End of Waste e le sfide interpretative: quando l’obiettivo europeo di trasformare il rifiuto in bene si scontra con la complessità giuridica

di Alessandro AMATO e Ilaria Alessia RUTIGLIANO

End of Waste e le sfide interpretative: quando l’obiettivo europeo di trasformare il rifiuto in bene si scontra con la complessità giuridica

Un’analisi critica delle tensioni normative, giurisprudenziali e applicative che influenzano la transizione dall’istituto del rifiuto a quello della risorsa nell’ordinamento ambientale europeo e italiano.

di

Alessandro AMATO – Avvocato e Dottore di Ricerca Università di Bari

e

Ilaria Alessia RUTIGLIANO - Avvocata

Sommario dettagliato

ABSTRACT


  1. Introduzione: dal rifiuto al non-rifiuto.

    1. Prime rivoluzioni copernicane: dal concetto di rifiuto al non-rifiuto e la ricerca della riduzione .

  1. L'evoluzione normativa dell'end of waste dall'art. 181-bis all'art. 184-ter D.Lgs. 152/06.

    1. Le materie prime secondarie (art. 181-bis).

    1. Introduzione: il contesto normativo dell'end of waste.

      1. La discrezionalità amministrativa nelle autorizzazioni caso per caso.

2.3.2. Evoluzione della disciplina End of Waste e competenze autorizzatorie semplificate e ordinarie: il principio di non automatica applicazione dei decreti ministeriali.

  1. I requisiti dell'end of waste : un'interpretazione evolutiva.

3.1. Il requisito dell'eco-compatibilità (art. 184 – ter, comma 1, lett. D): una lettura orientata al principio di proporzionalità nella tutela ambientale.

3.2. Il requisito dell’idoneità tecnica e la registrazione REACH.

3.3. L’esistenza di un mercato: profili evolutivi.

  1. Sono possibili trattamenti successivi al processo di EOW?

  1. Profili critici e incertezze future: l’economia circolare inciampa nella esportazione dell’ eow

  1. Conclusioni: dal riconoscimento reciproco all’effettivo riconoscimento interno dell’end of waste

ABSTRACT

La materia della cessazione della qualifica di rifiuto (End of waste) scaturisce da una rivoluzione concettuale del “rifiuto” e rappresenta uno dei passaggi fondamentali da un’economia chiusa ad una economia circolare. Tuttavia, nonostante i principi comunitari protesi alla sostenibilità e riduzione dei rifiuti, la possibilità di chiudere con un approccio sociale ed economico pan-rifiutista è stata accolta tra slanci entusiastici e chiusure conservatrici; in tale ultimo senso si è posto l’atteggiamento critico della giurisprudenza che ha sempre ribadito l’eccezionalità dell’alchimia di tale “rinascita” del rifiuto in quella che inizialmente era stata definita “materia prima secondaria”.

Una posizione che stride in modo antitetico con i programmi di riduzione dei rifiuti ma che, se contestualizzata nelle problematiche non solo di contrasto alle attività illegali legate al ciclo dei rifiuti ma di complessità legislative e disomogeneità nell’applicazione dell’istituto nella UE, diviene anche bussola fondamentale per orientare i protocolli di una gestione corretta dei non-rifiuti, nell’universo in espansione della sostenibilità e della tutela ambientale. Tuttavia preme la necessità della circolarità e della riduzione dei rifiuti al pari della tutela della salute e dell’ambiente in un approccio ove questi principi non necessitano di un mero bilanciamento ma di una collaborativa coesistenza. Da qui l’esigenza di un approccio interpretativo che sappia mantenere una visione differentemente aperta rispetto ad un passato di “timore del rifiuto” ad un presente dove la riduzione diviene approccio primario attraverso l’implementazione qualitativa dell’end of waste.

Attraverso le più recenti sentenze di merito, le novelle legislative e le esigenze di tutti gli stakeholder coinvolti, è possibile sostenere che l’istituto dell’end of waste è il vero strumento di rivoluzione per la riduzione dei rifiuti e nella tutela dell’ambiente, malgrado le criticità che verranno affrontate in questo elaborato.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di tracciare un vademecum in grado di dimostrare che è possibile - malgrado i ritardi e tentennamenti attuativi oltre che ad una mancata uniformità delle discipline a livello comunitario - utilizzare questo fondamentale strumento di riduzione dei rifiuti, garantendo la tutela della salute umana e dell’ambiente ma anche di riduzione dello sfruttamento delle materie prime ontologicamente limitate, basandosi finalmente su una effettiva qualità del recupero e del riciclo e senza dover più ricorrere alla cultura del sospetto per le categorie che sono escluse dalla nozione di rifiuto.

1. INTRODUZIONE: DAL RIFIUTO AL NON-RIFIUTO

I rifiuti sono al tempo stesso divini e satanici. Sono la levatrice di ogni creazione, e il più temibile ostacolo ad essa. I rifiuti sono sublimi: una miscela impareggiabile di attrazione e repulsione, che suscita un misto altrettanto ineguagliabile di ammirazione e timore.” 1

Per poter comprendere il concetto di non-rifiuto nel senso giuridico di “cessazione della qualifica di rifiuto” o “end of waste” è necessario, prima di tutto, affrontare l’evoluzione del concetto di rifiuto che il legislatore ha con il tempo rimodulato in base ai cambiamenti economici, sociali e culturali; si ritiene infatti che la definizione sia il metodo più ovvio, e forse l'unico adeguato, per caratterizzare un concetto scientifico2.

L’antitesi del rifiuto nel suo non essere è qualcosa di altro e nuovo, di rigenerato ma non è mai – o completamente - merce absoluta poiché non perde mai la propria matrice o, per alcuni approcci interpretativi, il peccato originale e lo stigma dell’origine. Vedremo, infatti, come l’aver inteso l’end of wastecome rifiuto che diventa merce attraverso un peculiare e rigido processo, abbia generato contrasti ed equivoci che spesso la giurisprudenza ha teso a ricomporre con dei freni inibitori.

Non è possibile parlare di end of waste senza parlare di rifiuto ma, allo stesso tempo, la definizione di rifiuto condiziona quella di end of waste e ciò potrebbe anche aver avuto conseguenze rispetto alla sua circolazione come merce tra gli Stati.

Il sostegno analitico di un approccio filosofico e sociologico prima che giuridico, aiuta a comprendere la definizione che con il tempo è mutata ed ha condizionato tutta la disciplina non solo dei rifiuti ma anche della economia circolare che ancora oggi, per quanto definita e normata, nella pratica stenta a scorrere fluidamente.

Calvino nella “Poubelle Agrèèe”3 ha descritto mirabilmente il gesto rituale del “gettare i rifiuti” a fronte di una rivoluzione epocale: con l'avvento dell’industrializzazione, della produzione seriale e riproducibilità tecnica4, del consumo di massa e dell'utilizzo massiccio della chimica nell’industria, il rapporto uomo-rifiuto muta radicalmente. Iper-produzione e meccanizzazione invertono quelle che erano un tempo le regole di interazione uomo-corpo, uomo-ambiente, uomo-morte .

Nel passato pre-industrializzato, i rifiuti erano una problematica relativa perché il recupero e il riciclo erano naturalmente praticati in modo da rendere semplice l’attuazione del ciclo chiuso e, dall’altro, oggettivamente non vi erano quelle problematiche nella difficoltà di smaltimento e di inquinamento che sono sorte unicamente con l’industrializzazione e lo sviluppo chimico ove la realizzazione del ciclo chiuso diviene una quasi-utopia. Sicché, le attuali difficoltà nella messa in pratica dell’end of wastederivano proprio da strutturali e antiche complessità che partono anzitutto dalla natura del rifiuto e dal modo in cui esso viene inteso nella società moderna e industrializzata.

In tal senso, capire l’evoluzione progressiva dalla nozione di rifiuto a quella di non-rifiuto potrà implementare la comprensione necessaria a rispondere alle odierne esigenze di attuazione del ciclo chiuso sostenibile e di realizzare correttamente e sostenibilmente l’end of waste.

1.1. PRIME RIVOLUZIONI COPERNICANE: DAL CONCETTO DI RIFIUTO AL NON-RIFIUTO ALLA RICERCA DELLA RIDUZIONE

A fronte dell'agire indisturbato del moltiplicatore di rifiuti nell’accelerato sviluppo industriale, il metodo da sempre praticato per tenerli lontani è stato quello del conferimento in discarica, un luogo nascosto, ai margini delle città nel quale tenere lontano tanfo e spettacolo visivo:

La spazzatura è ovunque. La si può trovare dappertutto, senza alcuna eccezione, eppure è largamente invisibile alla maggior parte di noi”5.

Secondo Baudrillard è proprio sul residuo che si fonda la modernità:

Oggi tutto si capovolge. La stessa psicoanalisi è la prima grande teorizzazione dei residui (lapsus, sogni, ecc.). Non è più un’economia politica della produzione a dirigerci, ma un’economia politica della riproduzione, del riciclaggio – ecologia e inquinamento, un’economia politica del resto.”6

Ritroviamo in Bauman la stessa analisi:

La modernità liquida è una civiltà dell'eccesso, dell'esubero, dello scarto e dello smaltimento dei rifiuti.61

Nell'ordinamento italiano è al 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale, che risale la prima Legge sui rifiuti, la numero 366, denominata“Raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”,la quale conteneva una sintetica definizione dei soli rifiuti “solidi urbani” la cui raccolta, trasporto e smaltimento costituivano carattere di interesse pubblico “nei riflessi dell'igiene, dell'economia e del decoro “.

Un testo che, in un periodo dove l'interesse a mantenere l'autarchia di un Paese in guerra era prevalente, garantiva nella sola sfera pubblicistica la gestione dei rifiuti, in relazione ad un generico interesse igienico, non già di salute né tanto meno di tutela ambientale e di riduzione dei rifiuti stessi.

Assieme al decoro e all'igiene, un punto importante di tutela era costituito tuttavia dall'interesse economico dei rifiuti, infatti grande risalto veniva dato al recupero, al riciclo ed alla ricerca scientifica, in particolare all'art. 5 il quale stabiliva che:

Il Ministero dell'interno ha facoltà di disporre, presso i Comuni del Regno, l'esecuzione di particolari esperimenti, anche a carattere tecnico industriale, per lo studio e la risoluzione dei problemi attinenti in genere al perfezionamento dei servizi ed alla migliore e più economica utilizzazione dei rifiuti...”.

Certamente una legge evoluta rispetto alle finalità di recupero e ricerca in riduzione al conferimento in discarica ma non in una prospettiva di risoluzione e differenziazione dei rifiuti ma volta unicamente ad usare e riusare i rifiuti quanto più possibile, essendoci un bisogno cogente di massimo risparmio, uno stato di necessità in una economia di guerra .

Solamente nel 1982, come recepimento della Direttiva 74/442 CEE, troviamo la prima definizione legislativa di rifiutoprossima a quella vigente; con il DPR 915 infatti, all'art. 2 comma primo, per rifiuto si intendeva “qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all'abbandono”.

L'equiparazione tra attività umana e ciclo naturale presente in tale definizione sembra non tener conto della non lieve differenza tra le due situazioni, dal momento che l'industrializzazione e l'avvento della chimica ha immesso nel ciclo produttivo (e conseguentemente anche nel ciclo naturale), materiali altamente inquinanti che nulla hanno in comune con ciò che deriva dal ciclo naturale.

Parimenti rilevante è la connotazione del gesto dell'abbandono nell'articolo definitorio, abbandono che traduce l'espressione “dispose of “contenuta nel testo originario della direttiva recepita e che assume il significato di un agire al contrario: “to dispose of” è il phrasal verb di “to dispose” (predisporre), che deriva dal latino disponere . “Disponere” si traduce a sua volta in generale con “porre qua e là” , “collocare in diversi punti”,“distribuire”; e in senso traslato in“distribuire secondo un determinato piano7.

La dottrina osserva che “il fattore comune riscontrato in queste definizioni è che il rifiuto è qualcosa di cui il detentore si è sbarazzato/scartato o che intende sbarazzarsi/scartare. In linea di principio, sia "sbarazzarsi" che "scartare" significano "abbandono", forse "smaltimento" significa più che altro mettere qualcosa in un luogo adatto, mentre "scartare" ha la connotazione di essere inutile o indesiderabile, ovvero "gettato via". Si presumeva che lo scopo dell'uso dell'espressione "sbarazzarsi" al posto di "smaltimento" da parte della Direttiva UE fosse quello di ampliarne la portata e includere il più ampio possibile atto di abbandono di cose, con o senza interesse per la destinazione finale delle cose scartate (Cheyne e Purdue, 1995)”8.

Ecco che i rifiuti erano ovunque, ecco l’approccio pan-rifiutista.

In quella definizione mancava ancora un concetto di abbandono nella sua connotazione di obbligo di disfarsi, come è presente oggi nella definizione di rifiuto, e non v’era neppure una concezione di rifiuto che possa ricondursi alla possibilità di recuperarlo. Tuttavia, al fine estremo di recuperare e non sprecare, nel vecchio DPR dell’82 si arrivava ad escludere espressamente alcune tipologie di rifiuti, istituendo la categoria dei “residui” o “materiali quotati” in borse merci o in listini e mercuriali ufficiali (che portarono alla quotazione anche dei calcinacci provenienti dalle attività di demolizione).

