 27 febbraio 2006 del Responsabile Area Urbanistica del Comune (e degli atti ivi richiamati), recante rigetto della domanda ex art. 13 legge 47/85 diretta:
- all’assenso per il ripristino della originaria legittima destinazione d’uso (ricovero per barche) di un piccolo manufatto, assentito con concessione edilizia del 1992;
- alla regolarizzazione dell’ampliamento, per circa mq. 11, del medesimo ricovero per barche;
- della nota prot. n. 9561 del 7 marzo 2006 annunciante la prossima emissione dei provvedimenti repressivi;
con I ricorso per motivi aggiunti:
della sopravvenuta ordinanza n. 62 del 5 aprile 2006 che ha intimato la demolizione di detto ampliamento di mq. 11 (undici) e il ripristino della originaria destinazione d’uso del preesistente legittimo fabbricato:
con II ricorso per motivi aggiunti:
- del verbale di accertamento di inottemperanza (addì 7 settembre 2006) all’ordinanza n. 62 del 5 aprile 2006 intimante la demolizione di detto ampliamento di mq. 11 (undici) e il ripristino della originaria destinazione d’uso del preesistente legittimo fabbricato;
- della relativa nota di comunicazione prot. n. 26982 dell’11/12 settembre 2006;
con III ricorso per motivi aggiunti.
della nuova Ordinanza di demolizione n. 120 del 26 ottobre 2006 motivata col fatto che precedente ingiunzione al ripristino della originaria destinazione d’uso (“ricovero barche”) è rimasta inottemperata ed ha, perciò, fatto divenire illegittima la costruzione a causa della inconciliabilità della nuova destinazione (abitazione) rispetto alla destinazione di zona (F4).
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Lipari (Me);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2010 il dott. Pancrazio Maria Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. Ricorso principale.
Di seguito a concessione edilizia n. 21 del 1992 l’odierna ricorrente aveva realizzato su area di proprietà ricadente in zona F4 del P.r.g. di Lipari (distinto in catasto con la particella n° 422 del fg. 13) un piccolo manufatto di circa 31 metri quadri con destinazione a ricovero per barche.
Successivamente l’interessata:
- mutava la destinazione d’uso del locale in abitazione;
- vi aggiungeva una piccolo vano di circa 11 metri quadri.
A tal fine, nel 1995, la stessa presentava due distinte domande per la regolarizzazione:
- l’una (protocollata n° 6722 del 1°.3.1995; pratica n. 4501), per il mutamento di destinazione d’uso;
- l’altra (protocollata col n° 8868 del 31.3.1995; pratica n. 4942), per detto piccolo ampliamento.
Entrambe le istanze venivano rigettate, sul presupposto che in zona F4 era impossibile la destinazione per civile abitazione.
Con istanza del 31 gennaio 2005 (prot. n° 4936 del febbraio 2005), la ricorrente ha chiesto, ai sensi dell’art. 13 legge n. 47/85:
- l’assenso per il ripristino dell’originaria destinazione d’uso (ricovero per barche) mediante esecuzione delle opere necessarie a riconvertire i locali: ripristino della porta d’ingresso, smonto cucina, etc., siccome indicato nella relazione tecnica e raffigurato nel progetto;
- l’assenso per l’eseguito piccolo ampliamento, sempre con la medesima destinazione (ricovero per barche).
Con nota prot. 9561 del 27 febbraio 2006, il Comune intimato ha respinto la domanda volta alla sanatoria dell’ampliamento (11 mq.) sul dichiarato presupposto (mutuato dal parere negativo della C.E.C.) che “non è accoglibile la sanatoria proposta utilizzando il 2 % (previsto in zona F4 del P. di F.) della sommatoria delle particelle 253, 254, 267, 269, 270 del fg. 13 perché non contigue e al di fuori del lotto in cui sorge il fabbricato”.
