TAR Veneto Sez. III n. 549 del 29 giugno 2020
Rifiuti.Interventi di bonifica

Il fatto che la l. n. 426 del 1998 abbia individuato, come già precisato, una serie di aree industriali e ad alto rischio ambientale in cui effettuare i primi interventi di bonifica con il concorso finanziario dello Stato, non significa che ogni singolo terreno sia per ciò stesso inquinato, né che ogni industria inserita all’interno delle aree stesse sia tenuta a fare analisi ed accertamenti, predisporre progetti e programmi, per verificare l’eventuale inquinamento, in sostituzione della pubblica amministrazione, che, a tal fine, ha tutti i mezzi ed i poteri.

Pubblicato il 29/06/2020

N. 00549/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01980/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1980 del 2011, proposto da
Ecodomus S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Acerboni e Paolo Mestrovich, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Mestre-Venezia, via Torino, 125;

contro

Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, Arpav Padova non costituiti in giudizio;
Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicoletta Ongaro e Giulio Gidoni, domiciliato presso l’Avvocatura civica, in Venezia, S. Marco, 4091;
Ministero dell'Ambiente, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Venezia, piazza S. Marco, 63;

nei confronti

Syndial S.p.A. non costituito in giudizio;

per l'annullamento

-del verbale della Conferenza di Servizi decisoria del 27 giugno 2011, del decreto direttoriale concernente il provvedimento finale di adozione delle determinazioni conclusive della Conferenza di Servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale "Venezia (Porto Marghera)" del 27.06.2011, prot. 1755/TRI/DI/B del 5 settembre 2011, della relativa lettera di trasmissione, il tutto notificato alla ricorrente il 14 settembre 2011;

nonché di ogni atto antecedente o susseguente noto o non noto connesso o collegato ai provvedimenti in questione;

e per la condanna:

1) al risarcimento del danno nei confronti dei Ministeri che hanno adottato gli atti impugnati

2) al risarcimento del danno nei confronti del Comune, sia per il caso di annullamento, sia per il caso di mancato annullamento degli atti impugnati.

in subordine:

accertarsi e dichiararsi la risoluzione per inadempimento e/o per impossibilità originaria o sopravvenuta della prestazione degli atti di cessione del diritto di superficie 13.7.1998 e 16.7.2001 per la parte di competenze di Ecodomus con ogni conseguenza in punto di risarcimento del danno e di restituzioni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Venezia e del Ministero dell'Ambiente;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 giugno 2020 il dott. Paolo Nasini, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020 ss.mm.ii.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Comune di Venezia, all'inizio degli anni '80, ha deliberato l’approvazione del P.I.P. di Ca'Emiliani per favorire lo sviluppo e l'insediamento delle imprese artigiane in un'area non urbanizzata, utilizzata a scopi agricoli, ma vicina all'area del Petrolchimico di Porto Marghera.

A seguito della costituzione della società Cooperativa fra Imprese Artigiane di Via Fratelli Bandiera Soc. Coop. a.r.l., alla stessa è stata assegnata in diritto di superficie, in forza di contratto datato 13.7.1998, n. 54650 rep, un’ampia area del P.I.P. predetto, comprensiva, per quanto in questa sede di interesse, dell'appezzamento di terreno sito in Venezia — Chirignago, via Lazzarini, contraddistinto in catasto terreni: Comune di Venezia, foglio 12, partita 7236, map. 1531-seminativo-di aree 17.10.

In data 9 dicembre 1998 è stata approvata la legge n. 426, con la quale il legislatore ha assunto un impegno di spesa per assicurare il concorso finanziario pubblico nel trattamento dei siti inquinati, individuando una serie di aree industriali e siti ad alto rischio ambientale sui quali effettuare primi interventi di bonifica in forza di un programma nazionale di bonifica, includendo tra essi Venezia-Porto Marghera.

Con d.m. 23.2.2000 del Ministero dell’Ambiente, in particolare, l’area, sulla quale sorge il terreno di proprietà comunale sopra individuato ed oggetto di causa, è stata ricompresa nella perimetrazione del sito di bonifica di Interesse Nazionale (S.I.N.) “Venezia-Porto Marghera”: per effetto di tale decreto, quindi, tutte le aree ricomprese all’interno della perimetrazione sono state sottoposte all’obbligo di caratterizzazione/bonifica.

La società cooperativa più sopra ricordata, ha, quindi, ceduto il predetto diritto di superficie, relativamente all’immobile indicato in modo specifico più sopra, alla società Ecodomus S.r.l. (d’ora in poi Ecodomus) con contratto di compravendita del 16 luglio 2001.

Con d.m. 18 settembre 2001 n. 468, il Ministero dell'Ambiente ha approvato il regolamento recante il programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale e ha identificato il perimetro del sito di interesse nazionale (SIN) di Venezia — Porto Marghera per gli interventi di cui all'art. 1, l. n. 426 del 1998.

Tutta l'area del P.I.P. Ca' Emiliani compreso il terreno oggetto del diritto in superficie acquisito da Ecodomus, trovandosi nelle vicinanze dell'area del Petrolchimico di Porto Marghera, è stata inclusa nel SIN.

Ecodomus, con domanda prot. 018054 del 10.3.2008, ha richiesto il rilascio del permesso di costruire al fine di procedere alla realizzazione di un nuovo edificio sul terreno in questione.

