TAR Lombardia (BS) Sez. II n.1765 del 7 novembre 2012
Caccia e animali. Animali utilizzati a fini sperimentali
La distinzione tra i due tipi di stabilimenti (di allevamento e fornitore) di cui all'’art. 2 del d. lgs. 116/92 sembra rispondere allo scopo di evitare sostituzioni degli animali o introduzioni degli stessi senza l'osservanza delle norme: ragione per cui i medesimi debbono essere dotati di un marchio di identificazione (e qualora le particolari condizioni rilevabili dalla normativa non possano aver dato luogo all'impressione del marchio, sono previste apposite procedure da seguire perché l'identificazione possa essere sempre attuata).
N. 01765/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01333/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1333 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Green Hill 2001 Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti M. Gabriella Bertoli, Stefano Carmini, Giuliano Rizzi e Maria Carla Minieri, con domicilio eletto presso M. Gabriella Bertoli in Brescia, p.za Mercato, 30;
contro
Comune di Montichiari, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso Mauro Ballerini in Brescia, v.le Stazione, 37;
Asl 302 - A.S.L. della Provincia di Brescia, rappresentata e difesa dall'avv. Silvana Grassi, con domicilio eletto presso Silvana Grassi in Brescia, c/o Asl Bs-via D. degli Abruzzi, 15;
Distretto Veterinario N. 2 - Dipartimento Prevenzione Veterinario dell'Asl di Brescia, non costituito in giudizio;
nei confronti di
Regione Lombardia, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
- del provvedimento prot. 22032 del 15/7/2010 del sindaco di Montichiari, recante revoca dell'autorizzazione n. 36453/08 per l'attività di fornitura cavie presso lo stabilimento di proprietà della ricorrente;
- di ogni altro atto connesso;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
- del provvedimento a firma del Dirigente del Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Montichiari del 2 dicembre 2011, prot. n. 35335;
- in parte qua del verbale ispettivo della ASL di Brescia n. 6026 del 18 aprile 2011.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Montichiari e di Asl 302 - A.S.L. della Provincia di Brescia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2012 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo parte ricorrente ha censurato la legittimità del provvedimento con cui è stata revocata l’autorizzazione all’esercizio dello stabilimento fornitore, rilasciata alla società Green Hill con provvedimento n. 36543, coevo dell’autorizzazione allo stabilimento allevamento n. 36451, entrambe del 13 novembre 2008.
Tale provvedimento di secondo grado è stato adottato dal Comune sulla scorta della considerazione per cui “la ditta non ha individuato/mantenuto strutture dedicate e separate per l’eventuale attività di stabilimento fornitore né ha formalizzato procedure per un ripristino immediato delle stesse in caso di necessità” (così il servizio veterinario della ASL di Brescia, a seguito del sopralluogo del 31 maggio 2010, ma anche le successive note del 10 giugno e del 13 luglio 2010).
Nonostante i chiarimenti forniti dalla Green Hill, che ha evidenziato come l’attività svolta come fornitore fosse consistita nell’utilizzo del solo ufficio dedicato specificamente a tale attività, senza che ci fosse stato mai il transito fisico di animali diversi da quelli allevati dalla stessa società, il Sindaco del Comune di Montichiari, in data 15 luglio 2010, ha revocato l’autorizzazione come fornitore alla società in parola, riportando proprio la sopra citata motivazione.
Tale provvedimento è stato impugnato con ricorso nel quale sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione di legge, nonché il difetto dei presupposti, per mancata comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge n. 241/90 e la carenza di motivazione.
A seguito della notifica del ricorso in esame, lo stesso Sindaco, in data 30 novembre 2010, con provvedimento prot. n. 35246, ha sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato, disponendo il rinnovo dell’istruttoria mediante ulteriori accertamenti e l’acquisizione di una valutazione tecnica di maggior dettaglio da parte dell’ASL.
Anche in tale occasione la ricorrente ha ribadito che le attività esercitate come stabilimento fornitore “sono consistite, presso l’ufficio a ciò dedicato, nello svolgimento di compiti amministrativi e di supporto per la Marshall Bio Resources di Lione”.
