TAR Lazio (RM) Sez. I-ter n. 8640 del  18 ottobre 2012
Caccia e animali. Calendario venatorio e dati ISPRA

La disciplina statale che delimita il periodo venatorio è stata ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome, le disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili hanno carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale  L’Amministrazione può disattendere il parere dell’ISPRA assolvendo l’onere di esplicitare dettagliatamente le valutazioni che sottendono le differenti scelte effettuate . L’art. 32 della legge n. 394 del 1991 si occupa del prelievo venatorio nelle aree protette e nelle zone contigue nella prospettiva dominante della tutela dell’ambiente in zone meritevoli di particolare protezione. Le aree oggetto dell’intesa tra la Regione Lazio e l’Ente autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo sono da ritenere soggette alla prescrizione di cui al citato art. 32, comma 3, della legge n. 394 del 1991, a cui, tra l’altro, è generalmente riconosciuta la veste di standard minimi uniformi, con consequenziale riserva dell’esercizio della caccia ai soli residenti. (Segnalazione e massima cura di F. Albanese)

 

 

N. 08640/2012 REG.PROV.COLL.

N. 08904/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8904 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Lav Lega Antivivisezione Onlus Ente Morale e Lega per L'Abolizione della Caccia L.A.C., in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall'avv. Valentina Stefutti, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, situato in Roma, viale Aurelio Saffi n. 20;

contro

Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Stefania Ricci, con domicilio eletto presso il difensore nella sede dell’Avvocatura dell’Ente, situata in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;
Ente Parco Nazionale D'Abruzzo Lazio e Molise, n.c.;
Ispra - Istituto Superiore della Protezione e la Ricerca Ambientale (ex INFS), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

Eps Ente Produttori Selvaggina, in persona del legale rappresentante p.t., n.c.;
Atc Fr 1, in persona del legale rappresentante p.t., n.c.;

per l'annullamento,

previa sospensione,

- quanto al ricorso introduttivo:

del Decreto T0269 del 1° agosto 2011, avente ad oggetto “Calendario venatorio e regolamento per la stagione venatoria 2011-2012”, comprensivo del relativo Allegato, e del Decreto 16 settembre 2011 n. 301 recante “Calendario venatorio regionale 2011-2012: disciplina dell’esercizio venatorio nell’area di protezione esterna al Parco d’Abruzzo, del Molise e del Lazio, versante laziale”, nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso;

- quanto ai motivi aggiunti:

del Decreto T00019 del 20 gennaio 2012, avente ad oggetto “Calendario venatorio e regolamento per la stagione venatoria 2011/2012. Integrazioni a seguito dell’ordinanza del TAR Lazio n. 4392/11, ulteriori 4 giorni di prelievo”, del Decreto T0417 del 16 dicembre 2011 recante “Decreto del Presidente della Regione Lazio n. T0269/2011 “Calendario venatorio e regolamento per la stagione venatoria 2011/2012”, modifiche in ottemperanza dell’ordinanza del TAR Lazio n. 04392/2011”, nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio e di Ispra - Istituto Superiore della Protezione e la Ricerca Ambientale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 luglio 2012 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

1. Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 19 ottobre 2011 e depositato il successivo 3 novembre 2011, le ricorrenti impugnano il decreto T0269 dell’1 agosto 2011, avente ad oggetto “Calendario venatorio e regolamento per la stagione venatoria 2011/2012”, ed il decreto 16 settembre 2011, n.301, recante “Calendario venatorio regionale 2011-2012: disciplina dell’esercizio venatorio nell’area di protezione esterna al Parco d’Abruzzo, del Molise e del Lazio, versante Laziale”, chiedendone l’annullamento.

A tale fine le ricorrenti – dopo aver proceduto ad una breve ricognizione della disciplina che regolamenta la materia – deducono i seguenti motivi di diritto:

1) VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1-BIS E 18 COMMA 1 BIS DELLA LEGGE 11 FEBBRAIO 1992 N. 157, COME MODIFICATO DALL’ART. 42 DELLA LEGGE 4 GIUGNO 2010, N. 96. VIOLAZIONE DELLA DIRETTIVA UCCELLI 09/147/CE NEL SUO COMPLESSO E CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ART. 7.4. La c.d. “direttiva Uccelli ed ora anche la legge italiana richiedono a) che vengano assunte tutte le iniziative affinché le specie di uccelli siano mantenute ad uno stato di conservazione favorevole, ovvero, nel caso si trovino a stato di conservazione sfavorevole, vengano riportate ad uno stato di conservazione favorevole, e b) che le azioni condotte in base all’applicazione della direttiva Uccelli, come ad esempio l’attività venatoria, non modifichino in peius lo stato di conservazione in atto degli uccelli”. In definitiva, il diritto comunitario da un lato individua quale obiettivo primario la conservazione degli uccelli selvatici, di modo che si assumano azioni di tutela sulla base dello stato di conservazione di una specie; dall’altro, prevede “che l’attività venatoria possa essere ammessa … soltanto se e nella misura in cui essa risulti sostenibile e, dunque, di conseguenza, sia strettamente regolamentata”, pena il determinarsi di un danno al patrimonio comune. Dall’ISPRA è stato poi predisposto il documento “Sintesi dello stato di conservazione delle specie oggetto di prelievo venatorio ai sensi della legge 11 febbraio 1992 n. 157 e successive modificazioni, Gennaio 2009”, il quale offre indicazioni sul tema dello stato di conservazione delle specie cacciabili in Italia, ricordando il volume “Birds in Europe: population estimates, trends and conservation status”, in cui sono definiti i criteri per identificare la categoria SPEC (Species of European Conservation Concern) di una specie. Tale sistema di identificazione prevede tre livelli di attenzione: SPEC 1, specie ritenuta di interesse di conservazione globale, in quanto classificata come gravemente minacciata; SPEC 2, la quale presenta uno stato di conservazione sfavorevole; SPEC 3, la cui popolazione globale non è concentrata in Europa ma che in Europa presenta uno stato di conservazione sfavorevole. Secondo i dati ISPRA, in Italia sono cacciabili almeno 19 specie classificabili come SPEC, senza però godere di un piano gestionale adeguato. Ciò detto, l’inadempienza della Regione – che inserisce tali specie nel calendario venatorio ovvero non sospende quest’ultimo - è “clamorosa” “venendo violato l’art. 1 bis della legge quadro n. 157/1992”. La Regione, infatti, non ha adottato le misure necessarie per riportare le specie de quibus in uno stato di conservazione favorevole ma ha autorizzato la caccia su specie a stato di conservazione sfavorevole; peraltro, in assenza di un piano di azione adeguato non ha fatto in modo che le misure adottate non provochino deterioramento dello stato di conservazione degli uccelli e dei loro habitat. Sussiste, altresì, il divieto di caccia in fase di riproduzione e migrazione riproduttiva degli uccelli, ai sensi art. 42, comma 2, lett. a), della legge comunitaria 2009, attuativo dell’art. 7.4 della Direttiva 79/409/CEE, detta “Uccelli”. Al riguardo, la Commissione Europea ha fissato date di fine riproduzione e inizio ritorno al luogo di indicazione delle specie di uccelli selvatici. “Prima del termine del periodo di riproduzione degli uccelli e dopo l’avvio della fase di migrazione prenuziale l’attività venatoria non può in alcun modo esercitarsi”. Tale regime di protezione completa è stato sancito anche dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, riconoscendo – nel contempo – la necessità di evitare il rischio di confusione tra “specie simili”. I rischi e/o le perturbazioni sono elevatissimi e, dunque, richiederebbero l’applicazione di particolari misure, come riconosciuto dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione Europea. Per queste ragioni la Guida alla direttiva della Commissione Europea “richiede la chiusura della stagione venatoria per specie simili, a partire dalla data di inizio della migrazione prenuziale nella specie più precoce, onde garantire completa protezione alle specie interessate”. Ciò è richiesto anche dall’ISPRA nella sua “Guida per la stesura dei calendari venatori”, mediante la previsione di indicazioni che impongono una revisione dei calendari venatori al fine di non cacciare durante il periodo di riproduzione e di migrazione prenuziale e di non deteriorare ed, anzi, preservare lo stato di conservazione degli uccelli. Orbene, la Regione Lazio ha approvato un calendario venatorio che non tiene affatto in considerazione quanto raccomandato dall’ISPRA, permettendo la caccia a specie di uccelli in stato di conservazione sfavorevole e consentendo la caccia diretta ovvero disturbo a specie di uccelli in periodi assolutamente vietati, quali le fasi di riproduzione e migrazione prenuziale. In particolare: - ha autorizzato la caccia dal 18 settembre al 30 gennaio per il merlo, la quaglia, la tortora, l’alzavola, il beccaccino, il germano reale, la marzaiola, il mestolone, la moretta, il moriglione, la pavoncella, il porciglione ed al 31 dicembre per il fagiano; - non ha, tra l’altro, aderito ad una richiesta di sospensione, motivata dall’ISPRA, per la moretta; - - ha autorizzato il prelievo dal 1° ottobre al 31 gennaio per il colombaccio, la cornacchia grigia, la gazza, la ghiandaia, la cesena, il tordo bottaccio ed il tordo sassello, senza seguire le indicazioni ISPRA di fissare per le prime tre specie il 20 gennaio e per le rimanenti tre il 10 gennaio e senza fornire idonee motivazioni; - ha autorizzato il prelievo della beccaccia sino al 31 gennaio, nonostante l’ISPRA avesse raccomandato il 31 dicembre “a cagione dello stato di pessima conservazione in cui versa questa specie”; - ha totalmente ignorato l’indicazione di tenere in debito conto l’elemento del disturbo per le specie del porciglione, frullino, gallinella d’acqua, pavoncella e marzaiola. In definitiva, la Regione ha totalmente ignorato la Guida alla stesura dei calendari venatori, senza alcun cenno motivazionale.

2) VIOLAZIONE DI LEGGE SOTTO ULTERIORE PROFILO. VIOLAZIONE DELL’ART. 6, COMMA 3, DELLA DIRETTIVA 92/43/CEE. VIOLAZIONE DELL’ART. 5, COMMA 1, E DELL’ART. 6, COMMA 2, DEL DPR 8 SETTEMBRE 1997, N. 357 S.M.I.. MANCATA EFFETTUAZIONE DELLA VALUTAZIONE DI INCIDENZA SUL CALENDARIO VENATORIO. Nonostante precise indicazioni dell’ISPRA, la Regione Lazio ha omesso di sottoporre, quanto alla caccia nelle Zone di Protezione Speciale, il calendario venatorio a valutazione di incidenza, in netta carenza, tra l’altro, di qualsiasi profilo motivazionale.

3) VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE DELL’ART. 2 DELLA LEGGE 6 FEBBRAIO 2006 N. 66 E DELL’ART. 4.1.4 DELL’“ACCORDO SULLA CONSERVAZIONE DEGLI UCCELLI ACQUATICI MIGRATORI DELL’AFRICA-EURASIA” (AEWA). TRAVISAMENTO, ILLOGICITA’, CONTRADDITTORIETA’, DIFETTO DI PRESUPPOSTO, atteso che il provvedimento gravato limita il divieto di utilizzazione di munizioni tossiche al piombo alle sole Zone di Protezione Speciale di cui alla Direttiva 147/09/CE.

