di Fulvio Albanese
Il provvedimento contingibile e urgente emesso dal sindaco quando mira alla tutela della salute pubblica, può essere adottato non solo per porre rimedi a danni alla salute già verificatisi, ma anche e soprattutto (tenuto conto dei valori espressi dall'art. 32 della Costituzione) per evitare che tale danno si verifichi. Sotto tale profilo, pertanto, risulta legittima l’ordinanza che ha sospeso l’utilizzazione sia degli impianti di telefonia mobile sia di quelli delle emittenti radiofoniche private in quanto la sommatoria delle emissioni promananti da entrambe le tipologie di impianti avevano superato i valori massimi di esposizione a campo elettromagnetico previsti dal D.M. n. 381 del 1998.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la Decisione n. 4812 del 7 ottobre 2008.
Vediamo nel dettaglio l’importane vicenda, tutto inizia dall’ordinanza urgente e contingibile adottata dal Sindaco del Comune di Parma nel novembre del 2000, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”, con la quale sospende l’utilizzazione degli impianti a radiofrequenza localizzati in via Mazzini e Borgo Basini, fino all’esecuzione degli interventi di risanamento necessari alla riduzione a conformità ai sensi dell’art. 5 e dell’all. C del D.M. 10 settembre 1998 n. 381 delle emissioni degli impianti a radiofrequenza. Il Sindaco adotta l’ordinanza in ragione di due rilevazioni tecniche effettuate dall’A.R.P.A. e delle conseguenti comunicazioni da parte dell’A.U.S.L. che informavano circa l’avvenuto superamento dei limiti di esposizione ad onde elettromagnetiche previsti dal D.M. 10 settembre 1998 n. 381 “Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”. Nel gennaio 2001 il Sindaco con un altra ordinanza urgente e contingibile ordina all’Azienda Municipale Pubblici Servizi di sospendere l’erogazione dell’energia elettrica alle utenze riferite agli impianti a radiofrequenza di via Mazzini e Borgo Basini.
Una società di telefonia mobile presenta un primo ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna sezione di Parma chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco del novembre del 2000 in quanto il provvedimento risulterebbe palesemente illegittimo per violazione dell’art. 54, comma 2 del D. Lgs. n. 267 del 2000, non sussistendo con riferimento all’impianto della società ricorrente, alcun grave pericolo in grado di minacciare l’incolumità dei cittadini. Presentano successivamente un secondo ricorso per l’annullamento dell’ordinanza del gennaio 2001 di sospensione dell’erogazione dell’energia elettrica, e contestuale richiesta di risarcimento del danno subito dall’interruzione del servizio.
I giudici del Tar riuniscono i ricorsi e con la Sentenza n. 60 del 10 febbraio 2004 ne rilevano l’infondatezza, laddove la società contesta che l’ordinanza sindacale impugnata avrebbe violato l’art. 54, comma 2 del D. Lgs. n. 267 del 2000, con le seguenti motivazioni: “Il Comune, sulla base di due rilevazioni tecniche effettuate dall’A.R.P.A. e delle conseguenti comunicazioni da parte dell’A.U.S.L. che informavano circa l’avvenuto superamento, limitatamente ad un’unica abitazione, dei limiti di esposizione ad onde elettromagnetiche di cui al D.M. n. 381 del 1998, avviava l’azione di risanamento degli impianti della ricorrente e di altre emittenti disciplinata dall’art. 5 dello stesso decreto, dando comunicazione sia alle società proprietarie degli impianti, affinché queste ultime riducessero le emissioni di onde elettromagnetiche sia all’Amministrazione Regionale competente per la prosecuzione del relativo iter procedimentale. Ritiene il Collegio che in tale obiettiva situazione di pericolo da inquinamento elettromagnetico per gli abitanti della zona residenziale in cui sono stati installati gli impianti, l’accertata inerzia dell’Amministrazione Regionale ad intervenire per effettuare gli specifici adempimenti di sua competenza previsti dalla suddetta normativa, ricorressero tutti i presupposti per l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente impugnata. Tale tipologia di provvedimenti, infatti, può essere legittimamente adottata non solo nel caso in cui si debba porre rimedio a danni già accaduti, ma anche qualora, come nel caso in esame, si tratti di fronteggiare una situazione dalla quale, a causa dell’inerzia dei soggetti privati direttamente interessati rispetto all’intimazione di minimizzare l’emissione di onde elettromagnetiche promananti dai loro impianti, nonché dell’inerzia di altre amministrazioni competenti riguardo agli ordinari procedimenti che disciplinano la materia, possano derivare, in concreto, danni alla cittadinanza.
Stante l’accertata sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’adozione di ordinanza ex art. 54, 2° comma del D. Lgs. n. 267 del 2000, risulta infondata anche l’ulteriore censura della ricorrente contenuta sempre nel primo mezzo d’impugnazione e rilevante l’illegittimità del provvedimento impugnato perché il Sindaco non avrebbe tenuto in considerazione nè il trascurabile contributo all’emissione di onde elettromagnetiche derivante dall’impianto per la telefonia mobile della ricorrente rispetto a quelli delle emittenti radiofoniche private né il fatto che, in ogni caso, ai sensi di quanto riportato nell’allegato C del D.M. n. 381 del 1998, dall’insieme dei contributi da normalizzare devono essere esclusi i segnali che danno un contributo inferiore a 1/100. Secondo la ricorrente, sulla base di quanto rilevato da A.R.P.A. – Sezione Provinciale di Piacenza – con le misurazioni effettuate in data 27/3/2000, il contributo derivante dall’impianti di due gestori di telefonia mobile era, nei due siti, pari a 0,36 V/m e 0,42 V/m e quindi abbondantemente al di sotto del valore di 0,6 V/m corrispondente al contributo di 1/100. Occorre rilevare, al riguardo, che in sede di adozione di provvedimento “extra ordinem”, le determinazioni del Sindaco non possono ricalcare le procedure previste dall’ordinaria normativa di settore ma devono, proprio in forza della contingibilità e dell’urgenza che le contraddistingue, porre pronto rimedio alla situazione di pericolo venutasi a creare”.
