TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 4526 del 2 novembre 2010
Rifiuti. Indicazione carico presunto

La norma (di regolamento) che consente alle ditte di indicare anche il carico presunto non può essere interpretata nel senso della possibilità di indicare una cifra completamente sganciata da quella reale, pena la violazione della norma (di legge) che impone di riportare la quantità di rifiuti trasportata nel formulario di identificazione rifiuti.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 04526/2010 REG.SEN.
N. 01096/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)



ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 1096 del 2008, proposto da:
ESPOSITO SERVIZI ECOLOGICI SRL, rappresentata e difesa dagli avv. Daniela Di Giovine, Luigi Ferrajoli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Daniela Di Giovine in Brescia, via L. Gambara, 75 (Fax=030/45461);


contro

PROVINCIA DI BERGAMO, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Vavassori, Bortolo Pasinelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Codignola in Brescia, via Romanino,16;

per l'annullamento

del provvedimento del dirigente del settore ambiente in data 7/8/2008, di diffida a provvedere alla corretta compilazione dei formulari e a rispettare la quantita’ di rifiuti trattati.

e per il risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento e nell’emanazione della determinazione 26/9/2008.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Bergamo;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2010 il dott. Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


La ditta ricorrente, che svolge l’attività di gestione di rifiuti in forza di autorizzazione della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003 e ss.mm., impugna il provvedimento del 7. 8. 2008 con cui la stessa Provincia, a seguito di processo verbale di constatazione di una serie di asserite irregolarità nella gestione dell’attività, ha deciso di diffidarla formalmente a rispettare alcune particolari prescrizioni cui era stato subordinato l’esercizio dell’attività di gestione di rifiuti e di invitarla a rispettarne delle altre.

Era, in particolare, accaduto – come si preciserà meglio di seguito – che la Provincia aveva constatato la movimentazione da parte della ditta ricorrente di quantità di rifiuti di gran lunga superiori a quelli per cui era prevista l’autorizzazione e la violazione di alcune prescrizioni formali sulla gestione dell’attività di rifiuti (quale, in particolare, quella relativa alla indicazione in ciascun trasporto della quantità di rifiuti che veniva trasportata).

Nello stesso ricorso la ditta ricorrente chiede, inoltre, il risarcimento del danno (che le sarebbe derivato però non dall’emanazione del provvedimento impugnato, ma dal tardivo rilascio da parte della Provincia di una autorizzazione alla effettuazione di varianti all’attività di gestione rilasciata soltanto il 26. 9. 2008, ma richiesta già il 20. 3. 2006, variante in cui si chiedeva tra l’altro proprio di aumentare la quantità di rifiuti da gestire).


I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per violazione del combinato dell’art. 193 d.lgs. 152/06 (che prevede che in sede di trasporto sia indicata la quantità del rifiuto trasportato) e del d.m. 145/98 (che consente alla ditta di indicare soltanto il peso presunto barrando la casella “peso da verificarsi a destinazione”);

2. il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 208 d.lgs. 152/06, che prevede dei termini entro cui concludere il procedimento di approvazione della domanda di gestione o di variante nella gestione di rifiuti; la ditta ricorrente, infatti, avrebbe chiesto già il 24. 3. 2006 di elevare la quantità di rifiuti massima trattabili a 55.000 tonnellate l’anno (dalle 30.000 tonnellate annue del decreto della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003, seguito dai decreti del 12. 3. 2003 e 29. 12. 2006) ma la Provincia aveva provveduto su tale istanza soltanto il 9. 10. 2008;

3. nel terzo motivo, in realtà, si svolge non una domanda annullatoria ma si chiede – per le ragioni esposte nel motivo precedente - il risarcimento del danno derivato dalla impossibilità di trattare rifiuti per 25.000 tonnellate in più nel biennio 2007/2008 ei si quantifica il danno in euro 145.370,25;

4. nel quarto motivo si deduce che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo anche per eccesso di potere per illogicità della motivazione in relazione però alle ulteriori prescrizioni contenute nella parte finale dello stesso (in particolare, in quanto la prescrizione a stoccare i rifiuti in aree non individuate riguarderebbe soltanto i rifiuti da legna che sarebbero stati spostati in conseguenza di un incendio; la prescrizione a piazzare cartellonistica adeguata sui rischi sarebbe inutile perché un atale cartellonistica già c’era; la prescrizione ad indicare il corretto codice CER per i rifiuti provenienti da industria tessile indicati come fibra tessile anziché come misti tessile/plastica sarebbe impossibile da rispettare perché i rifiuti sarebbero entrati in impianto provenienti da un cassone chiuso; sarebbe, inoltre, inutile la prescrizione a fornire un cronoprogramma per l’esecuzione dei lavori conseguenti all’incendio, perchè l’operatività sarebbe già tornata alla normalità dopo lo stesso, ed altre ancora).


