Cass. Sez. III n. 50778 16 dicembre 2019 (Ud 12 lug 2019)
Pres. Izzo Est. Zunica Ric. Currò ed altri
Caccia e animali.Competizioni non autorizzate tra animali

In tema di competizioni non autorizzate tra animali, il pericolo per l’integrità fisica di questi ultimi, che rende tali competizioni penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 544 quinquies cod. pen., va valutato in concreto sulla base di un criterio “ex ante” in relazione sia alle peculiarità della gara, sia alle complessive condizioni in cui essa si svolge, con particolare riguardo, oltreché alle circostanze di tempo e di luogo, alle caratteristiche strutturali degli impianti e alla presenza di servizi atti a prevenire o comunque a diminuire il rischio di pregiudizio per gli animali che vi prendono parte.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 aprile 2018, la Corte di appello di Messina confermava il giudizio di colpevolezza formulato con la sentenza del Tribunale di Messina del 7 ottobre 2015, relativamente agli odierni ricorrenti Carmelo Scotto, Placido Siracusano, Antonio Romeo, Antonino Tricomi, Davide Tricomi, Salvatore Tricomi, Francesco Tricomi, Santo Currò e Salvatore Mangano, nell’ambito di un articolato procedimento penale a carico di 19 imputati, relativo a una pluralità di contestazioni aventi ad oggetto, tra gli altri e per quanto in questa sede rileva, il reato di associazione a delinquere e due reati contro il sentimento per gli animali, ovvero previsti dagli art. 544 ter e 544 quinquies cod. pen.
Secondo la prospettazione accusatoria in larga parte recepita dal Tribunale, Siracusano, Romeo, Scotto, Davide, Antonino, Salvatore e Francesco Tricomi si erano stabilmente associati tra loro, allo scopo di commettere i delitti di maltrattamenti di animali e di competizioni non autorizzate di animali in modo  da metterne in pericolo l’integrità fisica, al fine di conseguire un ingiusto profitto.
In particolare, i cavalli venivano sottoposti ad allenamenti estenuanti e non conformi alle loro caratteristiche etologiche, oltre che a trattamenti farmacologici con finalità non terapeutiche, venendo impegnati in  gare clandestine, nelle quali erano costretti a correre su strade asfaltate, circondanti da un elevato numero di persone e auto, in condizioni meteorologiche particolarmente rigide, svolgendosi spesso le competizioni non autorizzate nelle prime ore del mattino, fatti commessi in Messina e nella provincia di Catania dal novembre 2006 all’attualità, avendo la Corte territoriale individuato la data finale delle condotte illecite nel 29 aprile 2011, data di esecuzione delle misure cautelari personali e reali.
Quanto alle singole posizioni, occorre evidenziare che: Placido Siracusano veniva condannato alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 416 comma 1 cod. pen. (capo A), 544 ter commi 1 e 2 cod. pen. (capo C) e 544 quinquies cod. pen. (capo D); Antonio Romeo, Antonino Tricomi e Davide Tricomi venivano condannati alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione ciascuno, in quanto ritenuti colpevoli dei reati di cui agli art. 416 comma 1 cod. pen. (capo A), 544 ter commi 1 e 2 cod. pen. (capo C) e 544 quinquies cod. pen. (capo D); Salvatore Tricomi veniva condannato alla pena di anni 3 e mesi 3 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 416 comma 2 cod. pen. (capo A), 544 ter cod. pen. (capo C) e 544 quinquies cod. pen. (capo D); Francesco Tricomi e Carmelo Scotto venivano condannati, rispettivamente, alla pena di anni 1 di reclusione il primo e di anni 2 di reclusione il secondo, in quanto ritenuti colpevoli del reato di cui all’art. 416 comma 2 cod. pen. (capo A), mentre Santo Currò e Salvatore Mangano venivano condannati, rispettivamente, alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione il primo e alla pena di anni 1 e mesi 5 di reclusione il secondo, in quanto ritenuti colpevoli dei reati ex art. 544 ter cod. pen. (capo C) e 544 quinquies cod. pen. (capo D).
Oltre a confermare il giudizio di responsabilità penale degli odierni ricorrenti, la Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ritenuta la permanenza dei reati cessata il 29 aprile 2011, revocava nei confronti di Romeo la confisca dell’immobile di cui al verbale di sequestro dei Carabinieri di Messina del 29 aprile 2011, confermando nel resto la sentenza del Tribunale.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello peloritana, Currò, Mangano, Romeo, Scotto, Siracusano, Antonino, Davide, Francesco e Salvatore Tricomi, tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. Mangano, Siracusano, Antonino Tricomi e Davide Tricomi, tramite il loro comune difensore, hanno sollevato otto motivi.