Sotto tale profilo pertanto, -concludono i giudici -, risulta legittima l’ordinanza impugnata che ha sospeso l’utilizzazione sia degli impianti di telefonia mobile sia di quelli delle emittenti radiofoniche private in quanto la sommatoria delle emissioni promananti da entrambe le tipologie di impianti avevano superato i valori massimi di esposizione a campo elettromagnetico previsti dal D.M. n. 381 del 1998.
Trova invece accoglimento il secondo ricorso con il quale la società di telefonia mobile contesta la mancata valutazione, da parte del Sindaco, dell’apporto collaborativo fornito dalla ricorrente e dalle altre emittenti destinatarie dell’ordinanza contingibile e urgente di sospensione.
In sostanza il Tar contesta al Sindaco, l’omessa realizzazione di un’adeguata istruttoria riguardo ai dati e ai rilievi fatti pervenire al Comune di Parma dalle società proprietarie degli impianti.
Infatti le società, anche se non si sono concretamente attivate per ridurre a conformità le emissioni dei propri impianti, hanno comunque informato il Comune relativamente all’avvenuta riduzione di tali emissioni in corrispondenza degli interventi operati da altra emittente sui propri impianti.
Tale nuova situazione -continuano i Giudici- doveva far sì che il Sindaco, prima di adottare un provvedimento contingibile ed urgente altamente lesivo della situazione giuridica delle società emittenti interessate, promuovesse una nuova verifica tecnica degli impianti in questione, al fine di accertare la permanenza o meno dell’oggettivo stato di pericolo derivante dal superamento dei limiti previsti dal D.M. n. 381 del 1998 accertato da due precedenti verifiche tecniche effettuate da A.R.P.A.
Non trova comunque accoglimento l’azione di risarcimento del danno, perché secondo i Giudici del Tar Parma, non è dato individuare nell’agire dell’Amministrazione, un comportamento connotato da effettiva colpa, visto che, da un lato, l’inerzia dell’Amministrazione Regionale che doveva intervenire per proseguire l’azione di risanamento avviata dal Comune e considerato, dall’altro lato, il comportamento della stessa ricorrente che, pur avvisata e sollecitata dal Comune a ridurre le emissioni di onde elettromagnetiche generate dai propri impianti, ha limitato il proprio apporto collaborativo a considerazioni riguardo alla ritenuta non pericolosità di tali emissioni e alla parimenti ritenuta non assoggettabilità del proprio impianto alle ordinanze sindacali, invece di intervenire operativamente al fine di minimizzare le emissioni stesse.
La questione naturalmente approda al Consiglio di Stato, la società di telefonia mobile insiste sull’inesistenza nel caso in esame, dei presupposti teorici per l’emissione dell’ordinanza urgente e contingibile ex art. 54 c. 2 del D.Lgs. 267/2000, sollevati con il primo ricorso, e ripropone la richiesta risarcitoria del danno subito dall’interruzione del servizio.
Il 7 ottobre 2008 con la Decisione n. 4812 il Consiglio di Stato statuisce: (…) “L’amministrazione procedente era nella disponibilità di un dato tecnico che sanciva l’avvenuto superamento dei limiti di esposizione di cui al DM 381/1981”. Pertanto, affermano i Giudici di palazzo Spada: “non può condividersi l’affermazione che non esistessero i presupposti teorici per l’emissione dell’ordinanza”. In tal modo è affermata definitivamente la fondatezza del provvedimento urgente e contingibile adottato dal Sindaco di Parma in conseguenza del superamento dei limiti di esposizione ex D.M: 381/1998, (oggi vedi: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, “Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, G.U. n. 199 del 28/8/2003), e respinta irrevocabilmente la richiesta risarcitoria, con argomentazioni chiarificatrici che vale la pena mettere in risalto: “Invero sul punto deve evidenziarsi in primis che la giurisprudenza amministrativa (e tale aspetto è stato ben tenuto in evidenza dai primi Giudici) ha ritenuto condivisibilmente che il provvedimento contingibile e urgente emesso dal sindaco ai sensi dell'art. 38, l. 8 giugno 1990 n. 142, quando mira alla tutela della salute pubblica, può essere adottato non solo per porre rimedi a danni alla salute già verificatisi, ma anche e soprattutto (tenuto conto dei valori espressi dall'art. 32, cost.) per evitare che tale danno si verifichi. L'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al sindaco dall'art. 38, l. 8 giugno 1990 n. 142 presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento; nè la circostanza che la situazione di pericolo duri da tempo rende illegittimo l'esercizio di tale potere, atteso che la situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che l'evento dannoso accada, può protrarsi anche per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto. (Consiglio Stato, sez. V, 02 aprile 2003, n. 1678).
Ove si sia (come è avvenuto nel caso di specie) ritenuto affidabile e degno di considerazione l’accertamento tecnico proveniente dall’Arpa di Parma, la circostanza che tra l’epoca di esecuzione dello stesso e l’emissione dell’ordinanza sia trascorso un non breve torno di tempo, quindi, non connota ex se di illegittimità l’azione dell’amministrazione.
