Le proposte in discussione a livello comunitario per ridurre imballaggi e rifiuti da imballaggio

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su osservatorioagromafie.it. Si ringraziano Autore ed Editore

1. - Imballaggi e rifiuti da imballaggio: la situazione attuale e le prospettive future. A seguito del piano d’azione della Commissione UE per un’economia circolare, il Consiglio, nelle sue conclusioni del 4 ottobre 2019 (doc. 12791/19), ha stabilito, tra l’altro, che entro il 2030 tutti gli imballaggi di plastica immessi sul mercato dell’Unione dovrebbero essere riutilizzabili o riciclabili e che la capacità di selezione e di riciclaggio nell’UE dovrebbe quadruplicarsi, invitando la Commissione a intraprendere ulteriori azioni.

Il 16 marzo 2023 il Consiglio ambiente dell’UE ha iniziato a discutere di imballaggi e rifiuti da imballaggi, al fine di formulare, entro fine aprile, un disegno di legge per aggiornare il regolamento n. 2019/1020 e la direttiva n. 2019/904, abrogando l’ormai trentennale direttiva n. 94/62.

La discussione si basa sulla proposta di un nuovo regolamento (lo strumento direttamente vincolante per gli Stati membri) adottata dalla Commissione UE il 30 novembre 2022, la quale, come vedremo appresso, rende più severe le norme vigenti in materia di prevenzione, riduzione e riciclo degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, propone una riduzione dei rifiuti di imballaggio del 15 per cento entro il 2024 e impone di rendere tutti gli imballaggi riciclabili in modo economicamente sostenibile entro il 2030; stabilisce inoltre tassi obbligatori di contenuto riciclato che i produttori devono includere nei nuovi imballaggi in materiale plastico 1.

Osserva, infatti, la Commissione che gli imballaggi sono tra i principali prodotti ad impiegare materiali vergini: il 40 per cento della plastica e il 50 per cento della carta utilizzate nell’UE sono infatti destinati agli imballaggi. In questo quadro, certamente preoccupa la constatazione che, in media, ogni europeo produce quasi 180 kg di rifiuti di imballaggio all’anno; e che, sebbene nella UE i tassi di riciclaggio siano aumentati, la quantità di rifiuti generati dagli imballaggi cresce più rapidamente del riciclaggio. Nell’ultimo decennio, infatti, la quantità di rifiuti di imballaggio è aumentata di oltre il 20 per cento e dovrebbe incrementare fino al 2030 di un ulteriore 19 per cento, che, in assenza di interventi, arriverebbe addirittura al 46 per cento per i rifiuti di imballaggio di plastica.

La crescente quantità di rifiuti di imballaggio – aggiunge la Commissione – comporta maggiori conseguenze ambientali, tra cui un uso maggiore e inefficiente delle risorse, un impatto negativo sul clima, la dispersione nell’ambiente, l’uso eccessivo di sostanze che destano preoccupazione negli imballaggi e il netto aggravamento delle sfide in materia di gestione dei rifiuti, tra cui il riciclaggio di bassa qualità e l’eccessivo collocamento in discarica, l’incenerimento e l’esportazione alla fine del ciclo di vita. In più, si deve considerare che la produzione di imballaggi e la gestione dei rifiuti di imballaggio hanno un fatturato totale stimato pari a 370 miliardi di euro nell’UE. «La trasformazione del settore degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio ha pertanto un ruolo e un potenziale significativi nel trasformare l’Europa in un’economia pulita, sostenibile e circolare».

2. - Le proposte della Commissione UE attualmente in discussione. Sintesi. La Commissione sottolinea, quindi, che le nuove norme intendono mettere fine a questa tendenza. «Per i consumatori, tali norme garantiranno opzioni di imballaggio riutilizzabili, elimineranno gli imballaggi superflui, limiteranno gli imballaggi eccessivi e determineranno etichette chiare a sostegno di un corretto riciclaggio. Per l’industria, creeranno nuove opportunità commerciali, in particolare per le piccole imprese, ridurranno la necessità di materiali vergini, aumenteranno la capacità di riciclaggio dell’Europa rendendola anche meno dipendente da risorse primarie e da fornitori esterni; metteranno il settore degli imballaggi sulla buona strada per conseguire la neutralità climatica entro il 2050». Più in particolare, in aderenza alla scala di valori sui rifiuti, la nuova regolamentazione intende prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio e contestualmente promuovere il riutilizzo e la ricarica, rendendo, attraverso obiettivi vincolanti, tutti gli imballaggi riciclabili «a circuito chiuso» entro il 2030; riducendo il fabbisogno di risorse naturali primarie e creando un mercato ben funzionante di materie prime secondarie.