Con il primo, la difesa deduce il difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui è stata disattesa l’eccezione di nullità del giudizio di primo grado, per avere il G.I.P. rigettato la richiesta di definizione del procedimento con le forme del rito abbreviato condizionato, senza fissare l’udienza camerale per assumere la decisione nel contraddittorio tra le parti.
Si precisa in proposito che l’emissione dell’ordinanza di rigetto de plano della richiesta di rito abbreviato, come riconosciuto dalla stessa Corte di appello, integra una nullità di ordine generale, per cui il problema non era quello di individuare o meno una competenza funzionale o esclusiva del G.I.P., ma quello di determinare le conseguenze della ravvisata nullità, che doveva ritenersi non sanabile, essendo stato in tal modo sacrificato il diritto di difesa degli imputati.   
L’aver riproposto la questione alla prima udienza dibattimentale utile, aggiunge la difesa, non poteva né determinare alcuna sanatoria, né altresì legittimare la valutazione circa la sussistenza delle relative condizioni per l’ammissione del rito abbreviato condizionato con un giudizio “ora per allora”, operato da un giudice diverso da quello dinanzi al quale si era perfezionata la dedotta nullità.
Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano il giudizio sulla sussistenza della fattispecie associativa, osservando che l’accordo tra i proprietari dei cavalli veniva raggiunto di volta in volta in relazione alla singola gara che si voleva organizzare, senza che a tale accordo partecipassero in maniera consapevole i vari soggetti che poi si interessavano dell’esito della gara, anche scommettendo.
Alla scommessa principale, che riguardava i titolari dei cavalli impegnati nella gara, si affiancavano infatti una serie di scommesse collaterali che non erano gestite dal gruppo o dai singoli proprietari dei cavalli che partecipavano alla gara.
In definitiva, nel caso in esame, non sarebbero emersi elementi rivelatori di un legame stabile e permanente tra i vari associati, che non fosse limitato all’effettuazione delle singole corse, e che fosse caratterizzato dalla suddivisione di compiti e dalla predisposizione di mezzi e strutture dirette al conseguimento di un programma comune, costituendo le condotte ascritte ai singoli imputati non l’espressione di un indeterminato programma criminoso, ma piuttosto la concretizzazione di singole fattispecie di reato, cui era circoscritto l’accordo criminoso, esauritosi dopo la loro commissione, senza alcun pactum sceleris.     
Con il terzo motivo, riguardante le posizioni di Siracusano e di Antonino e Davide Tricomi, la difesa censura l’attribuzione agli stessi di una condotta di partecipazione qualificata all’organismo associativo, evidenziando che la Corte di appello aveva operato un’illegittima sovrapposizione tra condotte distinte e autonome, confondendo l’organizzazione della singola gara, che può integrare l’aggravante di cui all’art. 112 comma 1 n. 2 cod. pen., con gli elementi strutturali del ruolo di organizzatori o promotori dell’associazione a delinquere.
Con il quarto motivo, viene contestata la valutazione sulla sussistenza del reato di cui all’art. 544 ter commi 1 e 2 cod. pen., evidenziandosi in proposito che la Corte di appello non ha dato alcuna risposta ai rilievi difensivi sul punto, non descrivendo le singole condotte ascritte ai diversi imputati e omettendo di considerare che, come emerso dagli esami testimoniali e dai contenuti delle conversazioni captate, l’uso di prodotti farmacologici nel settore equino è ampiamente diffuso, in quanto funzionale alla legittima esigenza di favorire una serie di processi metabolici utili a ritardare i processi di affaticamento dei cavalli.
Sotto tale profilo, la motivazione della sentenza impugnata doveva ritenersi illogica e contraddittoria, anche nella misura in cui non si è tenuto conto della esclusione di responsabilità dei veterinari operata già dal Tribunale, ciò a riprova delle finalità terapeutiche e curative sottese alla somministrazione dei farmaci.
Con il quinto motivo, concernente la sola posizione di Mangano, la difesa contesta il giudizio di colpevolezza rispetto alla fattispecie di cui all’art. 544 quinquies cod. pen., evidenziando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, la norma in questione non punisce la mera partecipazione a competizioni non autorizzate tra animali, richiedendosi che l’organizzazione delle competizioni non autorizzate tra animali sia idonea a mettere seriamente in pericolo l’integrità fisica dell’animale, non essendo invece sufficiente il mero rischio di un infortunio, rischio che invero è insito in qualsiasi attività agonistica e che, comunque, nel caso in esame, non si è mai concretizzato, pur a fronte dell’ampio lasso di tempo in cui ha avuto luogo il monitoraggio investigativo.