In secondo luogo, in armonia con l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui l'esistenza di un'apposita disciplina che regoli, in via ordinaria, determinate situazioni non preclude l'esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente - nella specie, quello previsto dall'art. 50 comma 5 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267 (t.u. sull'ordinamento degli enti locali) per le ipotesi di emergenze sanitarie e di igiene pubblica, espressamente richiamato nel provvedimento impugnato - quando la necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza a tutela del bene pubblico dalla legge indicato sia tanto urgente da non consentire il tempestivo utilizzo dei rimedi ordinari offerti dall'ordinamento (Consiglio Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2144) deve farsi discendere la non decisività – al fine di connotare di illegittimità l’azione amministrativa- del richiamo alla disciplina di cui al DM 381/1981 quale perimetro autonomo e non integrabile cui l’amministrazione comunale avrebbe dovuto attenersi.
Sotto altro profilo, la giurisprudenza amministrativa ha sempre costantemente ritenuto che l'ordinanza contingibile ed urgente del sindaco non svolge una funzione sanzionatoria di comportamenti od omissioni, ma mira piuttosto a salvaguardare le esigenze primarie della collettività, per cui essa è idonea a sacrificare anche interessi giuridicamente protetti di soggetti determinati, entro ragionevoli limiti temporali ed oggettivi e con il rispetto di rigorose garanzie sostanziali (i principi generali dell'ordinamento) e formali (la motivazione e l'adeguata istruttoria), all'interno dei quali il potere d'ordinanza si può svolgere con una relativa ampiezza, correlata, tra l'altro alla possibilità di intendere la tutela dell'igiene e della salute pubblica in senso estensivo ed evolutivo a guisa di protezione dell'ambiente in tutte le sue componenti essenziali. (Consiglio Stato, sez. V, 02 aprile 2001, n. 1904).
(…) A fronte del dato tecnico seppur risalente al 1999, di cui il Comune di Parma venne in possesso, risulta essere infondata la doglianza volta a sostenere una sorta di carenza di potere in astratto ad emettere l’ordinanza in questione. Tale prospettazione consente altresì di ritenere doverosa la statuizione di infondatezza delle censure riferentesi al prosieguo dell’azione spiegata dall’amministrazione e concretatasi nella ordinanza di sospensione dell’erogazione dell’energia elettrica agli impianti.
(…) Invero la normativa in materia di emissioni è posta a protezione di un valore primario, -la salute umana – in massimo grado protetto costituzionalmente ex art. 32 della Carta Fondamentale. Laddove (anche a torto, come accertato dai primi Giudici, non è questo il punto, purchè non sulla base di dati palesemente abnormi od insussistenti ) si sia ravvisato un pericolo, sulla scorta di un dato tecnico, l’urgenza di provvedere è in re ipsa.
La giurisprudenza amministrativa ha in passato ritenuto – si veda, per tutte Consiglio Stato, sez. V, 08 marzo 2001, n. 1345 - che l’amministrazione comunale, in sede di emissione di ordinanza contingibile ed urgente non possa disapplicare disposizioni tecniche sulla base di dati scientifici ed epidemiologici non probanti, o non assistiti da quel largo consenso della comunità scientifica che giustifichi, per la concretezza del pericolo alla salute, l'assunzione di immediate misure interdittive.
Non ha mai affermato però, che -laddove il dato tecnico legittimante (seppure, lo si ripete, incompleto, siccome affermato dai primi Giudici con statuizione regiudicata) sussista- non sia ravvisabile l’urgenza del provvedere, allorchè venga in rilievo il primario bene della salute. Deve al contrario rammentarsi, che proprio tale bene primario ha tradizionalmente ricevuto attenzione senza pari dall’ordinamento nazionale e comunitario.
Quanto a quest’ultimo, in particolare, deve evidenziarsi che il c.d. «principio di precauzione», sancito dal Trattato Cee, all'art. 174, par. 2, come riformulato dal Trattato di Maastricht del 1992, sia pure espresso nella sedes materiae della tutela dell'ambiente, è stato interpretato estensivamente dalla giurisprudenza e dalla Commissione delle Comunità Europee come incidente «sull'ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante» (v. Comunicazione 2 febbraio 2000 della Commissione Cee).
Non è pertanto azzardato affermare che, avuto riguardo alla concreta situazione di fatto, ed in particolare al dato scaturente dalla più volte menzionata verifica tecnica del 1999, sussisteva in via astratta l’urgenza del provvedere legittimante la emissione dell’ordinanza di sospensione dell’erogazione dell’energia all’impianto quale mezzo per ricondurre le emissioni alla soglia inferiore rispetto a quella di pericolo.
Le riproposte doglianze volte ad evidenziare ulteriori profili di illegittimità dell’azione amministrativa rispetto a quello colto dai primi Giudici non appaiono per le superiori ragioni persuasive.
E d’altro canto, ravvisata in astratto l’urgenza del provvedere, non possono trovare accoglimento le doglianze autonome proposte con il ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento di interruzione della somministrazione dell’energia elettrica.
La Sezione non ritiene dovere immorare ulteriormente nell’approfondimento di tale versante di critica.
Una ulteriore argomentazione, merita pur tuttavia di essere segnalata, a supporto delle valutazioni sinora rassegnate.
Il materiale cognitivo e gli accertamenti tecnici sui quali si fondano le doglianze dell’appellante (e sui quali ebbe a fondarsi l’azione amministrativa censurata) erano già acquisiti agli atti del procedimento allorchè venne proposta la domanda cautelare volta ad ottenere la sospensione degli effetti degli impugnati provvedimenti.