Si costituiva in giudizio la Provincia di Bergamo, che deduceva la sopravvenuta carenza d’interesse (perché la ricorrente si è nelle more conformata alle richieste della Provincia) e comunque l’infondatezza dei motivi di ricorso, ed allegava nota di deposito documenti.


Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 28. 11. 2008, n. 829 il Tribunale respingeva l’istanza con la seguente motivazione: “evidenziato, ad un sommario esame: - che l’art. 193 del D. Lgs. 152/2006 e la normativa di dettaglio paiono imporre in ogni caso l’indicazione della quantità dei rifiuti trasportati, salva l’aggiuntiva verifica a destinazione per casi peculiari di variazioni di peso (cfr. circolare 4/8/1998 punto 1 lett. t – doc. 18 ricorrente); - che la stima del peso – il cui onere incombe all’impresa del settore che è tenuta ad attrezzarsi al riguardo – deve essere sufficientemente precisa, mentre nella specie si sono rilevate differenze tra peso dichiarato in partenza e peso rilevato a destinazione di oltre il 40%; - che il superamento dei limiti di quantità di rifiuti trattabili ai sensi del provvedimento autorizzativo è riferito all’anno 2006, e si limita a prescrivere il rispetto di una puntuale clausola dell’atto che ha assentito lo svolgimento dell’attività; Atteso: - che la richiesta risarcitoria potrà essere esaminata nell’appropriata fase di merito; - che, con riferimento alle singole prescrizioni, la Provincia ha affermato che le stesse assumono natura di semplici inviti, distinti dalle diffide impartite per la compilazione dei formulari e per la quantità dei rifiuti annui trattati; - che tale asserzione sembra confermata dal tenore del provvedimento impugnato; - che quindi non appare configurabile sul punto il periculum in mora, tenuto conto che la revoca dell’autorizzazione è collegata dall’art. 208 comma 13 del D. Lgs. 152/2006 all’inosservanza delle prescrizioni impartite con atto di diffida”.


Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 13. 10. 2010, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.


DIRITTO


I. Va preliminarmente sgombrato il campo dalle numerose questioni dedotte nel quarto motivo di ricorso dove si sostiene la illegittimità della parte finale del provvedimento impugnato che ha riguardato tutte le prescrizioni relative alla vicenda dell’incendio da cui è stata interessata l’area di lavoro della ditta.

Negli scritti difensivi, infatti, la difesa della Provincia ha fatto notare che si tratta di meri “inviti”, a differenza di quanto riportato nella prima parte del provvedimento che contiene le “prescrizioni” sul corretto esercizio dell’attività di rifiuti.

Effettivamente, leggendo il provvedimento impugnato, si può constatare che la dicitura riportata è quella dell’invito, e che la stessa si differenzia sensibilmente anche nella forma dalle prescrizioni ben più incisive contenute nella parte iniziale del provvedimento e su cui si sviluppa il primo motivo di ricorso.

Ne consegue che nella parte in cui attiene agli inviti contenuti nella parte finale del provvedimento il ricorso è inammissibile per mancanza di lesività del provvedimento impugnato ex art. 35, co. 1, lett. b) c.p.a..


II. Così delimitato il campo di estensione del ricorso, va rilevato sul primo motivo di ricorso – in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione del combinato dell’art. 193 d.lgs. 152/06 (che prevede che in sede di trasporto sia indicata la quantità del rifiuto trasportato) e del d.m. 145/98 (che consente alla ditta di indicare soltanto il peso presunto barrando la casella “peso da verificarsi a destinazione”) – che lo stesso è infondato.

Era, infatti, accaduto che la Provincia aveva constatato lo sforamento dei limiti massimi di rifiuti che venivano gestiti dalla ditta ricorrente e nel contesto di tale rilievo si era accorta che la ditta indicava in modo molto approssimativo le quantità di rifiuti che trasportava.

La ditta ricorrente sostiene di non essere tenuta ad indicare il peso esatto, ma di poter indicare anche solo il peso presunto.