Con provvedimento datato 26.1.2011, prot. n. 204/36535, il Comune di Venezia ha comunicato i motivi ostativi all’accoglimento ex art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, adducendo problematiche sia di tipo urbanistico-edilizio, sia di natura ambientale, queste ultime legate al fatto che il Ministero dell’Ambiente aveva diffidato <<l’azienda dal realizzare qualsiasi intervento che interferisca con le matrici ambientali (..) potenzialmente contaminate e/o contaminate fino all’approvazione dei progetti di bonifica delle acque di falda e dei suoli ove necessari>>, e che, quindi, era necessario acquisire la documentazione attestante la conclusione presso la competente Conferenza di Servizi Ministeriale, del procedimento ambientale gravante sull’area interessata dall’intervento edilizio. Ai motivi ostativi sono seguite le osservazioni di parte ricorrente in data 16.2.2011.

Va precisato che, già con nota 3.9.2009, cui è seguita la contestazione di Ecodomus con missiva del 11.9.2009, l’Avvocatura dello Stato, ritenendo che l’area presentasse “evidenti sintomi di contaminazione ambientale tali da richiederne la bonifica”, in attesa che fosse <<dimostrata la messa in sicurezza e la bonifica dell’area>>, e presupponendo che su di essa la ricorrente esercitasse la <<custodia>> ex art. 2051 c.c., aveva diffidato Ecodomus <<dal realizzare qualsiasi intervento edilizio-urbanistico sull’area in questione, la cui realizzazione è subordinata alla regolarizzazione dell’area dal punto di vista ambientale>>.

Con provvedimento prot. 1755/TRI/DI/B del 5 settembre 2011 il Direttore Generale della Direzione per la Tutela del Territorio ha, quindi, approvato tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza di Servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale "Venezia (Porto Marghera)" del 27.06.2011 e, in pari data, ha trasmesso il decreto e il verbale ricevuto dalla ricorrente il 14 settembre 2011. Nell’ambito di tale ultimo verbale, in particolare, presso atto dei risultati della caratterizzazione precedentemente eseguita dall’odierna ricorrente, è stato approvato il piano di caratterizzazione dell'area di "competenza" di Ecodomus, a condizione che fosse trasmesso un documento integrativo in ottemperanza a 26 specifiche prescrizioni.

In particolare, con i suddetti provvedimenti è stato imposto alla ricorrente di trasmettere il documento contenente i risultati delle indagini realizzate con le 26 prescrizioni e validate da ARPAV, il tutto entro 60 giorni dalla data di ricevimento del verbale, deliberando, altresì, che "a fronte del rinvenimento di contaminazione nei suoli e nelle acque di falda, l'azienda avrebbe dovuto attuare interventi di messa in sicurezza d'emergenza al fine di impedire la diffusione della contaminazione", in particolare:

a) la messa in sicurezza d'emergenza, "per la tutela igienico-sanitaria nei confronti dei soggetti che operano sull'area";

b) la messa in sicurezza e la bonifica delle acque di falda, "mediante lo sbarramento fisico della falda "sia nei terreni di riporto, sia negli strati permeabili sottostanti il "caranto"; <<deve essere avviata immediatamente, qualora siano presenti superamenti oltre 10 volte i limiti fissati; deve riguardare "la falda dell'intera area">>;

c) la bonifica dei suoli "qualora nel corso delle indagini di caratterizzazione integrative ... venissero rilevati superamenti nei suoli".

Quindi, Ecodomus è stata nuovamente diffidata dal realizzare qualsiasi intervento che interferisse con le matrici ambientali (suolo, sottosuolo, acque di falda) potenzialmente contaminate, con richiesta, altresì, di trasmissione del piano di caratterizzazione di altre aree di proprietà e/o in concessione alla ricorrente.

Avverso i provvedimenti suddetti e più analiticamente indicati in epigrafe, Ecodomus ha proposto impugnazione, con ricorso depositato in data 23.11.2011, chiedendone l’annullamento per le seguenti ragioni:

1) violazione di legge: violazione art. 1, l. n. 426 del 1998, artt. 1, 2, 3 e 21 septies, 1. n. 241 del 1990; nullità dell'atto; eccesso di potere, inammissibilità degli ordini di messa in sicurezza e di bonifica generalizzati ai privati nelle aree SIN, senza alcuna verifica delle responsabilità in ordine all'inquinamento: secondo parte ricorrente, i provvedimenti impugnati risulterebbero nulli o, comunque, annullabili in quanto le Amministrazioni coinvolte, confondendo l’ambito di applicazione della l. n. 426 del 1998 con quello di cui all’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997, oggi art. 242, d.lgs. n. 152 del 2006, hanno imposto a Ecodomus, pur non essendo questa proprietaria dell’immobile oggetto di provvedimento, ma mera titolare di diritto di superficie, obblighi che afferiscono all’ambito di applicazione della seconda delle due normative, senza che ne ricorrano i presupposti, in tal modo reiterando, nei contenuti (pur con riguardo a destinatari diversi), provvedimenti illegittimi che già in precedenza erano stati censurati e annullati dal Consiglio di Stato;