(…) Una considerazione appare evidente: gli stessi primi Giudici, all’evidenza, hanno ritenuto non del tutto pacifica ed incontestabile la situazione di fatto evincibile dagli accertamenti tecnici sino a quel momento in loro possesso, tanto da disporne a loro volta uno: in ultima analisi, si sono attenuti a quel canone di prudenza (comprensibile, a fronte della contraddittorietà degli elementi fattuali in atti) che parte appellante censura in capo all’amministrazione ma che non stigmatizza con riguardo all’operato del Tar medesimo.
D’altro canto (sia nella verifica della sussistenza dei presupposti dell’emissione degli impugnati provvedimenti, che quanto ai connessi aspetti afferenti all’elemento psicologico) deve relativizzarsi la verifica giudiziale sotto due distinti angoli prospettici.
Deve aversi riguardo al tempo in cui furono emessi gli impugnati provvedimenti, innanzitutto.
Ed a questo proposito, non può non osservarsi la novità rappresentata, nel sistema, dai dettami del DM n. 381/1998, dettato al fine di garantire una omogeneità di trattamento del fenomeno sull’intero territorio nazionale.
Ad esso, come è noto, le amministrazioni comunali ebbero a conformarsi non senza numerose resistenze percependolo di fatto quale espropriativo delle competenze in materia di salute pubblica ad essi affidate (si veda in proposito, tra le tante, di recente, Consiglio Stato, sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 450 laddove si è affermato che nell'ambito delle competenze attribuite ai comuni dall'art. 8 l. 22 febbraio 2001 n. 36, non rientra la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato (con il d.m. n. 381 del 1998) ed alla stregua di detta disposizione nemmeno è consentito che il Comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizio-urbanistica, adotti misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio-base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero di introdurre misure che, pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.), non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo).
Deve inoltre aversi riferimento alla particolarità della materia in oggetto, per sua natura fluida, in quanto direttamente dipendente dal progresso tecnico e dall’implementarsi delle cognizioni e dei metodi di rilevazione in materia.
Si badi: non è assolutamente intenzione della Sezione affermare che in via generale ci si potesse liberamente discostare dalle prescrizioni contenute nel citato decreto; né che tale condotta ove immotivatamente posta in essere non comporti un vizio di illegittimità colposa dell’azione amministrativa.
Ciò che si vuole evidenziare è, unicamente, che ad avviso della Sezione, a fronte dell’accertamento tecnico in atti risalente al 1999 più volte citato, sussistevano i presupposti per l’emissione dell’ordinanza in oggetto (e di quella di sospensione della erogazione dell’energia elettrica conseguenziale); che sussistesse l’urgenza di provvedere in una ottica di bilanciamento degli interessi e di bene prevalente (indubitabilmente quello della salute dei cittadini); che l’unico vizio che attinge la complessiva azione amministrativa spiegata sia quello colto dai primi Giudici.
(…) Ritiene la Sezione corretta la statuizione del primi Giudici volta a negare che nel complessivo comportamento dell’amministrazione possa ravvisarsi l’elemento colposo.
Invero la Sezione ha avuto modo in passato di evidenziare il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso che fermo restando l'inquadramento della maggior parte delle fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all'interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.(Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
Non si ravvisano ragioni per discostarsi dal superiore orientamento, e la complessiva condotta dell’amministrazione deve essere valutata unitariamente.
Essa, per quanto si è prima rappresentato, si è trovata a dovere prendere iniziative a fronte di un dato tecnico che postulava un superamento dei limiti di emissione; il bene giuridico (ipoteticamente) passibile di lesione era di primaria importanza.
L’urgenza del provvedere discendeva da tali elementi.
Certamente, può rilevarsi, alla stregua delle successive resultanze, ed in considerazione del dictum giurisdizionale regiudicato che ha sostanzialmente dichiarato illegittima l’azione amministrativa per omessa rivalutazione dei dati tecnici in esame avrebbe potuto postergare il momento di adozione dell’atto subordinandolo all’esito di ulteriori accertamenti.
Ma tale valutazione interviene ex post.
Ex ante deve affermarsi che l’amministrazione si è attenuta ad una regola di cautela, forse eccessiva, ma non sconfinante nella colpa.
E d’altro canto, in passato, laddove tale cautela complessiva sia mancata, i Giudici non hanno mancato di rilevare la illegittimità per omissione, dell’operato delle amministrazioni comunali.
Appare illuminante, in proposito, la risalente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (ante legge 205/2000 ed ante sentenze delle Sezioni Unite 500 e 501 del 1999) che ebbe ad affermare (nella specie a fronte di una sottovalutazione del pericolo di crollo) che costituisce limite alla discrezionalità anche tecnica, della P.A. di adottare provvedimenti - nella specie del sindaco, quale ufficiale di governo, di esercitare o meno il potere di emissione e di esecuzione di ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell'art. 153 r.d. 4 febbraio 1915 n. 148 (ora dell'art. 38 l. 8 giugno 1990 n. 142), ovvero di adottare ogni altra cautela idonea a tutelare la pubblica incolumità - il rispetto delle norme di comune prudenza e diligenza, poste a tutela del principio del neminem laedere. Perciò se il comportamento omissivo della P.A., in violazione di dette norme, è stato concausa efficiente della lesione di un diritto - insuscettibile di affievolimento, come quello alla vita, all'integrità fisica, alla salute - di un terzo, essa ne è corresponsabile ai sensi dell'art. 2055 c.c.. (Cassazione civile, sez. III, 18 febbraio 1997, n. 1501 )”.
