TAR Veneto Sez. III sent. 2655 del 26 ottobre 2009
Rumore. Competenze

L’art. 9 della legge n. 447 del 1995 dispone che “qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della Giunta regionale, il prefetto, il Ministro dell'ambiente, secondo quanto previsto dall'art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, e il Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'ambito delle rispettive competenze, con provvedimento motivato, possono ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività. Nel caso di servizi pubblici essenziali, tale facoltà è riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei Ministri”. Tale norma non detta espressamente un criterio di riparto delle competenze tra i diversi enti che menziona. La tesi secondo cui la competenza ad adottare tali provvedimenti dipenderebbe dall’appartenenza comunale o statale dei beni dai quali proviene la fonte rumorosa non è condivisibile, perché ad un siffatto criterio non fa riferimento nessuna norma e l’esistenza di un bene pubblico quale fonte del disturbo è un’eventualità del tutto occasionale, dovendosi configurare nella maggior parte dei casi una provenienza da beni privati. Poiché la norma citata configura un potere sostanzialmente analogo a quello attribuito al Sindaco dal Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267 agli articoli 50 e 54, sembra congruo applicare in via residuale il criterio di riparto dettato dai commi 5 e 6 dell’art. 50 del Dlgs. n. 267 del 2000, e pertanto la competenza deve essere ricondotta in capo al Sindaco in caso di situazioni, come quella all’esame, di carattere esclusivamente locale, ferma restando la competenza degli altri enti menzionati dall’art. 9 della legge n. 447 del 1995 in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali di carattere sovracomunale.
N. 02655/2009 REG.SEN.
N. 02297/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 2297 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Cantiere Navale De Poli Spa, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Veronese e Matteo Munarin, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandro Veronese in Venezia-Marghera, via delle Industrie, 19/C P. Libra;


contro


Comune di Venezia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Gidoni, Antonio Iannotta, Maddalena Morino, con domicilio eletto presso l’Avvocatura civica nella sede municipale del Comune di Venezia;
A.R.P.A.V., rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberto Bondi', Lucia Casella e Giovanni Scudier, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Bondi' in Venezia, Santa Croce, 663; Azienda U.L.S.S. n. 12 Veneziana;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliato per legge in Venezia, San Marco, 63;

per l'annullamento

(quanto al ricorso originario):

- dell’ordinanza sindacale contingibile ed urgente del 19 novembre 2008, n. 868, prot. n. 493285, che ingiunge l’immediata sospensione per 90 giorni dell’attività svolta nella concessione di spazio acqueo n. 5457 del 7 luglio 2000 per la parte di mq 1483;
- della nota Arpav 29 luglio 2008, n. 97646 e delle allegate indagini fonometriche;
- della nota Arpav 29 luglio 2008, n. 136697;
- della nota dell’Azienda Ulss n. 12 del 29 agosto 2008, n. 39958;
- del verbale della conferenza di servizi decisoria 11 novembre 2008;
- del verbale della conferenza di servizi istruttoria 28 ottobre 2008 ed atti connessi.

(quanto ai primi motivi aggiunti): del provvedimento del Magistrato alle Acque prot. n. 14005 del 27 novembre 2008, con il quale è stata sospesa parte della concessione demaniale n. 5457 consistente nello spazio acqueo posto nel lato sud di mq 1483 ed atti connessi.

(quanto ai secondi motivi aggiunti):

- del provvedimento del Comune di Venezia prot. n. 53466 del 5 febbraio 2009 con il quale è stato negato il Piano di Risanamento acustico;
- della nota del Comune di Venezia prot. n. 511284 del 2 dicembre 2008;
- della relazione Arpav prot. n. 166/RU/08 del 1 dicembre 2008;
- della relazione Arpav prot. n. 189/RU/08 dell’8 gennaio 2009;
- dei rapporti Arpav del 18 maggio 2007 n. 93/RU/08 e 1 luglio 2008 n. 93/RU/08 ed atti connessi.


Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Venezia;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.R.P.A.V.;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2009 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


La Società ricorrente, che è un’impresa di costruzioni navali con stabilimento sito a Pellestrina, per la propria attività utilizza, con una concessione demaniale, gli specchi acquei lagunari ed i terreni demaniali prospicienti all’opificio.

Le aree del cantiere sono ricomprese dal piano regolatore comunale in zona territoriale omogenea industriale di tipo D, e dal piano di zonizzazione acustica in classe V (aree prevalentemente industriali).