4) VIOLAZIONE DI LEGGE SOTTO ULTERIORE PROFILO. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 18 DELLA LEGGE 11 FEBBRAIO 1992 N. 157. DIFETTO DI MOTIVAZIONE E DI ISTRUTTORIA SOTTO DIVERSI PROFILI. VIOLAZIONE DI LEGGE, VIOLAZIONE DELL’ART. 21 SEPTIES DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990 N. 241 S.M.I..Anche volendo accedere alla tesi secondo cui il parere dell’ISPRA sarebbe obbligatorio ma non vincolante, per discostarsene l’organo di amministrazione attiva “avrebbe tuttavia dovuto motivare in ordine alle ragioni .. per cui aveva ritenuto di non doversi attenere alle indicazioni ivi espresse” (anche in relazione alle modalità di caccia degli ungulati ed ai tempi di prelievo della lepre). La violazione de qua si risolve, altresì, nel vizio di violazione di giudicato, atteso che questo Tribunale, nella sentenza n. 2443 del 2011, resa sul calendario venatorio della stagione passata, aveva dichiarato l’illegittimità proprio per tale motivo.

5) VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE DELL’ART. 32 DELLA LEGGE 6 DICEMBRE 1991 N. 394 NEL SUO COMPLESSO ED IN PARTICOLARE DEL COMMA 3 perché - quanto al secondo provvedimento oggetto di censura, ossia il decreto T0301 del 16 settembre 2011 - la disposizione regionale amplia il novero dei soggetti abilitati, prevedendo che possano essere ammessi anche i non residenti purché iscritti nell’ATC FR 1.

Con atto depositato in data 8 novembre 2011 si è costituito l’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale.

In data 21 novembre 2011 si è costituita anche la Regione Lazio, la quale ha così sostenuto – in sintesi - la correttezza del proprio operato: - premesso che l’art. 1, comma 1 bis, della legge n. 157/1992 individua i fattori che influiscono negativamente sull’entità della popolazione aviaria nella distruzione dell’habitat e nell’inquinamento atmosferico (e non nella caccia, la quale assume un’incidenza residuale), il calendario venatorio oggetto in questa sede di sindacato comunque esclude alcune specie dall’attività venatoria (in particolare, 4, che, invece, la ricorrente include tra quelle per le quali non sarebbero state adottate misure), mentre per le altre ha esplicitato le ragioni per le quali ha stabilito determinate date di apertura e chiusura della stessa attività; - solo per due specie (canapiglia e codone) c’è sovrapposizione di una decade tra il periodo di caccia e quello della migrazione prenuziale; - in ogni caso, tale sovrapposizione è considerata a livello scientifico “teorica” o “potenziale”e, quindi, l’attività venatoria durante questo periodo “si ritiene ammissibile”; - del resto, l’indicazione da parte dell’ISPRA della seconda decade di gennaio era del tutto prudenziale; - per quanto riguarda le specie non SPEC, per le quali – secondo la ricorrente – “la chiusura della caccia dovrebbe essere anticipata, l’individuazione della data di chiusura dell’attività venatoria al 30 gennaio è corretta”, atteso che dai dati ISPRA emerge che la migrazione prenuziale inizia a febbraio; - i calendari venatori non rientrano tra gli atti sottoposti a valutazione d’incidenza (cfr. Del. Giunta Regionale 29 gennaio 2010, n. 64); - al riguardo, anche l’ISPRA parla di mera “opportunità”; - in ogni caso, una tale valutazione è avvenuta; - lo Stato italiano si sta adeguando alle prescrizioni dell’accordo AEWA, attinenti all’utilizzo dei pallini in piombo, atteso che ne ha già vietato l’utilizzo nelle Zone di Protezione Speciale; - in ogni caso, si tratta di una materia di esclusiva competenza dello Stato, rispetto alla quale è da escludere un potere di intervento della Regione; - non sussiste, dunque, difetto di motivazione; - l’amministrazione regionale non poteva applicare l’art. 32, comma 3, della legge n. 394 del 1991 in merito alle “aree contigue” in quanto non ancora istituite.

In data 23 novembre 2011 l’ISPRA ha depositato “note deduttive”, ponendo – essenzialmente – in risalto il significato della Guida dal predetto redatta, da intendere “come strumento tecnico di indicazione degli standard minimi di tutela statale, atti a garantire … il nucleo minimo di conservazione degli uccelli selvatici”.

Con ordinanza n. 4392 del 25 novembre 2011 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare “ai fini del riesame dell’atto impugnato”, con specifico riferimento alle parti in cui consente l’esercizio dell’attività venatoria nei periodi di riproduzione e migrazione prenuziale e l’utilizzo di munizioni tossiche.

2. In “espressa” esecuzione di tale ordinanza, in data 16 dicembre 2011 la Regione Lazio ha adottato il decreto T0417, estendendo il divieto di utilizzo di pallini a piombo nelle zone umide e fissando la chiusura dell’esercizio venatorio al 19 gennaio 2012 per numerose specie.

In data 20 gennaio 2012 ha, altresì, adottato il decreto T00019, avente ad oggetto “Calendario Venatorio e regolamento per la stagione venatoria 2011/2012. Integrazioni a seguito dell’ordinanza del TAR Lazio n. 4392/2011, ulteriori quattro giorni di prelievo”, riportando per 13 delle specie di cui sopra la data di chiusura dell’esercizio della caccia “entro e non oltre il 30/01/2012” sulla base di specifiche argomentazioni.

Avverso tali provvedimenti le ricorrenti insorgono, proponendo motivi aggiunti.

In particolare, le ricorrenti – dopo aver richiamato in toto l’atto introduttivo - deducono le seguenti censure:

VIOLAZIONE DI GIUDICATO CAUTELARE. VIOLAZIONE DELL’ART. 21 SEPTIES DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990 N. 241. VIOLAZIONE DELL’ART. 18 COMMA 4 DELLA LEGGE 11 FEBBRAIO 1992 N. 157 COME MODIFICATA. SVIAMENTO DI POTERE, atteso che l’Amministrazione non si è attenuta all’ordinanza del Tribunale n. 4392/2011 e, comunque, è tornata a provvedere senza previamente acquisire il parere dell’ISPRA.

In data 2 febbraio 2012 le ricorrenti hanno rinunciato all’istanza cautelare “proposta unitamente alla proposizione dei motivi aggiunti”.