Un primo incentivo alla responsabilizzazione di tutti gli attori, dai cittadini agli imprenditori in una prospettiva sostenibile di gestione dei rifiuti, è emersa successivamente con il V Programma d'Azione Comunitario , approvato nel 1993 ( "Per uno sviluppo durevole e sostenibile - Programma politico e d'azione della Comunità Europea a favore dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile“ ) con il quale si introduceva finalmente una variabile culturale attraverso un approccio partecipato mirato alla riduzione dello spreco e ponendo i primi passi verso un concetto più maturo di sostenibilità. 9

Da qui si è giunti - ispirato a tale Programma ed a Direttive quali la 91/156/CEE, la 91/689 CEE sui rifiuti pericolosi e la 94/62 CEE sugli imballaggi - al Decreto legislativo 22 del 1997, meglio noto come “Decreto Ronchi” . All'art. 6 si definiva “rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi”. Rispetto alla definizione data dal legislatore dell'82, legislatore che non aveva fatto altro che recepire la nozione comunitaria, troviamo un rinvio integrativo ad un allegato (Allegato A) ed un vero e proprio obbligo di disfarsi 10 di un determinato rifiuto a determinate condizioni.

Il primo elemento per definire quindi una sostanza come rifiuto era l’appartenenza o meno ad una delle categorie inserite nell’allegato A. L’elenco ivi contenuto non era tuttavia esaustivo, giacché conteneva due clausole di riserva: “a) la voce “Q1”, che riguarda i residui di produzione o di consumo non specificati dai successivi 15 punti della voce Q; b) la voce “Q16”, che riguardava le sostanze, le materie ed i prodotti non rientranti nei precedenti 15 punti.

Sostanzialmente restava sempre possibile un’estensione dell’ambito oggettivo di “rifiuto”.

Il secondo (e per la verità fondamentale) elemento discriminante era nuovamente il significato da attribuirsi al termine “disfarsi”. Il decreto Ronchi, infatti, considerava – a differenza del passato – finalmente prioritaria l’operazione di recupero e residuale quella di smaltimento. In particolare, il disfarsi nella nuova prospettiva culturale deve avvenire in una delle seguenti tre forme: riutilizzo (cioè, uso ripetuto e reiterato di un prodotto per il medesimo scopo per cui è stato creato); riciclaggio (cioè, il residuo viene inserito nuovamente nello stesso ciclo produttivo che lo ha originato); recupero (il residuo è inserito in un ciclo produttivo diverso da quello di provenienza).

L'introduzione di obblighi di smaltimento è fortemente indicativa dell'accentuarsi del profilo di responsabilizzazione degli agenti a fronte di una presa di coscienza dei rischi legati alla produzione di rifiuti in quantità crescenti e di rifiuti altamente pericolosi e impattanti per la salute umana e l’ambiente laddove esclusivamente e primariamente destinati alla ghettizzazione in discarica.

Tuttavia, secondo alcuni autori, l’intenzionalità o l’obbligo di disfarsi mette ancora in secondo piano il principio di riduzione dei rifiuti e l’apertura al non-rifiuto sicché “il tipo di definizione, "qualcosa di cui il detentore si è disfatto", presuppone che il rifiuto sia già presente e che il detentore intenda smaltirlo, mentre il significato principale della minimizzazione dei rifiuti è quello di evitare la produzione di rifiuti alla fonte. Questa definizione di rifiuto non supporta quindi l'opzione di gestione dei rifiuti più importante”11.

In Italia, con il Decreto Ronchi, sono state per la prima volta recepite le importanti Direttive guida comunitarie, giungendo finalmente ad emanare una disciplina che tentava finalmente di far fronte ad una complessità crescente della questione rifiuti e delle conseguenti implicazioni; una normativa di difficile lettura a causa di una definizione del rifiuto che, attraverso una trama di rinvii ed esclusioni, riusciva paradossalmente a moltiplicarli più che a razionalizzarli. Tale ambiguità normativa, spesso in contrasto con la disciplina comunitaria, aveva alla base un arduo tentativo di riuscire a raggiungere un compromesso tra il bisogno di crescita e sviluppo ed un climax di esigenze di tutela della salute e dell’ambiente.

Il rifiuto si qualifica sempre più in una accezione univocamente antropica e connessa all'attività produttiva e non più, come nella definizione del 1941, di qualcosa proveniente da un ciclo naturale, tanto che in maniera provocatoria Udall 12 propose di misurare l'economia di una società in “Gross National Waste” ossia “rifiuti interni lordi” , essendo questi ormai crescenti più che proporzionalmente rispetto al reddito medio.

Giungendo infine al vigente D.lgs. 152 del 2006 e s.m.i., per la prima volta il legislatore si approccia, sempre attraverso una matrice ideologica antropocentrica 13 e rifiutocentrica, alla salvaguardia ed al miglioramento delle condizioni dell'ambiente tramite anche “l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali “ , con l'obiettivo primario della “promozione dei livelli di qualità della vita umana , da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell'ambiente e l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” (Art. 2, finalità).

Con esso emerge un mutamento importante nella definizione di rifiuto , soprattutto con la modifica apportata dal D.lgs. del 2010, attraverso la scomparsa del rinvio all'allegato A, un prontuario che aveva generato enormi difficoltà e diatribe sfocianti in diversi contenziosi, soprattutto penali.

La novella ha enfatizzato la triplice condizione soggettiva che caratterizza il rifiuto: il disfarsi, l'intenzione di disfarsi e l'obbligo di disfarsi , rendendo così la nozione di rifiuto aperta, dinamica e complessa.

Tuttavia, contemporaneamente all'inasprimento delle sanzioni e delle pratiche di smaltimento e con la normativa europea e con quella italiana, si è avuto il proliferare di una serie di attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, annoverabili nel genus delle cosiddette ecomafie 14, aumentando così le complessità e le eterogenesi della gestione dei rifiuti.

Ed è in questo contesto sociale ed economico che si avvia il percorso concettuale della cessazione del rifiuto in una prospettiva di riduzione dei rifiuti e tutela della salute umana e rispetto dell’ambiente quale ecosistema complesso di vita e di vite.

2. L'EVOLUZIONE NORMATIVA DELL'END OF WASTE: DALL'ART. 181-BISALL'ART. 184-TER D.LGS. 152/06

Un punto di partenza dell'economia circolare è che i materiali debbano essere considerati rifiuti solo temporaneamente, per poi essere reintrodotti nell'economia come prodotti. Meglio se i prodotti nascono già in un’ottica di riutilizzo, puntando quindi sulla qualità dei materiali e ricorrendo a progettazioni eco-sostenibili. Pertanto, è stata elaborata una via d'uscita dalla definizione di rifiuto e dal suo “moltiplicatore”, definizione in cui il materiale scartato cessa di essere tale e diviene il cosiddetto "end-of-waste",il qualerappresenta una delle soluzioni di tutela dell’ambiente, operando nella duplice prospettiva di risparmio delle materie prime e della riduzione dei rifiuti da gestire.

L’end of waste, o meglio la cessazione della qualifica di rifiuto disciplinato all’art. 184 ter D.L.gs. 152/06, è uno degli approdi di una pluriennale evoluzione normativa sovranazionale e nazionale volta alla razionalizzazione del settore rifiuti, che in Italia ha preso le mosse dal dpr 915/82 per addivenire, passando attraverso il decreto Ronchi d.lgs. 22/1997, al cd. Testo Unico Ambientale, D.I.gs 152/2006: il prodotto dell’end of wastesoppianta il concetto di materie, sostanze e prodotti secondari di cui all’art. 181 bis T.U.A. (introdotto dal d.lgs. n. 4/2008 ed abrogato dal d.l.gs 205/2010) e la sua nozione è introdotta nel sistema con il d. lgs 205/2010 in ossequio della Direttiva 2008/98/CE.

Come evidenziato poc’anzi, il decreto Ronchi, intervenuto per superare il caotico interventismo legislativo volto a sottrarre all’applicazione del d.p.r. 915/82, e successive modificazioni, scarti provenienti da lavorazioni industriali e non, attraverso la loro classificazione quali “residui”, “materiali quotati” in borse o in listini e mercuriali ufficiali, è stato a sua volta oggetto di continue revisioni tese ridurre l’area di applicazione della disciplina sui rifiuti. Difatti, già prima dell’emanazione del TUA, il legislatore nazionale aveva espresso una volontà, attraverso alcuni provvedimenti, di abbracciare una concezione restrittiva della nozione di rifiuto, ottenendo tuttavia il fermo della giurisprudenza sovranazionale15.

Si trattava comunque di una sperimentazione in realtà stimolata dalle stesse norme sovranazionali; i primi passi verso la costruzione di un sistema economico circolare si sono compiuti in un contesto di sostanziale silenzio da parte della normativa europea la quale però demandava agli Stati membri il compito di adottare misure “appropriate” per promuovere “il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo o qualsiasi altra azione volta a ottenere materie prime secondarie” (art. 3, par. 1, lett. b), direttiva 91/156/CEE).

Emergono già qui quelle discrasie e atteggiamenti bipolari del legislatore comunitario che ritroveremo ancora nelle ultime riflessioni di questo lavoro nel momento in cui l’innovativo end of waste tenta di uscire come merce dai confini nazionali.

L’apertura del legislatore italiano ha trovato quindi al contempo uno stimolo nei principi di riduzione dei rifiuti ed un freno nell’approccio precauzionale del diritto comunitario e nell’orientamento della Corte di Giustizia la quale non ritenne corretta la sottrazione alla qualifica di rifiuto di residui di produzione o di consumo che “non sono riutilizzati in maniera certa e senza previa trasformazione nel corso di un medesimo processo di produzione o di utilizzazione” 16.

Una posizione interpretativa da subito ricalcata dalla giurisprudenza interna ma non anche dal legislatore: il nuovo approdo normativo del settore, costituito dal decreto legislativo 152/06 – per certi versi impropriamente definito “testo unico ambientale”, riscrive gran parte della disciplina sui rifiuti, esplicitando fra i principi quello secondo il quale lo smaltimento dei rifiuti deve costituire la fase residuale della gestione dei rifiuti, dovendosi privilegiare la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o il recupero di altro tipo (art. 197 TUA), così rendendo univoca la logica di favorire al massimo tutte le attività alternative allo smaltimento puro e semplice e determinanti un minor impatto ambientale. E a tale logica paiono ispirarsi gli interventi modificativi e integrativi dell’articolato normativo originario del D.lgs. 152/06.

Tale previsione rende univoca la logica del legislatore: favorire al massimo le attività alternative allo smaltimento puro, in coerenza con la ratio comunitaria di riduzione dei rifiuti e di transizione verso l’economia circolare.

In questa visione il Testo Unico Ambientale ha coraggiosamente aperto ad una creazione legislativa vicina al non-rifiuto, con i sottoprodotti e con l’art. 181- bis sulle materie prime secondarie che non avevano ancora trovato spazio nella normativa comunitaria e venivano introdotte per la prima volta nel nuovo codice dell’ambiente.

Tale disposizione, potenzialmente foriera di nuovi contrasti interpretativi in relazione alla sua compatibilità con la normativa europea, è stata oggetto di diversi interventi correttivi da parte del legislatore italiano. In particolare, il codice è stato modificato prima con il D.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, e successivamente con il D.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205.

L’ultima riforma del 2010 ha rivisto la definizione di rifiuto al fine di adeguarla alla direttiva 2008/98/CE, che conferma la centralità del concetto di disfarsi e abbandona il riferimento a un elenco predefinito di rifiuti e ha inoltre recepito la nozione di end of waste contenuta nella stessa direttiva.

La definizione di rifiuto si inserisce in un quadro normativo più ampio, che non si limita a considerare la sola fase di produzione del rifiuto, ma mira a valorizzare l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali. L’obiettivo è quello di ridurre l’impatto ambientale associato alla loro produzione e gestione, rafforzandone al contempo il valore economico, come evidenziato nel considerando 8 della direttiva 2008/98/CE.

A livello sovranazionale quindi, nell'aggiornamento del 2008 della Direttiva quadro sui rifiuti dell'UE, sono stati formulati per la prima volta i criteri giuridici per la definizione di "end-of-waste". Secondo tali criteri, lo status di prodotto può essere ottenuto se esiste un mercato e non vi sono impatti negativi complessivi sull'ambiente o sulla salute derivanti dall'utilizzo del materiale. Questi criteri generali avrebbero dovuto essere tradotti in criteri dettagliati per diverse tipologie di rifiuti, validi in tutta l'Unione. Tuttavia, a 10 anni dalla sua formulazione giuridica, è chiaro che l'attuazione della definizione di "end-of-waste" non è stata uniforme nella maggior parte dei Paesi UE, per molteplici ragioni di cui si dirà solamente dopo aver esaminato complessivamente tale processo di recupero dei rifiuti o creazione di non-rifiuti.

2.1 LE MATERIE PRIME SECONDARIE (ART. 181-BIS D.LGS. 152/2006)

Il Testo Unico Ambientale ha introdotto il concetto di sottoprodotto di origine comunitaria, regolandolo inizialmente all'articolo 183, lettera n) e, in seguito alle modifiche successive del decreto legislativo 152/2006, alla lettera qq) dello stesso articolo. Il TUA ha identificato tutti i requisiti la cui presenza simultanea determina che una sostanza, potendo essere qualificata come sottoprodotto, venga esclusa dalla disciplina sui rifiuti.