Le contigue aree residenziali sono invece ricomprese in classe III (aree di tipo misto).

Il lato sud dello specchio acqueo in concessione, il più vicino a delle abitazioni private che si affacciano sulla laguna, per alcuni periodi dell’anno è occupato da lavorazioni rumorose che hanno indotto l’amministrazione comunale nel tempo ad intervenire per ridurre l’impatto acustico delle lavorazioni del cantiere.

Con ordinanza sindacale contingibile ed urgente del 19 novembre 2008, n. 868, adottata sulla scorta delle misurazioni effettuate dall’Arpav e di un parere sui rischi sanitari reso dall’Azienda sanitaria, il Comune di Venezia ha ingiunto l’immediata inibitoria dell’attività svolta nello spazio acqueo contiguo alle abitazioni per un periodo di 90 giorni e fino all’approvazione da parte degli enti competenti della documentazione attestante l’esecuzione di interventi idonei a ricondurre la rumorosità entro i limiti di legge.

Con il ricorso originario tale provvedimento è impugnato per le seguenti censure:

I) incompetenza e violazione dell’art. 9 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, perché non spetterebbe al Comune ma allo Stato inibire un’attività rumorosa proveniente da un’area oggetto di concessione sul demanio statale e, in via subordinata, competerebbe in ogni caso al dirigente e non al Sindaco;

II) difetto di istruttoria e motivazione, omessa valutazione dell’apporto procedimentale della Società ricorrente, perplessità e violazione dell’art. 97 della Costituzione, perché l’Amministrazione non avrebbe considerato il piano di risanamento acustico redatto dalla ditta e trasmesso al Comune il 12 novembre 2008;

III) violazione dell’art. 2, comma 3, lett. b), della legge 26 ottobre 1995, n. 447 e dell’art. 4 del DPCM 14 novembre 1997 e del DM 16 marzo 1998, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento e illogicità, per l’inattendibilità delle rilevazioni dell’Arpav in difetto di una recente misurazione del rumore residuo, e per la genericità dei contenuti del parere dell’Azienda sanitaria;

IV) violazione dell’art. 9 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, difetto di istruttoria, di motivazione, contraddittorietà e illogicità per la mancata evidenziazione di eccezionali, urgenti e motivate necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente e il difetto dei presupposti di contingibilità ed urgenza;

V) violazione dell’art. 2, comma 1, lett. g), 4 e 7 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, dei principi di proporzionalità ed adeguatezza e illogicità, perché la condizione urbanistica delle aree e la loro classificazione acustica, che prevede un salto di classe, avrebbe imposto la redazione di un piano di risanamento acustico.

Con decreto monocratico, emesso inaudita altera parte, n. 945 del 27 novembre 2008, è stata interinalmente accolta la domanda cautelare, cui la Società ricorrente vi ha invece rinunciato alla Camera di consiglio del 10 dicembre 2008, perché erano nel frattempo terminate le lavorazioni rumorose svolte nell’area oggetto dell’inibitoria comunale impugnata.

Successivamente il Magistrato alle acque di Venezia ha sospeso la parte della concessione demaniale individuata dall’inibitoria del Comune per il periodo di validità della stessa.

Tale provvedimento è impugnato con motivi aggiunti per le censure di illegittimità derivata, nonché i vizi propri di illogicità e violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, lamentando che illegittimamente non è stato considerato che la concessione riguarda un’area non necessariamente adibita alle lavorazioni rumorose vietate dal provvedimento del Comune.

Con ulteriori motivi aggiunti è impugnato, unitamente ai diversi atti endoprocedimentali, il provvedimento prot. n. 53466 del 5 febbraio 2009, con il quale il Comune di Venezia ha respinto il piano di risanamento acustico presentato dalla Società ricorrente per le seguenti censure:

I) violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, del principio del giusto procedimento e del contraddittorio;

II) violazione dell’art. 7 della legge 26 ottobre 1995, n. 447 e dell’art. 5 della legge regionale 10 maggio 1999, n. 21, incompetenza e difetto di motivazione perché l’approvazione del piano di risanamento è di competenza del Consiglio comunale;

III) violazione degli artt. 4, 6 e 7 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, violazione dei principi di indefettibilità e continuità, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione del principio di leale collaborazione e dei principi di proporzionalità ed adeguatezza per la mancanza della specifica indicazione da parte del Comune degli elementi del piano di risanamento presentato ritenuti mancanti o insufficienti;

IV) difetto di istruttoria e motivazione, violazione del principio del giusto procedimento e perplessità dell’azione amministrativa per la mancata disponibilità del Comune e dell’Arpav di predisporre un piano di risanamento acustico in contraddittorio e condiviso.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Venezia e l’Arpav concludendo per la reiezione del ricorso originario e dei motivi aggiunti.