2) violazione artt. 240 e ss., d.lgs. n. 152 del 2006 (già art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997); eccesso di potere; violazione del principio "chi inquina paga"; in subordine, violazione degli artt. 244, 245, 246 e 252 d.lgs. n. 152 del 2006; omessa considerazione della natura e dei limiti del diritto di superficie quale diritto reale limitato, eccesso di potere e difetto di istruttoria; in via subordinata, violazione di legge, determinazione del Comune: secondo parte ricorrente, i provvedimenti impugnati sarebbero, altresì, illegittimi in quanto addebitano gli obblighi di messa in sicurezza e bonifica senza aver accertato in capo a Ecodomus la responsabilità dell’inquinamento, oltre al fatto che anche laddove si ritenesse il proprietario dell’immobile inquinato legittimato passivo a prescindere dalla responsabilità, ciò non varrebbe a giustificare le misure nei confronti della ricorrente essendo la stessa solo titolare di un diritto di superficie sul terreno in questione, il proprietario essendo il Comune di Venezia; in tal senso, quindi, l’intervento ordinato alla ricorrente con il provvedimento impugnato sarebbe estraneo all’ambito dei poteri propri del superficiario;

3. violazione di legge, violazione artt. 240 ss., d.lgs. n. 152 del 2006; eccesso di potere; insussistenza dei presupposti d'urgenza e/o disparità di trattamento nell'ambito della medesima urgenza: secondo parte ricorrente, l’invito da parte del Ministero ad avanzare una proposta transattiva parametrata ai criteri “già sperimentati per il sito di Porto Marghera e per i soggetti potenzialmente responsabili dell’inquinamento deve ritenersi ingiustificato in quanto non è stato dimostrato che Ecodomus sia responsabile dell’inquinamento che peraltro doveva ritenersi di minimo rilievo; inoltre, la tempistica delle attività di caratterizzazione richieste (60 gg e con 26 specifiche modalità condizionanti) sarebbe contraddittoria rispetto ai tempi tenuti dall’Amministrazione Statale posto che, costituita nel 2001 l’Area del “Sin”, ha atteso 10 anni per concludere l’istruttoria; si tratterebbero, poi, di adempimenti eccessivamente onerosi e da eseguire in tempi eccessivamente brevi; ancora, i provvedimenti impositivi di obblighi di messa in sicurezza e bonifica sarebbero illegittimi, perché contraddittori, nella parte in cui individuano, quale soggetto obbligato, solo Ecodomus, mera superficiaria, e non il Comune di Venezia, proprietario del terreno.

La società ricorrente, inoltre, ha formulato domande risarcitorie sia nei confronti delle Amministrazioni Statali che hanno concorso ad adottare i provvedimenti impugnati, sia nei confronti del Comune di Venezia.

In via subordinata, poi, nei confronti del Comune di Venezia, parte ricorrente ha chiesto che fosse dichiarata la risoluzione del contratto di compravendita, per grave inadempimento dell’Ente medesimo, poiché, non potendo essere eseguita, né tantomeno mantenuta, la costruzione progettata, e ciò per asserito fatto e colpa del Comune che aveva ceduto un terreno inquinato e non edificabile, con conseguente risolubilità del contratto per inadempimento del Comune e/o per impossibilità della prestazione, fattispecie da inquadrarsi, più specifica, nell’ambito del c.d. “aliud pro alio”, con ogni correlativa domanda restitutoria o risarcitoria che ci si riserva di chiedere o di meglio articolare in questo giudizio.

Si è costituito in giudizio il Comune di Venezia contestando la fondatezza del ricorso e chiedendo il rigetto dello stesso.

Con controricorso depositato in data 18.9.2018 il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare si è costituito in giudizio eccependo in particolare, la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso e chiedendo comunque la reiezione dello stesso.

Ecodomus e il Comune di Venezia hanno depositato memorie difensive.

Le medesime due parti in causa hanno, altresì, richiesto la riunione con il giudizio Rg. n. 519 del 2017, avente ad oggetto l’impugnazione del diniego di permesso di costruire richiesto da Ecodomus in relazione all’immobile oggetto del diritto di superficie in contestazione.

All’esito dell’udienza del 17 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 5, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare: in ordine all’istanza di riunione.

Al riguardo, il Collegio ritiene non necessaria, né opportuna, la riunione dei due giudizi, atteso che, pur trovando, le questioni in esame, origine in una vicenda unitaria, i due processi si caratterizzano per elementi di autonomia che ne consentono la decisione separata.

Sul punto, si rammenta l’insegnamento giurisprudenziale che il Collegio condivide secondo il quale <<nel processo amministrativo la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell' art. 70 c.p.a., con le conseguenze che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice; la riunione di ricorsi legati da vincoli di connessione soggettiva od oggettiva non è dunque mai obbligatoria e resta rimessa ad una valutazione di mera opportunità, afferente a ragioni di economia processuale, della loro trattazione congiunta>> (C. Stato, sez. IV, 13/06/2019, n. 3981).

2. In ordine all’eccezione di improcedibilità sollevata dal Ministero resistente.

Il Ministero dell’Ambiente, costituendosi in giudizio, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso a causa della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

Al riguardo, risulta documentalmente che, a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 24 aprile del 2013 (pubblicato in G.U. n. 111 del 14 maggio 2013), concernente la ridefinizione del perimetro del S.I.N. di Venezia Porto Marghera, l’area oggetto del presente giudizio non risulta più compresa all’interno del suddetto perimetro.