Il Testo Unico Ambientale ha inoltre individuato, seguendo un approccio analogo a quello già previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 915/82 e, successivamente, dal decreto legislativo 22/97, le sostanze specifiche che sono escluse dall'applicazione della normativa sui rifiuti, come stabilito all'articolo 185.

All'articolo 181 bis, inserito nel TUA mediante il decreto legislativo 4/2008, era stata introdotta nel sistema normativo la nozione di materie, sostanze e prodotti secondari. Si trattava di materie, sostanze e prodotti che, a seguito di operazioni di riutilizzo, riciclo o recupero, non rientravano nella categoria dei rifiuti di cui all'articolo 183, comma 1, lettera a).

Tutto è partito dunque con il concetto delle materie prime secondarie (MPS), introdotto dal D.L.gs. 4/2008 il quale prevedeva una disciplina transitoria che consentiva alle autorità territoriali di individuare caso per caso i criteri per la c.d. cessazione della qualifica di rifiuto.

Nella formulazione originaria, al comma 2 dell’art. 181 bis D.L.gs. 152/2006, era previsto che i metodi di recupero delle materie, sostanze e prodotti secondari dovevano garantire l’ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008.

Il comma terzo prescriveva che fino all’emanazione dei provvedimenti di cui al comma 2 avrebbero continuato ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2022 n. 161 e 17 novembre 2005 n. 269.

Il comma quarto prevedeva che nelle more dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 181 bis comma 2, continuava ad applicarsi anche la circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999 prot. n. 3402/V/MIN .

Infine, al comma quinto, era previsto che in caso di mancata adozione del decreto di cui al comma secondo nel termine previsto, il Consiglio dei Ministri avrebbe provveduto in sostituzione nei successivi novanta giorni, ferma restando l’applicazione del regime transitorio di cui al quarto comma.

1l decreto legge 6.11.2008 n. 172, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2008 n. 210, adottato per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per dettare misure urgenti di tutela ambientale, all’art. 9-bis, comma 1 lett. a), prevedeva poi, integrando la disciplina transitoria dell’art. 181- bis TUA che, fino all’entrata in vigore del decreto di cui al comma secondo dell’art. 181- bis TUA, le caratteristiche dei materiali secondari “si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli artt. 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e del decreto legislativo 18.2.2005 n. 59”.

Le Materie Prime Secondarie (MPS) dunque rimanevano espressamente escluse dal regime dei rifiuti, sia che si trattasse di quelle derivanti da attività di recupero individuate dagli appositi decreti (DM 5.2.1998, DM 161/2002, DM 269/2005) sia che si trattasse di quelle individuate tramite procedure autorizzative ordinarie (art. 9 bis lett a) e b) della legge n. 210/2008. L'art. 9- bis del D.L. 172/2008 aveva così chiarito che le caratteristiche dei materiali secondari si consideravano conformi anche alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli artt. 208, 209 e 210 TUA, introducendo così la distinzione tra procedure semplificate e ordinarie.

Gli artt. 208, 209 e 210 TUA disciplinano le autorizzazioni uniche, rilasciate caso per caso, degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, mentre il decreto legislativo 59 del 2005 disciplinava le autorizzazioni integrate ambientali, successivamente disciplinate dagli artt. 4,10, 29 bis, 29 quaterdecies, 33 e 36 D.L.gs. 152/06.

Il raccordo di tale ultima disciplina con la nuova introdotta poi dal d.lgs. 152/06 è dettato dall’art. 213 TUA che prevede che le autorizzazioni di cui al d. lgs 59 del 2005 sostituiscono quelle di cui agli artt. 208, 209 e 210 TUA ovvero la comunicazione di cui all’art. 216, limitatamente alle attività non ricadenti nella categoria 5 dell’allegato I del decreto n. 59 del 2008, che, se svolte in procedura semplificata, sono escluse dall’autorizzazione integrata ambientale.

Agli artt. 214, 215 e 216, il decreto legislativo 152/2006 detta la disciplina delle autorizzazioni semplificate. Per queste ultime è prevista — comma 4 dell’art. 214 TUA - una disciplina transitoria che dispone che sino all’adozione dei decreti di cui al comma secondo del medesimo articolo (che dispone l’emanazione dei decreti attuativi in relazione alla procedura autorizzatoria semplificata), all’attività di recupero continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’Ambiente 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161 e 17.11.2005 n. 2697.

Per le autorizzazioni uniche (articoli 208, 209 e 210 TUA) non è prevista una disciplina transitoria specifica, coerentemente alla loro natura procedurale. L'articolo 208, comma 11, stabilisce che l'autorizzazione deve individuare le condizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi dell'articolo 178, specificando tipi e quantitativi di rifiuti trattabili, requisiti tecnici e modalità di controllo.

L'articolo 9 bis del D.lgs. 172/2008 ha chiarito la volontà del legislatore di reintrodurre la competenza degli enti territoriali nell'individuare caso per caso i criteri specifici delle materie secondarie. Questa previsione ha superato le lacune dell'originaria formulazione dell'articolo 181- bis TUA.

L'articolo 9 bis era dunque stato introdotto per "superare le difficoltà riscontrate dagli operatori del settore recupero dei rifiuti nell'applicazione del decreto legislativo 152/2006" , chiarendo che anche per le materie secondarie valeva la distinzione tra regime semplificato e ordinario.

Il legislatore ha mantenuto la continuità tra il sistema del decreto Ronchi e quello del TUA, riproponendo:

- La divisione tra autorizzazioni semplificate (articoli 214-216) e ordinarie (articoli 208-210);

- Il principio per cui le autorizzazioni ordinarie individuano caso per caso condizioni e prescrizioni specifiche;

- L'applicazione di norme tecniche preventive e generali per le attività semplificate.

Il terzo comma dell'articolo 181 bis TUA ha fatto rinvio all'applicazione integrale dei decreti ministeriali citati, non solo ai loro criteri, mantenendo così l'ambito di operatività specifico di ciascun provvedimento limitato alle procedure semplificate.

L'articolo 9 bis ha corretto una svista del legislatore: il silenzio normativo sulle attività ordinarie non doveva essere interpretato come estensione automatica delle regole semplificate, ma come lacuna da colmare. Se il legislatore avesse voluto estendere i criteri dei decreti ministeriali alle autorizzazioni ordinarie, avrebbe dovuto fare rinvio specifico ai criteri, non all'intera disciplina dei provvedimenti.

Successivamente, con il D.L.gs. 205/2010 e l'abrogazione dell'art. 181- bis è stato introdotto l’art. 184- ter d.lgs. 152/06 così ridelineando il quadro normativo, mantenendo tuttavia la disciplina transitoria di cui sopra che rimandava ai decreti ministeriali 5.2.1998, 161/2002 e 269/2005.

2.2. INTRODUZIONE: IL CONTESTO NORMATIVO DELL' END OF WASTE

Il concetto di End of Waste, introdotto per la prima volta dalla Direttiva 2008/98/CE e recepito nell'ordinamento italiano attraverso l'art. 184- ter del D.L.gs. 152/2006, rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell'economia circolare europea.

Nella strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti del dicembre 2005, la Commissione europea ha evidenziato come la definizione di rifiuto non stabilisse confini precisi per individuare il momento in cui un rifiuto è stato adeguatamente trattato e può essere considerato un prodotto. Questa situazione, problematica per le imprese, causava interpretazioni divergenti tra gli Stati membri, ostacolando lo sviluppo del mercato e permettendo l’immissione di materiali riciclati di scarsa qualità.

Di conseguenza, la Commissione propose una revisione della direttiva quadro sui rifiuti con l’obiettivo di definire chiaramente quando un rifiuto cessa di esserlo. Tale modifica mirava a migliorare le prestazioni ambientali dei prodotti riciclati, promuovere la produzione di materiali conformi a criteri ambientali, aumentare la fiducia di acquirenti e utilizzatori e semplificare le norme relative ai rifiuti a basso rischio impiegati come materiali secondari.

Dopo un lungo iter decisionale che ha visto confrontarsi posizioni più restrittive sull’applicazione del meccanismo dell’End of Wastee visioni più favorevoli orientate verso una «società del riciclo», è stata approvata la direttiva 2008/98/CE che, all’articolo 6, ha introdotto i criteri per stabilire quando un rifiuto cessa di esserlo, dettandone i principi costituenti che oggi ritroviamo nella norma dell’art. 184- ter del d.lgs. 152/2006.

La cessazione della qualifica di rifiuto consente di reintrodurre nel ciclo economico materiali che, pur derivando da processi di scarto e destinati all’abbandono, acquisiscono nuova dignità di prodotto attraverso operazioni di recupero.

La normativa italiana ha subito numerose modifiche nel corso degli anni, partendo, come visto, proprio dalla nozione di materie prime secondarie , così riflettendo e raccontando la complessità dell'equilibrio tra esigenze ambientali e necessità economiche.

Dal sistema delle materie prime secondarie, il “progetto” si è man mano evoluto verso l'attuale disciplina End of Waste, caratterizzata da una crescente attenzione ai profili di sostenibilità ambientale.

L’end of wasteconsiste in un insieme di processi che permettono ad un materiale di tornare utile dopo il trattamento, seguendo criteri fissati dalle norme europee (direttiva 2008/98/CE), recepite in Italia nell’art. 184- ter del D.lgs. 152/2006.

La normativa stabilisce che un rifiuto cessa di essere tale solo se:

  • È destinato a usi specifici;

  • Esiste un mercato o una domanda per la sostanza o l’oggetto recuperato;

  • Soddisfa requisiti tecnici e rispetta standard e normative applicabili ai prodotti;

  • L’uso non provoca impatti negativi per ambiente o salute umana.

(Questi criteri saranno successivamente esaminati singolarmente).

Il sistema delineato dalla normativa europea si articola su due livelli: una procedura a livello comunitario gestita dalla Commissione e una procedura sussidiaria attribuita agli Stati membri, che possono «decidere caso per caso» se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale» soltanto se «non sono stati stabiliti criteri al livello comunitario» (art. 6, par. 4).

In un primo tempo di sviluppo della disciplina, a livello UE, i criteri armonizzati di fine rifiuto sono:

  • Regolamento (UE) 333/2011: ferro, acciaio e alluminio;

  • Regolamento (UE) 1179/2012: vetro;

  • Regolamento (UE) 715/2013: rame e leghe di rame

Questo nonostante il Centro Comune di Ricerca dell'UE avesse sviluppato criteri per diverse altre tipologie di rifiuti, come carta, plastica, compost e aggregati. Molte proposte di fine rifiuto erano state tuttavia bloccate a causa della difficoltà degli Stati membri a raggiungere un accordo.

La mancanza di accordo nasce in particolare dal fatto che alcuni Paesi hanno più facilità nell’estrarre materiali vergini dalla rispetto ad altri, e vedono conseguentemente i rischi ambientali in modo diverso.

D’altra parte, i Paesi che devono affidarsi soprattutto a materiali riciclati spesso sono costretti ad accettare regole meno rigide, una scelta che invece risulta poco gradita alle nazioni che dispongono di risorse naturali abbondanti e pulite, perché la considerano una minaccia per la tutela dell’ambiente.

Di conseguenza, la responsabilità dell'ulteriore attuazione della definizione di fine rifiuto è stata rimessa agli Stati membri, che con difficoltà e lentezza hanno avviato il processo costitutivo di end of waste . A livello nazionale attualmente sono stati disciplinati:

  • DM 22/2013: combustibili solidi secondari (CSS)

  • DM 69/2018: conglomerati bituminosi;

  • DM 62/2019: prodotti assorbenti per la persona (PAP);

  • DM 78/2020: gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso;

  • DM 188/2020: carta e cartone;

  • DM 152/2022: rifiuti inerti da costruzione e demolizione

  • DM 127/2024: rifiuti inerti da costruzione e demolizione

La seconda procedura prevista dall’articolo 6, paragrafo 4, può essere attivata dagli Stati membri solo in via sussidiaria, ovvero quando non sono stati definiti criteri a livello comunitario. La possibilità per gli Stati di decidere caso per caso se un rifiuto ha cessato di essere tale deve avvenire nel rispetto della «giurisprudenza applicabile»17, con l’obbligo di notifica alla Commissione secondo quanto stabilito dalla direttiva 98/34/CE.

La normativa tecnica adottata dagli Stati deve quindi conformarsi alla giurisprudenza, la quale svolge una funzione interpretativa a livello comunitario, garantendo sintesi e uniformità nell’applicazione del diritto, limitando così la discrezionalità del legislatore nazionale.

2.3.1. LA DISCREZIONALITÀ AMMINISTRATIVA NELLE AUTORIZZAZIONI CASO PER CASO

Le autorizzazioni caso per caso rappresentano certamente la casistica maggiormente complessa e variegata per la sua difficoltà tecnica attuativa.

Il dibattito giurisprudenziale, infatti, ha dovuto affrontare il tema della competenza degli enti territoriali nel definire criteri End of Waste in assenza di regolamenti comunitari o decreti ministeriali specifici.

Superando le incertezze generate dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 1229/2018, che aveva limitato tale competenza sulla scia della giurisprudenza della CGE ritenendo che il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto fosse, per la Direttiva, unicamente lo “Stato” non riconoscendo il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, le successive decisioni 18 hanno riconosciuto la discrezionalità amministrativa sussidiaria.