Alla pubblica udienza del 2 luglio 2009, la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO


1. La Società ricorrente, che è un’impresa di costruzioni navali, svolge la propria attività nel proprio stabilimento di Pellestrina.

Per alcuni mesi all’anno nello svolgimento dell’attività cantieristica per terminare l’allestimento delle navi in fabbricazione occupa uno specchio d’acqua che le è dato in concessione situato a poche decine di metri da delle abitazioni, in tal modo esposte ad un intenso inquinamento acustico.

Il piano di classificazione acustica ricomprende il cantiere in classe V (aree prevalentemente industriali), e le contigue abitazioni in classe III (aree miste).

Nel corso degli anni l’Arpav ha eseguito accertamenti fonometrici dai quali è emerso il superamento dei limiti differenziali, e il Comune è intervenuto per riportare il rumore entro i limiti di legge.

Nei mesi di ottobre e novembre 2008 si è svolta una conferenza di servizi alla quale hanno partecipato la ditta e gli Enti coinvolti al fine di individuare eventuali misure di mitigazione.

Il Sindaco del Comune di Venezia con ordinanza contingibile ed urgente del 19 novembre 2008, acquisito il parere dell’Azienda sanitaria, ha inibito per 90 giorni e fino all’approvazione di un piano di rientro del rumore nei limiti di legge, l’utilizzo di una parte dello specchio d’acqua dato in concessione ritenendo sussistente un pericolo grave ed imminente per la salute pubblica.

2. Con il primo motivo del ricorso originario tale provvedimento è impugnato per incompetenza sotto due profili.

In primo luogo perché il provvedimento non rientrerebbe nella competenza del Comune ma dell’Amministrazione statale, in quanto l’inquinamento acustico proviene da un’area demaniale dello Stato, e in secondo luogo, che anche a voler ammettere la competenza del Comune, avrebbe dovuto essere adottata dal dirigente e non dal Sindaco.

Le doglianze sono infondate.

L’art. 9 della legge n. 447 del 1995 dispone che “qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della Giunta regionale, il prefetto, il Ministro dell'ambiente, secondo quanto previsto dall'art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, e il Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'ambito delle rispettive competenze, con provvedimento motivato, possono ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività. Nel caso di servizi pubblici essenziali, tale facoltà è riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei Ministri”.

Tale norma non detta espressamente un criterio di riparto delle competenze tra i diversi enti che menziona.

La tesi della ricorrente secondo cui la competenza ad adottare tali provvedimenti dipenderebbe dall’appartenenza comunale o statale dei beni dai quali proviene la fonte rumorosa non è condivisibile, perché ad un siffatto criterio non fa riferimento nessuna norma e l’esistenza di un bene pubblico quale fonte del disturbo è un’eventualità del tutto occasionale, dovendosi configurare nella maggior parte dei casi una provenienza da beni privati.

Poiché la norma citata configura un potere sostanzialmente analogo a quello attribuito al Sindaco dal Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267 agli articoli 50 e 54, sembra congruo applicare in via residuale il criterio di riparto dettato dai commi 5 e 6 dell’art. 50 del Dlgs. n. 267 del 2000, e pertanto la competenza deve essere ricondotta in capo al Sindaco in caso di situazioni, come quella all’esame, di carattere esclusivamente locale, ferma restando la competenza degli altri enti menzionati dall’art. 9 della legge n. 447 del 1995 in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali di carattere sovracomunale.

Non è invece configurabile l’invocata competenza del dirigente comunale, in quanto, nel caso di specie, l’ordinanza impugnata è stata emessa ai sensi dell’art. 9 della legge n. 447 del 1995.

La censura di cui al primo motivo deve pertanto essere respinta.