In altri termini, come specifica la Commissione, «l’obiettivo principale è ridurre i rifiuti di imballaggio pro capite per Stato membro del 15% rispetto al 2018 entro il 2040. Ciò porterebbe a una riduzione complessiva dei rifiuti nell’UE del 37% circa rispetto allo scenario che si prospetterebbe senza una modifica della normativa. Il tutto avverrà attraverso sia il riutilizzo che il riciclaggio. Per favorire il riutilizzo o la ricarica degli imballaggi, diminuiti fortemente negli ultimi 20 anni, le imprese dovranno offrire ai consumatori una determinata percentuale dei loro prodotti in imballaggi riutilizzabili o ricaricabili, ad esempio per i cibi e le bevande da asporto o per le consegne relative al commercio elettronico. Vi sarà inoltre, in una certa misura, la standardizzazione dei formati degli imballaggi e una chiara etichettatura degli imballaggi riutilizzabili. Per affrontare il problema degli imballaggi chiaramente inutili saranno vietate alcune forme di imballaggio, ad esempio quelli monouso per cibi e bevande consumati all’interno di ristoranti e caffè, quelli monouso per frutta e verdura, flaconi in miniatura per shampoo e altri prodotti negli hotel».

Quanto al riciclo, le nuove norme propongono misure volte a eliminare la confusione in merito a quali contenitori per il riciclaggio utilizzare per gli imballaggi, in quanto ogni imballaggio dovrà essere munito di un’etichetta che indichi di quali materiali si compone e in quale categoria di rifiuti dovrebbe essere conferito, nonché, soprattutto, a rendere gli imballaggi totalmente riciclabili entro il 2030: «ciò include la definizione di criteri di progettazione per gli imballaggi, la creazione di sistemi vincolanti di vuoti a rendere su cauzione per le bottiglie di plastica e le lattine di alluminio e chiarire quali tipologie molto limitate di imballaggi dovranno essere compostabili, in modo che i consumatori possano gettarli nell’organico. Vi saranno inoltre tassi vincolanti di contenuto riciclato che i produttori dovranno includere nei nuovi imballaggi di plastica».

In tal modo, «entro il 2030 le misure proposte dovrebbero ridurre le emissioni di gas a effetto serra derivanti dagli imballaggi a 43 milioni di tonnellate rispetto alle 66 milioni di tonnellate di emissioni che verrebbero liberate se la legislazione non fosse modificata (...). Il consumo di acqua si ridurrebbe di 1,1 milioni di m3. I costi dei danni ambientali per l’economia e la società si ridurrebbero di 6,4 miliardi di euro rispetto allo scenario di base per il 2030». Ed ogni europeo potrebbe risparmiare quasi 100 euro all’anno se le imprese trasferissero quanto risparmiato ai consumatori.

A questo si aggiunga che i recenti sviluppi geopolitici hanno messo in luce la dipendenza dell’UE dalle importazioni di materie prime e combustibili fossili e che le misure proposte sul contenuto riciclato ridurrebbero il fabbisogno di combustibili fossili dell’UE di 3,1 milioni di tonnellate all’anno (quasi ¼ dei combustibili fossili attualmente necessari per la produzione di imballaggi di plastica).

Infine, anche sotto il profilo occupazionale, la Commissione stima che «entro il 2030, la sola promozione del riutilizzo dovrebbe portare a oltre 600.000 posti di lavoro nel settore del riutilizzo, molti dei quali presso piccole e medie imprese locali».