Pertanto, la condotta dell’apparato amministrativo comunale –concludono i Giudici di Palazzo Spada- non appare abnorme o negligente; si fondava su un accertamento tecnico e su una nota proveniente dalla Usl (amministrazione specificamente preposta alla cura della salute dei cittadini); non può a suo carico rinvenirsi colpa; il petitum risarcitorio deve conseguenzialmente essere disatteso e deve integralmente confermarsi la sentenza appellata.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la Decisione n. 4812 del 7 ottobre 2008.
Vediamo nel dettaglio l’importane vicenda, tutto inizia dall’ordinanza urgente e contingibile adottata dal Sindaco del Comune di Parma nel novembre del 2000, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”, con la quale sospende l’utilizzazione degli impianti a radiofrequenza localizzati in via Mazzini e Borgo Basini, fino all’esecuzione degli interventi di risanamento necessari alla riduzione a conformità ai sensi dell’art. 5 e dell’all. C del D.M. 10 settembre 1998 n. 381 delle emissioni degli impianti a radiofrequenza. Il Sindaco adotta l’ordinanza in ragione di due rilevazioni tecniche effettuate dall’A.R.P.A. e delle conseguenti comunicazioni da parte dell’A.U.S.L. che informavano circa l’avvenuto superamento dei limiti di esposizione ad onde elettromagnetiche previsti dal D.M. 10 settembre 1998 n. 381 “Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”. Nel gennaio 2001 il Sindaco con un altra ordinanza urgente e contingibile ordina all’Azienda Municipale Pubblici Servizi di sospendere l’erogazione dell’energia elettrica alle utenze riferite agli impianti a radiofrequenza di via Mazzini e Borgo Basini.
Una società di telefonia mobile presenta un primo ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna sezione di Parma chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco del novembre del 2000 in quanto il provvedimento risulterebbe palesemente illegittimo per violazione dell’art. 54, comma 2 del D. Lgs. n. 267 del 2000, non sussistendo con riferimento all’impianto della società ricorrente, alcun grave pericolo in grado di minacciare l’incolumità dei cittadini. Presentano successivamente un secondo ricorso per l’annullamento dell’ordinanza del gennaio 2001 di sospensione dell’erogazione dell’energia elettrica, e contestuale richiesta di risarcimento del danno subito dall’interruzione del servizio.
I giudici del Tar riuniscono i ricorsi e con la Sentenza n. 60 del 10 febbraio 2004 ne rilevano l’infondatezza, laddove la società contesta che l’ordinanza sindacale impugnata avrebbe violato l’art. 54, comma 2 del D. Lgs. n. 267 del 2000, con le seguenti motivazioni: “Il Comune, sulla base di due rilevazioni tecniche effettuate dall’A.R.P.A. e delle conseguenti comunicazioni da parte dell’A.U.S.L. che informavano circa l’avvenuto superamento, limitatamente ad un’unica abitazione, dei limiti di esposizione ad onde elettromagnetiche di cui al D.M. n. 381 del 1998, avviava l’azione di risanamento degli impianti della ricorrente e di altre emittenti disciplinata dall’art. 5 dello stesso decreto, dando comunicazione sia alle società proprietarie degli impianti, affinché queste ultime riducessero le emissioni di onde elettromagnetiche sia all’Amministrazione Regionale competente per la prosecuzione del relativo iter procedimentale. Ritiene il Collegio che in tale obiettiva situazione di pericolo da inquinamento elettromagnetico per gli abitanti della zona residenziale in cui sono stati installati gli impianti, l’accertata inerzia dell’Amministrazione Regionale ad intervenire per effettuare gli specifici adempimenti di sua competenza previsti dalla suddetta normativa, ricorressero tutti i presupposti per l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente impugnata. Tale tipologia di provvedimenti, infatti, può essere legittimamente adottata non solo nel caso in cui si debba porre rimedio a danni già accaduti, ma anche qualora, come nel caso in esame, si tratti di fronteggiare una situazione dalla quale, a causa dell’inerzia dei soggetti privati direttamente interessati rispetto all’intimazione di minimizzare l’emissione di onde elettromagnetiche promananti dai loro impianti, nonché dell’inerzia di altre amministrazioni competenti riguardo agli ordinari procedimenti che disciplinano la materia, possano derivare, in concreto, danni alla cittadinanza.
Stante l’accertata sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’adozione di ordinanza ex art. 54, 2° comma del D. Lgs. n. 267 del 2000, risulta infondata anche l’ulteriore censura della ricorrente contenuta sempre nel primo mezzo d’impugnazione e rilevante l’illegittimità del provvedimento impugnato perché il Sindaco non avrebbe tenuto in considerazione nè il trascurabile contributo all’emissione di onde elettromagnetiche derivante dall’impianto per la telefonia mobile della ricorrente rispetto a quelli delle emittenti radiofoniche private né il fatto che, in ogni caso, ai sensi di quanto riportato nell’allegato C del D.M. n. 381 del 1998, dall’insieme dei contributi da normalizzare devono essere esclusi i segnali che danno un contributo inferiore a 1/100. Secondo la ricorrente, sulla base di quanto rilevato da A.R.P.A. – Sezione Provinciale di Piacenza – con le misurazioni effettuate in data 27/3/2000, il contributo derivante dall’impianti di due gestori di telefonia mobile era, nei due siti, pari a 0,36 V/m e 0,42 V/m e quindi abbondantemente al di sotto del valore di 0,6 V/m corrispondente al contributo di 1/100. Occorre rilevare, al riguardo, che in sede di adozione di provvedimento “extra ordinem”, le determinazioni del Sindaco non possono ricalcare le procedure previste dall’ordinaria normativa di settore ma devono, proprio in forza della contingibilità e dell’urgenza che le contraddistingue, porre pronto rimedio alla situazione di pericolo venutasi a creare”.