2.3.2 EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINAEND OF WASTE E COMPETENZE AUTORIZZATORIE SEMPLIFICATE E ORDINARIE: IL PRINCIPIO DI NON AUTOMATICA APPLICAZIONE DEI DECRETI MINISTERIALI

Il sistema prevede l'autorizzazione ordinaria come regola generale, mentre quella semplificata costituisce l'eccezione per casi specifici, generalmente relativi a rifiuti non pericolosi.

La Nota del Ministero dell'Ambiente n. 10045 del 1° luglio 2016 ha confermato l'interpretazione secondo cui le autorizzazioni ordinarie possono definire autonomamente i criteri end of waste. La nota chiarisce che:

- Per il recupero agevolato continuano ad applicarsi i criteri dei decreti ministeriali esistenti;

- Per il recupero non agevolato, le Regioni e gli enti autorizzati possono definire i criteri end of waste nelle autorizzazioni ordinarie e integrate ambientali, verificando le condizioni dell'articolo 184 ter, comma 1.

Successivamente, la sentenza n. 1229/2018 del Consiglio di Stato ha modificato significativamente l'interpretazione precedente, stabilendo che:

- La disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto è riservata alla normativa comunitaria;

- In assenza di previsioni comunitarie, solo lo Stato può valutare caso per caso la cessazione, non enti interni;

- Il potere "caso per caso" non si riferisce al singolo materiale da esaminare, ma alla tipologia di materiale da disciplinare con previsione regolamentare generale;

- L'articolo 9 bis del DL 172/2008 non attribuisce un potere di declassificazione ex novo in sede di nuove autorizzazioni.

A seguito della pronuncia del Consiglio di Stato, il DL 32/2019 (convertito in Legge 55/2019) ha riformulato il terzo comma dell'articolo 184 ter TUA, introducendo una disciplina che:

- Mantiene l'applicazione dei decreti ministeriali per le procedure semplificate;

- Estende l'applicazione dei criteri contenuti negli allegati di tali decreti anche alle autorizzazioni ordinarie (articoli 208, 209, 211);

- Prevede la possibilità di emanare linee guida ministeriali per l'applicazione uniforme sul territorio nazionale;

- Stabilisce l'obbligo di aggiornamento delle autorizzazioni rilasciate secondo i criteri delle linee guida. La modifica del 2019 ha chiarito che:

- Anche nella fase transitoria, come in quella a regime, spetta alla competenza statale individuare le tipologie di rifiuto suscettibili di perdere la qualifica e i relativi criteri;

- Prima di tale modifica, in assenza di riserva statale, i criteri potevano essere individuati caso per caso dagli enti territoriali competenti per le autorizzazioni ordinarie;

- La riforma ha quindi centralizzato a livello statale una competenza che precedentemente poteva essere esercitata a livello territoriale.

La novella legislativa ha rappresentato dunque un cambio di paradigma che limita l'autonomia degli enti territoriali nella definizione dei criteri end of waste, accentrando tale competenza a livello statale per garantire uniformità di applicazione su tutto il territorio nazionale.

Successivamente ancora il Tribunale amministrativo 19 ha stabilito che anche alle autorizzazioni ordinarie “caso per caso” possono essere applicati e imposti i criteri di cui al DM 5 febbraio 1998 sul recupero semplificato. I Giudici hanno rilevato come il Dm 5 febbraio 1998, anche se relativo al recupero semplificato dei rifiuti e non alle autorizzazioni ordinarie, integra "il paradigma per le autorizzazioni Eow non altrimenti governate da criteri più specifici." In altre parole può fungere da riferimento in tutte quelle autorizzazioni End of wasterilasciate"caso per caso", cioè ad hoc dalla pubblica Amministrazione in assenza di criteri fissati da specifici regolamenti ministeriali .

In tal senso il DM 1998 non diviene un paradigma imposto ma certamente un paradigma di riferimento generale.

La tecnica normativa utilizzata dal legislatore non consente dunque di ritenere obbligatoria l'applicazione automatica dei decreti ministeriali del decreto Ronchi (DM 5.2.1998, DM 161/2002, DM 269/2005) nelle autorizzazioni ordinarie per la cessazione della qualifica di rifiuto. Questa conclusione si basa sul principio che tali decreti sono stati concepiti specificamente per le procedure semplificate.
Il legislatore, con l’art. 184-ter, comma 3, TUA, ha distinto chiaramente tra il regime semplificato, dove continuano ad applicarsi i DM 5.2.1998, 12.6.2002 n.161 e 17.11.2005 n.269, e il regime ordinario, in cui i criteri specifici dell’attività di recupero sono individuati direttamente nell’atto autorizzativo.

Non vi è dunque alcun vincolo di richiamo automatico ai DM: se il legislatore avesse voluto estendere i criteri anche alle autorizzazioni ordinarie, avrebbe disposto un espresso rinvio.

Ne consegue che le autorità competenti, pur nel rispetto della ratio ambientale, dispongono di una discrezionalità tecnico-amministrativa che consente di individuare standard diversi dal test di cessione di cui al DM 1998, in relazione alla specifica destinazione del prodotto.

Difatti il sistema normativo è strutturato secondo una logica precisa: le procedure semplificate richiedono criteri preventivamente individuati e standardizzati per garantire un livello precauzionale generalizzato di sicurezza ambientale, data la natura snella di tali procedure. Al contrario, le autorizzazioni ordinarie, che comportano un'analisi specifica e dettagliata del caso, possono stabilire criteri più stringenti o meno rigidi a seconda delle specificità dell'attività di recupero e della destinazione del prodotto finale.

Non è quindi ontologicamente vero che un'attività soggetta ad autorizzazione ordinaria generi maggiori pericoli ambientali rispetto a una semplificata: il grado di pericolosità dipende dalla tipologia del rifiuto, dalle operazioni di recupero e dalla destinazione del prodotto ottenuto.

La conferma, specificano i Giudici, arriva anche dalle Linee guida SNPA 41/2022 sulla cessazione della qualifica di rifiuto.

Dunque, per quanto concerne i criteri specifici delle autorizzazioni caso per caso , si rappresenta che le stesse debbano individuare:

  • Condizioni e prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi ambientali

  • Tipi e quantitativi dei rifiuti trattabili

  • Requisiti tecnici specifici

  • Modalità di verifica, monitoraggio e controllo

Inoltre, è prevista una flessibilità normativa laddove possono essere individuati "standard differenti da quelli imposti per gli oggetti e le sostanze delle operazioni di recupero autorizzate in forma agevolata".

Le autorità possono scegliere criteri alternativi purché rispettino le condizioni dell'art. 184- ter comma 1 ed è possibile individuare standard meno stringenti se giustificati dalla specifica destinazione del prodotto.

Una recentissima sentenza del Tribunale di Torino20, ha ripercorso i diversi passaggi che si sono poc’anzi riassunti, chiarendo e sintetizzando la fondamentale distinzione tra le due tipologie autorizzatorie per gli impianti che si occupano di cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste), stabilendo criteri interpretativi di grande rilevanza pratica e delineando con precisione i rispettivi ambiti di applicazione e le relative caratteristiche normative.

Riassumendo sul punto è possibile ritenere che il sistema italiano abbia sempre mantenuto una duplice modalità autorizzatoria:

  • Autorizzazioni semplificate (artt. 214, 215 e 216 TUA)

  • Autorizzazioni ordinarie caso per caso (artt. 208, 209, 210 TUA)

Per le autorizzazioni semplificate, la si applica obbligatoriamente il D.M. 5 febbraio 1998, insieme ai regolamenti di cui ai decreti del Ministero dell'ambiente 12 giugno 2002 n. 161 e 17 novembre 2005 n. 269. Le caratteristiche di tale sistema risultano le seguenti:

  • Criteri predeterminati: I parametri tecnici e ambientali sono fissati preventivamente dalla normativa;

  • Procedure agevolate: Si tratta sostanzialmente di una comunicazione all'autorità competente;

  • Standardgeneralizzati: I limiti sono individuati "in via generalizzata per tipologie di rifiuti"

  • Principio precauzionale: Applica criteri più stringenti per compensare l'assenza di analisi caso per caso.

Per le Autorizzazioni Ordinarie vi è unadiscrezionalità valutativain quantole autorità competenti possono "individuare caso per caso i criteri appropriati" nell'esercizio della discrezionalità amministrativa loro propria”21.

Questa distinzione comporta conseguenze operative significative. Anzitutto per gli operatori consente una maggiore flessibilità nelle autorizzazioni ordinarie; mentre per le autorità concede la discrezionalità tecnico-amministrativa nell'individuazione degli standardapplicabili.

Per il sistema complessivamente inteso si prospetta così un maggiore equilibrio tra semplificazione procedurale e garanzie ambientali.

3. I REQUISITI DELL'END OF WASTE : UN'INTERPRETAZIONE EVOLUTIVA

Come già anticipato, i criteri specifici per l’end of wastedevono rispettare una serie di condizioni cumulativamente necessarie stabilite dall’art. 6, par. 1, e precisamente: la sostanza o l’oggetto deve essere «utilizzata/o per scopi specifici»; deve esistere «un mercato o una domanda» ; devono essere soddisfatti «requisiti tecnici per gli scopi specifici» e determinati standard applicabili ai prodotti; l’utilizzo non deve comportare «impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana».

Il primo presupposto, in linea con la giurisprudenza comunitaria, implica la necessità di verificare che il materiale derivante da un’operazione di recupero non subisca le sorti di un rifiuto ma sia comunemente impiegato per scopi specifici, assicurandone al tempo stesso la tracciabilità. Un concetto che quasi si fonde con il secondo relativo alla preesistenza della specifica domanda di mercato a cui verrà dedicato un paragrafo specifico.

Quanto agli altri due requisiti, essi dovrebbero orientarsi a validare un processo di eow con ottime e competitive qualità merceologiche attraverso gli standard e i requisiti tecnici, compatibilmente la sostenibilità che si traduce in impatti complessivamente non negativi per ambiente e salute umana. Il che si traduce nell’applicazione della LCA22 anche all’eow nel senso di identificare e valutare gli impatti ambientali (salute umana, ecosistemi, risorse) e individuare opportunità di miglioramento della sostenibilità, evitando il trasferimento degli impatti tra diverse fasi o indicatori ambientali, orientandosi ad un approccio assai prossimo a quello produttivo ove i sistemi inquinanti non sono esclusi in modo assoluto ma bilanciati e rigorosamente regolamentati.

Una interessante lettura dottrinale 23 ritiene che tali condizioni non ricalchino correttamente l’ acquis della giurisprudenza comunitaria nella parte in cui non contengono un espresso riferimento alla nozione di «recupero completo»24 , ma richiamano il concetto di recupero della Direttiva che ricomprende anche la più soft “preparazione per il riutilizzo”.

Conseguentemente la cessazione della qualifica di rifiuto non deriva esclusivamente da operazioni di trattamento completo ma è compatibile con interventi meno invasivi, a seguito dei quali il rifiuto appare dotato di caratteristiche tali da svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione all’interno dell’impianto o nell’economia in generale (art. 3, par. 15, della direttiva 2008/98/CE).

Concetto che ritroviamo infatti nell’art. 184 ter, comma 2, che ha esteso il concetto di «recupero» alle semplici attività di controllo sul rifiuto volte a verificare se questo soddisfi di per sé le condizioni e i criteri che determinano il mutamento della qualifica, attraverso anche il solo “controllo visivo”. Si tratta certamente di una immensa apertura che, chiarisce la Cassazione, deve pur sempre essere attuata da soggetti autorizzati e attraverso attenta attività di recupero25.

Sicché risulta fondamentale soffermarsi in particolare su una delle condizioni indispensabili per ottenere il processo di eow che è la presenza di una domanda di mercato contestualmente ad un utilizzo che non arrechi impatti complessivi negativi sull’ambiente: se ne può forse dedurre che una domanda di mercato per taluni rifiuti che non crei gravi danni all'ambiente, abbia una corsia di preferenza rispetto a più stringenti valutazioni di impatto ambientale?

E' dunque il mercato il vero soggetto che qualifica il rifiuto e che decide del disfacimento delle cose? E, soprattutto, quali le implicazioni di una concezione tanto espansiva di rifiuto?

3.1 IN PARTICOLARE: IL REQUISITO DELL'ECO-COMPATIBILITÀ (ART. 184- TER , COMMA 1, LETT. D) - UNA LETTURA ORIENTATA AL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ NELLA TUTELA AMBIENTALE

L’ 184-ter, tra i requisiti necessari per il completamento corretto del processo di eow, non menziona il termine "eco-compatibilità" né il concetto di pericolosità, limitandosi a richiedere che "l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana".

La valutazione deve essere condotta in relazione allo specifico impiego del materiale, considerando che anche sostanze primarie possono presentare caratteristiche di pericolosità se utilizzate impropriamente e quindi abbandonando il vecchio stigma dell’origine del rifiuto ma aprendo in modo sostanziale al riutilizzo totale e sostenibile.

Le più recenti pronunce della giurisprudenza 26 hanno introdotto un importante principio di proporzionalità nella definizione degli standard ambientali per l'End of Waste.

Non tutti i materiali recuperati, infatti, necessitano degli stessi livelli di protezione: la valutazione deve essere calibrata sulla specifica destinazione d'uso e sui rischi effettivi per l'ambiente e la salute umana. Tale approccio appare coerente con l'evoluzione normativa testimoniata dal D.M. 127/2024, che ha introdotto una disciplina specifica per i rifiuti inerti da costruzione e demolizione, confermando la possibilità di criteri differenziati per diverse tipologie di materiali.

