Cass.Sez. III n. 28361 del 1 luglio 2013 (Ud 28 mag 2013)
Pres.Teresi Est.Franco Ric.Cacace
Polizia Giudiziaria.Polizia municipale e sequestro di manufatto abusivo

È legittimo il sequestro di un manufatto abusivo eseguito dai vigili urbani che, rivestendo la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, sono preposti al controllo delle attività subordinate al rilascio di un titolo abilitativo dell'autorità comunale. (Fattispecie in cui è stato ritenuto integrato il reato di violazione di sigilli rispetto al sequestro di un manufatto abusivo, effettuato dai vigili urbani).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 28/05/2013
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 1624
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - N. 35379/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Cacace Giuseppe, nato a Massa Lubrense il 22.3.1946;
avverso la sentenza emessa il 5 maggio 2010 dalla corte d'appello di Napoli;
udita nella pubblica udienza del 28 maggio 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Francesco Cappiello.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Napoli confermò la sentenza emessa il 6.6.2008 del giudice del tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, che aveva dichiarato Cacace Giuseppe colpevole del reato di cui all'art. 349 c.p., e lo aveva condannato alla pena di mesi 5 di reclusione e di - 200,00 di multa.
L'imputato, a mezzo dell'avv. Francesco Cappiello, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione dell'art. 349 c.p., dell'art. 51 c.p., e della L. n. 65 del 1986, art. 5, e manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che erroneamente e con motivazione manifestamente illogica la corte d'appello ha respinto l'eccezione con cui si deduceva la illegittimità del sequestro sia perché operato da agenti e non da ufficiali di polizia giudiziaria, sia perché non erano stati apposti sigilli o altri segni materiali, ma solo dato un ordine verbale di non modificare lo stato dei luoghi.
2) violazione dell'art. 157 c.p., in relazione all'art. 349 c.p., e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in riferimento alla affermazione che la data di commissione del reato corrispondeva a quella dell'accertamento del 9-5-2006, non essendovi prove che i lavori fossero proseguiti fino a tale data.
3) travisamento del fatto in ordine al rigetto della richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche e di concessione della non menzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Quanto alla qualifica dei soggetti che procedettero al sequestro, è sufficiente ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "In tema del reato di violazione di sigilli i vigili urbani, rivestendo la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, preposti come tali anche al controllo delle attività regolamentate da licenza o concessione delle autorità comunali, sono legittimati ad eseguire il sequestro di costruzione abusiva" (Sez. 6^, 24.4.1986, n. 12935, Riccio, m. 174325). Ed invero, l'art. 349 c.p., non richiede che i sigilli siano apposti solo da ufficiali e non anche da agenti di polizia giudiziaria. Inoltre, nel caso di specie, la corte d'appello ha rilevato che in entrambi i verbali si da atto che gli operanti della polizia municipale agivano nella veste di ufficiali di polizia giudiziaria.
Quanto alla materiale apposizione dei sigilli o di altro segno esteriore del comando della autorità, la sentenza impugnata ha, con congrua ed adeguata motivazione, osservato che questo elemento era invece presente e che di esso dava in realtà atto anche il verbale del 13.11.2002, dove la parola sigillo mancava solo per un errore materiale, ma dove dalla descrizione delle operazioni compiute emergeva chiaramente che ebbe effettivamente luogo sugli ampliamenti in questione una apposizione di sigilli o comunque di altro segno materiale esteriore che manifestava il comando della autorità di impedire modificazioni allo stato dei luoghi. Il che era confermato anche dal secondo verbale del 9.5.2006, nel quale è riportata una frase del tutto uguale a quella del verbale precedente nella quale però manca l'omissione materiale della parola sigillo. Dai due verbali pertanto emergeva con certezza il compimento della materiale operazione necessaria.
Il secondo e il terzo motivo si risolvono in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque manifestamente infondati. La corte d'appello ha infatti fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sia sulle ragioni per le quali ha ritenuto provato che la violazione dei sigilli era avvenuta in una data prossima rispetto a quella del secondo sopralluogo, dal momento che dalle fotografie allegate al relativo verbale emergeva che i lavori stavano proseguendo e non erano stati ancora ultimati, sia sul giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche con l'aggravante in considerazione della pluralità delle violazioni e della pervicacia nel mantenimento della condotta illecita, sia infine sulla mancata concessione del beneficio della non menzione, in considerazione della carattere reiterato delle violazioni e della qualità di custode dei beni nonché della mancanza della allegazione di qualsiasi circostanza che potesse giustificare il beneficio. Il generico richiamo ad un non meglio precisato decreto di archiviazione del Gip non è idoneo a far ritenere manifestamente illogico o contraddittorio l'accertamento in punto di fatto effettuato dalla corte d appello sulla base dei verbali e della documentazione fotografica in atti. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell'art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2013