Sotto tale profilo pertanto, -concludono i giudici -, risulta legittima l’ordinanza impugnata che ha sospeso l’utilizzazione sia degli impianti di telefonia mobile sia di quelli delle emittenti radiofoniche private in quanto la sommatoria delle emissioni promananti da entrambe le tipologie di impianti avevano superato i valori massimi di esposizione a campo elettromagnetico previsti dal D.M. n. 381 del 1998.
Trova invece accoglimento il secondo ricorso con il quale la società di telefonia mobile contesta la mancata valutazione, da parte del Sindaco, dell’apporto collaborativo fornito dalla ricorrente e dalle altre emittenti destinatarie dell’ordinanza contingibile e urgente di sospensione.
In sostanza il Tar contesta al Sindaco, l’omessa realizzazione di un’adeguata istruttoria riguardo ai dati e ai rilievi fatti pervenire al Comune di Parma dalle società proprietarie degli impianti.
Infatti le società, anche se non si sono concretamente attivate per ridurre a conformità le emissioni dei propri impianti, hanno comunque informato il Comune relativamente all’avvenuta riduzione di tali emissioni in corrispondenza degli interventi operati da altra emittente sui propri impianti.
Tale nuova situazione -continuano i Giudici- doveva far sì che il Sindaco, prima di adottare un provvedimento contingibile ed urgente altamente lesivo della situazione giuridica delle società emittenti interessate, promuovesse una nuova verifica tecnica degli impianti in questione, al fine di accertare la permanenza o meno dell’oggettivo stato di pericolo derivante dal superamento dei limiti previsti dal D.M. n. 381 del 1998 accertato da due precedenti verifiche tecniche effettuate da A.R.P.A.
Non trova comunque accoglimento l’azione di risarcimento del danno, perché secondo i Giudici del Tar Parma, non è dato individuare nell’agire dell’Amministrazione, un comportamento connotato da effettiva colpa, visto che, da un lato, l’inerzia dell’Amministrazione Regionale che doveva intervenire per proseguire l’azione di risanamento avviata dal Comune e considerato, dall’altro lato, il comportamento della stessa ricorrente che, pur avvisata e sollecitata dal Comune a ridurre le emissioni di onde elettromagnetiche generate dai propri impianti, ha limitato il proprio apporto collaborativo a considerazioni riguardo alla ritenuta non pericolosità di tali emissioni e alla parimenti ritenuta non assoggettabilità del proprio impianto alle ordinanze sindacali, invece di intervenire operativamente al fine di minimizzare le emissioni stesse.
La questione naturalmente approda al Consiglio di Stato, la società di telefonia mobile insiste sull’inesistenza nel caso in esame, dei presupposti teorici per l’emissione dell’ordinanza urgente e contingibile ex art. 54 c. 2 del D.Lgs. 267/2000, sollevati con il primo ricorso, e ripropone la richiesta risarcitoria del danno subito dall’interruzione del servizio.
Il 7 ottobre 2008 con la Decisione n. 4812 il Consiglio di Stato statuisce: (…) “L’amministrazione procedente era nella disponibilità di un dato tecnico che sanciva l’avvenuto superamento dei limiti di esposizione di cui al DM 381/1981”. Pertanto, affermano i Giudici di palazzo Spada: “non può condividersi l’affermazione che non esistessero i presupposti teorici per l’emissione dell’ordinanza”. In tal modo è affermata definitivamente la fondatezza del provvedimento urgente e contingibile adottato dal Sindaco di Parma in conseguenza del superamento dei limiti di esposizione ex D.M: 381/1998, (oggi vedi: Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, “Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, G.U. n. 199 del 28/8/2003), e respinta irrevocabilmente la richiesta risarcitoria, con argomentazioni chiarificatrici che vale la pena mettere in risalto: “Invero sul punto deve evidenziarsi in primis che la giurisprudenza amministrativa (e tale aspetto è stato ben tenuto in evidenza dai primi Giudici) ha ritenuto condivisibilmente che il provvedimento contingibile e urgente emesso dal sindaco ai sensi dell'art. 38, l. 8 giugno 1990 n. 142, quando mira alla tutela della salute pubblica, può essere adottato non solo per porre rimedi a danni alla salute già verificatisi, ma anche e soprattutto (tenuto conto dei valori espressi dall'art. 32, cost.) per evitare che tale danno si verifichi. L'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al sindaco dall'art. 38, l. 8 giugno 1990 n. 142 presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento; nè la circostanza che la situazione di pericolo duri da tempo rende illegittimo l'esercizio di tale potere, atteso che la situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che l'evento dannoso accada, può protrarsi anche per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto. (Consiglio Stato, sez. V, 02 aprile 2003, n. 1678).
Ove si sia (come è avvenuto nel caso di specie) ritenuto affidabile e degno di considerazione l’accertamento tecnico proveniente dall’Arpa di Parma, la circostanza che tra l’epoca di esecuzione dello stesso e l’emissione dell’ordinanza sia trascorso un non breve torno di tempo, quindi, non connota ex se di illegittimità l’azione dell’amministrazione.