Ne discende inoltre il principio per cui la qualifica di un materiale come rifiuto non dipende, in via principale, dalla sua pericolosità intrinseca o dalla natura delle sostanze che lo compongono, bensì dall’esistenza di un elemento oggettivo e dimostrabile: la volontà del detentore di disfarsene.

Come affermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, un bene inizialmente qualificabile come rifiuto pericoloso può perdere tale connotazione se, a seguito di un trattamento idoneo, risulta nuovamente utilizzabile senza rappresentare un rischio per la salute umana né arrecare danni all’ambiente , purché sia esclusa ogni intenzione di dismissione. In tal senso, come già discusso nelle prime battute, la normativa europea non fornisce una definizione univoca del concetto di “disfarsi” di un materiale, né individua criteri oggettivi e vincolanti per accertare la volontà del detentore; essa demanda pertanto agli ordinamenti interni degli Stati membri la facoltà di stabilire le modalità probatorie di tale elemento, a condizione che tali interpretazioni non compromettano l’effettività del diritto comunitario27 .

Un approccio che risponde anche alla ratio della possibile distinzione tra le autorizzazioni ordinarie e semplificate di cui si è detto e che mira ad un approccio sostanziale piuttosto che di esclusione a priori della possibilità di creare end of waste.

3.2 IL REQUISITO DELL'IDONEITÀ TECNICA E LA REGISTRAZIONE REACH

Uno dei requisiti per la commercializzazione di una merce in Europa è la conformità al regolamento REACH sulle sostanze pericolose.

Il Regolamento REACH (Reg. CE n. 1907/2006), che disciplina la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, è stato emanato con l’obiettivo di rafforzare la tutela della salute e dell’ambiente rispetto ai rischi derivanti dall’uso di tali sostanze. Esso, in linea generale, si applica a tutte le sostanze, sia in forma pura sia come componenti di miscele o articoli, ma non trova applicazione ai rifiuti.

Il regolamento impone ai produttori e agli importatori di dimostrare che le sostanze da loro immesse sul mercato non presentino, secondo criteri di ragionevole prevedibilità, effetti nocivi sulla salute umana o sull’ambiente. A tal fine, ciascuna sostanza deve essere oggetto di registrazione mediante la predisposizione di un fascicolo tecnico contenente informazioni sulle caratteristiche fisico-chimiche, tossicologiche ed ecotossicologiche, oltre che sugli usi previsti.

Tale regolamento, per sua natura, dovrebbe applicarsi alle sostanze immesse sul mercato e non ai rifiuti, configurandosi come disciplina parallela e non sovrapponibile a quella dell'End of Waste28.

Relativamente alla mancata registrazione REACH nel caso di eow , la giurisprudenza 29 di recente ha chiarito che tale adempimento non costituisce un prerequisito per la cessazione della qualifica di rifiuto, ma un obbligo che sorge successivamente per la commercializzazione del prodotto.

Non può ritenersi, secondo tale orientamento, che la registrazione al sistema REACH costituisca un presupposto necessario per la qualifica di end of waste. Ne consegue che l’iscrizione al registro REACH non deve necessariamenteavvenire prima che le sostanze o i materiali derivanti dalle operazioni di recupero di cui all’art. 184- ter TUA possano essere considerati rifiuti cessati.

Recentemente è intervenuto anche il Ministero dell’Ambiente, a seguito di interpello30, ha precisato che il produttore che immette il materiale Eow sul mercato ha l'onere di fornire tutte le informazioni che consentono alla P.a. di valutare se lo stesso debba rispettare specifiche limitazioni/prescrizioni di conformità al regolamento "Reach", in particolare nelle autorizzazioni “caso per caso”. In tale occasione ha quindi chiarito che “non ci sono prescrizioni specifiche del Regolamento REACH per il controllo dei rifiuti in ingresso, come confermato dalle Linee Guida SNPA 41/22”.

La risposta del Ministero offre al contempo indicazioni utili all’implementazione delle procedure che consentono di operare correttamente il processo di EoW: “Il rifiuto in ingresso deve avere, infatti, caratteristiche compatibili con il processo di recupero per la cessazione della qualifica di rifiuto, al fine di evitare fenomeni di incompatibilità̀ fisica e/o chimica. Nello specifico, nel proprio Sistema di Gestione, il gestore deve prevedere procedure operative atte a garantire la tracciabilità̀ del rifiuto dal momento del conferimento in impianto fino alla produzione del prodotto(EoW) edefinire, nella procedura di accettazione, gli eventuali contaminanti critici ed i relativi limiti in concentrazione compatibili con il processo e con la qualità̀ finale del prodotto” .

Si evidenzia sul punto un concetto di primaria importanza che il Ministero ha colto l’occasione per chiarire: il rispetto del regolamento REACH del prodotto esitato dal recupero non implica ex se che la cessazione della qualifica di rifiuto sia stata correttamente adempiuta, in quanto sono sempre indispensabili tutti e contestualmente i requisiti dell’art. 184- ter del d.lgs. 152/06.

E’ evidente come tale chiarimento abbia importanti ricadute per lo sviluppo dell'economia circolare, chiarendo che obiettivi di sostenibilità ambientale non devono necessariamente tradursi in standarduniformemente massimali, ma possono essere perseguiti attraverso criteri proporzionati e specifici per ciascun settore di impiego.

3.3. L'ESISTENZA DI UN MERCATO: PROFILI EVOLUTIVI

Particolare rilievo assume l'interpretazione del requisito dell'esistenza di un mercato di cui alla lett. b) dell'art. 184- ter TUA.

Il passaggio dall'art. 181- bis TUA, che richiedeva un "effettivo valore economico di scambio sul mercato" , all'attuale formulazione che richiede "un mercato o una domanda", ha modificato sostanzialmente i parametri di valutazione.

Si rappresenta inoltre che una delle problematiche maggiori rispetto alla preesistenza di una domanda di mercato è che il decentramento della legislazione sulla cessazione della qualifica di rifiuto ha ovviamente portato gli Stati membri a formulare criteri diversi per le stesse categorie di rifiuti. Pertanto, il problema del commercio di rifiuti, ovvero la mancanza di armonizzazione, non è stato risolto e ostacola, come si dirà nelle conclusioni a cui si rimanda, l’effettiva circolazione dell’eow.

Le principali riforme legislative analizzate in precedenza, devono la loro esistenza nel diritto italiano prevalentemente all'obbligo di recepimento delle direttive europee tra cui spicca la 2008/98/CEche ha introdotto la gerarchia dei rifiuti ed il principio di prevenzione degli stessi sul presupposto che si possa dissociare la crescita economica dalla crescita dei rifiuti, sulla base di una nuova definizione di rifiuto.

La strategia europea di prevenzione dei rifiuti, come noto, si basa su un maggiore investimento eu-tecnologico in sistemi di produzione puliti ed attraverso una riprogettazione dei prodotti con un minimo impatto ambientale ed una forte attitudine ad essere riciclabili. Vengono poi elencate alcune valutazioni in termini di rapporto costi-benefici in prospettiva di una implementazione e stimolazione del riciclo.

Dunque come devono essere qualificati e definiti i rifiuti una volta che vengono riciclati e riutilizzabili: essi sono beni, sono merci, sono risorse o prodotti?

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, i rifiuti destinati al recupero devono essere consideratibeni negoziabili, soggetti alle disposizioni del trattato sulla libera circolazione dellemerci(articoli 28, 29 e 30). Pertanto, le misure nazionali atte ad ostacolare gli scambi di rifiuti destinati al recupero potrebbero essere considerate incompatibili con l'articolo 28 del trattato, se non sono giustificate e commisurate all'obiettivo perseguito.”31

Sempre secondo la stessa giurisprudenza, i rifiuti per essere considerati merce non occorre che siano stati riciclati ma che semplicemente siano stati oggetto di transazione commerciale. Inoltre è stato chiarito nella stessa sentenza che il requisito della presenza sul mercato è soddisfatto anche qualora il prezzo del prodotto sia negativo a patto che l'intera filiera dal produttore all'utilizzatore abbia una marginalità positiva.

Il punto centrale, riguardo al requisito dell’esistenza di un mercato, consiste nello stabilire se tale condizione possa considerarsi rispettata anche quando il prezzo del prodotto risulti negativo, purché l’intera catena, dal produttore fino all’utilizzatore finale, mantenga comunque una marginalità economica positiva.

Occorre ricordare che la previsione dell’esistenza di un mercato o di una domanda serve a garantire che il materiale derivante da un processo di recupero non venga abbandonato o smaltito illecitamente, in quanto riconosciuto utile da una pluralità di soggetti interessati ad acquisirlo. In questo senso, la norma ha lo scopo di assicurare che la sostanza o l’oggetto, cessando di essere rifiuto, trovi concreta collocazione in un ciclo produttivo.

Con l’abrogazione dell’art. 181-bis TUA e l’introduzione dell’art. 184-ter TUA ad opera del D.lgs. 205/2010, si è passati dal requisito previsto per le materie, sostanze e prodotti secondari – ossia l’avere “un effettivo valore economico di scambio sul mercato” (art. 181-bis, lett. e) – a quello stabilito per gli end of waste, che richiede invece “l’esistenza di un mercato o di una domanda” (art. 184-ter, lett. b).

Dal dato letterale dell’art. 181- bis TUA emergeva chiaramente che, per qualificare un prodotto come materia prima secondaria, non bastava il solo valore intrinseco (ossia una valutazione economica astratta e indipendente dalla dinamica di mercato), ma era necessario un prezzo reale, generato dall’incontro fra domanda e offerta e, dunque, espressione di un concreto interesse di mercato.

Dunque il diverso tenore letterale del requisito per gli end of waste , confrontato con quello della disciplina previgente, dimostra che il legislatore non ha voluto subordinare la qualifica di end of waste all’esistenza di un effettivo valore economico – né intrinseco né di mercato – ma ha ritenuto sufficiente che per quel prodotto esista una domanda stabile e apprezzabile , idonea a garantire il suo utilizzo continuativo.

La ratio di tale logica è rinvenibile nel timore che eventuali successivi trattamenti possano consentire valutazioni critiche sul venir meno delle caratteristiche atte a soddisfare, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e l’assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana , e, quindi, determinare l’attribuzione “sull’interessato dell’onere di fornire la prova della destinazione del materiale ad ulteriore utilizzo, con certezza e non come mera eventualità”.

Occorre quindi comprendere se ed eventualmente con quali condizioni è possibile intervenire con trattamenti sul prodotto end of waste.

4. SONO POSSIBILI TRATTAMENTI SUCCESSIVI AL PROCESSO DIEOW ?

Il legislatore comunitario, nell’ottica positivista di incentivazione circolare, non ha impostato la normativa con preposizioni negative ma ha sempre dato sia indicazioni in positivo sia raccomandazioni disincentivanti. In tale ultimo senso si colloca quanto riportato nel documento della Commissione “Guidelines on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste” che al paragrafo 1.3. analizza la disciplina End of Waste. In particolare, al paragrafo 1.3.2 “What are the conditions for EoW criteria to be set at EU level?”si legge che:

The substance or objectfulfils the technical requirements for the specific purpose and meets the existing legislation and standards applicable to products ;

Compliance with this criterion can be indicated by compliance with established relevant technical specifications or technical standards that are used for virgin materials for the same purpose. The material should be ready for final use and no additional waste treatment steps should be needed .”

Pertanto, sebbene non sia rinvenibile un divieto esplicito costituente una chiusura rigida del sistema, la raccomandazione comunitaria è quella di evitare trattamenti successivi sul risultato finale dell’ EoW . Tanto per le ragioni che seguono.

La necessità che la qualità finale dell’EOW sia rispondente ai parametri tecnici e possibilmente conforme agli standard del prodotto vergine, regge perfettamente l’idea di fondo che l’esito del processo dia origine a un prodotto e non a un mero “non rifiuto”. Ed è una impostazione che si armonizza con le interpretazioni, sia pure talvolta eccessivamente stringenti, della giurisprudenza.

Tale impostazione interpretativa, trova applicazione in alcuni regolamenti eow come ad esempio quello relativo agli inerti (Reg. (CE) 2011/333) dove è espressamente prescritto che, per considerare tali rifiuti come EOW, debbano essere “statiportati a termine tutti i trattamenti meccanici(quali taglio, cesoiatura, frantumazione o granulazione; selezione, separazione, pulizia, disinquinamento, svuotamento) necessari per preparare i rottami metallici al loroutilizzo finaledirettamente nelle acciaierie e nelle fonderie”.

Come è noto, infatti, uno dei requisiti del 184- ter (comma 1 lettera “c”) è che il rifiuto recuperato debba soddisfare determinati requisiti tecnici per scopi specifici e rispetti la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti.

Sul punto, le principali agenzie non governative (ad esempio EPA (Environmental Protection Agency) suggeriscono nei “pilastri dei controlli dell’EOW” (The pillars of the end-of-waste test) l’opportunità di dimostrare che “il materiale è pronto per il suo utilizzo finale e non ha bisogno di subire ulterioritrattamenti, il che significache è stato "completamente recuperato".

Pertanto, può essere utilizzato nello stesso modo del materiale non di scarto che sostituisce (you can do this by providing evidence that the material is ready for its final useand does not need to undergo any further treatment , meaning that it has been ‘fully recovered’. Therefore, it can be used in the same way as the non-waste material that it replaces…).