Con memoria depositata in data 18 giugno 2011 la Regione Lazio ha precisato che: - non si comprendono le ragioni per le quali avrebbe dovuto richiedere un nuovo parere dell’ISPRA; - ha ritenuto di discostarsi da tale parere perché la data di inizio della migrazione non è certa e la stessa guida alla disciplina della caccia della Commissione Europea, al punto 2.7, ammette la sovrapposizione per una decade dei periodi di caccia e di migrazione; - in ogni caso, il documento Key Concepts, a cui fa riferimento l’ISPRA, non è una fonte normativa ma un mero strumento tecnico, non vincolante per le amministrazioni pubbliche.

In data 27 giugno 2012 le ricorrenti hanno prodotto “memoria di replica”, insistendo sulla natura di “periodi massimi” dei periodi fissati dall’art. 18, comma 1, della legge quadro e, dunque, affermando che il rispetto di tale arco temporale non è – di per sé - sinonimo di legittimità del provvedimento amministrativo.

3. All’udienza pubblica del 20 luglio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto nei limiti e nei termini di seguito indicati.

2. Le ricorrenti denunciano primariamente la violazione degli artt. 1 bis e 18 comma 1 bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, oltre che violazione della c.d. Direttiva Uccelli, in quanto affermano che, con l’adozione del decreto T269 dell1 agosto 2011, non risulta rispettato – in relazione a numerose specie di uccelli – il principio, normativamente imposto, secondo il quale l’attività venatoria può essere ammessa soltanto “se e nella misura in cui essa risulti sostenibile”, il che si risolve anche nel dictum che la caccia non deve disturbare le specie in periodo di riproduzione o di migrazione prenuziale (avendo attenzione anche per le specie simili), così come evidenziato anche dall’ISPRA nella “Guida per la stesura dei calendari venatori ai sensi della legge n. 157/92, così come modificata dalla legge comunitaria 2009, art. 49”, richiamata nel parere rilasciato dal predetto istituto.

In particolare, le ricorrente - indicando numerose specie di uccelli - sostengono che:

- in carenza di un piano di gestione operativo, l’attività venatoria su specie che versano in uno stato di conservazione non favorevole “non possa essere autorizzata”;

- nel fissare i periodi, la Regione ha – comunque - disatteso “le autorevoli indicazioni dell’Istituto senza fornire alcuna indicazione di carattere scientifico a sostegno delle proprie scelte”.

Tale censura è fondata nei termini e nei limiti di seguito indicati.

2.1. Per quanto attiene alla violazione dell’art. 1, comma 1 bis, di cui sopra - dalla cui formulazione le ricorrenti sostanzialmente desumono la sussistenza di un divieto di caccia per le specie di uccelli classificate come “SPEC” (ossia, versanti in uno stato di conservazione non favorevole), a causa della mancanza di un piano di gestione operativo - il Collegio ritiene i rilievi mossi nel ricorso non condivisibili.

Specificamente, il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento già assunto dalla Sezione con la sentenza n. 2443 del 21 marzo 2011 e, pertanto, ribadisce che:

- per costante insegnamento della Corte Costituzionale, “la disciplina statale che delimita il periodo venatorio … è stata ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome” e che “le disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili” hanno carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale (sent. n. 227 del 2003, che richiama la sent. n. 323 del 1998; cfr., tra l’altro, sent. nn. 315 e 268 del 2010);

- il fondamento di tale competenza esclusiva si rinviene nell’esigenza insopprimibile di garantire su tutto il territorio nazionale soglie di protezione della fauna che si qualificano come “minime”, nel senso che costituiscono un vincolo rigido sia per lo Stato sia per le Regioni, ordinarie e speciali, a non diminuire l’intensità della tutela. Quest’ultima può variare, in considerazione delle specifiche condizioni e necessità dei singoli territori, solo in direzione di un incremento, mentre resta esclusa ogni attenuazione, comunque motivata (Corte Cost., sent. n. 237 del 2008);

- ciò detto, diviene doveroso rilevare che l’interdizione alla caccia per le specie di uccelli menzionate nel contesto della censura oggetto di scrutinio non figura in alcuna norma di legge;

- la medesima considerazione vale in relazione al principio invocato, connesso all’adozione o meno di “piani di gestione” (nel senso che alcuna norma prescrive che la carenza di quest’ultimi comporti il divieto alla caccia);

- per quanto rilevanza giuridica possa avere, si aggiunge – in ultimo – che asserzioni a favore della tesi sostenuta dei ricorrenti non sono, poi, rinvenibili nemmeno in atti dell’ISPRA.

In sintesi:

- le ricorrenti invocano un divieto che – al fine di un valido e fondato riconoscimento – avrebbe richiesto l’introduzione di precise disposizioni normative nel nostro ordinamento giuridico;

- preso atto che tale previsioni non sono riscontrabili, detto divieto è da ritenere insussistente.

In definitiva, la censura de qua è infondata.

2.2. In relazione alla denunciata violazione dell’art. 18, comma 1 bis, la quale investe precipuamente i periodi di inizio e termine dell’attività venatoria fissati nel calendario venatorio, appare, invece, doveroso – primariamente - tener conto delle innovazioni apportate dalla Regione Lazio al decreto T0269 dell’1 agosto 2011, oggetto di impugnativa con il ricorso introduttivo, con i decreti T0417 del 16 dicembre 2011 e T0019 del 20 gennaio 2012, poi oggetto di sindacato con i motivi aggiunti.