In secondo luogo, in armonia con l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui l'esistenza di un'apposita disciplina che regoli, in via ordinaria, determinate situazioni non preclude l'esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente - nella specie, quello previsto dall'art. 50 comma 5 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267 (t.u. sull'ordinamento degli enti locali) per le ipotesi di emergenze sanitarie e di igiene pubblica, espressamente richiamato nel provvedimento impugnato - quando la necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza a tutela del bene pubblico dalla legge indicato sia tanto urgente da non consentire il tempestivo utilizzo dei rimedi ordinari offerti dall'ordinamento (Consiglio Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2144) deve farsi discendere la non decisività – al fine di connotare di illegittimità l’azione amministrativa- del richiamo alla disciplina di cui al DM 381/1981 quale perimetro autonomo e non integrabile cui l’amministrazione comunale avrebbe dovuto attenersi.
Sotto altro profilo, la giurisprudenza amministrativa ha sempre costantemente ritenuto che l'ordinanza contingibile ed urgente del sindaco non svolge una funzione sanzionatoria di comportamenti od omissioni, ma mira piuttosto a salvaguardare le esigenze primarie della collettività, per cui essa è idonea a sacrificare anche interessi giuridicamente protetti di soggetti determinati, entro ragionevoli limiti temporali ed oggettivi e con il rispetto di rigorose garanzie sostanziali (i principi generali dell'ordinamento) e formali (la motivazione e l'adeguata istruttoria), all'interno dei quali il potere d'ordinanza si può svolgere con una relativa ampiezza, correlata, tra l'altro alla possibilità di intendere la tutela dell'igiene e della salute pubblica in senso estensivo ed evolutivo a guisa di protezione dell'ambiente in tutte le sue componenti essenziali. (Consiglio Stato, sez. V, 02 aprile 2001, n. 1904).
(…) A fronte del dato tecnico seppur risalente al 1999, di cui il Comune di Parma venne in possesso, risulta essere infondata la doglianza volta a sostenere una sorta di carenza di potere in astratto ad emettere l’ordinanza in questione. Tale prospettazione consente altresì di ritenere doverosa la statuizione di infondatezza delle censure riferentesi al prosieguo dell’azione spiegata dall’amministrazione e concretatasi nella ordinanza di sospensione dell’erogazione dell’energia elettrica agli impianti.
(…) Invero la normativa in materia di emissioni è posta a protezione di un valore primario, -la salute umana – in massimo grado protetto costituzionalmente ex art. 32 della Carta Fondamentale. Laddove (anche a torto, come accertato dai primi Giudici, non è questo il punto, purchè non sulla base di dati palesemente abnormi od insussistenti ) si sia ravvisato un pericolo, sulla scorta di un dato tecnico, l’urgenza di provvedere è in re ipsa.
La giurisprudenza amministrativa ha in passato ritenuto – si veda, per tutte Consiglio Stato, sez. V, 08 marzo 2001, n. 1345 - che l’amministrazione comunale, in sede di emissione di ordinanza contingibile ed urgente non possa disapplicare disposizioni tecniche sulla base di dati scientifici ed epidemiologici non probanti, o non assistiti da quel largo consenso della comunità scientifica che giustifichi, per la concretezza del pericolo alla salute, l'assunzione di immediate misure interdittive.
Non ha mai affermato però, che -laddove il dato tecnico legittimante (seppure, lo si ripete, incompleto, siccome affermato dai primi Giudici con statuizione regiudicata) sussista- non sia ravvisabile l’urgenza del provvedere, allorchè venga in rilievo il primario bene della salute. Deve al contrario rammentarsi, che proprio tale bene primario ha tradizionalmente ricevuto attenzione senza pari dall’ordinamento nazionale e comunitario.
Quanto a quest’ultimo, in particolare, deve evidenziarsi che il c.d. «principio di precauzione», sancito dal Trattato Cee, all'art. 174, par. 2, come riformulato dal Trattato di Maastricht del 1992, sia pure espresso nella sedes materiae della tutela dell'ambiente, è stato interpretato estensivamente dalla giurisprudenza e dalla Commissione delle Comunità Europee come incidente «sull'ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante» (v. Comunicazione 2 febbraio 2000 della Commissione Cee).
Non è pertanto azzardato affermare che, avuto riguardo alla concreta situazione di fatto, ed in particolare al dato scaturente dalla più volte menzionata verifica tecnica del 1999, sussisteva in via astratta l’urgenza del provvedere legittimante la emissione dell’ordinanza di sospensione dell’erogazione dell’energia all’impianto quale mezzo per ricondurre le emissioni alla soglia inferiore rispetto a quella di pericolo.
Le riproposte doglianze volte ad evidenziare ulteriori profili di illegittimità dell’azione amministrativa rispetto a quello colto dai primi Giudici non appaiono per le superiori ragioni persuasive.
E d’altro canto, ravvisata in astratto l’urgenza del provvedere, non possono trovare accoglimento le doglianze autonome proposte con il ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento di interruzione della somministrazione dell’energia elettrica.
La Sezione non ritiene dovere immorare ulteriormente nell’approfondimento di tale versante di critica.
Una ulteriore argomentazione, merita pur tuttavia di essere segnalata, a supporto delle valutazioni sinora rassegnate.
Il materiale cognitivo e gli accertamenti tecnici sui quali si fondano le doglianze dell’appellante (e sui quali ebbe a fondarsi l’azione amministrativa censurata) erano già acquisiti agli atti del procedimento allorchè venne proposta la domanda cautelare volta ad ottenere la sospensione degli effetti degli impugnati provvedimenti.
(…) Una considerazione appare evidente: gli stessi primi Giudici, all’evidenza, hanno ritenuto non del tutto pacifica ed incontestabile la situazione di fatto evincibile dagli accertamenti tecnici sino a quel momento in loro possesso, tanto da disporne a loro volta uno: in ultima analisi, si sono attenuti a quel canone di prudenza (comprensibile, a fronte della contraddittorietà degli elementi fattuali in atti) che parte appellante censura in capo all’amministrazione ma che non stigmatizza con riguardo all’operato del Tar medesimo.