In tale prospettiva la conformità tecnica è garanzia specifica della qualità ed effettività di aver ottenuto un prodotto ed è uno dei motivi principali per cui la giurisprudenza ha accolto, anche se con una certa diffidenza, la disciplina dell’ EOW.

Difatti, come si è avuto già modo di evidenziare in tema di EOW, la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione ha precisato che, trattandosi di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti , “l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l’applicazione” 32. Tale giurisprudenza è una applicazione conseguente all’indirizzo consolidato 33 secondo cui il principio di inversione dell’onere della prova è sempre «…applicabile in tutti i casi in cui venga invocata, in tema di rifiuti, l’applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali» -come sono quelle in tema di EOW. Un concetto, peraltro, che ha trovato precisa applicazione ad esempio in tema di impianti mobili per il riconoscimento della deroga al regime autorizzatorio ordinario, prevista dall’art. 208 comma 15 del d. lgs. 152 del 2006 relativamente a quegli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee34.

Occorre a questo punto unire i punti precedenti e addivenire ad una conclusione chiara e orientata, quindi, alla massimadue diligence per l’operatore al fine di meglio adempiere a tutte le indicazioni sia della giurisprudenza che, nella fase di controllo, degli organi preposti quali in primis ISPRA.

Difatti porsi la questione di quanto accade al prodotto EOW nel momento in cui esce dallo stabilimento, è assolutamente corretto e conforme alle principali indicazioni emanate dagli ispettori ministeriali e che dovrebbe permeare sempre l’ agere del “buon imprenditore ambientale” .

Ci si riferisce, in particolare, alle novellate linee guida SNPA del 2022 35 laddove per i controlli ispettivi, alla Tabella 5.4 – Verifiche di conformità del prodotto , per i “cosa controllare per i prodotti in uscita” , indica di adottare uno specifico sistema di gestione e controllo che “definisca le modalità di conduzione del processo produttivo del rifiuto recuperato (prodotto) in conformità alle disposizioni autorizzative. Il sistema di gestione e controllo, per garantire la tracciabilità del rifiuto, deve includereprocedure operative che descrivano tutto l’iter del rifiuto, dal suo conferimento nell’impianto di recupero fino alla produzione del prodotto finalee suo invio al successivo ciclo produttivo di altri utilizzatori.

Conseguentemente, gli ispettori dovranno verificare la “presenza documentale di gestione rapporti con i successivi utilizzatori del prodotto tali da garantire che i materiali ottenuti siano effettivamente utilizzati in un ciclo produttivo, ovvero esiste un mercato o una domanda per tale sostanza o oggetto”36.

Una legittima perplessità potrebbe sorgere poi nel caso di eventuali attività di manipolazione successiva dell’eow, attività che potrebbero apparire assai prossime e sovrapponibili a quelle svolte nella fase di recupero del rifiuto e che consentono, anch’esse, di certificare la qualità del prodotto ottenuto.

Quindi occorrerebbe preferibilmente evitare trattamenti successivi che potrebbero aprire spazio a contestazioni in merito alla effettiva completezza qualitativa dell’EOW. Tuttavia, laddove presenti, un supporto tecnico si ritiene indispensabile al fine di giustificare sia l’utilità dell’intervento, sia comunque l’inidoneità dello stesso a mutare la natura e la qualità dell’EOW.

In tale ultimo senso infatti, considerato che la normativa richiede espressamente la dichiarazione di conformità dell’EOW 37 sia ai processi che ne qualificano l'avvenuta cessazione di rifiuto sia ai parametri tecnici contenuti in normative tecniche quali ISO o, ancor più stringente, regolamento REACH (nei termini di cui si è detto); considerato che tale dichiarazione deve indicare altresì il rispetto di standard qualitativi ambientali, si dovrebbe essere sempre preliminarmente in grado di spiegare che eventuali attività successive alla formazione dell’EOW comunque non alterano le qualità tecnica dell’ EOW così come attestata nella singola dichiarazione di conformità rilasciata e che, quindi, non equivalgono adattività di gestione di rifiuti. Questo al fine di confutare eventuali contestazioni di veridicità di quanto dichiarato nel certifica suddetto, trattandosi di una verifica che è espressamente riportata nelle linee guida SNPA 2022, par. 5.6.4.

In caso di contestazione nei termini indicati che potrebbe portare a responsabilità penali per violazioni della normativa italiana, è consigliabile, per poterla escludere, adottare una serie di misure preventive e reattive nella due diligenceattraverso l’implementazione delle procedure operative interne aziendali. Queste dovrebbero includere, sempre in applicazione delle Linee Guida SNPA 2022, la raccolta sistematica di documentazione pertinente, la registrazione dettagliata delle procedure seguite, e la preparazione di una risposta puntuale e ben articolata per ogni osservazione di organi di controllo o, laddove dovesse accadere, organi inquirenti.

In sostanza, alla luce dei principi generali in materia diEOW, è doveroso e diligente comprendere che l’esigenza di un intervento da parte dell’impresa acquirente sul prodotto, non comporti alcuna alterazione ma possa essere ricondotta nel concetto di“normale pratica industriale” afferente al ciclo produttivo cui il prodotto è destinato e, soprattutto, espressamente autorizzato.

È essenziale, a tal fine, evidenziare che la tranquillità derivante dalla legittimità degli atti amministrativi, ha effetti positivi anche sul piano penale. Quando gli atti amministrativi sono considerati legittimi, si riduce il rischio di contestazioni penali, poiché la conformità alle normative amministrative dimostra che le decisioni sono state prese in modo appropriato e giustificato. Ciò significa che, se si può dimostrare la regolarità degli atti quindi delle autorizzazioni vigenti, il sistema penale è meno probabile che venga attivato, contribuendo così a una maggiore serenità operativa e a una difesa più solida contro eventuali accuse ad esempio di gestione illecita di rifiuti.

In questo senso torna ancora utile la richiamata sentenza del Tribunale di Torino laddove offre importanti spunti per l'interpretazione dell'art. 452- quaterdecies c.p. in relazione alle attività di End of Waste . Il Giudice chiarisce infatti che non ogni irregolarità nella gestione di materiali recuperati configura automaticamente il reato di traffico illecito di rifiuti, essendo necessaria la dimostrazione dell'effettiva mancanza dei requisiti di legge per la cessazione della qualifica di rifiuto.

La giurisprudenza più recente ha indubbiamente confermato la legittimità della discrezionalità amministrativa nella definizione caso per caso dei criteri di cessazione della qualifica di rifiuto, purché esercitata nel rispetto dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguata motivazione.

Tre sono i principali punti che possono riassumere lo stato dell’arte dell’istituto eow:

  1. Rapporto tra diversi standard normativi: è stato definito l'ambito di applicazione del D.M. 5.2.1998 e del D.M. 27.9.2010, superando interpretazioni eccessivamente rigide che avrebbero paralizzato il settore del recupero;

  2. Interpretazione evolutiva dei requisiti End of Waste di cui all'art. 184-ter, comma 1, D.lgs. 152/06 alla luce dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale;

  3. Bilanciamento tra tutela ambientale ed economia circolare: obiettivi di protezione ambientale possono essere perseguiti attraverso criteri differenziati e proporzionati, senza necessariamente applicare standard uniformemente massimali.

Tuttavia, la complessità della materia richiede un continuo sforzo di coordinamento tra legislatore, amministrazione e giurisprudenza per garantire certezza normativa e sviluppo sostenibile del settore del recupero rifiuti. L'evoluzione futura della disciplina dovrà necessariamente considerare l'equilibrio tra semplificazione procedurale e garanzie ambientali, nella prospettiva di un'economia sempre più circolare e sostenibile.

5. PROFILI CRITICI E INCERTEZZE FUTURE: L’ECONOMIA CIRCOLARE INCIAMPA NELLA ESPORTAZIONE DELL’ EOW

Nonostante la disciplina si sia evoluta con una serie di tentennamenti iniziali e con la mancata uniformità, soprattutto nel territorio europeo, permangono elementi di incertezza nell'applicazione della disciplina End of Waste . La stratificazione normativa e la molteplicità di criteri applicabili per le autorizzazioni caso per caso, richiedono un intervento sistematico del legislatore per garantire maggiore certezza agli operatori del settore.

L'istituzione del Nucleo End of Waste (NEW) presso il MASE, prevista dalla recente L. 69/2025, rappresenta sicuramente un passo importante verso una maggiore armonizzazione delle procedure autorizzatoriema questo non risulta ancora sufficiente e comunque si tratta di un lavoro che procede lentamente e con diverse difficoltà nell’ottica del delicatissimo bilanciamento tra gli interessi dei vari stakeholder coinvolti.

A ciò si aggiungono i rigori interpretativi della giurisprudenza che vede ancora con diffidenza la possibilità che di un rifiuto non sia sempre destinato al disfarsi ma si trasformi in merce ancora e ancora una volta in un ciclo quanto più possibile chiuso.

A ben guardare però, la matrice della complessità e della difficoltà attuativa non nasce esclusivamente o quantomeno direttamente dal rigore interpretativo degli organi di controllo e della giurisprudenza – che giustamente tentano di sopperire alla complessità normativa e al rischio di derive attuative – ma dall’origine stessa dell’istituto e dai buoni propositi mancati del legislatore comunitario.

Secondo alcuni autori 38 l'end of wasteè stato promosso come un potenziale fattore di svolta nell'economia circolare , tuttavia la sua attuazione sarebbe ampiamente fallita nell'Unione Europea poiché si è dimostrato difficile concordare criteri comuni. Un altro aspetto particolarmente problematico è quindi rappresentato dalla frammentazione dei criteri end of waste a livello nazionale. Mentre la Commissione Europea ha adottato criteri armonizzati solo per specifiche tipologie di rifiuti, per la maggior parte dei flussi di rifiuti permangono criteri nazionali eterogenei.

La questione è stata così decentrata, in genere fino alle autorità locali che non hanno tuttavia la capacità tecnica di stabilire quando un rifiuto cesserà di essere tale, generando inoltre una frammentazione normativa e interpretativa sorretta da una certa cultura del sospetto che in tal modo si è alimentata nel timore di possibili letture trancianti da parte dei giudici.

Altri autori 39 hanno ipotizzato che sarebbe proprio la definizione comunitaria basata sul concetto del disfarsi e la conseguente legislazione sui rifiuti che, se da una parte sono state fondamentali per lo scopo di proteggere la natura e gli esseri umani da materiali contaminati e di scarto, hanno al contempo creato ostacoli alla circolazione: il commercio di eow destinati alla circolazione si è rivelato problematico poiché i requisiti, la definizione di rifiuto e quindi i sistemi di gestione dei rifiuti differiscono da paese a paese, andando così a condizionare ulteriormente anche le frammentate discipline sulla cessazione della qualifica di rifiuto.

Una nozione del rifiuto che, partita a livello comunitario già con rigore restrittivo come si è detto, ha ricalcato anche quella di non-rifiuto , ancora segretamente vissuto con ostacoli ideologici.

Le enormi differenze tra paese e paese non solo hanno impedito il commercio destinato alla circolazione, ma hanno anche reso complicato per le aziende del settore dei rifiuti di espandersi oltre i confini nazionali.

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza del 28 marzo 2019 nella causa C-60/18, ha chiarito che gli Stati membri mantengono un margine di discrezionalità nell'implementazione dei criteri end of waste, purché rispettino i principi generali stabiliti dalla direttiva quadro. Tale pronuncia ha confermato la legittimità di normative nazionali che subordinano la cessazione della qualifica di rifiuto all'esistenza di criteri di portata generale definiti mediante atto giuridico nazionale.

Tuttavia la maggiore contraddizione del legislatore comunitario emerge proprio nel momento cruciale dell’eow, la sua esportazione: quale normativa dovrà applicarsi? Quella sulla circolazione delle merci o quella sull’esportazione di rifiuti? Oppure esiste una disciplina ad hoc?

L'articolo 2 del nuovo Regolamento 40 sulla spedizione transfrontaliera di rifiuti delimita precisamente l'ambito di applicazione della disciplina, escludendo diverse categorie di materiali, tra cui l’end of waste. Nonostante ciò sono emerse delle problematiche.

Cruciale per la presente analisi è la conferma che i materiali cessati dalla qualifica di rifiuto, avendo acquisito lo status di prodotti, non rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento sulle spedizioni di rifiuti. Tuttavia leggiamo anche che nel nuovo Regolamento sulla spedizione transfrontaliera di rifiuti:

(14) Al fine di attuare e far applicare correttamente il presente regolamento, gli Stati membri dovrebbero adottare lemisure necessarie per garantire che i rifiuti non siano spediti sotto forma di merci usate, beni di seconda mano, sottoprodotti oppure sostanze o oggetti che hanno raggiunto la cessazione della qualifica di rifiuto”.

Dunque non esiste oggi un obbligo generale UE di riconoscere automaticamente l’EoW deciso da un altro Stato, ai fini delle spedizioni. In pratica, lo stesso materiale può essere EoW per lo Stato A e considerato rifiuto dallo Stato B. Questo è il rischio operativo principale per chi spedisce “come merce”.