Il 2 dicembre 2011, però, il Comune ha nuovamente contestato il perdurare della violazione già evidenziata e con un provvedimento avente analoga, ancorché più dettagliata, motivazione, ha intimato alla ricorrente di provvedere, entro 120 giorni, ad attuare interventi finalizzati a garantire distinzione e separazione tra lo stabilimento fornitore e la struttura destinata all’allevamento, pena la revoca del provvedimento.
Avverso tale manifestazione di volontà del Comune parte ricorrente ha notificato un ricorso per motivi aggiunti, deducendo illegittimità derivata per violazione degli artt. 4, 5 e 10 del d. lgs. n. 116 del 27 gennaio 1992, n. 116. La ricorrente, per oltre quindici anni, ha esercitato l’attività di fornitore, in ragione di apposita autorizzazione e nessun controllo ha evidenziato l’assenza originaria o sopravvenuta dei requisiti a tal fine necessari. Essa sarebbe, dunque, in possesso di tutti i requisiti previsti dalla legge, la quale, secondo la ricostruzione di parte ricorrente, non imporrebbe la separazione tra stabilimento di allevamento e stabilimento fornitore ritenuta, invece, necessaria dall’ASL di Brescia e, conseguentemente, dal Comune. Tale norma, inoltre, non prescriverebbe alcun termine entro cui iniziare l’attività autorizzata, per cui non sarebbe configurabile una decadenza per mancata attuazione della separazione ed attivazione dell’attività di fornitore.
In ogni caso, contrariamente a quanto affermato dall’ASL e dal Comune, l’attività di fornitore non implicherebbe necessariamente il ricovero di animali da commercializzare, potendo essere esercitata anche solo in forma di mediazione.
L’Azienda sanitaria, che già aveva chiarito come il provvedimento originario fosse legittimo, in quanto rispondente alla legge - considerata l’inutilità della comunicazione di avvio del procedimento a fronte di un’incontestata situazione di fatto di cui si è preso atto e il richiamo al parere ASL 30 giugno 2010 prot. n. 0090161, che rappresenterebbe idonea motivazione – ha, dunque, insistito per il rigetto del ricorso.
In punto di fatto, ha evidenziato la difesa dell’ASL, parte ricorrente ha omesso un dato essenziale, rappresentato dalla circostanza per cui i locali originariamente individuati, in occasione dell’autorizzazione rilasciata nel 2001, come locali destinati allo stabilimento fornitore sono stati, invece, destinati a magazzino, laboratorio, ripostiglio laboratorio.
Con riferimento ai motivi aggiunti, l’ASL, nel ribadire la propria precedente linea difensiva, ha altresì richiamato quanto chiarito dal Dirigente del Distretto Veterinario n. 2 nella nota del 5 marzo 2012, n. 0031488, in specie con riferimento all’evidente volontà della Green Hill di non svolgere l’attività di fornitore autorizzata (con il transito di animali), così da rendere incomprensibile la resistenza al provvedimento di revoca.
Il Comune, in vista della pubblica udienza, dopo aver introdotto l’eccezione di improcedibilità del ricorso originario, ha sostenuto l’infondatezza delle pretese avversarie. A tal fine ha sottolineato come i provvedimenti censurati, anche quello originario, siano stati frutto di un’ampia istruttoria, rispetto agli esiti della quale si configuravano come atti sostanzialmente dovuti. Nel merito, la ratio della norma censurata sarebbe volta ad escludere qualsivoglia commistione strutturale e logistica.
Peraltro, secondo la difesa comunale, il ricorso per motivi aggiunti sarebbe inammissibile, in quanto rivolto verso un “atto prodromico rispetto ad un successivo provvedimento di revoca della sospensione del provvedimento di revoca”.
In replica ai predetti agomenti, la ricorrente ha precisato come l’autorizzazione revocata è la nr. 36453 del 13 novembre 2008 e non anche la 14890/01, cui erano allegate le planimetrie che indicavano una distribuzione dei locali ben diversa da quella conseguita a seguito dei lavori di cui alla concessione edilizia 4 dicembre 2002. Essa, inoltre, ha delimitato l’oggetto del ricorso, precisando che lo stesso “non è teso ad affermare che non debba sussistere separazione (fisica) tra l’attività di allevamento e l’attività di fornitura ma che detta separazione – attinendo alla fase di attivazione dell’autorizzazione – debba essere realizzata solo nel momento in cui l’attività di fornitura sia concretamente esercitata e solo se tale esercizio comporti il transito di animali attraverso lo stabilimento.”.
Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2012 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Debbono essere preliminarmente esaminate le eccezioni in rito introdotte dal Comune di Montichiari in relazione sia al ricorso introduttivo, che a quello per motivi aggiunti.
A tale proposito il Collegio ritiene che il ricorso introduttivo non sia divenuto di per sé improcedibile, in ragione del rinnovo dell’istruttoria disposta dal Comune. Ancorché, infatti, possa ravvisarsi in tutto e per tutto un nuovo esercizio del potere, con la conseguenza che, in concreto, l’espressione della volontà dell’Amministrazione di cui alla nota del 2 dicembre 2011, n. 3 non può ritenersi meramente confermativa di quella di cui al provvedimento originario di revoca dell’autorizzazione, ma frutto di un rinnovato esame degli interessi coinvolti, la scelta di disporre la revoca della sospensione della revoca dell’autorizzazione già disposta, anziché l’adozione di un nuovo atto di revoca, induce a ritenere che quest’ultimo atto non sia stato in effetti integralmente sostituito per effetto del rinnovo dell’attività istruttoria.
Né appare condivisibile la tesi della natura non lesiva, ma endoprocedimentale, della nota con cui è stato comunicato l’esito del riesercizio del potere. È inequivocabile, infatti, che con tale nota si è imposto un termine per provvedere, con ciò imponendo un facere specificamente sanzionato, che esclude la natura meramente propedeutica della stessa che, al contrario, incide direttamente sulla situazione giuridica soggettiva di cui è titolare l’azienda.
Ne discende, oltre alla procedibilità del ricorso introduttivo, l’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti.
La sopravvenienza del nuovo provvedimento, però, ha determinato l’improcedibilità del primo motivo di doglianza di cui al ricorso introduttivo, in quanto ogni eventuale violazione delle garanzie procedimentali è stata superata dal rinnovo dell’attività istruttoria con specifico coinvolgimento della ricorrente: circostanza, questa, che non è posta in contestazione.
Ciò premesso in rito, nel merito il ricorso non può trovare positivo apprezzamento.
In primo luogo si ritiene che il provvedimento di revoca impugnato sia sufficiente motivato, in specie alla luce delle integrazioni di cui alla successiva nota del 2 dicembre 2011, che potranno risultare più chiare previa ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
L’art. 2 del d. lgs. 116/92 definisce: “h) «stabilimento di allevamento»: qualsiasi stabilimento in cui gli animali vengono allevati allo scopo di essere successivamente utilizzati in esperimenti;
i) «stabilimento fornitore»: qualsiasi stabilimento diverso da quello di allevamento, che fornisce animali destinati ad essere utilizzati in esperimenti.
Da tale dato letterale l’Amministrazione competente alla vigilanza sull’applicazione della normativa ha tratto la convinzione che stabilimento di allevamento e stabilimento fornitore debbano essere tra di loro distinti.
Una tale interpretazione risulta essere funzionale alla necessità di garantire la possibilità di un adeguato controllo del rispetto della norma. Il Legislatore ha, infatti, posto in capo ai titolari di stabilimento la responsabilità degli adempimenti amministrativi previsti dalla normativa, nonché delle operazioni di mantenimento degli animali e dello stato di salute dei medesimi. Esso ha, quindi, provveduto ad indicare quali sono i soggetti che debbono attendere alle varie attività e in quale modo deve risultare da uno specifico registro l'attività svolta dallo stabilimento onde possa essere rilevato l'elenco degli animali utilizzati, acquistati, la loro provenienza e la data del loro arrivo. Pertanto, la distinzione tra i due tipi di stabilimenti (di allevamento e fornitore) sembra rispondere allo scopo di evitare sostituzioni degli animali o introduzioni degli stessi senza l'osservanza delle norme: ragione per cui i medesimi debbono essere dotati di un marchio di identificazione (e qualora le particolari condizioni rilevabili dalla normativa non possano aver dato luogo all'impressione del marchio, sono previste apposite procedure da seguire perché l'identificazione possa essere sempre attuata).