D’altro canto (sia nella verifica della sussistenza dei presupposti dell’emissione degli impugnati provvedimenti, che quanto ai connessi aspetti afferenti all’elemento psicologico) deve relativizzarsi la verifica giudiziale sotto due distinti angoli prospettici.
Deve aversi riguardo al tempo in cui furono emessi gli impugnati provvedimenti, innanzitutto.
Ed a questo proposito, non può non osservarsi la novità rappresentata, nel sistema, dai dettami del DM n. 381/1998, dettato al fine di garantire una omogeneità di trattamento del fenomeno sull’intero territorio nazionale.
Ad esso, come è noto, le amministrazioni comunali ebbero a conformarsi non senza numerose resistenze percependolo di fatto quale espropriativo delle competenze in materia di salute pubblica ad essi affidate (si veda in proposito, tra le tante, di recente, Consiglio Stato, sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 450 laddove si è affermato che nell'ambito delle competenze attribuite ai comuni dall'art. 8 l. 22 febbraio 2001 n. 36, non rientra la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato (con il d.m. n. 381 del 1998) ed alla stregua di detta disposizione nemmeno è consentito che il Comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizio-urbanistica, adotti misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio-base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero di introdurre misure che, pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.), non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo).
Deve inoltre aversi riferimento alla particolarità della materia in oggetto, per sua natura fluida, in quanto direttamente dipendente dal progresso tecnico e dall’implementarsi delle cognizioni e dei metodi di rilevazione in materia.
Si badi: non è assolutamente intenzione della Sezione affermare che in via generale ci si potesse liberamente discostare dalle prescrizioni contenute nel citato decreto; né che tale condotta ove immotivatamente posta in essere non comporti un vizio di illegittimità colposa dell’azione amministrativa.
Ciò che si vuole evidenziare è, unicamente, che ad avviso della Sezione, a fronte dell’accertamento tecnico in atti risalente al 1999 più volte citato, sussistevano i presupposti per l’emissione dell’ordinanza in oggetto (e di quella di sospensione della erogazione dell’energia elettrica conseguenziale); che sussistesse l’urgenza di provvedere in una ottica di bilanciamento degli interessi e di bene prevalente (indubitabilmente quello della salute dei cittadini); che l’unico vizio che attinge la complessiva azione amministrativa spiegata sia quello colto dai primi Giudici.
(…) Ritiene la Sezione corretta la statuizione del primi Giudici volta a negare che nel complessivo comportamento dell’amministrazione possa ravvisarsi l’elemento colposo.
Invero la Sezione ha avuto modo in passato di evidenziare il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso che fermo restando l'inquadramento della maggior parte delle fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all'interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.(Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
Non si ravvisano ragioni per discostarsi dal superiore orientamento, e la complessiva condotta dell’amministrazione deve essere valutata unitariamente.
Essa, per quanto si è prima rappresentato, si è trovata a dovere prendere iniziative a fronte di un dato tecnico che postulava un superamento dei limiti di emissione; il bene giuridico (ipoteticamente) passibile di lesione era di primaria importanza.
L’urgenza del provvedere discendeva da tali elementi.
Certamente, può rilevarsi, alla stregua delle successive resultanze, ed in considerazione del dictum giurisdizionale regiudicato che ha sostanzialmente dichiarato illegittima l’azione amministrativa per omessa rivalutazione dei dati tecnici in esame avrebbe potuto postergare il momento di adozione dell’atto subordinandolo all’esito di ulteriori accertamenti.
Ma tale valutazione interviene ex post.
Ex ante deve affermarsi che l’amministrazione si è attenuta ad una regola di cautela, forse eccessiva, ma non sconfinante nella colpa.
E d’altro canto, in passato, laddove tale cautela complessiva sia mancata, i Giudici non hanno mancato di rilevare la illegittimità per omissione, dell’operato delle amministrazioni comunali.
Appare illuminante, in proposito, la risalente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (ante legge 205/2000 ed ante sentenze delle Sezioni Unite 500 e 501 del 1999) che ebbe ad affermare (nella specie a fronte di una sottovalutazione del pericolo di crollo) che costituisce limite alla discrezionalità anche tecnica, della P.A. di adottare provvedimenti - nella specie del sindaco, quale ufficiale di governo, di esercitare o meno il potere di emissione e di esecuzione di ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell'art. 153 r.d. 4 febbraio 1915 n. 148 (ora dell'art. 38 l. 8 giugno 1990 n. 142), ovvero di adottare ogni altra cautela idonea a tutelare la pubblica incolumità - il rispetto delle norme di comune prudenza e diligenza, poste a tutela del principio del neminem laedere. Perciò se il comportamento omissivo della P.A., in violazione di dette norme, è stato concausa efficiente della lesione di un diritto - insuscettibile di affievolimento, come quello alla vita, all'integrità fisica, alla salute - di un terzo, essa ne è corresponsabile ai sensi dell'art. 2055 c.c.. (Cassazione civile, sez. III, 18 febbraio 1997, n. 1501 )”.
Pertanto, la condotta dell’apparato amministrativo comunale –concludono i Giudici di Palazzo Spada- non appare abnorme o negligente; si fondava su un accertamento tecnico e su una nota proveniente dalla Usl (amministrazione specificamente preposta alla cura della salute dei cittadini); non può a suo carico rinvenirsi colpa; il petitum risarcitorio deve conseguenzialmente essere disatteso e deve integralmente confermarsi la sentenza appellata.