Si è in presenza di una contraddizione in termini oltre che di un’espressa disincentivazione alla esportazione di end of waste che collima con i buoni propositi di economia circolare e sostenibilità profusi con l’emanazione di questo “istituto” e che, in tal modo, lo scaricano totalmente sul singolo Stato il quale non solo deve normarlo con i regolamenti attuativi interni, peggio ancora se con le autorizzazioni caso per caso , ma finisce con relegarlo ad uno strumento di autarchia, proprio come abbiamo visto all’inizio accadeva nell’economia di guerra degli anni quaranta in Italia.

Ne consegue che, già nel quadro disomogeneo e rigido del diritto interno, assistiamo anche alla concretizzazione di un approccio frammentario a livello comunitario con conseguenti distorsioni del mercato per gli stessi materiali.

Il mercato unico per la fine dello status di rifiuto è quindi prevalentemente non armonizzato e i criteri nazionali spesso non sono riconosciuti oltre i confini nazionali, rendendo difficile il commercio transfrontaliero di tali beni41.

Questa disposizione genera significative problematiche operative per i materiali end of waste, poiché l'assenza di criteri europei armonizzati e la mancanza di riconoscimento reciproco dei criteri nazionali possono comportare la riqualificazione come rifiuto di materiali legittimamente cessati dalla qualifica rifiuto nel paese di origine.

Tale situazione compromette la libera circolazione delle materie prime seconde all'interno del mercato unico europeo, ostacolando lo sviluppo dell'economia circolare.

Cosa propone a questo punto sempre il legislatore comunitario? Si limita a rimandare a successivi accordi tra Stati Membri42. Una delle principali soluzioni prospettate dalla dottrina e dagli operatori del settore 43 riguarda anche l'introduzione di un principio di riconoscimento reciproco dei criteri end of waste nazionali conformi all'articolo 6 della Direttiva quadro. Tale approccio, coerente con i principi del mercato unico europeo, consentirebbe il libero movimento dei materiali cessati dalla qualifica di rifiuto senza incorrere nei controlli previsti per le spedizioni di rifiuti.

La European Recycling Industries' Confederation (EuRIC) ha proposto una modifica 44 all'articolo 28 del regolamento che preveda il riconoscimento automatico dei criteri nazionali end of waste conformi alla disciplina europea, eliminando la presunzione di riqualificazione come rifiuto in caso di disaccordo tra autorità competenti.

Un'ulteriore prospettiva di riforma riguarda parallelamente l'accelerazione nell'adozione di criteri end of waste armonizzati a livello europeo. Nonostante la Commissione abbia annunciato l'intenzione di lavorare su nuovi criteri nel quadriennio 2021-202545, i progressi sono stati limitati, con solo un nuovo criterio previsto per il periodo.

L'armonizzazione dei criteri a livello europeo eliminerebbe le problematiche di riconoscimento reciproco, garantendo certezza giuridica e uniformità di trattamento per i materiali end of waste in tutti gli Stati membri. Tale approccio risulterebbe particolarmente vantaggioso per le tipologie di rifiuti caratterizzate da elevati volumi di commercio transfrontaliero.

Da un punto di vista strettamente pratico e costruttivo, a fronte di discrasie e disaccordi che potrebbero presentarsi in fase di spedizione, emerge l’esigenza di porre estrema cura pratica per la spedizione transfrontaliera di materiali che hanno ottenuto lo status di “end‑of‑waste”, cura tanto metodica quanto proattiva da parte degli operatori: non basta avere una dichiarazione di conformità, serve costruire una catena documentale e relazionale che riduca al minimo il rischio che il carico venga riclassificato come rifiuto a destinazione.

L’EoW appare come un cambio di identità legale del materiale : da “rifiuto” diventa “prodotto”. Questa trasformazione non è soltanto burocratica, è pratica: implica regole di qualità, controlli, responsabilità contrattuali e, soprattutto, la necessità di convincere gli acquirenti e le autorità del Paese di arrivo che quella merce è davvero un bene commerciabile. La strategia operativa più efficace sarà quindi preventiva : anticipare le obiezioni, documentare ogni passaggio e stabilire responsabilità chiare in caso di contestazione.

Chi organizza la spedizione dovrebbe anzitutto fissare il quadro normativo che vale per il materiale come fascicolo base contenente la carta d’identità dell’eow: se esistono criteri EoW europei applicabili, andranno messi al centro della pratica con allegate tutte le prove di conformità. Se invece lo status si basa su un decreto nazionale o su una decisione caso‑per‑caso , saranno questi atti il primo documento di riferimento.

A seguire, occorrerà possedere e fornire la documentazione tecnica che racconti il processo produttivo/di recupero e i controlli di qualità svolti. Una buona dichiarazione di conformità non è una frase burocratica: deve descrivere quali parametri sono stati misurati, con quali frequenze, con quali strumenti e risultati. Aggiungendo eventuali rapporti di analisi, certificati di laboratorio, registri di controllo qualità e, se possibile, esiti di audit indipendenti.

Questa“narrazione oggettiva” è la principale difesa in caso di contestazione: non si discutono dichiarazioni vaghe, ma dati.

Parallelamente, sarà necessario curare i contratti commerciali, inserendo clausole che chiariscano chi assume la responsabilità in caso di rifiuto riconosciuto a destinazione, come si gestisce il recesso, chi supporta le azioni amministrative e i costi di eventuale rimpatrio o trattamento, prevedendo anche la possibilità di una “pre‑verifica” da parte del destinatario.

E’ parimenti importante non trascurare le comunicazioni preventive con le autorità competenti del Paese di destinazione. Anche se non è sempre obbligatorio, ottenere un parere scritto (anche informale) o la conferma che il materiale è normalmente accettato come prodotto in quel contesto può ridurre le contestazioni successive. La best practice è inviare, prima della spedizione, tutta la documentazione tecnica e chiedere esplicitamente se è necessario qualche adempimento burocratico locale particolare.

Dal punto di vista operativo logistico, è necessario assicurarsi che la classificazione doganale e il codice tariffario corrispondano allo status di merce e non a codice rifiuto: incoerenze di classificazione attraggono, giustamente, i controlli.

Un altro elemento spesso sottovalutato è la gestione del rischio a catena: se il materiale viene trasformato o miscelato prima della spedizione, rispetto a quanto era stato certificato, si potrebbe perdere lo status EoW. Sicché si suggerisce di predisporre delle procedure interne di segregazione e tracciabilità che dimostrino l’immutabilità del lotto spedito rispetto a quanto certificato.

Non esiste un protocollo universale – mancando perlappunto di base un sistema di mutuo riconoscimento - che garantisca l’accettazione automatica da parte di ogni paese, ma un fascicolo tecnico solido, contratti chiari, comunicazioni preventive e un piano di emergenza fanno la differenza.

E’ quindi necessario e utile lavorare sulla trasparenza e collaborazione in modo da agevolare gli organi dicontrollo e i funzionari al fine di poter agevolmente accettare ciò che è dimostrabile e verificabile in modo oggettivo.

In sintesi: ridurre il rischio significa trasformare l’incertezza in evidenza documentale, responsabilità contrattuale e dialogo preventivo che vale parimenti per le procedure di eow interne.

6. CONCLUSIONI: DAL RICONOSCIMENTO RECIPROCO ALL’EFFETTIVO RICONOSCIMENTO INTERNO DELL’ END OF WASTE

Le problematiche dell'esportazione dell'end of wasterappresentano un significativo ostacolo allo sviluppo dell'economia circolare europea e sono un indicatore anche della rigidità e chiusura applicativa vissuta nell’ordinamento interno. La frammentazione normativa e l'incertezza classificatoria limitano la creazione di mercati efficienti per le materie prime seconde, compromettendo gli obiettivi di riduzione della dipendenza dalle risorse primarie46.

L'indisponibilità di mercati di sbocco affidabili per i materiali end of waste può disincentivare gli investimenti nel settore del riciclo, favorendo il ricorso allo smaltimento in discarica o all'incenerimento, in contrasto con la gerarchia europea dei rifiuti. Tale situazione risulta particolarmente problematica in un contesto di crescente pressione per il raggiungimento degli obiettivi di riciclo stabiliti dalla normativa europea47.

Unaimpasse che riflette e si riflette in quelle dell’ordinamento interno. Una delle principali criticità è emersa infatti dall'applicazione dell'articolo 28 del precedente Regolamento 1013/2006, che disciplinava i disaccordi sulla classificazione tra rifiuto e non-rifiuto. Il nuovo Regolamento 2024/1157 mantiene analoga disciplina, stabilendo che in caso di disaccordo tra autorità competenti sulla classificazione, il materiale deve essere trattato come rifiuto ai fini della spedizione.

Sul punto ha precisato la Commissione che in virtù dell’art. 28 del regolamento n. 1013/2006/CE sulle spedizioni di rifiuti, opera la presunzione di connotazione come rifiuto della merce oggetto di circolazione sul territorio europeo. Un approccio, ancora una volta, cautelativo e pan-rifiutistico.

Di contro, in una recente sentenza 48 la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che “Nell’ambito di un procedimento per inadempimento la prova della sussistenza dell’asserito inadempimento incombe alla Commissione la quale, per dimostrare che una determinata miscela (composta di catrami acidi risultanti dalla raffinazione del petrolio, di polvere di carbone e di ossido di calcio) costituisca effettivamente un rifiuto, non può limitarsi a invocare la presunzione di cui all’articolo 28, paragrafo 1, del regolamento n. 1013/2006, né affermare di attenersi alla mera constatazione del disaccordo fra le autorità competenti di spedizione e di destinazione”.

Si afferma in tal modo, anche in materia diend of waste, l’onus probandi procedurale secondo cui grava sulla parte che intenda far valere in giudizio un proprio diritto o denunciare una violazione l’obbligo di dimostrare, con un grado di attendibilità adeguato, i fatti costitutivi su cui si basa la propria pretesa. Nel caso della succitata sentenza onere incombente sulla ricorrente Commissione.

Osservazione condivisibile e che porta a riflettere anche sul differente approccio interno di estremo rigore con inversione probatoria con il quale la giurisprudenza interpreta tutte quelle norme che, come la cessazione della qualifica di rifiuto, comportano deroghe alla disciplina dei rifiuti, contrariamente sempre alla linea di condotta della giurisprudenza comunitaria per la quale “la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo” 49 .

Si ritiene pertanto condivisibile la tesi di quella dottrina 50 che ritiene necessario aprire favorevolmente, sempre nel rispetto della tutela ambientale e della salute umana, con un approccio conforme alla giurisprudenza comunitaria, al non-rifiuto.

Sicché, a fronte dell’assolvimento dell’onere probatorio da parte di un imputato cui dovesse contestarsi l’omessa applicazione della disciplina di rifiuti, una volta che questi abbia documentato e provato di contro la sussistenza di tutti i requisiti di cui al 184-ter, spetterà comunque all’accusa dimostrare l’insufficienza delle prove fornite, non potendosi limitare a mere petizioni di principio e, preliminarmente, dovendo sempre applicare il principio di economia circolare 51 che dovrebbe, in definitiva, assurgere a grundnorm delle norme ambientali.

Con una recente sentenza il TAR Lombardia 52 ha enunciato inoltre l’importante principio secondo cui la valutazione della cessazione della qualifica di rifiuto per un materiale deve essere valutata non a partire dalle categorie formali presenti in regolamenti europei o decreti ministeriali, bensì sulla base di un ragionamento sostanzialistico, che evidenzi le potenzialità di riutilizzo di una sostanza o di un oggetto nel mercato.

L'analisi condotta ha così evidenziato come le problematiche dell'esportazione dell'end of waste rappresentino una sfida complessa per il diritto europeo dell'ambiente, richiedendo un approccio integrato che consideri gli aspetti normativi, economici e di policy .

Difficoltà permangono accanto al rigore interpretativo della giurisprudenza la quale, probabilmente, necessita di questo approccio cautelare in un contesto normativo ancora evidentemente incerto.

Tuttavia, la consolidata posizione monolitica della giurisprudenza orientata a interpretare restrittivamente l’eow, non dovrebbe considerare la valutazione di un singolo Stato che non riconosce l’eow come prova, al contrario, della permanenza della condizione di rifiuto, limitandosi a valutare un eow che comunque resta tale nell’ordinamento italiano purché rispetti le condizioni dell’art. 184-ter. E’ necessario che le differenti possibilità, di essere o non essere rifiuto a seconda dello Stato di esportazione, non condizionino la valutazione sulla sussistenza dei requisiti di diritto interno.

In sostanza occorre dedicare maggiore fiducia a tale istituto, percorrendo parallelamente la strada del riconoscimento reciproco e quella interna agli Stati.

Nel nostro caso la possibilità di abbandonare quell’approccio rigido della giurisprudenza, parte dalla necessità di rafforzare i principi di circolarità e di sostenibilità. Il che implica anche la necessità di applicare un metodo sostanziale nella definizione dell’eow, a partire dal perfezionamento dell’attività di recupero53.

Si è partiti, non a caso, da una riflessione evolutiva del concetto e definizione di rifiuto, ponendo in evidenza l’uso del verbo disfarsi declinato sulla intenzionalità soggettiva piuttosto che su requisiti obiettivi e legati quindi alla sostanza/oggetto e alla sua utilità intrinseca.

Una prospettiva di riflessione potrebbe indurre a rivisitare la nozione di rifiuto partendo da una effettiva e sostanziale idea di circolarità e puntando anche sulla ricerca scientifica mirata a concepire ab origine gli oggetti e le merci come recuperabili, evitando così di porsi il problema al momento del disfarsi.