Il decreto predetto è stato adottato a seguito della delibera della Giunta regionale n. 58 del 21 gennaio 2013, la quale ha proposto la ridefinizione del perimetro del Sito di Interesse Nazionale (Sin) di Venezia-Porto Marghera, rilevando che, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 36 bis, comma 1, l. n. 134 del 7.8.2012, è conseguito <<un mutamento del criterio da utilizzare per la riperimetrazione, che non può quindi più basarsi esclusivamente sul grado di contaminazione delle matrici ambientali, ma che deve tenere in considerazione la presenza storica di insediamenti produttivi inquinanti. Nel caso di specie è quindi necessario considerare che talune aree - c.d. aree "agricole", "verdi", "residenziali" e "commerciali" - attualmente incluse nel S.I.N., sono estranee rispetto all'esercizio delle attività industriali che hanno costituito la matrice principale della contaminazione. Alla luce dei nuovi criteri introdotti dall'art. 36 bis della l. n. 134/2012, si ritiene di procedere alla esclusione di tali zone dal perimetro del Sito di Interesse Nazionale>>.

In conseguenza di quanto sopra, da un lato, è venuta meno in capo al Ministero la titolarità del potere di adottare provvedimenti inerenti la bonifica e messa in sicurezza di tali aree, dall’altro lato, deve ritenersi che abbiano perso definitivamente efficacia i provvedimenti già emanati in precedenza dalle Amministrazioni statali, come quelli oggetto di contestazione.

In questo senso, si richiama quanto già espresso dall’intestato TAR ovvero che <<a seguito della riperimetrazione avvenuta con D.M. del 24 aprile 2013, l’area di proprietà della ricorrente non ricade più all’interno del S.I.N. di Venezia-Porto Marghera, nessun interesse può ancora sussistere alla decisione del presente ricorso (proposto avverso un provvedimento del M.A.T.T.M.), dal momento che l’art. 2 del citato D.M. 24 aprile 2013 prevede ora, per le aree non più ricomprese all’interno del S.I.N., l’esclusiva competenza della Regione Veneto (“Restano di competenza della Regione del Veneto le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di territorio già compreso nella perimetrazione del sito di bonifica di interesse nazionale “Venezia (Porto Marghera)”, che, a seguito del presente decreto, non è più incluso nella nuova perimetrazione di cui all’art.1”). Pertanto il provvedimento impugnato, adottato dal Ministero dell’Ambiente sulla base del precedente D.M. del 23.02.2000 (che ricomprendeva l’area di proprietà della ricorrente all’interno del S.I.N. e che, su tale presupposto, imponeva alla ricorrente numerose prescrizioni per la bonifica e messa in sicurezza dell’area in questione), seppur ancora non formalmente annullato in autotutela dal Ministero dell’Ambiente, è divenuto comunque inefficace, a seguito della entrata in vigore del D.M. 24.04.2013, non potendo più il suddetto Ministero imporre prescrizioni di bonifica per aree esterne al Sito di Interesse Nazionale, essendo ora di competenza della Regione Veneto l’esercizio delle operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle suddette aree>>.

Pur a fronte dell’intervenuta inefficacia dei provvedimenti in questa sede impugnati, non può dirsi venuto meno l’interesse ad accertare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati e ciò non solo ai fini risarcitori, ma anche impugnatori, in relazione agli effetti medio tempore prodotti dal provvedimento impugnato (dal 2011 al 2013), posto che l’annullamento richiesto da parte ricorrente ha efficacia retroattiva, mentre la modifica operata dal d.m. 24 aprile 2013 ha effetto solo a partire dall’entrata in vigore del decreto stesso.

Pertanto l’eccezione di improcedibilità del ricorso deve essere respinta.

3. Nel merito.

3.1. In ordine alla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati e a quella risarcitoria conseguenziale formulata nei confronti delle Amministrazioni statali.

Per quanto concerne l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, i motivi dedotti da parte ricorrente possono essere esaminati unitariamente.

In primo luogo, occorre sottolineare come il Consiglio di Stato con il parere n. 5357 del 2008 reso nell’ambito di un giudizio azionato a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato, avente ad oggetto provvedimenti di similare contenuto rispetto a quelli per i quali è causa, ha affermato, in relazione all’interpretazione e applicazione della l. n. 426 del 1998, che <<tale legge ha elencato una serie di aree industriali e di siti ad alto rischio ambientale, talvolta città intere, nei quali effettuare primi interventi di bonifica con il concorso finanziario dello Stato, il quale appunto finanzia progetti di bonifica. Ciò non significa che ogni singolo terreno di quelle aree, per esempio di Brindisi o di Taranto, sia per ciò stesso inquinato, né che ogni abitante di quelle città possa essere obbligato a fare analisi e accertamenti - in sostituzione della pubblica amministrazione - e a redigere progetti e programmi per stabilire se il suo terreno sia inquinato. È ovvio che anche in quelle aree, come in tutto il resto del territorio nazionale, si applica l’articolo 17 sopra citato, quando ne sussistono i presupposti; per accertare i quali la pubblica amministrazione ha tutti i mezzi e i poteri. L’amministrazione, per quanto riguarda Porto Marghera, ha confuso le due normative, e ha posto in essere una macchinosissima procedura, che si protrae da anni, facendo obbligo ai soggetti - verosimilmente solo alle imprese produttive - insediati in quelle aree e che non hanno presentato nessuna richiesta di finanziamento e nessun progetto di bonifica da finanziare, di porre in essere continui, complessi e onerosi accertamenti e adempimenti diretti a individuare siti inquinati>>.