In particolare, va osservato che:

- i ricorrenti si dolgono che, “quanto alle specie del fagiano, merlo, quaglia, tortora, alzavola, beccaccino, germano reale, marzaiola, mestolone, moretta, moriglione, pavoncella, porciglione, la Regione riteneva, contrariamente a quanto indicato nella Guida ISPRA, di autorizzare la caccia dal 18 settembre al 30 gennaio (31 dicembre per il fagiano)” e, “ancora più grave quanto previsto inoltre per la moretta”, stante la richiesta di sospensione motivata dall’ISPRA;

- in aggiunta, rappresentano che “quanto alle specie del colombaccio, della cornacchia grigia, della gazza, della ghiandaia, della cesena, del tordo bottaccio e del tordo sassello, la Regione autorizzava il prelievo dal 1° ottobre al 31 gennaio, nonostante l’ISPRA avesse fornito solide argomentazioni… per indicare le date del 20 gennaio per le prime tre specie e quella del 10 gennaio per le rimanenti tre”, mentre per la beccaccia l’ISPRA “aveva raccomandato la chiusura al 31 dicembre. Di contro, la Regione ne autorizzava il prelievo addirittura sino al 31 gennaio”;

- in ultimo, evidenziano che “quanto alle specie del porciglione, frullino, gallinella d’acqua, pavoncella, marzaiola, l’ISPRA aveva altresì raccomandato di tenere in debito conto l’elemento del disturbo cagionato dall’attività venatoria nelle zone umide. Purtuttavia, la Regione ignorava completamente tale indicazione”;

- con il decreto n. T0417 del 16 dicembre 2011 la Regione Lazio – con espresso riferimento all’ordinanza del Tribunale n. 4392 del 2011 - ha ricondotto al 20 gennaio le date di chiusura delle specie alzavola, beccaccia, beccaccino, canapiglia, cesena, codone, fischione, folaga, frullino, gallinella d’acqua, germano reale, marzaiola, mestolone, moretta, moriglione, pavoncella, porciglione, tordo bottaccio e tordo tassello;

- con il successivo decreto n.00019 del 20 gennaio 2012, la Regione Lazio – nel richiamare, tra l’altro, la sentenza n. 2443 del 2011, emessa dal Tribunale in ordine al calendario venatorio 2010/2011 – ha consentito il prelievo per ulteriori quattro giorni e comunque entro e non oltre il 30 gennaio 2012 per le specie del germano reale, fischione, marzaiola, mestolone, moretta, moriglione, gallinella d’acqua, porciglione, pavoncella, beccaccino, frullino, tordo bottaccio e tordo sassello, prendendo essenzialmente in considerazione l’incidenza ambientale, gli studi sulla materia (in particolare, il documento Key Concepts) e la possibilità di sovrapposizione dei periodi di caccia con i periodi di riproduzione o della migrazione di ritorno ove ricorrano dati scientifici che compravano che – in concreto – alcuna sovrapposizione si verifica in ragione delle peculiarità dell’area interessata.

Ciò detto, è da constatare che, in ordine a varie specie (e, precipuamente, alzavola, canapiglia, codone e folaga), la Regione – in virtù del decreto n. T0417 del 16 dicembre 2011 - ha introdotto una data di chiusura (il 19 gennaio 2012) che, in quanto non nuovamente oggetto di modificazione con il decreto T00019 del 20 gennaio 2012, si presenta in linea con quella individuata dall’ISPRA.

Per tali ipotesi, pur non essendo riscontrabile coincidenza con le date di apertura della Guida dell’ISPRA, si potrebbe – comunque - ravvisare un’effettiva volontà della Regione di adeguarsi alle indicazioni del TAR riportate nell’ordinanza n. 4392/2011 (stante la chiara inutilità – all’epoca – di modificare anche la data di apertura dell’attività venatoria).

In ogni caso, il Collegio ritiene che sia doveroso prendere atto - anche in considerazione dell’efficacia ex tunc dell’annullamento (con connessa rilevanza, dunque, anche delle date di apertura) – che la Regione non ha seguito le indicazioni dell’ISPRA – in materia di periodi per l’apertura e la chiusura dell’esercizio dell’attività venatoria - in relazione a tutte le specie indicate dai ricorrenti.

Tenuto conto di tale rilievo e della natura del parere rilasciato dall’ISPRA (obbligatorio ma non vincolante), risulta evidente che la valutazione della fattispecie non può che spostarsi necessariamente su di un piano motivazionale, prendendo in considerazione – per quanto attiene le specie menzionate nel decreto T00019 del 20 gennaio 2012 – le ulteriori indicazioni fornite dall’Amministrazione.

Orbene, la disamina dei provvedimenti impugnati conduce ad affermare che la motivazione – in ultimo – posta a supporto delle decisioni adottate è adeguata in relazione alle specie nuovamente considerate nel già citato decreto T00019/2012, mentre rimane carente per le specie – indicate nel ricorso – di cui lo stesso decreto non fa menzione.

In ordine a tali specie la censura è, pertanto, da ritenere fondata.

Al riguardo, si osserva - in primis - che, al fine di giustificare uno scostamento dal parere dell’ISPRA, la mera indicazione da parte della Regione di uniformità con quanto riportato nel documento Key Concepts e/o la presa in considerazione di studi, tra l’altro, non recenti si rivale insufficiente; se, infatti, così fosse, la stessa previsione del parere dell’ISPRA perderebbe di ogni significato e/o rilevanza giuridica.

Ciò precisato, il Collegio ritiene di adeguarsi pienamente all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale – in termini generali – l’Amministrazione può sì disattendere il parere dell’ISPRA ma assolvendo l’onere di esplicitare dettagliatamente le valutazioni che sottendono le differenti scelte effettuate (cfr., tra le altre, TAR Basilicata, 24 luglio 2012, n. 352; TAR Lombardia, Brescia, 2 novembre 2009, n. 1827; TAR Sicilia, Palermo, 19 ottobre 2009, n. 1633; TAR Marche, 24 ottobre 2007, n. 1778).