In realtà, il rapporto di servizio del 22. 2. 2008 (doc. 29) al punto D evidenzia con chiarezza le macroscopiche differenze oggettivamente riscontrate nel peso reale dei quantitativi trattati dalla ditta ricorrente rispetto al peso presunto dichiarato (si pensi al carico 609428 che è stato dichiarato del peso di 15.000 kg ed invece era di 20.900 lg, con uno scostamento di circa il 35% in più; o del carico 679478 che è stato dichiarato del peso di 25.000 kg ed è stato constatato del peso di 20.660 kg, con una differenza di circa il 25% in meno; o il carico 609430 dichiarato del peso di 25.000 kg e constatato del peso di 33.280 kg, per uno scostamento del 30% in più) (la Provincia ha anche ricordato che il tipo di rifiuti trattati dalla ditta ricorrente non subisce cali o aumenti di peso in relazione alle condizioni ambientali).

La norma (di regolamento) che consente alle ditte di indicare anche il carico presunto non può essere interpretata nel senso della possibilità di indicare una cifra completamente sganciata da quella reale, pena la violazione della norma (di legge) che impone di riportare la quantità di rifiuti trasportata nel formulario di identificazione rifiuti.

Ne consegue che nel caso in esame il comportamento tenuto dalla ditta ricorrente era effettivamente passibile di censura, e quindi la prescrizione contenuta nel provvedimento impugnato si rivelava giustificata.


III. Non è fondato neanche il secondo motivo di ricorso in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 208 d.lgs. 152/06, che prevede dei termini entro cui concludere il procedimento di approvazione della domanda di gestione o di variante nella gestione di rifiuti; la ditta ricorrente, infatti, aveva chiesto già il 24. 3. 2006 di elevare la quantità di rifiuti massima trattabili a 55.000 tonnellate l’anno (dalle 30.000 tonnellate annue del decreto della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003, seguito dai decreti del 12. 3. 2003 e 29. 12. 2006) ma la Provincia aveva provveduto su tale istanza soltanto il 9. 10. 2008.

La successione degli eventi è, in particolare, la seguente:

- la ditta è stata autorizzata a trattare 30.000 tonnellate annue di rifiuti dal decreto della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003 e ss.mm.,

- nel corso dell’anno 2006 la ditta ricorrente tratta rifiuti per 32.687,34 tonnellate (come risulta dal punto E del rapporto di servizio del 28. 2. 2008, doc. 29 degli atti di causa),

- nello stesso anno, e precisamente il 24. 3. 2006 la ditta ricorrente chiede di elevare la quantità di rifiuti massima trattabili a 55.000 tonnellate l’anno,

- nel corso dell’anno 2007 la ditta ricorrente tratta rifiuti per 31.340,55 tonnellate (nota del 8. 2. 2010, doc. 40 della Provincia), quindi comunque oltre i limiti dell’autorizzazione in essere,

- la Provincia concede l’autorizzazione ad elevare la quantità massima di rifiuti trattabili con determina assunta il 22. 9. 2008, registrata il 26. 9. 2008 (doc. 26).

Il motivo di ricorso si regge sulla personalissima idea della ricorrente che l’(asserito) ritardo della Provincia nell’autorizzare l’aumento della quantità massima di rifiuti trattabili l’avrebbe legittimata a farsi giustizia da sola ed ad aumentarli senza attendere alcun atto autorizzativo.

Ma questo argomento già non è proponibile in diritto, in quanto il ritardo nel provvedere su una istanza di variante ad una autorizzazione non vizia in alcun modo la attività amministrativa di controllo e sanzione del rispetto dei limiti dell’autorizzazione originaria finchè questa vige.

Inoltre, nel caso specifico del procedimento amministrativo oggetto di questo giudizio è anche il caso di rimarcare che il co. 10 dell’art. 208 t.u. ambiente prevede che “ove l'autorità competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”. Pertanto - anche a voler concedere un inadempimento dell’amministrazione nel rispetto dei termini – tale inadempimento legittima la impresa ricorrente soltanto ad attivare i poteri sostitutivi, ma non a violare nelle more le prescrizioni dell’autorizzazione originaria.

Nel caso in esame, la ditta ricorrente ha prima violato i limiti massimi dell’autorizzazione, ed allora a quel punto ha chiesto di rientrare nella regolarità chiedendo l’aumento della quantità massima di rifiuti trattabili; questo – però - non la legittima a chiedere l’annullamento del provvedimento che sulla constatazione oggettiva di tale violazione era fondato.


IV. Nel terzo motivo di ricorso occorre affrontare di nuovo, ma sotto altro profilo, la questione dell’asserito ritardo nell’emanazione della variante all’autorizzazione che ha aumentato la quantità massima di rifiuti trattabili. Nel terzo motivo, infatti, la ditta ricorrente propone non una domanda di annullamento (del provvedimento che ha constatato la violazione dei limiti dell’autorizzazione in essere), ma una domanda di risarcimento (del danno derivante dal ritardo nell’emissione della variante con cui sono stati aumentati i quantitativi di rifiuti trattabili).