Parimenti, il Consiglio di Stato, nel diverso parere n. 4913 del 12.11.2020, anch’esso reso in controversia similare a quella sopra ricordata, ha dato conto del fatto che, con riferimento al comma 3, art. 1, l. n. 426 del 1998, <<per la realizzazione degli interventi di cui al comma 1 e per l’utilizzazione delle relative risorse finanziarie il Ministero dell'ambiente adotta, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, un programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, che individua gli interventi di interesse nazionale, gli interventi prioritari, i soggetti beneficiari, i criteri di finanziamento dei singoli interventi e le modalità di trasferimento delle relative risorse. Il programma tiene conto dei limiti di accettabilità, delle procedure di riferimento e dei criteri definiti dal decreto ministeriale di cui all’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni>>.

Il Consiglio di Stato ha nuovamente sottolineato che, il fatto che la l. n. 426 del 1998 abbia individuato, come già precisato, una serie di aree industriali e ad alto rischio ambientale in cui effettuare i primi interventi di bonifica con il concorso finanziario dello Stato, <<non significa che ogni singolo terreno sia per ciò stesso inquinato, né che ogni industria inserita all’interno delle aree stesse sia tenuta a fare analisi ed accertamenti, predisporre progetti e programmi, per verificare l’eventuale inquinamento, in sostituzione della pubblica amministrazione, che, a tal fine, ha tutti i mezzi ed i poteri. Per la zona di Porto Marghera “l’amministrazione ha confuso le due normative” (quella della legge n. 426 del 1996 e l’ordine di bonifica previsto dall’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22), “ed ha posto in essere una macchinosa procedura, che si protrae da anni, facendo obbligo ai soggetti insediati in quelle aree e che non hanno presentato nessuna richiesta di finanziamento e nessun progetto di bonifica da finanziare, di porre in essere continui, complessi e onerosi accertamenti e adempimenti diretti ad individuare siti inquinati” (così il parere n. 200800482 del 2 luglio 2008)>>.

Le sopra richiamate argomentazioni del Consiglio di Stato afferiscono, come accennato, a situazioni nelle quali le Amministrazioni Statali, a seguito di Conferenza di servizi decisoria inerente il SIN di Porto Marghera, avevano adottato ordini di caratterizzazione del terreno del tutto analoghi a quelli imposti alla ricorrente, ancorché relativi a differenti destinatari.

Alla luce dei principi affermati dal Consiglio di Stato, che il Collegio condivide, i provvedimenti impugnati nel presente giudizio devono ritenersi illegittimi, posto che l’Amministrazione Statale, pur nell’ambito di una Conferenza di Servizi tenuta ai sensi della l. n 426 del 1998 ss.mm.ii., ha adottato specifiche misure esulanti le finalità, i presupposti e i limiti applicativi della normativa speciale medesima, da un lato, in quanto si rivolgono a Ecodomus che non risulta aver presentato alcuna richiesta di finanziamento o progetto di bonifica da finanziare, dall’altro lato, integrando fattispecie in realtà riconducibili alla disciplina recata dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Titolo V artt. 239-253) che ha sostituito, abrogandolo, il decreto del 5 febbraio 1997 n. 22 (c.d. Decreto Ronchi).

A questo proposito, d’altronde, la normativa in questione viene interpretata, condivisibilmente, nel senso che <<il responsabile dell'inquinamento è il soggetto sul quale gravano, ai sensi dell'art. 242, d.lgs. n. 152 del 2006, gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione; il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l'adozione delle misure di prevenzione di cui all'art. 242>> (C. Stato, sez. IV, 18/12/2018, n. 7121); <<il soggetto proprietario che non ha prodotto né autonomamente né in concorso l'inquinamento del sito non risponde degli oneri di bonifica per il solo fatto d'essere proprietario ma sussiste in capo allo stesso una responsabilità di natura patrimoniale limitatamente al valore del sito a seguito degli interventi di ripristino posti in essere dall'Autorità competente>> (C. Stato, sez. VI, 25/01/2018, n. 502).

Nel caso di specie, d’altronde, da un lato, occorre rilevare che i provvedimenti impugnati non si limitano ad individuare misure meramente preventive e precauzionali, imponendo, al contrario, anche attività di bonifica, senza che sia stata accertata in capo alla società ricorrente alcuna forma di responsabilità, autonoma o, quantomeno, concorrente, in ordine alla determinazione dell’inquinamento ambientale del sito; all’altro lato, quand’anche si volesse limitare l’analisi alle misure precauzionali e preventive ricomprese nell’elenco delle prescrizioni imposte a Ecodomus, viene in rilievo l’assorbente argomento per cui la società non era, e tuttora non è, né proprietaria del terreno (essendo tale, come detto, il Comune di Venezia), né, quantomeno, “proprietaria superficiaria”, perché l’edificio che la stessa intendeva costruire non è stato ancora realizzato.