In particolare, si dà conto che:

- secondo l’orientamento della Corte Costituzionale in materia, “la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall’art. 18 della legge 11 febbraio 1992 n. 167 è rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e corrisponde quindi, sotto questo aspetto, all’esigenza di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, materia attribuita dall’art. 117 comma 2 lett. s) Cost. alla competenza esclusiva dello Stato, in particolare mediante la predisposizione di standard minimi di tutela della fauna”, cosicché la disposizione che proroga la stagione venatoria oltre i termini previsti dalla legge statale “incide sul nucleo minimo – comprensivo anche delle modalità di caccia – di salvaguardia della fauna selvatica, violando così uno standard di tutela uniforme per l’intero territorio nazionale e pertanto riservato alla competenza esclusiva dello Stato” (n. 311 del 2003; n. 226 del 2003);

- in altri termini, le soglie di protezione stabilite dallo Stato debbono essere qualificate minime, “nel senso che costituiscono un vincolo rigido” anche per le Regioni – ordinarie e speciali – “a non diminuire l’intensità della tutela. Quest’ultima può variare, in considerazione delle specifiche condizioni e necessità dei singoli territori, solo in direzione di un incremento, mentre resta esclusa ogni attenuazione, comunque motivata” (n. 387 del 2008);

- nel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica deve includersi, accanto all’elencazione delle specie cacciabili, la disciplina delle modalità di caccia, tra cui quella che delimita il periodo venatorio;

- al riguardo, sicura rilevanza riveste, tra l’altro, il divieto dell’esercizio venatorio a) durante il ritorno dal luogo di nidificazione e b) durante il periodo della nidificazione e le fasi di riproduzione e della dipendenza degli uccelli, imposto dall’art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992;

- la previsione dei periodi di apertura e chiusura della caccia deve, pertanto, avvenire nel pieno rispetto di tale divieto, la cui corretta individuazione da parte dell’Amministrazione trova realizzazione – nel concreto – anche in virtù dell’apporto fornito dall’ISPRA attraverso il rilascio del parere;

- ciò detto e, comunque, escluso che la Guida dell’ISPRA pubblicata nell’estate del 2010 costituisca “lo strumento tecnico di indicazione degli standard minimi di tutela statale” (come, invece, sostenuto dalle ricorrenti), ogni discrasia tra la decisione assunta dalla Regione ed il parere dell’ISPRA deve essere – come già evidenziato – congruamente motivata;

- tale motivazione deve investire precipuamente le caratteristiche biologiche della fauna e le situazioni ambientali che caratterizzano l’ambito regionale;

- nel caso di specie, una motivazione di tal genere è carente;

- oltre a non essere riscontrabili compiute ed esaustive indicazioni, atte a dare conto del compimento di valutazioni tecniche a supporto della decisione assunta, non ricorre una valida ed effettiva correlazione con i rilievi dell’ISPRA, idonee a giustificare, tra l’altro, ipotesi di sovrapposizione tra i periodi di caccia stabiliti ed i periodi della riproduzione o della migrazione.

In definitiva, il calendario venatorio di cui al decreto T0269 dell’1 agosto 2011 è da ritenere illegittimo nella parte in cui disciplina le specie indicate dai ricorrenti non oggetto di riconsiderazione – sotto il profilo motivazionale – nel decreto T00019 del 20 gennaio 2012, in quanto prescrive per dette specie periodi per l’esercizio dell’attività venatoria differenti da quelli indicati dall’ISPRA senza fornire una valida ed adeguata giustificazione.

Valutando i motivi aggiunti, proposti avverso il decreto T0417 del 16 dicembre 2011 ma anche il decreto T00019 del 20 gennaio 2012, le considerazioni sopra riportate conducono ad affermare che:

- non sussiste elusione o violazione dell’ordinanza cautelare n. 4392 del 2011. Non si riscontrano elementi, infatti, per ritenere che i citati decreti non siano in linea con tale ordinanza. Più specificamente, si può affermare che l’Amministrazione abbia proceduto ad un adempimento “parziale” del disposto di tale ordinanza ma ciò non vale a determinare l’annullamento dei provvedimenti adottati (in linea con i principi del processo amministrativo, è infatti noto che un’ipotesi di esecuzione “parziale” di un’ordinanza cautelare vale precipuamente ad attivare iniziative di carattere propulsivo, le quali si rivelano utili - in ultimo - anche all’Amministrazione per evitare l’eventuale annullamento, seppure parziale, del provvedimento in origine adottato);

- non si tratta di provvedimenti adottati motu proprio dall’Amministrazione bensì di atti che quest’ultima si è trovata nella condizione di dover adottare per dare esecuzione all’ordinanza del TAR, la quale imponeva – tra l’altro – di tener adeguatamente conto del parere già rilasciato dall’ISPRA. Ciò detto, la richiesta di un nuovo parere di tale istituto non può che apparire ultronea;

- per la particolare rilevanza che riveste il decreto T00019 del 20 gennaio 2012, è, poi, da aggiungere che lo stesso è congruamente motivato, ossia dà adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto la Regione a discostarsi – in relazione a determinate specie - dalle indicazioni fornite dall’ISPRA (per un caso simile cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, 21 marzo 2011, n. 2443).

In definitiva:

- il calendario venatorio di cui al decreto T0269 dell’1 agosto 2011 è illegittimo limitatamente alla parte – non oggetto di modifica da parte del decreto T00019 del 20 gennaio 2012 – che regolamenta i periodi di esercizio dell’attività venatoria in relazione alle specie indicate dalle ricorrenti in difformità dal parere dell’ISPRA;

- il decreto T0417 del 16 dicembre 2011 – per quanto ancora efficace – ed il decreto T00010 del 20 gennaio 2012 sono da ritenere legittimamente adottati.

3. Le ricorrenti denunciano, poi, violazione di legge (in particolare, dell’art. 6, comma 3, della direttiva 92/43/CEE e dell’art. 5, comma 1, e dell’6, comma 2, del D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357) in quanto “la Regione Lazio ha omesso di sottoporre, quanto alla caccia nelle Zone di Protezione Speciale, il calendario venatorio a valutazione di incidenza”.

Tale censura non è meritevole di condivisione.