Si tratta di una sorta di riconvenzionale, sia pure non in senso tecnico. La ricorrente, infatti, non solo aggredisce il provvedimento con cui la Provincia la aveva diffidata a gestire correttamente l’attività di gestione rifiuti, ma contrattacca assumendo che era stata la Provincia – ritardando l’emanazione del provvedimento che modificava i termini dell’autorizzazione alla gestione rifiuti - a cagionarle un danno.

Si può prescindere dalla questione della cumulabilità in un unico giudizio di un petitum di annullamento con un petitum di risarcimento del danno derivante non dall’annullamento del provvedimento impugnato, ma dal ritardo nell’emanazione di altro provvedimento, perché la domanda di risarcimento è infondata nel merito.

Il ragionamento della ditta ricorrente è fondato sui seguenti dati: la domanda di variante all’autorizzazione è stata presentata il 24. 3. 2006; la Provincia avrebbe provveduto soltanto il 9. 10. 2008; il termine previsto dalla legge per la conclusione di questo procedimento amministrativo è di 150 gg.; quindi la Provincia avrebbe maturato un ritardo di circa due anni nell’emanazione del provvedimento impugnato obbligando la ditta ricorrente a mantenere in questo periodo un giro d’affari più basso, che costituisce il presupposto della richiesta di risarcimento.

In realtà, i calcoli effettuati dalla ditta ricorrente sulla scansione dei termini del procedimento amministrativo oggetto di censura non sono corretti, perché non considerano:

- che, per gli impianti sottoposti a V.I.A., la decorrenza del termine è sospesa fino all’acquisizione della V.I.A.

- che il termine può essere interrotto per una volta dall’amministrazione, per necessità istruttorie.

Più in particolare, nel caso in esame è avvenuto quanto segue.

Occorre iniziare il ragionamento rilevando che l’art. 208, co. 8, del codice dell’ambiente stabilisce che “l'istruttoria si conclude entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1 con il rilascio dell'autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa”. La data della domanda è, come detto, il 24. 3. 2006.

Ma il co. 1, ultimo periodo, dello stesso art. 208 precisa però che “ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi della parte seconda del presente decreto”.

Nel caso in esame si versa nell’ambito di applicazione di tale previsione in quanto si tratta pacificamente di impianto sottoposto a V.I.A. come chiarito immediatamente già nella comunicazione di avvio del procedimento del 6. 6. 2006 (doc. 9), e come d’altronde chiesto dalla parte stessa nella nota del 27. 3. 2006 (doc. 10).

In forza del co. 1 dell’art. 208, pertanto, il termine iniziale del procedimento in esame non è il 24. 3. 2006, data della domanda, ma il 17. 9. 2007 (data in cui la Provincia ha ricevuto dalla Regione Lombardia il decreto V.I.A.; il decreto V.I.A. era stato emesso dalla Regione il 18. 5. 2007, ma è stato ricevuto dalla Provincia di Bergamo soltanto il 17. 9. 2007, data che viene indicata nel punto E della nota del 15. 11. 2007, doc. 12. Non potendo farsi decorrere i termini del procedimento prima che l’ente pubblico competente ad istruire e decidere la istanza di autorizzazione in variante sia messo a conoscenza che è venuta meno la causa ostativa all’ulteriore decorso dello stesso, il termine di inizio del procedimento deve conseguentemente essere fissato a tale data di intervenuta conoscenza della emanazione della V.I.A.).

Iniziato effettivamente a decorrere il termine procedimentale il 17. 9. 2007, la successiva scansione dello stesso è regolata dalla norma dell’art. 208, co. 3, che impone che “entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1, la regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita conferenza di servizi cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d'ambito e degli enti locali interessati. Alla conferenza è invitato a partecipare, con preavviso di almeno venti giorni, anche il richiedente l'autorizzazione o un suo rappresentante al fine di acquisire documenti, informazioni e chiarimenti”.

Nel caso in esame, il decreto di convocazione della conferenza di servizi è intervenuto, in realtà, soltanto il 15. 11. 2007, e quindi con un ritardo di 28 gg. rispetto alla scansione temporale prevista dalla norma attributiva del potere (pur se la conferenza è stata convocata per il 12. 12. 2007, e quindi in tempi estremamente solleciti, considerato il termine minimo che deve essere garantito alle parti per preparare la stessa). In ogni caso, pur se non è stato rispettato esattamente per tale adempimento il termine del co. 3 dell’art. 208, ciò non può essere di per sé solo produttivo di danno trattandosi di un mero termine endoprocedimentale di carattere sollecitatorio, posto che ciò che assume rilevanza giuridica esterna è soltanto il termine di conclusione del procedimento (ovvero, il termine di 150 gg. previsto dal co. 8 citato all’inizio), e non il rispetto dei sottotermini delle singole sottofasi del procedimento, (rispetto dei termini delle sottofasi che ha carattere organizzatorio interno all’amministrazione, e cui non si estende la tutela dell’art. 2 l. 241/90).