3. Sono invece fondate e meritevoli di accoglimento le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancanza di un termine di efficacia alla sospensione dell’attività, di cui al quarto motivo di ricorso, e quelle ulteriori contenute nell’ambito del secondo e terzo motivo, con cui si lamenta l’illegittima mancata considerazione dei contenuti del piano di risanamento e la genericità del parere espresso dall’Azienda sanitaria.

Infatti il provvedimento impugnato non indica elementi a cui, nello specifico contesto e alla luce delle contestazioni formulate dalla ricorrente, possa attribuirsi la consistenza di quelle eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute o dell’ambiente che per l’art. 9 della legge n. 447 del 1995, costituiscono il presupposto dell’inibitoria parziale o totale dell’attività economica.

La stessa ordinanza riconosce che l’inquinamento acustico ha carattere “storico”. Ritiene tuttavia di giustificare l’urgenza affermando che in precedenza erano già state attivate, senza esito utile, iniziative volte ad ottenere il rispetto dei limiti differenziali, che mancano mezzi alternativi per intervenire sulla situazione, e che esistono rischi per la salute attestati dal parere dell’Azienda sanitaria acquisito al procedimento.

Deve tuttavia rilevarsi:

- che non sono indicati gli estremi delle precedenti iniziative che la ricorrente afferma essersi limitate all’irrogazione, nel 2007, di una sanzione amministrativa per superamento dei limiti acustici;

- che il fenomeno dell’inquinamento acustico riguarda i limiti differenziali e non quelli assoluti;

- che il parere dell’Azienda sanitaria non indica l’esistenza di specifici rischi che rendano nella situazione concreta attuale il pericolo di danni alla salute, ma si limita a indicare quali siano da un punto di vista generale i rischi sanitari connessi all’esposizione a livelli di rumore eccessivi;

- che prima dell’adozione dell’ordinanza impugnata non sono stati esaminati, neppure nella conferenza di servizi convocata a questo scopo, i contenuti del piano di risanamento acustico presentato dalla ricorrente;

- che l’ordinanza non inibisce l’attività per soli 90 giorni, ma rimane efficace sino a quando il Comune stesso non abbia approvato gli interventi comprovanti l’effettivo rientro nei limiti di legge, mirando in tal modo ad una soluzione, non solo temporanea, delle problematiche connesse all’inquinamento acustico.

Non è pertanto possibile ravvisare nel caso di specie i presupposti di contingibilità ed urgenza a tutela della salute pubblica che costituiscono i caratteri tipici del potere esercitato.

In ragione di tali censure, che assumono carattere assorbente, deve essere conseguentemente annullata l’ordinanza prot. n. 493285 del 19 novembre 2008, n. 868, e il provvedimento del Magistrato alle Acque prot. n. 14005 del 27 novembre 2008, con il quale è stata sospesa parte della concessione demaniale, quale conseguenza del provvedimento comunale.

4. Parimenti fondate sono le censure di cui al terzo e quarto dei secondi motivi aggiunti con cui è impugnato il diniego di dar corso alla procedura di approvazione del piano di risanamento acustico presentato dalla Società ricorrente, per l’omessa specifica indicazione da parte del Comune degli elementi ritenuti mancanti o insufficienti e la sostanziale indisponibilità manifestata in tal modo dal Comune a predisporre un piano di risanamento acustico condiviso.

L’art. 7 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, demanda al piano di risanamento acustico il compito di ridurre lo stato di inquinamento nelle aree caratterizzate da maggiore criticità, ovvero quelle in cui la differenza fra il rumore della zona e il limite acustico previsto dalla pianificazione comunale è elevata.

L’art. 4, comma 1, lett. a), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, prevede un divieto di contatto diretto di aree quando tali valori si discostano in misura superiore a 5 dBA di livello sonoro, mentre, nel caso in cui nell'individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d'uso - che è ciò che prevede nel caso all’esame la classificazione acustica del Comune che ha ricompreso le aree del cantiere in classe V, e quelle contigue residenziali in classe III - il Comune deve provvedere all’adozione di un piano di risanamento acustico.

Il piano di risanamento acustico deve tra l’altro individuare i soggetti a cui competono gli interventi stimando gli oneri finanziari e i mezzi necessari (cfr. l’art. 7, comma 2, lett. b, d).