3. - In particolare, la problematica delle plastiche a base biologica, compostabili e biodegradabili. Il contrasto con le norme italiane di recepimento. Di particolare interesse per il nostro Paese si presenta la problematica, ampiamente considerata nelle proposte di modifica, relativa alle plastiche, in costante aumento, a base biologica, compostabili e biodegradabili, rispetto alle quali la Commissione si propone di fornire maggiore chiarezza ai consumatori e all’industria «stabilendo per quali applicazioni tali plastiche sono realmente vantaggiose sul piano ambientale e come dovrebbero essere progettate, smaltite e riciclate» al fine di non aggravare l’inquinamento da plastica, i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità. E, a tal fine, raccomanda più volte la massima cautela in quanto, se pure il prefisso «bio» porta i consumatori ad avere la percezione che siano sicuramente positive per l’ambiente, ciò «è vero solo in parte». E, se pure «hanno il loro posto in un futuro sostenibile», è anche vero che esse non dovrebbero in alcun modo essere considerate un’autorizzazione a disperdere rifiuti e che «devono essere limitate ad applicazioni specifiche per le quali i benefici ambientali e il valore per l’economia circolare siano comprovati».

Come già abbiamo ricordato su queste colonne 2, infatti, secondo le Linee guida per l’applicazione della direttiva sulle plastiche monouso emanate dalla Commissione UE a giugno 2021, «la plastica fabbricata con polimeri naturali modificati o con sostanze di partenza a base organica, fossili o sintetiche non è presente in natura e dovrebbe pertanto rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva. La definizione adottata di plastica dovrebbe pertanto coprire gli articoli in gomma a base polimerica e la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo ». In sostanza, cioè, anche le plastiche biodegradabili/a base biologica sono considerate plastica e rientrano nel divieto ai sensi della direttiva SUP, in quanto, come chiarito espressamente dalla Commissione UE nel documento di presentazione, «attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente».

Il monito attuale, quindi, sembra rivolto proprio al nostro Paese, il quale, dando attuazione con il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 196 alla direttiva n. 2019/904 sulle plastiche monouso, ha inserito nell’art. 5, comma 3, deroghe palesemente contrastanti con il dettato comunitario, anche se con notevoli limitazioni, fra cui spicca quella [lett. a)] che condiziona la legittimità della deroga alla impossibilità di utilizzare « alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti elencati nella parte B dell’allegato». Determinando, così, tuttavia, una ulteriore confusione con il dettato comunitario in quanto i prodotti in plastica monouso oggetto del divieto, elencati nell’allegato B, sono solo quelli per i quali, con una valutazione non modificabile in sede nazionale, la UE ritiene che « sono facilmente disponibili soluzioni alternative adeguate, più sostenibili e anche economicamente accessibili ». E, come se non bastasse, l’art. 4, comma 7 del citato d.lgs. n. 196/2021, «al fine di promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso», riconosce addirittura un contributo pubblico a tutte le imprese che acquistano e utilizzano prodotti «che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile o/e compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002», anche se si tratta dei prodotti dell’allegato B, vietati in sede comunitaria ma ammessi dalla deroga italiana.

Oggi, nel momento in cui la UE richiama ancora una volta l’importanza di dare attuazione alla gerarchia sui rifiuti specie attraverso la prevenzione (perché «il migliore rifiuto è quello che non viene prodotto»), appare ancora più evidente il contrasto della nostra legge con i princìpi comunitari secondo i quali occorre, comunque, eliminare alla radice quanto più è possibile la immissione in commercio di prodotti usa e getta altamente pericolosi per il nostro ambiente; non si tratta, cioè, di sostituire un prodotto monouso con un altro prodotto monouso anche se biodegradabile o compostabile ma di non farlo proprio venire ad esistenza. Tanto è vero che, come abbiamo già osservato a proposito del recepimento all’italiana, la Commissione UE motiva il divieto dell’art. 5 della direttiva con il «rischio che le tazze fatte interamente di plastica siano semplicemente sostituite da altre a base di carta con rivestimenti o strati di plastica, senza modificare i relativi modelli di consumo che incoraggiano gli sprechi».