La scansione successiva dei co. 4 e 6 dello stesso art. 208 prevede che la Conferenza di servizi abbia 90 gg. per effettuare le proprie conclusioni e che la Regione abbia poi 30 gg. per emettere il provvedimento. La Conferenza di servizi si è effettivamente tenuta il 12. 12. 2007 ed all’esito della stessa il ricorrente si è impegnato ad integrare la documentazione mancante entro 60 gg. (il provvedimento con cui il responsabile del procedimento chiede alla parte la documentazione indicata in Conferenza di servizi è del 20. 12. 2007, doc. 17).

La norma, in effetti, riconosce che per necessità istruttorie possa essere interrotto il termine di 150 gg. entro cui concludere il procedimento, in quanto il co. 9 aggiunge che “i termini di cui al comma 8 sono interrotti, per una sola volta, da eventuali richieste istruttorie fatte dal responsabile del procedimento al soggetto interessato e ricominciano a decorrere dal ricevimento degli elementi forniti dall'interessato”.

Nel caso in esame la ditta ricorrente ha provveduto a fornire i documenti richiesti con nota del 10. 4. 2008 (doc. 18), che inizia proprio con la frase “in riferimento a quanto richiesto durante la conferenza di servizi del 12. 12. 2007 si trasmette in allegato ….” (già così la ditta ricorrente, pertanto, era in ritardo di circa 2 mesi sul termine di 60 gg. assegnatogli dalla Conferenza per produrre i documenti), e poi ha integrato la documentazione con la nota del 29. 4. 2008 (doc. 19) e con la ulteriore nota pervenuta in Provincia il 30. 6. 2008 (doc. 21).

Pertanto il termine di 150 gg. - che si era interrotto con la richiesta istruttoria del 12. 12. 2007 - riprende a decorrere soltanto dal 30. 6. 2008, data in cui la ditta ricorrente ha ottemperato alle richieste istruttorie dell’amministrazione.

Circa tre mesi dopo, e cioè il 22. 9. 2008, il procedimento si è concluso con la determina conclusiva recante l’autorizzazione in variante (doc. 26), registrata quattro giorni dopo.


Ne consegue, sommando i vari periodi sopra esposti, che:

- il termine del procedimento amministrativo inizia a decorrere il 17. 9. 2007,

- la decorrenza del termine si interrompe il 12. 12. 2007 (e cioè dopo 85 gg.),

- il termine riprende a decorrere il 30. 6. 2008,

- il termine scade il 3. 9. 2008 (al compimento del centocinquantesimo giorno previsto dal codice dell’ambiente),

- il procedimento si conclude in realtà soltanto il 22. 9. 2008 (con 19 gg. di ritardo rispetto al termine previsto dalla norma attributiva di potere).


Il ritardo di 19 gg., dovuto essenzialmente alla volontà della Provincia di chiedere un chiarimento urgente alla Regione sul parere V.I.A. (doc. 24), non è peraltro talmente apprezzabile in termini di danno da poter fondare una richiesta risarcitoria, anche in considerazione del fatto che – se dal punto di vista formale il termine del procedimento non è stato comunque rispettato – per il risarcimento del danno rilevano non elementi formali, ma sostanziali, quali la circostanza che il ritardo nell’emanazione del provvedimento impugnato è stato quantitativamente imputabile più alla ricorrente (che ha ricevuto un termine di 60 gg. per produrre integrazioni documentali, che sono giunte soltanto dopo più di 6 mesi), che non alla Provincia che è stata morosa di soli 19 gg.. Ne consegue che il ricorrente non può poi imputare alla Provincia i minori introiti commerciali dovuti ad un ritardo di soli 19 gg. nel concludere il procedimento di variante.


IV. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il primo e secondo motivo di ricorso.

DICHIARA INAMMISSIBILE ex art. 35, co. 1, lett. b, c.p.a. il quarto motivo di ricorso.

RESPINGE l’istanza di risarcimento del danno contenuta nel terzo motivo di ricorso.

CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore dell’amministrazione resistente delle spese di lite, che determina in euro 4.000, oltre i.v.a. e c.p.a. (se dovute).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/11/2010