L’atto avrebbe, però, omesso di pronunciarsi sulla richiesta di poter ripristinare l’originaria legittima destinazione d’uso (ricovero per barche) dell’immobile regolarmente autorizzato nel 1992, negando la sanatoria ex art. 13 al piccolo ampliamento (con la medesima destinazione d’uso), ritenendo non cumulabile – ai fini del prescritto (per la zona F4) rapporto tra superficie disponibile e superficie da coprire (2 %) – l’area appartenente alla stessa proprietaria, ma non immediatamente contigua all’eseguito ampliamento.
Con il ricorso principale in epigrafe la ricorrente ha impugnato detto provvedimento, affidandosi ai seguenti motivi di gravame:
A. Quanto al ripristino dell’originaria destinazione d’uso.
Il Progetto e la relativa Relazione tecnica illustrano l’intento di restituire all’originario manufatto (mq. 31), regolarmente assentito con concessone edilizia del 1992, la destinazione d’uso ivi contemplata (ricovero per barche).
Trattandosi di ripristino necessitante di interventi edilizi (ripristino dell’originario accesso, smontaggio cucina, etc..), sarebbe illegittimo il diniego del rituale assenso amministrativo richiesto dall’interessata, in quanto volto, appunto, a restituire il locale alla consistenza e destinazione d’uso voluti dalla concessione edilizia del 1992, tuttora esistente ed operante.
La condotta dell’Ente sarebbe altresì inspiegabile ove si consideri che il già preannunciato “provvedimento repressivo” (nota del 7 marzo 2006) consequenziale all’impugnato rigetto della domanda dovrebbe determinare la realizzazione di quegli stessi interventi di ripristino richiesti e non assentiti.
B. Quanto alla regolarizzazione dell’ampliamento.
Al fine di legittimare gli 11 metri quadri di ampliamento dell’originario locale, l’interessata ha dedotto in asservimento una superficie di terreno (distinta con le citate particelle di sua proprietà) la cui complessiva estensione assicura il rispetto del rapporto di copertura (2 %) prescritto dal Programma di Fabbricazione per la zona F4 ove ricade l’immobile.
Il Comune non contesterebbe il dato planimetrico, ma ne escluderebbe l’utilità sul presupposto secondo il quale il terreno da asservire “non è contiguo ed è al di fuori del lotto in cui sorge il fabbricato”.
Asserisce parte ricorrente che, in virtù del principio dell’asservimento tra fondi contigui, il concetto di contiguità non deve intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata.
In ogni caso, un provvedimento di pristino in stato dopo dieci anni dall’abuso avrebbe dovuto rappresentare l’interesse pubblico, in presenza di un ampliamento di soli 11 mq.
II. Primo ricorso per motivi aggiunti.
Con sopravvenuta ordinanza n. 62 del 5 aprile 2006, il Comune ha intimato la demolizione di detto ampliamento di mq. 11 e il ripristino della originaria destinazione d’uso del preesistente legittimo fabbricato.
Avverso detto provvedimento parte ricorrente ha proposto ricorso per motivi aggiunti depositato il 4.7.2006.
Con il detto gravame ha lamentato la circostanza secondo la quale, nonostante la richiesta di accertamento di conformità, con conseguente adempimento spontaneo al ripristino, il Comune avrebbe preferito far luogo ad un adempimento coattivo.
Per altro, l’adempimento spontaneo avrebbe sottratto (anche ai sensi dell’art. 13) la ricorrente a responsabilità di diverso ordine, l’esecuzione dietro intimazione lascerebbe persistere tale esposizione.
Inoltre, l’Ordinanza avrebbe illegittimamente ritenuto “l’intero immobile . . . abusivo, in quanto lo stesso allo stato attuale è totalmente difforme alle norme e agli strumenti urbanistici vigenti nel territorio”.
Sennonché, un mutamento di destinazione d’uso non varrebbe a degradare un fabbricato legittimamente assentito a manufatto abusivo con la concessione edilizia del 1992, che giustificherebbe, di per sé, il diritto alla sua esistenza, nella originaria accordata destinazione d’uso.