Con il sesto motivo, relativo alle sole posizioni di Mangano e Siracusano, la difesa lamenta la violazione dell’art. 99 cod. pen. e l’omessa motivazione da parte della Corte di appello, pur a fronte di uno specifico motivo di censura, in ordine alle ragioni per cui la recidiva facoltativa contestata ai predetti imputati è stata ritenuta espressione di una maggiore pericolosità degli stessi.
Con il settimo motivo, oggetto di doglianza è il diniego delle attenuanti generiche, avendo la Corte di appello fatto ricorso a una motivazione apparente, senza tenere conto dei rilievi formulati sul punto nell’atto di appello.
Con l’ottavo motivo, speculare al primo, la difesa deduce la violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’omessa riduzione della pena per la scelta del rito abbreviato, che gli imputati avevano richiesto, subordinandolo alla trascrizione delle conversazioni intercettate, come riportate nella ordinanza cautelare genetica; la riduzione di pena, rileva la difesa, doveva essere comunque riconosciuta all’esito del giudizio, avendo lo stesso Tribunale riconosciuto l’assoluta necessità di procedere alla trascrizione delle conversazioni intercettate, per cui ben poteva essere applicata  la riduzione prevista per il rito abbreviato legittimamente richiesto dagli imputati.
2.2 Salvatore Tricomi e Francesco Tricomi, nel loro comune ricorso, hanno sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa censura il giudizio di colpevolezza di entrambi i ricorrenti, osservando che il reato associativo non poteva ritenersi sussistente, avendo la stessa Corte di appello riconosciuto la sussistenza di rapporti di conflittualità tra i presunti accoliti, la circostanza che non vi fosse una cassa comune e che gli spettatori provenivano da diverse province della Sicilia.
In maniera indebita, inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto la partecipazione dei ricorrenti alla presunta consorteria fino al 29 aprile 2011, nonostante le ultime “tracce” degli imputati risalgano al novembre 2007, avendo peraltro la Corte territoriale dato atto, senza tuttavia trarne le dovute conseguenze, della impossibilità oggettiva di Salvatore Tricomi di poter ricoprire il ruolo di fantino, così come contestatogli, essendo egli un soggetto in sovrappeso (140 kg.).
Con il secondo motivo, la difesa si duole del diniego delle attenuanti generiche, avendo la Corte di appello fatto ricorso ad argomentazioni apodittiche e sganciate dalle risultanze processuali, non considerando in particolare, quanto alla posizione di Francesco Tricomi, che la sua presenza nel processo, peraltro desunta in via indiretta, attraverso la captazione di una conversazione intercorsa tra altri soggetti, si era fermata temporalmente al novembre 2007, per cui nel suo caso non poteva parlarsi della protrarsi nel tempo dei comportamenti illeciti.
2.3. Carmelo Scotto ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa contesta l’affermazione della penale responsabilità del ricorrente rispetto al reato associativo, osservando che quest’ultimo nel caso di specie non poteva ritenersi sussistente, non essendo stata provata né l’affectio societatis, né una organizzazione contraddistinta da una distribuzione di ruoli.
In tal senso si evidenzia che, come già rimarcato nella sentenza di primo grado, i soggetti indicati come partecipanti alla struttura associativa organizzavano le gare in piena autonomia, avvenendo a titolo individuale sia l’acquisto dei cavalli, sia il loro addestramento, sia la partecipazione alle corse clandestine.
Dunque, non vi era la volontà di realizzare una struttura stabile, venendo in rilievo singoli comportamenti di persone che si incontravano in via occasionale.
Al più, dunque, poteva parlarsi di un concorso di persone ex art. 110 cod. pen.
Quanto poi alla partecipazione di Scotto all’associazione, la Corte territoriale avrebbe parimenti omesso di confrontarsi con le deduzioni difensive, non essendo stato considerato che l’imputato viene menzionato in una sola conversazione intercettata tra altri soggetti (Antonino Tricomi e Siracusano) priva di un contenuto specifico, mentre la presenza di Scotto nel corso della perquisizione presso la stalla sita in Messina alla via Adrano n. 19/A era giustificata dal fatto che i cavalli custoditi nel locale e i farmaci ritrovati erano di sua esclusiva proprietà e non erano affatto detenuti per conto di altri sodali.