La società ricorrente, in tal senso, è meramente titolare di un diritto di superficie in relazione al quale ha sì la facoltà di costruire e mantenere sul terreno l’edificio, ma fintantoché tale diritto non viene esercitato con conseguente realizzazione della costruzione di proprietà non può dirsi sussistere una situazione, quantomeno, di detenzione o “custodia” dell’immobile in capo alla ricorrente, utile ai fini dell’adozione anche solo preventiva dei provvedimenti di natura e finalità ambientale.

La ricorrente era ed è titolare del diritto (cui corrisponde un obbligo di soggezione da parte del nudo proprietario) non di utilizzo in senso generale del terreno (che costituirebbe il contenuto di un diverso diritto reale minore di uso o di usufrutto), ma di costruire un edificio, sul quale soltanto, una volta realizzato, potrà ritenersi sussistente una situazione di possesso o quantomeno detenzione in senso proprio.

Da quanto sopra, deve ritenersi accertata l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, che, devono essere, quindi, annullati.

Con riferimento alla domanda risarcitoria formulata da parte ricorrente, essa concerne una responsabilità dell’Amministrazione da atto illegittimo, lesivo di un interesse oppositivo, quale quello di Ecodomus a non essere indebitamente sottoposta a prescrizioni impositive e impeditive dell’esercizio di facoltà riconosciute dall’ordinamento.

Si tratta, in questo senso, quindi, di una tipologia di responsabilità che certamente deve essere sussunta nell’ambito della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (anche solo quoad disciplina, laddove si intenda accedere alla teoria della “responsabilità sui generis”), posto che l’Amministrazione agisce incidendo ab externo sulla sfera giuridica di un soggetto (Ecodomus) che non vanta una pretesa “positiva” nei confronti dell’Amministrazione Statale per la soddisfazione di un proprio interesse pretensivo.

Al riguardo, va richiamato l’insegnamento secondo il quale <<perché sia configurabile la responsabilità della Pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo sono necessari: a) l'elemento oggettivo; b) l'elemento soggettivo; c) il nesso di causalità materiale o strutturale; d) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata>> (C. Stato, sez. III, 29/01/2020, n. 732).

Per quanto concerne il presupposto oggettivo della responsabilità, alla luce di quanto sopra detto, lo stesso deve ritenersi accertato, attesa l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.

Con riguardo all’elemento soggettivo, occorre rammentare l’insegnamento secondo il quale <<ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l'illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell'Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione; con specifico riferimento all'elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione; pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto>> (C. Stato, sez. IV, 04/02/2020, n. 909); <<in caso di acclarata illegittimità di un atto amministrativo asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell'elemento soggettivo della fattispecie; egli può, infatti, limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto, dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell'elemento soggettivo della responsabilità, alle regole della comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727 c.c., mentre spetta alla Pubblica amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile; la presunzione di colpa dell'amministrazione può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l'imperizia, cioè l'aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell'assunzione del provvedimento viziato, mentre deve essere negata la responsabilità quando l'indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto>> (C. Stato, sez. IV, 12/04/2018, n.2197).

Nel caso di specie, oltre alla evidente illegittimità dei provvedimenti impugnati, come sopra esposto, viene in rilievo, a dimostrazione della colpa dell’Amministrazione statale, il fatto che, da un lato, tanto la disciplina normativa che la giurisprudenza formatasi in merito erano chiare nel negare la possibilità di adozione di provvedimenti, quali quelli impugnati, per mancanza dei presupposti applicativi di cui sia alla l. 426 del 1998, che al d.lgs. n. 152 del 2006; dall’altro lato, la ricorrente non era, e non è, né proprietaria del terreno, né, quantomeno, proprietaria superficiaria, ma esclusivamente titolare di un mero diritto di superficie non ancora pienamente esercitato, sicchè in alcun modo Ecodomus avrebbe potuto essere individuata come destinataria di obblighi di ripristino o messa in sicurezza, anche solo in via provvisoria e precauzionale, a fini ambientali.

Pertanto, deve ritenersi sussistere anche l’elemento soggettivo della responsabilità.

Sussiste, altresì, il c.d. nesso di “causalità materiale” in quanto il provvedimento illegittimo ha certamente leso l’interesse oppositivo vantato dalla ricorrente.

Venendo, ora, ai c.d. danni conseguenza dedotti e, quindi, anche all’accertamento del relativo “nesso di causalità giuridica”, va rammentato che, in sede di ricorso, Ecodomus ha chiesto la rifusione delle spese effettuate per lo svolgimento di attività di caratterizzazione non dovuta, oltre al danno conseguente all’aver dovuto <<distrarre energie e forze e seguire il complesso e mastodontico iter procedimentale illegittimamente riferito anche alla ricorrente>>, in quanto <<se Ecodomus non avesse dovuto seguire queste attività amministrative alle quali doveva rimanere estranea avrebbe potuto impiegare uomini e personale in modo diverso e per essa più proficuo>>.

Nelle successive memorie endoprocessuali, la ricorrente ha puntualizzato le diverse voci di danno lamentate, in ordine alle quale, d’altronde, il Collegio non ritiene sussista la prova del nesso di causalità giuridica rispetto all’illegittimità dei provvedimenti impugnati e, quindi, alla lesione dell’interesse oppositivo vantato dalla ricorrente.