Al riguardo, il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi dall’orientamento già assunto dalla Sezione con la sentenza n. 2443 del 2011 e, pertanto, rileva che:

- le ZPS sono quei territori (facenti parte della Rete ecologica europea denominata "Natura 2000”) funzionali alla conservazione di alcune specie dell’avifauna stanziali o migratorie che nidificano ovvero che, durante la migrazione, sostano per approvvigionarsi in tali territori e che la Comunità europea ha inteso tutelare attraverso la c.d. Direttiva “uccelli” 79/409/CEE (oggi sostituita dalla Dir. 2009/147/UE) prevedendo, all’art.4, l’obbligo per gli Stati membri di adottare misure idonee a prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli;

- le misure di protezione sono date dalla valutazione di incidenza cui rimane soggetto qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenza significativa sulla Zona (art.7 della Direttiva Habitat 92/43/CEE che ha esteso le misure di protezione previste per i Sic – Siti di importanza comunitaria - anche alle ZPS);

- la Direttiva Habitat ha trovato attuazione nell’Ordinamento interno con il d.P.R. n.357 del 1997 il cui art.5 assoggetta a valutazione di incidenza il piano faunistico venatorio e non anche il calendario venatorio;

- il Piano faunistico venatorio della Regione Lazio, approvato il 29.7.1998, oltre a non costituire, nell’architettura del gravame, oggetto di specifica impugnativa, altro non è che uno strumento di coordinamento dei preesistenti Piani faunistico venatori provinciali tutti già preventivamente approvati sulla base degli indirizzi forniti con le deliberazioni G.R. n. 754 del 1996, concernente «Indirizzi regionali per la elaborazione dei piani faunistici-venatori provinciali», e n. 2146 del 19 marzo 1996, che approva la lista dei siti con valori di importanza comunitaria nel Lazio ai fini dell'inserimento nella rete ecologica europea «Natura 2000»;

- in ogni caso, il Calendario impugnato impone (art.1) l’applicazione, in tutto il territorio regionale, delle prescrizioni e divieti recati dalla del.G.R. nr. 363 del 2008, avente ad oggetto “Rete Natura 2000: Misure di conservazione obbligatorie da applicarsi nelle ZPS”; ed, inoltre, rispetta tutti i criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione per tutte le ZPS previsti dall’art.5 del d.m. 17.10.2007;

- per quanto sopra, il Calendario impugnato subordina l’attività venatoria nelle ZPS a specifiche e più stringenti disposizioni garantendone la compatibilità con gli obiettivi di conservazione dei relativi habitat;

- a tanto accede l’infondatezza della censura in trattazione.

4. Le ricorrenti lamentano, ancora, che il provvedimento gravato con il ricorso introduttivo è illegittimo “nella parte in cui limita il divieto di utilizzazione di munizioni tossiche al piombo alle sole Zone di Protezione Speciale di cui alla Direttiva 147/09/CE”.

In particolare, adducono la violazione dell’art. 4.1.4. dell’accordo sulla conservazione degli uccelli migratori dell’Africa-Eurasia, concluso a L’Aja il 15 agosto 1996 e ratificato in Italia con legge 6 febbraio 2006, n. 66, il quale dispone:

“Le Parti contraenti si impegnano a sopprimere l’utilizzazione dei pallini di piombo per la caccia nelle zone umide entro il 2000”.

La censura de qua è divenuta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Come risulta dal decreto T0417 del 16 dicembre 2011, prodotto agli atti, “il divieto di utilizzo di munizionamento a pallini di piombo” è stato, infatti, esteso “all’interno di tutte le zone umide del territorio della Regione Lazio, quali laghi naturali e artificiali, stagni, paludi, acquitrini, lanche e lagune d’acqua dolce, salata, salmastra, nonché nel raggio di 160 metri dalle rive più esterne …”.

5. Per quanto attiene al motivo di cui al n. 4, riguardante essenzialmente l’obbligo di motivazione in caso di scelta della Regione di disattendere il parere dell’ISPRA, si rinvia a quanto già in precedenza esposto (vedasi, in particolare, il punto 2).

In questa sede, va precisato che:

- con il decreto T0417 del 16 dicembre 2011 la Regione Lazio ha stabilito di “non consentire per la caccia di selezione agli ungulati l’uso di munizioni contenenti piombo”, in linea con le indicazioni fornite dall’ISPRA;

- valutazioni del genere di quelle già in precedenza effettuate – sotto il profilo motivazionale – si addicono anche alle prescrizioni afferenti la “lepre” europea. Ciò detto, è da rilevare che: - in relazione alla caccia di tale specie, il calendario venatorio prevede il periodo 18 settembre 2011-8 dicembre 2011;- nonostante tale previsione non sia in linea con le indicazioni fornite dall’ISPRA (posticipazione dell’apertura della caccia a metà ottobre “per favorire il completamento del ciclo riproduttivo della specie” ed “anticipazione della chiusura della caccia alla specie a fine novembre-primi giorni di dicembre”), non sono riscontrabili profili di illegittimità, atteso che la decisione adottata risulta congruamente motivata. In particolare, è doveroso osservare che il calendario venatorio oggetto di sindacato in questa sede – a differenza di quello relativo alla stagione venatoria 2010/2011, impugnato con il ricorso n. 8208 del 2010, poi definito con sentenza n. 2443 del 2011 – dà diffusamente conto delle ragioni che hanno indotto a consentire il prelievo della specie in esame per un determinato periodo di tempo, in distonia con il parere dell’ISPRA, con l’ulteriore precisazione che, avverso dette ragioni, le ricorrenti non formulano contestazione alcuna. In definitiva, con la citata sentenza era stata rilevata l’illegittimità della prescrizione afferente la lepre in quanto “non motivata”; tale illegittimità non è più riscontrabile – come, del pari, non è riscontrabile alcuna illegittimità per violazione dell’art. 21 septirs l. 231 del 1990 - tenuto conto della formulazione del provvedimento impugnato, la quale risulta innovata rispetto a quella del provvedimento precedente.