L’art. 15 della legge, nel dettare la disciplina transitoria rispetto alla precedente prevista dal DPCM 1 marzo 1991, assegna alle imprese interessate, ai fini dell’adeguamento ai limiti fissati, un termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

Dall’insieme di tali norme risulta pertanto che le molteplici iniziative volte alla rimozione delle situazioni di criticità determinate dalla storicità degli insediamenti, è demandata all’azione concertata dei diversi soggetti coinvolti cui devono concorrere le istituzioni, le attività produttive da cui provengono le emissioni sonore e gli stessi cittadini con interventi diretti sui ricettori sensibili.

Pertanto a fronte della presentazione di un piano di risanamento da parte di un’impresa illegittimamente il Comune si limita al passivo rifiuto di dar corso alla procedura di approvazione senza indicare in modo propositivo, completo e puntuale gli elementi giudicati non idonei o mancanti al fine del raggiungimento dei risultati attesi, e le opere e i rimedi specifici ritenuti necessari per il contenimento del rumore, che è quanto accaduto nel caso all’esame.

4.1 Dalla documentazione versata in atti risulta infatti che la Società ricorrente ha presentato un primo piano di risanamento con una nota del 12 novembre 2008.

Il Comune, senza entrare nel merito del piano presentato, ha emanato l’ordinanza del 19 novembre 2008, impugnata con il ricorso originario, che ha inibito parzialmente l’esercizio dell’attività.

Successivamente il Comune ha comunicato, con nota del 2 dicembre 2008, l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento del piano, osservando che le misure di mitigazione non sembravano supportate da un’adeguata analisi della rumorosità prodotta dalle singole attività e da una stima attendibile dei livelli sonori raggiungibili presso i ricettori, e che riteneva necessarie delle integrazioni consistenti nell’indicazione dettagliata dei singoli interventi di abbattimento.

Ne è seguita la presentazione di una relazione illustrativa dei rilievi fonometrici condotti in ambito esterno, essendo la ricorrente impossibilitata a procedere a misurazioni presso le abitazioni private stante il mancato consenso, a tal fine, dei proprietari.

A fronte di tali osservazioni il diniego è stato motivato dalla ritenuta carente valutazione dei precisi livelli sonori presso le abitazioni, e perché il piano si fonda anche su misure di mitigazione attiva riferite alle modalità di svolgimento delle lavorazioni che nei fatti, a giudizio del Comune che ha recepito sul punto il laconico parere dell’Arpav, avrebbero potuto non essere rispettate dai lavoratori con l’effetto di ripetere condizioni analoghe a quelle già riscontrate in passato.

E’ mancata invece l’indicazione delle misure ritenute idonee ad ovviare alla riscontrata situazione di inquinamento acustico.

Pertanto, così come dedotto con il terzo e il quarto dei motivi aggiunti, poiché il Comune in tal modo è venuto meno all’obbligo sullo stesso incombente di articolare puntualmente, in un leale contraddittorio con il privato, le ragioni della pretesa insufficienza delle misure attive o passive proposte e non ha concorso all’individuazione degli accorgimenti ulteriori rispetto a quelli proposti per l’abbattimento dei rumori, il diniego del 5 febbraio 2009 deve essere annullato.

In definitiva, dichiarata inammissibile per carenza di interesse l’impugnazione degli atti endoprocedimentali indicati in epigrafe, devono essere annullati l’ordinanza sindacale prot. n. 493285 del 19 novembre 2008, n. 868 che ha parzialmente inibito l’esercizio dell’attività, il provvedimento del Magistrato alle Acque prot. n. 14005 del 27 novembre 2008 che ha sospeso la concessione demaniale, e il provvedimento del Comune di Venezia prot. n. 53466 del 5 febbraio 2009 che ha rifiutato di dar corso alla procedura di approvazione del piano di risanamento.

Nonostante l’esito del ricorso, le spese, in considerazione della peculiarità della controversia e della natura degli interessi coinvolti, possono essere integralmente compensate tra le parti del giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e relativi motivi aggiunti, lo dichiara in parte inammissibile nel senso precisato in motivazione e in parte lo accoglie e, per l’effetto, annulla:
- l’ordinanza sindacale del 19 novembre 2008, n. 868, prot. n. 493285;
- il provvedimento del Magistrato alle Acque prot. n. 14005 del 27 novembre 2008;
- il provvedimento del Comune di Venezia prot. n. 53466 del 5 febbraio 2009.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Elvio Antonelli, Presidente FF
Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore
Marina Perrelli, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/10/2009