Al riguardo, con riferimento alle c.d. spese di caratterizzazione, allegate da parte ricorrente, come emerge anche dal doc. 10 III elenco del fascicolo di parte ricorrente, si tratta di spese effettuate anteriormente all’adozione dei provvedimenti impugnati, per di più sostenute da parte ricorrente in relazione ad una attività posta in essere da Ecodomus volontariamente senza essere a ciò obbligata né dal Ministero, né dal Comune, o comunque, eventualmente conseguenza di precedenti atti e provvedimenti amministrativi non specificamente e tempestivamente impugnati e contestati da parte ricorrente.

Lo stesso ragionamento vale, poi, non solo con riferimento alle spese di cui al doc. 10 citato, ma anche in merito, ad. es., alla parcella n. 144 del 14 ottobre 2008 di cui al doc. 18 del III elenco di parte ricorrente.

Parte ricorrente, più in generale, chiede il risarcimento delle <<spese legali per caratterizzazione “ricorsi TAR” Comune di Venezia>>, laddove oltre alla parcella predetta sono comprese spese concernenti o l’attività svolta in funzione della controversia che ci occupa, come tale liquidabile solo nell’ambito della regolamentazione delle spese nel presente giudizio; ovvero attività professionale relativa al giudizio RG n. 519 del 2017 nel quale i provvedimenti in questa sede in contestazione non sono oggetto di impugnazione, né si tratta di giudizio causalmente conseguenziale al presente; ovvero, ancora, si tratta di spese, per le quali, come nel caso della fattura n. 19 del 22 febbraio 2012 e della fattura n. 283 del 16.11.2017, non emergono elementi che consentano di ritenerle eziologicamente collegate ai provvedimenti in questa sede in contestazione.

Parimenti, nessun nesso di causalità giuridica è possibile ritenere sussistente tra l’illegittimità dei provvedimenti impugnati nella predetta sede e tutte le altre voci di danno dedotte, in particolare:

- i costi sostenuti per partecipare alla società cooperativa come indicati nel doc. 12;

- il prezzo corrisposto per l’acquisto del diritto di superficie come indicato nel doc. 11: al riguardo, inoltre, il c.d. danno da “immobilizzo” lamentato da parte ricorrente, pari alla rivalutazione e interessi sul prezzo pagato, in realtà non è stato tempestivamente dedotto in modo specifico da parte ricorrente, quest’ultima avendolo precisato solo nella memoria del 15.5.2020, non avendolo allegato puntualmente né nel ricorso introduttivo, né nelle precedenti memorie; peraltro, si tratta di un danno il cui nesso con i provvedimenti impugnati sarebbe limitato al solo periodo successivo all’adozione degli stessi fino al 2013; inoltre, l’effetto impeditivo lamentato dalla ricorrente non è conseguenza diretta dei provvedimenti in questa sede impugnati, quanto, piuttosto, della allora condizione giuridica nella quale versava il terreno acquistato dalla ricorrente in quanto compreso nel SIN di cui si è detto, e la mancata eliminazione dell’inquinamento ambientale da parte del soggetto, pubblico o privato, a ciò tenuto ex lege;

- i costi per l’attività progettuale di edificazione come indicati nel doc. 13 di parte ricorrente, trattandosi di spese comunque anteriori all’adozione dei provvedimenti impugnati e in ordine alle quali gli effetti di questi ultimi non ne hanno determinato l’inutilità;

- i costi per la realizzazione strada di accesso privata come indicati nel doc. 14 di parte ricorrente, trattandosi di spese comunque anteriori all’adozione dei provvedimenti impugnati e in ordine alle quali gli effetti di questi ultimi non ne hanno determinato l’inutilità;

- le spese di frazionamento area: ARGLO come indicati nel doc. 15 di parte ricorrente, trattandosi di spese comunque anteriori all’adozione dei provvedimenti impugnati e in ordine alle quali gli effetti di questi ultimi non ne hanno determinato l’inutilità;

- le spese per pulizia area come indicate nel doc 16 di parte ricorrente, trattandosi in parte di spese comunque anteriori all’adozione dei provvedimenti impugnati e, in parte, perché, pur essendo successive, non sono state determinate dai provvedimenti impugnati, se solo si considera che si tratta di spese relative al 2018, quando cioè i provvedimenti in questione, come detto, erano già divenuti inefficaci;

- le spese per Consorzio di bonifica acque risorgive dal 2011 al 2019, come indicate nel doc 17 di parte ricorrente, trattandosi di esborsi del tutto avulsi, sotto il profilo eziologico, dagli effetti lesivi dei provvedimenti impugnati, legati alla partecipazione al Consorzio di Bonifica, la cui utilità, peraltro, non può dirsi essere stata inficiata dai provvedimenti medesimi.

In termini generali, nessun nesso eziologico è possibile ritenere sussistente anche se le deduzioni di parte ricorrente fossero apprezzate sotto il profilo dell’asserita inutilità delle predette spese, in quanto evidentemente, i provvedimenti in questione non hanno posto nel nulla il diritto di edificare in capo a Ecodomus, la quale, infatti, venuta comunque meno l’efficacia degli stessi, può, in via astratta, qualora ne sussistano i presupposti urbanistico-edilizi ed ambientali, ottenere i titoli amministrativi necessari per la realizzazione dell’opera e procedere all’esecuzione della stessa.