Con il secondo motivo, la difesa deduce la violazione degli art. 442 e 125 cod. proc. pen., lamentando il difetto totale di motivazione in relazione alla richiesta di applicazione della riduzione della pena per il rito abbreviato.
Viene evidenziato al riguardo che il giudizio di penale responsabilità del ricorrente si è basato sulla trascrizione delle attività captative compiute dalla P.G. nel corso delle indagini, per cui ben poteva essere applicata la diminuzione della pena finale, posto che, sia dinanzi al G.I.P. sia al cospetto del Tribunale, all’inizio e alla fine del giudizio di primo grado, era stata tempestivamente avanzata la richiesta di giudizio abbreviato condizionata alla trascrizione delle conversazioni utilizzate per la valutazione della gravità indiziaria.
Sebbene tale specifica richiesta fosse stata ribadita anche nell’atto di appello, la Corte territoriale sarebbe rimasta del tutto silente sul punto.
2.4. Currò ha sollevato un unico motivo, con cui la difesa contesta il giudizio di colpevolezza formulato rispetto al reato di cui all’art. 544 ter comma 1 cod. pen., evidenziando come nella condotta del ricorrente non fossero ravvisabili fatti qualificabili come maltrattamenti di animali, non potendosi desumere la sussistenza degli elementi costituivi del reato de quo dalla mera partecipazione alla gara del 17 febbraio 2008, non essendo stato provato che tale condotta sia stata in grado di generare una sofferenza all’animale tale da ritenere integrato il reato, dovendosi considerare, in ogni caso, che Currò è risultato estraneo al gruppo criminale che si occupava dell’organizzazione delle corse clandestine.
2.5. Antonio Romeo ha sollevato tre motivi.
Con il primo, la difesa eccepisce la violazione dell’art. 416 comma 1 cod. pen. e l’omessa o manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità dell’imputato, evidenziando che al ricorrente non poteva essere attribuito il ruolo di organizzatore, posto che, come segnalato nell’atto di appello, Romeo, Siracusano, Antonino e Davide Tricomi svolgevano tutti, indifferentemente, le stesse funzioni e operavano per il perseguimento dei medesimi obiettivi, per cui si era in presenza di  una struttura orizzontale, contraddistinta dalla fungibilità delle funzioni svolte dai singoli associati, nonché dalla parità dei ruoli tra di essi, con l’esclusione di posizioni di supremazia.
Sul punto la Corte di appello avrebbe omesso ogni considerazione, limitandosi a ripercorrere in modo acritico gli argomenti già svolti nella sentenza del Tribunale.
Con il secondo motivo, viene riproposta, in termini sostanzialmente sovrapponibili rispetto alle censure sollevate dagli altri ricorrenti e in precedenza esposte, la questione processuale relativa alla mancata applicazione, in favore di Romeo, della diminuzione di pena prevista per il rito abbreviato.
      Con il terzo motivo, infine, il ricorrente deduce la violazione dall’art. 178 comma 1 lett. C) cod. proc. pen., censurando la mancanza di motivazione in relazione agli art. 62 bis cod. pen. e 121 cod. proc. pen., lamentando che la Corte di appello aveva omesso di motivare in relazione alle deduzioni difensive, contenute nella memoria depositata il 23 novembre 2017, circa la sussistenza degli elementi in grado di giustificare la concessione delle attenuanti generiche. In particolare, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare lo status di incensurato di Romeo, l’assenza di ulteriori pendenze giudiziarie, il fatto che svolgesse regolare attività lavorativa che costituisce l’unica fonte di reddito per sé e per la sua famiglia, la modestia delle somme di denaro che rappresentavano la posta in palio spettante al vincitore delle corse dei cavalli e la circostanza che a Messina le competizioni equestri sulla pubblica via siano state in passato, per lungo tempo, tollerate dalle Forze dell’Ordine e dall’Autorità Giudiziaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

        I ricorsi di Salvatore Mangano, Antonio Romeo, Carmelo Scotto, Placido Siracusano, Antonino Tricomi, Davide Tricomi, Francesco Tricomi e Salvatore Tricomi sono inammissibili perché manifestamente infondati; è invece fondato il ricorso di Santo Currò, nei cui confronti la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo C), perché il fatto non sussiste, con conseguente rideterminazione della pena a suo carico.
       1. Prima di soffermarsi sulle singole posizioni dei ricorrenti, si ritiene utile una breve ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio, che invero, al di là del dissenso sul suo inquadramento giuridico, in punto di fatto non è contestata.