Un approccio realmente ed effettivamente sostenibile, in conclusione, forgerebbe di maggiore fiducia l’ habitus interpretativo della giurisprudenza, ancora troppo chiusa in fase difensiva (legittimamente intesa come protezione di uomo e ambiente) e prevenuta rispetto alla reale volontà di creare eow visto così come una scorciatoia degli oneri di smaltimento dei rifiuti e dei relativi costi.

Solo attraverso un approccio sistemico sarà possibile garantire il pieno sviluppo del potenziale dell'economia circolare europea, assicurando la libera circolazione delle materie prime seconde, la competitività dell'industria del riciclo, la riduzione dei rifiuti ed il loro impatto ambientale.

1Z.Bauman,Vite di scarto, Laterza 2004- pag.25.

2 Hempel, 1966.

3 “Il portare fuori la poubelle va dunque interpretato contemporaneamente (perché così lo vivo) sotto l'aspetto di contratto e sotto quello di rito […] rito di purificazione, abbandono delle scorie di me stesso, non importa se si tratta proprio di quelle scorie contenute nella poubelle o se quelle scorie rimandano a ogni altra possibile mia scoria, l'importante è che in questo mio gesto quotidiano io confermi la necessità di separarmi da una parte di ciò che era mio, la spoglia o crisalide o limone spremuto del vivere, perché ne resti la sostanza, perché domani io possa identificarmi per completo(senza residui) in ciò che sono e ho. Soltanto buttando via posso assicurarmi che qualcosa di me non è stato ancora buttato e forse non è né sarà da buttare.”

4 W. Benjamin sul concetto di “riproducibilità tecnica in “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” , Einaudi 2000.

5 J. Scanlan, Spazzatura. Le cose (e le idee) che scartiamo . Donzelli, 2006.

6 J. Baudrillard, Quando si toglie tutto, non resta niente, (articolo pubblicato nella rivista Traverses, n° 11, 1978, pp. 12-15), trad. Vincenzo Cuomo.

7 Calonghi, F., Dizionario Latino Italiano, Rosemberg & Sellier, 1950.

8 Eva Pongrácz, Veikko J. Pohjola, Ridefinire i rifiuti, il concetto di proprietà e il ruolo della gestione dei rifiuti su https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0921344903000570

9 “L'istruzione in materia ambientale si propone come obiettivo di intensificare la sensibilizzazione dei cittadini ai problemi esistenti in questo campo e alle possibili soluzioni e di gettare le basi per una piena conoscenza e un'attiva partecipazione dei singoli alla salvaguardia dell'ambiente e all'oculata e razionale utilizzazione delle risorse naturali.”

10 Sull’interpretazione del termine «disfarsi», Corte giust. CE, 24 giugno 2008, causa C-188/07, Commune

de Mesquer, in Racc., 2008, I-4501, punto 53; Id., 18 dicembre 2007, causa C-263/05, Commissione c. Italia, ivi, 2007, I-11745, punto 32; Id., 10 maggio 2007, causa C-252/05, Thames water Utilities, ibid.,I-3883, punto 24; Id., 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, ivi, 2004, I-10853, punto 33; Id., 7 settembre 2004, causa C-1/03, Van de Walle e a., ibid.,I-7613, punto 42; Id., ordinanza 15 gennaio 2004, causa C-235/2002, Saetti e Frediani, ibid., I-1005, punto 35; Id., 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit, ivi, 2002, I-3533, punto 22; Id., 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, ivi, 1997, I-7411, punto 26.

11 Vedi nota 5.

12 Udall S. L., citato in “la rifiutologia” a cura di Nebbia G. in Lezioni di merceologia, Laterza, 1981.

13 In una prospettiva antropocentrica, l'ambiente si considera un insieme di condizioni naturali che esistono per assicurare la sopravvivenza della specie umana, sono osservabili dall'esterno e sono, di conseguenza, sempre modificabili a vantaggio dell'uomo”. (Siracusa L., La tutela penale dell'ambiente: bene giuridico e tecniche di incriminazione , Giuffrè 2007).

14 Il termine ecomafia è stato coniato da Legambiente, per una definizione approfondita si rimanda a Ecomafia: i predoni dell'Ambiente di Cianciullo e Fontana, Editori riuniti, 1995.

15 La Corte di giustizia delle Comunità europee, con la sentenza del 25 giugno 1997 nelle cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95 (Tombesi e altri), pubblicata nella Raccolta 1997, p. 3561,aveva chiarito che la nozione di "rifiuto" di cui all’art. 1 della direttiva 75/442/CEE non può essere interpretata nel senso di escludere sostanze o oggetti che possano avere un riutilizzo economico , anche nel caso in cui tali materiali siano oggetto di transazioni giuridiche o risultino quotati su listini commerciali, pubblici o privati. In tale contesto, la Corte ha espresso l’incompatibilità con il diritto comunitario dei decreti-legge italiani del 7 settembre 1994, n. 530; 7 novembre 1994, n. 619; 3 maggio 1996, n. 246; 8 luglio 1996, n. 352; e 6 settembre 1996, n. 462, nella parte in cui escludono dalla disciplina dei rifiuti le sostanze che abbiano una qualificazione merceologica ufficialmente riconosciuta da borse merci, listini o mercuriali ufficiali delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

16 Corte giust. CE, 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, cit., punto 52. La contrarietà al diritto comunitario dell’art. 14 del decreto legge n. 138/02 è stata successivamente ribadita da Corte giust. CE, 18 dicembre 2007, causa C-263/05, Commissione c. Italia , cit., punti 49-50, dove si afferma che «il fatto che una sostanza sia un materiale residuale di produzione o di consumo costituisce un indizio che si tratti di un rifiuto e la sola circostanza che una sostanza sia destinata a essere riutilizzata, o possa esserlo, non può essere determinante per la sua qualifica o meno come rifiuto» e che «un bene, un materiale o una materia prima risultante da un processo di fabbricazione che non è destinato a produrlo può essere considerato come un sottoprodotto di cui il detentore non desidera disfarsi solo se il suo riutilizzo, incluso quello per i bisogni di operatori economici diversi da colui che l’ha prodotto, è non semplicemente eventuale, ma certo, non necessita di trasformazione preliminare e interviene nel corso del processo di produzione o di utilizzazione» .

17 Sul concetto di «giurisprudenza applicabile», D. Röttgen, La nozione di materia prima secondaria (End of Waste) , cit., 100 ss., che si pone l’interrogativo se, in assenza di giurisprudenza specifica a livello comunitario,lo Stato membro «possa (o debba) anche tener conto della giurisprudenza nazionale» e osserva che verosimilmentespetta solo alla corte di giustizia l’interpretazione del diritto comunitario.

18 V. nota 12.

19 TAR Piemonte, sentenza n. 938/2024.

20 sentenza n. 442/2025.

21 Ibid.

22 Life cicle assistment.

23 D. Röttgen, La nozione di materia prima secondaria (End of Waste), cit., 93 ss..

24 Corte giust. CE, 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit, cit., punto 47; Id., 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, Arco Chemie Nederland e a., cit., punto 94.

25 Cfr. Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2014, n. 16423, in www.lexambiente.it, secondo la quale “E’ vero che l’art. 184-ter, comma 2, d.lgs. 152/2006, estende l’operazione di recupero dei rifiuti anche al solo controllo per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicate nel comma 1, tuttavia, a prescindere dalla immediata precettività o meno di tale indicazione, si tratta pur sempre di un’operazione di “recupero” che, in quanto tale, è comunque necessario venga effettuata da soggetto autorizzato.”

26 Ibid sent. Trib.Torino.

27 Corte di Giustizia, punto 34 della sentenza 1 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, Arco Chemie Nederland e a., Raccolta 2000, pag. I-4475, punto 41.

28 Sul punto conforme sent. Trib. Torino

29 Vedasi nota 12.

30 Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica Risposta ad interpello 20 maggio 2025, n. 95594.

32Sez. 3, n. 38950 del 26/06/2017, Roncada, n.m.; Sez. 3, n. 56066 del 19/09/2017, Sacco, Rv. 272428 – 01; Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336 – 01; Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129 – 01; Sez. 3, n. 17453 del 17/04/2012, Busè, Rv. 252385 - 01; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, n.m.; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504 - 01.

33 v. Sez. 3^, n. 20410 del 08/02/2018 Rv. 273221 - 01 Boccaccio.

34 Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini.

35 “Linee Guida per l’applicazione della disciplina End of Waste di cui all’art.184 ter comma 3 ter del d.lgs. 152/2006”. Revisione Gennaio 2022 - Delibera del Consiglio SNPA Seduta del 23.02.2022. Doc. n. 156/22 - Linee Guida SNPA 41/22.

36 Ibid.

37 Ibid.

38 N. Johansson, C. Forsgren, È questa la fine dell'end-of-waste? Scoprire lo spazio tra rifiuti e prodotti su https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0921344919305622#bib0010

39 Pongrácz e Pohjola, 2004 , Ridefinire i rifiuti, il concetto di proprietà e il ruolo della gestione dei rifiuti

Risorse. Conservazione. Riciclaggio, 40 ( 2 ) ( 2004 ) , pp. 141 – 153 su https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0921344903000570

40 Regolamento (UE) 2024/1157 che ha abrogato la precedente disciplina contenuta nel Regolamento (CE) 1013/2006.

41Legal obstacles in Member States to Single Market rules, (STUDY Requested by the IMCO committee), Policy Department for Economic, Scientific and Quality of Life Policies Directorate-General for Internal Policies. Authors : Erik DAHLBERG et al. PE 658.189 -November 2020.

42 37) Per evitare perturbazioni nella spedizione di oggetti o sostanze a causa di disaccordi tra le autorità competenti circa l’attribuzione o meno della qualifica di rifiuto a tali oggetti o sostanze, è necessario stabilire una procedura di risoluzione dei disaccordi. È importante a questo proposito che le autorità competenti basino le loro decisioni sulle disposizioni stabilite nella direttiva 2008/98/CE relative alla determinazione dei sottoprodotti e alla cessazione della qualifica di rifiuto. Gli Stati membri necessitano di condizioni uniformi per determinare se un oggetto o una sostanza debba essere considerato un bene usato o un rifiuto. Inoltre gli Stati membri dovrebbero adottare misure volte a garantire che gli oggetti o le sostanze destinati a essere spediti in un altro paese come beni usati soddisfino tali condizioni conformemente al diritto dell’Unione. È altresì necessario stabilire criteri per la classificazione di rifiuti specifici negli allegati del presente regolamento e definire una procedura per risolvere i disaccordi tra le autorità.

(…)

Inoltre, per evitare che i rifiuti siano dichiarati falsamente come beni usati e per fornire chiarezza giuridica, la Commissione dovrebbe avere la facoltà di adottare atti di esecuzione che stabiliscano i criteri per distinguere tra beni usati e rifiuti, per determinati prodotti per i quali tale distinzione è importante, in particolare per la loro esportazione dall’Unione.

(46) È necessario stabilirenorme rigorose riguardo all’esportazione di rifiuti non pericolosi destinati al recupero verso paesi terzi ai quali non si applica la decisione OCSE, al fine di assicurare che tali rifiuti non arrechino danno all’ambiente e alla salute umana in detti paesi. Conformemente a tali norme, l’esportazione dall’Unione dovrebbe essere consentita soltanto per i rifiuti che non sono già soggetti al divieto di esportazione di rifiuti pericolosi e per alcuni altri rifiuti destinati al recupero in paesi terzi ai quali non si applica la decisione OCSE, e soltanto verso i paesi inclusi in un elenco redatto e aggiornato dalla Commissione,quando tali paesi abbiano presentato a quest’ultima una richiesta nella quale dichiarano la loro disponibilità a ricevere determinati rifiuti non pericolosi o determinate miscele di rifiuti non pericolosi dall’Unione e dimostrano la loro capacità di gestirli in modo ecologicamente corretto, sulla base dei criteri stabiliti nel presente regolamento.Tali criteri dovrebbero includere il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di diritto del lavoro e diritti dei lavoratori. Data la probabilità che gli Stati membri potrebbero ratificare altre convenzioni di questo tipo in futuro, la Commissione dovrebbe avere il potere di aggiungere le convenzioni pertinenti ai criteri di cui al presente regolamento.Le esportazioni verso paesi diversi da quelli inclusi nell’elenco che la Commissione redigerà dovrebbero essere proibite. Al fine di assicurare un periodo di tempo sufficiente per passare a questo nuovo regime, dovrebbe essere previsto un periodo transitorio di tre anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. In particolare, al momento di stabilire e aggiornare l’elenco dei paesi ai quali non si applica la decisione OCSE e verso i quali è autorizzata l’esportazione dall’Unione di rifiuti non pericolosi destinati al recupero, è opportuno applicare il principio di parità nel diritto dell’Unione e monitorarne l’applicazione.

48 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA, Sez. I – 14 marzo 2019 – causa C-399/17 – Pres. R. Silva de Lapuerta, Rel. J.C. Bonichot – Commissione europea c. Repubblica Ceca.

49 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sent. 15 giugno 2000, cause n. 418/97 e n. 419/97, Arco Chemie Nederland; sent. 18 aprile 2002, causa n. 9/00, Palin Granit Oy.

50 R. Losengo, End of waste e sottoprodotti: l’onere della prova nell’epoca dell’economia circolare , in RGA online, num. 38 gennaio 2023.

51 Ibid.

52 TAR Lombardia, Brescia, 21 marzo 2019, n. 265.

53 V. nota n. 42.