Pertanto, la domanda risarcitoria nei confronti delle Amministrazioni Statali deve essere respinta.

3.2. Per quanto concerne la domanda risarcitoria nei confronti del Comune di Venezia.

Al riguardo, parte ricorrente lamenta che il Comune di Venezia sarebbe responsabile dei danni subiti da Ecodomus avendo ceduto un diritto di superficie che non può essere esercitato, dal ché ne discenderebbe il diritto della società ricorrente di ottenere la condanna dell’Ente territoriale al risarcimento di tutti i pregiudizi dalla stessa subiti e subendi per aver acquistato un diritto di superficie privo della sua facoltà principale: il diritto di edificare e/o di fare una costruzione.

Nello specifico, Ecodomus ha chiesto la refusione del prezzo pagato per il diritto di superficie e/o i costi sostenuti per la partecipazione al consorzio; i costi sostenuti per le attività di caratterizzazione del sito e le attività progettuali per l’edificazione su di esso; gli eventuali costi che dovessero essere sostenuti per il futuro; sotto il profilo del lucro cessante, il danno coinciderebbe con il mancato realizzo delle possibilità di crescita e sviluppo legate all’attività edificatoria programmata sulle quali Ecodomus faceva affidamento.

Come si è accennato nella parte in fatto, con d.m. 23.2.2000 del Ministero dell’Ambiente l’area sulla quale sorge il terreno di proprietà comunale ed oggetto di causa è stata ricompresa nella perimetrazione del sito di bonifica di Interesse Nazionale (S.I.N.) “Venezia-Porto Marghera”: per effetto di tale decreto tutte le aree ricomprese all’interno della perimetrazione sono soggette all’obbligo di caratterizzazione/bonifica.

Ciò risulta dal certificato di destinazione urbanistica dell’area, prodotto dalla ditta Ecodomus in data 19.3.2009, ma risalente al 23.2.2001, ovvero cinque mesi prima della stipula del contratto di concessione tra la ditta stessa e la società cooperativa.

Alla luce di quanto risultante dagli atti, le istanze di risarcimento del danno formulate da Ecodomus, in relazione alla specifica causa petendi dedotta in ricorso, si fondano su un’asserita responsabilità dell’Ente non quale Amministrazione, ma quale soggetto cedente il diritto di superficie acquistato dalla ricorrente: la società ricorrente, in altre parole, risulta aver esperito un’azione sostanzialmente di natura contrattuale, lamentando che il Comune avrebbe ceduto un diritto di superficie non esercitabile in quanto avente ad oggetto un immobile “viziato gravemente” dalla presenza di sostanze inquinanti necessitanti di attività di bonifica e messa in sicurezza.

Non a caso, infatti, parte ricorrente ha chiesto, sia pure in via subordinata, anche la pronuncia di risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento originario o sopravvenuto, citando, altresì, l’istituto dell’”aliud pro alio”.

A questo proposito, d’altronde, deve sottolinearsi come l’azione risarcitoria e la domanda di risoluzione esperite a tale titolo nei confronti del Comune difettino di legittimazione o se si vuole di titolarità passiva in capo all’Ente pubblico resistente, attesoché il Comune di Venezia non è il dante causa della società ricorrente, avendo la Ecodomus acquistato il diritto di superficie in questione dalla società cooperativa più sopra ricordata, quest’ultima essendo l’unico soggetto nei confronti del quale la ricorrente avrebbe potuto azionare pretese legate all’acquisto del diritto di superficie.

Occorre sottolineare due aspetti rilevanti al riguardo.

Il primo è che nel momento in cui il Comune ha assegnato, tra gli altri, l’immobile in esame alla Cooperativa non era ancora nemmeno stata promulgata la l. n. 426 del 1998, non risultando dagli atti, né potendosi presumere, che l’Ente “non poteva non sapere” che detta legge sarebbe stata promulgata.

In tal senso, quindi, il Comune non ha venduto un bene già “vincolato” dagli obblighi di caratterizzazione, né è dato sapere con certezza che il bene oggetto del diritto di superficie in titolarità di Ecodomus a quella data fosse effettivamente inquinato nella misura successivamente emersa.

In secondo luogo, è la Società Cooperativa che ha venduto a Ecodomus un bene che, a quella data sì, era già inserito nel SIN, gravato, quindi, degli oneri di caratterizzazione e bonifica, circostanza questa della quale l’odierna ricorrente era o avrebbe dovuto essere a conoscenza al momento della sottoscrizione della compravendita, perché risultante da atti pubblici.

In considerazione di tutto quanto sopra ricordato, pertanto, anche la domanda risarcitoria nei confronti del Comune di Venezia deve essere respinta.

4. In punto spese di lite.

In considerazione della complessità della controversia e del solo parziale accoglimento delle domande formulate da parte ricorrente le spese del presente giudizio devono essere integralmente compensate tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei limiti e per le ragioni indicate in parte motiva, il ricorso, e, per l’effetto,

1) annulla i provvedimenti impugnati;

2) respinge il ricorso per il resto;

3) compensa integralmente le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2020 con l'intervento dei magistrati:

Alessandra Farina, Presidente

Alessio Falferi, Consigliere

Paolo Nasini, Referendario, Estensore