Adesso, il nuovo quadro che emerge dalle proposte della Commissione chiarisce anche in che modo queste plastiche potranno far parte di un futuro sostenibile. In estrema sintesi:

a ) la biomassa utilizzata per produrre plastiche a base biologica deve provenire da fonti sostenibili, che non danneggino l’ambiente e rispettino il principio dell’«uso a cascata della biomassa»;

b ) i produttori dovrebbero dare la priorità all’uso di rifiuti organici e sottoprodotti come materie prime;

c ) per combattere il greenwashing ed evitare di indurre in errore i consumatori, inoltre, i produttori devono evitare definizioni generiche sui prodotti di plastica quali «bioplastiche» e «a base biologica». «Nel comunicare il contenuto a base biologica, i produttori dovrebbero specificare la quota esatta e misurabile del contenuto di plastiche a base biologica nel prodotto (ad esempio: “il prodotto contiene il 50% di plastica a base biologica”). Inoltre le loro etichette devono indicare in quanto tempo, in che circostanze e in quale ambiente si biodegradano. I prodotti che corrono un rischio elevato di essere dispersi nell’ambiente, compresi quelli contemplati dalla direttiva sulla plastica monouso, non possono essere definiti o etichettati come biodegradabili»;

d ) le plastiche compostabili a livello industriale dovrebbero essere utilizzate solo se presentano benefici ambientali, non incidono negativamente sulla qualità del compost e in presenza di un adeguato sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti organici;

e ) gli imballaggi compostabili a livello industriale saranno consentiti solo per bustine da tè, capsule e cialde di caffè, adesivi per frutta e verdura e borse di plastica in materiale ultraleggero;

f ) andrà sempre segnalato che i prodotti sono certificati per il compostaggio industriale, in linea con le norme dell’UE.

4. - Conclusione. Come osserva la Commissione, la proposta di regolamento sopra illustrata, attualmente all’esame del Consiglio ambiente della UE, evidenzia, nel complesso, che il passaggio a un’economia più circolare nel settore degli imballaggi offrirebbe vantaggi quali la responsabilizzazione dei consumatori, la riduzione degli impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana, la riduzione della dipendenza dalle importazioni, lo stimolo all’innovazione e la crescita economica e la riduzione delle spese non necessarie delle famiglie, privilegiando, in linea con la gerarchia dei rifiuti, il proposito di limitare alla fonte la generazione di rifiuti di imballaggio, in particolare riducendo al minimo gli imballaggi, limitando gli imballaggi non necessari e promuovendo soluzioni di imballaggio riutilizzabili e ricaricabili. Oltre a tali misure a livello dell’UE, la Commissione propone che gli Stati membri adottino misure nazionali adeguate alle circostanze locali per conseguire gli obiettivi di riduzione del 5 per cento entro il 2030, del 10 per cento entro il 2035 e del 15 per cento entro il 2040 rispetto ai livelli del 2018. Più in particolare «nella proposta di regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, i due maggiori contributori alla riduzione della generazione di rifiuti a livello dell’UE sono la proposta di vietare gli imballaggi non necessari, quali alcune forme di imballaggi monouso evitabili nel settore alberghiero, del commercio al dettaglio e della ristorazione, e l’obbligo per le imprese di offrire una determinata percentuale dei loro prodotti ai consumatori in imballaggi riutilizzabili o ricaricabili, ad esempio per bevande e pasti da asporto o consegne legate al commercio elettronico. La definizione degli obiettivi dovrebbe contribuire a promuovere l’innovazione e aumentare la percentuale delle soluzioni di riutilizzo e ricarica. I requisiti stabiliti a livello di prodotto dovrebbero generare maggiori investimenti in imballaggi innovativi e rispettosi dell’ambiente e nuovi modelli imprenditoriali circolari».

1 Il testo integrale della proposta è consultabile sul sito della Commissione [Bruxelles, 30 novembre 2022, COM(2022) 677 final 2022/0396 E].

2 Cfr. il nostroLa normativa all’italiana contro le plastiche monouso, in www.osservatorioagromafie.it, 14 gennaio 2022, cui si rinvia per approfondimenti e richiami.