Per altro, l’ampliamento di mq. 11, consiste in un corpo che si è aggiunto ad un fabbricato avente l’autonoma identità generatagli dalla detta concessione edilizia. Sicché, si giustificherebbe, al più, la sua autonoma demolizione e non quella dell’intero fabbricato.
III. Secondo ricorso per motivi aggiunti.
Successivamente, in data 7.9.2006, il Comune ha adottato il verbale di accertamento di inottemperanza all’ordinanza n. 62 del 5 aprile 2006, comunicato con nota prot. n. 26982 dell’11/12 settembre 2006, intimante la demolizione di detto ampliamento di mq. 11 (undici) e il ripristino della originaria destinazione d’uso del preesistente legittimo fabbricato.
Anche avverso provvedimento, parte ricorrente ha promosso autonomo ricorso per motivi aggiunti depositato il 17.10.2006.
Il provvedimento sarebbe illegittimo per invalidità derivata e per vizi propri, posto che non sarebbe stato ivi individuato e delimitato l’oggetto della mancata ottemperanza.
IV. Terzo ricorso per motivi aggiunti.
Con successiva Ordinanza di demolizione n. 120 del 26 ottobre 2006, motivata col fatto che precedente ingiunzione al ripristino della originaria destinazione d’uso (“ricovero barche”) è rimasta inottemperata ed ha, perciò, fatto divenire illegittima la costruzione a causa della inconciliabilità della nuova destinazione (abitazione) rispetto alla destinazione di zona (F4), è stata ordinata la demolizione dell’intero fabbricato abusivo.
Con ricorso per motivi aggiunti depositato il 19.1.2007, oltre a censurare il detto provvedimento per illegittimità derivata, è stato ribadito che un mutamento di destinazione d’uso non vale a degradare un fabbricato legittimamente assentito a manufatto abusivo.
Costituitosi, il Comune ha concluso per l’infondatezza del gravame.
Alla pubblica udienza del 13.5.2010, la causa è stata trattenuta per la decisione.
V. Come correttamente sostenuto nei ricorsi in esame, la questione che il Collegio è chiamato a dirimere si appunta sul concetto di contiguità in relazione all’istituto dell’asservimento di cubatura tra fondi, appunto, contigui.
Ed invero, parte ricorrente, dopo aver realizzato una costruzione abusiva all’interno dei 150 metri dalla battigia, ha ottenuto, dapprima, nel 1992, trattandosi di ricovero per imbarcazioni, la regolarizzazione mediante l’accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 13 della l. 47/85, poi, ha proceduto a mutare la destinazione in civile abitazione, ampliando il manufatto di mq 11. Presentata la domanda di concessione in sanatoria, la stessa é stata correttamente rigettata, poiché la detta ultima destinazione é incompatibile con la zona così come sopra individuata.
Indi, ha presentato una nuova istanza di accertamento di conformità, al fine di ripristinare l’originaria destinazione a ricovero barche e sanare, sempre con la medesima destinazione, l’incremento di mq 11.
Il Comune rigettava l’istanza con il provvedimento impugnato con il ricorso principale, senza contestare l’astratta realizzabilità dei mq 11 (e, quindi, l’entità della superficie assentibile), ma specificando che la stessa non sarebbe realizzabile utilizzando il 2% della sommatoria delle particelle di proprietà della ricorrente, in quanto “non contigue e al di fuori del lotto in cui sorge il fabbricato”. Non si contesta, quindi, neanche che le dette particelle abbiano destinazioni ed indici di fabbricabilità diverse.
Il mutamento di destinazione, con recupero dell’originaria assentita con la c.e. in sanatoria del 1992, secondo quanto stabilito nella scheda tecnica, espressamente richiamata nel provvedimento impugnato, non sarebbe assentibile, poiché sarebbe già stata rigettata in sede di diniego di concessione edilizia in sanatoria.
Il Collegio esamina subito quest’ultimo aspetto per rilevare la non condivisibilità dell’assunto.