In conclusione, la presente censura – valutata nei termini specificamente prospettati dalle ricorrenti, ossia in relazione agli ungulati ed alla lepre – è da ritenere in parte improcedibile ed in parte infondata.

6. Permane da valutare l’unica censura formulata nei confronti del decreto T0301 del 16 settembre 2011, avente ad oggetto “Calendario venatorio 2011/2012, disciplina dell’esercizio venatorio nell’area di protezione esterna al Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, versante laziale”, la quale è incentrata sulla violazione dell’art. 32 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, atteso che “la disposizione regionale illegittimamente amplia il novero dei soggetti abilitati, prevedendo che possano essere ammessi anche i non residenti purché iscritti nell’ACT FR 1”.

Tale censura appare meritevole di condivisione.

Al riguardo appare opportuno ricordare che l’art. 32 di cui sopra stabilisce:

“1. Le regioni, d’intesa con gli organismi di gestione delle aree naturali protette e con gli enti locali interessati, stabiliscono piani e programmi e le eventuali misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell’ambiente, relativi alle aree contigue, alle aree protette, ove occorra intervenire per assicurare la conservazione dei valori delle aree protette stesse.

2. I confini delle aree contigue di cui al comma 1 sono determinati dalle regioni sul cui territorio si trova l’area naturale protetta, d’intesa con l’organismo di gestione dell’area protetta.

3. All’interno delle aree contigue le regioni possono disciplinare l’esercizio della caccia, in deroga al terzo comma dell’articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 968, soltanto nella forma della caccia controllata, riservata ai soli residenti dei comuni dell’area naturale protetta e dell’area contigua, gestita in base al secondo comma dello stesso articolo 15 della medesima legge.

…………”.

Nel caso di specie, il Collegio ritiene che rivestano carattere dirimente le seguenti circostanze:

- in data 15 dicembre 1998, la Regione ha adottato la deliberazione n. 7326 di “Approvazione schema di protocollo d’intesa tra Regione Lazio ed Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo: definizione area contigua al Parco Nazionale d’Abruzzo, settore laziale, Provincia di Frosinone”, “che tra l’altro individua, all’interno dell’area contigua, una Sottozona A ed una Sottozona B”;

- con deliberazione del successivo 15 marzo 1999, la Regione ha anche preso atto “del Protocollo di intesa tra la Regione Lazio e l’Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo concernente: “istituzione delle aree contigue al Parco Nazionale d’Abruzzo, settore laziale, Provincia di Frosinone. Repertorio n. 4476 del 22/12/1998”.

Ancorché la Regione neghi l’avvenuta istituzione delle aree contigue per negare – a sua volta – l’applicabilità del citato art. 32, si ritiene, infatti, che l’istituzione di cui si tratta nei sopra richiamati documenti sia sufficiente per supportare la piena operatività della disposizione in argomento.

A conferma di tale soluzione depongono i seguenti rilievi:

- come osservato anche dal Consiglio di Stato (cfr., tra le altre, 16 luglio 2012, n. 4153), la legge n. 394 del 1991 “si occupa ……. del prelievo venatorio nelle aree protette e nelle zone contigue” “nella prospettiva dominante della tutela dell’ambiente in zone meritevoli di particolare protezione”;

- preso atto delle particolari finalità di pubblico interesse che presidiano tale disciplina, diviene doveroso ritenere che il criterio della caccia controllata – dalla medesima introdotto e non certo venuto meno a seguito della legge 11 febbraio 1992, n. 157 – debba poter trovare applicazione in tutti i casi in cui ciò si riveli possibile e, dunque, sicuramente in casi del genere di quello in esame, in cui un’intesa tra regione ed organismo di gestione dell’area protetta ai fini dell’individuazione di “aree contigue” risulta intervenuta;

- conferma di quanto sopra esposto si rinviene, tra l’altro, nel provvedimento impugnato, il quale – in relazione alle aree oggetto di considerazione – espressamente dispone che “l’esercizio venatorio è consentito nella forma della caccia controllata”, ossia nel pieno rispetto del criterio di cui sopra.

In ragione di tale premesse, le aree oggetto dell’intesa tra la Regione Lazio e l’Ente autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo sono da ritenere soggette alla prescrizione di cui al citato art. 32, comma 3, della legge n. 394 del 1991, a cui, tra l’altro, è generalmente riconosciuta la veste di standard minimi uniformi (cfr. C.d.S., n. 4153 già cit.), con consequenziale riserva dell’esercizio della caccia ai soli residenti.

Ciò detto, la deliberazione impugnata è illegittima nella parte in cui ammette “ad esercitare l’attività venatoria anche gli iscritti all’ACT FRI anche se non residenti in detti Comuni”.

7. Per le ragioni illustrate:

- il ricorso introduttivo va accolto nei limiti sopra indicati;

- i motivi aggiunti vanno respinti.

Le spese di lite sono liquidate – in ragione di una parziale soccombenza - a favore delle ricorrenti in € 2.000,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 8904/2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti indicati in motivazione e, per l’effetto, annulla:

- il decreto T0269 dell’1 agosto 2011 nella parte in cui regolamenta i periodi di esercizio dell’attività venatoria in difformità dal parere dell’ISPRA senza fornire una valida motivazione e, precipuamente, limitatamente alla parte – non oggetto di modifica ad opera del decreto T00019 del 20 gennaio 2012 – in cui considera le specie indicate nel ricorso introduttivo, indicando periodi per l’esercizio dell’attività venatoria in distonia con quelli indicati dal citato istituto;

- il decreto T0417 del 16 dicembre 2011 nella parte in cui consente l’attività venatoria, nella forma della caccia controllata, anche ai non residenti nei comuni interessati.

Condanna la Regione Lazio al pagamento delle spese di lite, liquidate a favore delle ricorrenti in € 2.000,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2012 con l'intervento dei Magistrati:

Linda Sandulli, Presidente

Pietro Morabito, Consigliere

Antonella Mangia, Consigliere, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/10/2012