Anche la Regione Lombardia, nello stesso parere invocato da parte ricorrente (dell’1 luglio 2010), sebbene ammetta la possibilità per gli stabilimenti di allevamento e fornitori di coesistere ha, però, chiarito, su specifica domanda dell’ASL riferita alla possibilità di esistenza di spazi comuni, la necessità che strutture ed attrezzature siano distinte.
E’ pur vero che, se la separazione degli ambienti appare razionalmente collegata alla presenza fisica di animali, nel caso di specie, non risulta comprovato che vi sia mai stato il passaggio di animali provenienti da altri stabilimenti, essendosi la ricorrente occupata solo di intermediazione. Ciò non di meno l’autorizzazione di cui era titolare Green Hill la legittimava a tale attività, non essendo limitata a consentire l’esercizio di attività di intermediazione. Per tale motivo lo stabilimento doveva e deve essere diverso da quello destinato all’allevamento ed idoneo all’attività di fornitore.
La presenza di locali specificamente destinati ed adatti allo svolgimento di quest’ultima attività, infatti, non può essere subordinata alla decisione di esercitare effettivamente l’attività stessa, ma è ancillare al potenziale esercizio dell’attività.
Né può essere ravvisata alcuna contraddittorietà nei precedenti controlli, dal momento che essi hanno sempre avuto ad oggetto la verifica dei requisiti per il possesso dell’autorizzazione all’allevamento, diversa ed autonoma rispetto a quella in discussione ed oggi revocata.
Non corrisponde al vero, peraltro, quanto affermato da parte ricorrente nel sostenere che non vi sarebbe nessuna difformità tra situazione dello stabilimento autorizzata e quella riscontrata. Come evidenziato dall’ASL nella propria memoria di costituzione, infatti, l’autorizzazione all’esercizio dello stabilimento fornitore è stata rilasciata, nel 2001, individuando i locali a ciò destinati su di un’apposita planimetria. All’esito degli accertamenti disposti è emerso che tali locali sono stati destinati, in concreto, all’utilizzo come magazzino, laboratorio, ripostiglio laboratorio.
È pur vero che, a seguito dei lavori di sistemazione dello stabilimento, nel 2005 è stato richiesto un adeguamento delle autorizzazioni in essere, in particolare chiedendo che fosse incrementato a 2500 il numero degli animali sia allevati, sia in transito nell’ambito dell’attività di fornitore. Parte ricorrente, però, non ha fornito alcun principio di prova atto a dimostrare che l’autorizzazione alla modifica dello stabilimento abbia riguardato anche la riduzione dei locali originariamente destinati all’attività di fornitore al solo ufficio (con cancellazione della sala quarantena e del locale quarantena e dell’area di passaggio). Ne deriva la violazione della prescrizione contenuta nell’autorizzazione del 20 giugno 2001, che imponeva l’obbligo di chiedere la necessaria autorizzazione in relazione a qualsiasi variazione rispetto a quanto risultante dalla documentazione in atti.
L’utilizzo dello stabilimento deve, dunque, ritenersi difforme da quello preventivato ed autorizzato.
Legittimamente, pertanto, è stata disposta la decadenza dall’autorizzazione per effetto del mancato adeguamento a quanto prescritto dal Comune in ordine all’obbligo di porre in essere le modifiche necessarie per garantire un’organizzazione dello stabilimento conforme alle autorizzazioni in possesso della ricorrente (e, quindi, destinando i locali previsti nell’autorizzazione del 2001 come costituenti lo stabilimento fornitore a tale specifico uso).
Le spese del giudizio possono trovare compensazione nei confronti del Comune, atteso che la stessa amministrazione ha ritenuto opportuno un rinnovo dell’attività istruttoria a seguito della notifica del ricorso, mentre il rimborso deve essere disposto nei confronti dell’ASL, il cui comportamento non risulta essere suscettibile di censura.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone la compensazione delle spese del giudizio nei confronti del Comune e stabilisce che il contributo unificato dalla ricorrente anticipato rimanga a carico della stessa, mentre ordina alla ricorrente il pagamento delle spese del giudizio a favore dell’ASL resistente, nella misura di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre ad accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere
Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)