Il diniego di concessione edilizia in sanatoria riguardava la diversa fattispecie di abitazione in civile abitazione.
Il consequenziale ordine di demolizione, ad avviso del Collegio, può essere impedito se, come nel caso di specie, sia stata presentata un’istanza di accertamento di conformità dagli effetti equivalenti, anche se eventualmente meno pregiudizievoli, alla rimessa in pristino, quale obbligo, quest’ultimo, derivante dal diniego di concessione edilizia in sanatoria.
Osserva il Collegio, che ciò che conta, sotto il profilo urbanistico, è che venga eliminato l’abuso, sicché non può dirsi che la demolizione sia la soluzione assolutamente preferibile, ove venga ristabilita, come nel caso di specie, una situazione eventualmente equivalente a quella legittima antecedente all’abuso ritenuto non sanabile.
Ne consegue, quindi, l’accoglimento della I censura espressa in ricorso e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento impugnato, seguito dalla possibilità di riesame da parte del Comune del rispetto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 della l. 47/85 per la detta assentibilità.
VI. Rimane da esaminare quanto prospettato in premessa in ordine alla assentibilità dell’ampliamento, secondo la medesima destinazione compatibile con la zona di costruzione destinata a ricovero barche.
E’ da premettere, in punto di fatto, che parte ricorrente, con dichiarazione del tecnico progettista versata in atti il 20.4.2010, ha precisato che tra le particelle interessate di sua proprietà, pur non essendo adiacenti, sussiste una distanza tra i 21 ed i 48 ml.
Ciò posto, è da chiarire che l’edificazione di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici di densità. Tra questi, la densità territoriale indica la quantità massima di volumi realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in funzione della prima.
Ogni lotto di terreno edificabile esprime, o meglio possiede, dunque, una propria caratteristica “vocazione” o possibilità edificatoria che si esprime in termini di cubatura ammissibile o consentita.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza, la cubatura che un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del terreno medesimo, a determinate condizioni.
Questo perché dovrebbe riconoscersi che la cubatura (ossia, lo si ripete, la possibilità di edificare un determinato volume edilizio) pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime, costituisce una utilità separata da questo, autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto di un contratto di trasferimento con il quale il proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel rispetto dell’indice di densità fondiaria .
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene, per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi, sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la relativa cessione risulterà dalla trascrizione). Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30, comma 2, dpr 6 giugno 2001 n. 380.
Per la giurisprudenza amministrativa, la legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla rilevazione della volumetria esistente, in modo da determinare, secondo gli standard del DM 1444/68, a quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe che l’indice di densità territoriale potrebbe essere alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione .
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (TAR Campania, Napoli, VIII, 15 maggio 2008, n. 4549).
In altri termini, come la giurisprudenza del Giudice di seconde cure ha condivisibilmente ritenuto in fattispecie di distanza pari a 35 ml, la contiguità dei fondi non deve intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6734).
Facendo applicazione dei predetti principi, il concetto di vicinanza, invero relativo, appare rispettato nel caso di specie, trattandosi di fondi, per altro di proprietà della ricorrente, distanti dai 21 ai 40 ml (secondo la dichiarazione del progettista versata in atti).
In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto, facendo salvi gli ulteriori motivati provvedimenti dai quali emergano diverse ragioni ostative all’accoglimento della domanda di ripristinata destinazione a ricovero barche ed all’ampliamento a ciò destinato.
Consegue, inoltre, l’annullamento dei provvedimenti impugnati con i motivi aggiunti anche per illegittimità derivata, in quanto consequenziali al diniego di sanatoria ritenuto illegittimo.
La peculiarità della controversia suggerisce l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania, Sezione Prima, accoglie il ricorso in epigrafe ed i successivi ricorsi per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti ivi impugnati, facendo espressamente salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Autorità Amministrativa.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Vincenzo Zingales, Presidente
Pancrazio Maria Savasta, Consigliere, Estensore
Francesco Bruno, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/10/2010