Orbene, le indagini che hanno dato luogo all’odierno giudizio sono scaturite dall’attività di captazione disposta nell’ambito di un altro procedimento penale in tema di sfruttamento della prostituzione: attraverso il monitoraggio dell’utenza telefonica in uso a Placido Siracusano, emergeva l’inserimento di questi in un sodalizio dedito all’organizzazione di corse clandestine di cavalli nel Messinese.
In particolare, mediante l’ascolto di una conversazione avvenuta il 3 novembre 2006, si apprendeva che, il successivo 5 novembre, si sarebbe svolta, lungo la strada “marina” di Messina, una competizione clandestina di cavalli; veniva pertanto predisposto un servizio di osservazione e controllo, che consentiva di accertare lo svolgimento, nelle prime ore del mattino, di una gara di trotto, tra il Viale della libertà e la via consolare Pompea, con due calessi trainati da cavalli che percorrevano la pubblica via circondati da almeno 50 ciclomotori che scortavano i corridori, in modo da bloccare il traffico veicolare ed evitare turbative alla gara, con un pubblico di circa 600 persone, evidentemente interessate al giro di scommesso collegato alla manifestazione in corso.
Veniva a questo punto instaurato un autonomo procedimento penale, nel cui ambito venivano monitorate, oltre a quella in uso a Siracusano, anche le utenze telefoniche di persone in contatto con lui, come Antonino Tricomi, detto “Nino” o “Ficarazza”, il cugino Davide Tricomi, Antonio Romeo e Santo Currò.
 A riscontro dei dialoghi intercettati, venivano eseguiti anche vari servizi di osservazione, che consentivano di riscontrare non solo lo svolgimento delle gare, ma anche i luoghi utilizzati per il ricovero degli animali, consistendo le attività degli indagati non solo nell’organizzazione delle corse e nella raccolta delle scommesse ad esse collegate, ma anche in una serie di condotte strumentali, tipo la compravendita dei cavalli e la loro sottoposizione a pratiche di addestramento e a somministrazioni di farmaci in modo pericoloso per la loro salute, con sedute di allenamento estenuanti e in condizioni spesso proibitive.
Gli animali, inoltre, venivano puniti in caso di prestazioni giudicate non soddisfacenti, venendo ripetutamente percossi con strumenti vari, come emerso tristemente dalle inquietanti conversazioni intercorse il 12, il 13 e 15 maggio 2007 tra Antonino Tricomi, Davide Tricomi, Antonio Romeo e Placido Siracusano: i testi di questi dialoghi sono riportati da pagina 75 a pagina 78 della sentenza di primo grado, mentre da pagina 79 in poi sono descritti ulteriori e non meno gravi episodi di maltrattamenti, con l’indicazione di dettagli raccapriccianti, come ad esempio l’utilizzo di un casco da moto per colpire ripetutamente un cavallo.
I maltrattamenti degli animali sono stati del resto ampiamente riscontrati dalle Forze dell’ordine, che in numerosi sopralluoghi, come ad esempio quello eseguito il 24 agosto 2007 in un locale controllato da Antonio Romeo, hanno visto questi fare rientro nella stalla tirando un cavallo che presentava vistosi rigonfiamenti.
Anche la costante sottoposizione degli animali a trattamenti farmacologici indiscriminati costituiva oggetto di approfondimento investigativo, risultando eloquenti in tal senso sia alcune conversazioni telefoniche, come ad esempio quelle intercorse l’11 maggio, il 10 e il 19 giugno 2007 tra Antonino Tricomi e Placido Siracusano, sia gli esiti delle perquisizioni eseguite presso le stalle nella disponibilità dei sodali, che hanno consentito di rinvenire una quantità notevole di farmaci e preparati vari, completi di provetti, siringhe e cateteri, che venivano spesso utilizzati da personale non qualificato, ovvero dai proprietari dei cavalli.
Peraltro, i protagonisti dei dialoghi intercettati si avvalevano anche delle consulenze telefoniche di tre veterinari (Giuseppe Salvatore Catone, Antonino Di Blasi e Nazzareno Naso) che, sebbene assolti dall’accusa di essere concorrenti esterni dell’associazione, sono risultati comunque disponibili a fornire un loro supporto tecnico rispetto ai trattamenti farmacologici destinati ai cavalli, il più delle volte ispirati non da esigenze terapeutiche, ma dalla finalità di migliorarne indebitamente le prestazioni in concomitanza con lo svolgimento delle gare.    
Quanto alla organizzazione delle corse, l’ascolto delle conversazioni captate e i servizi di appostamento della Compagnia Carabinieri di Messina Centro, talora culminati con riprese video, hanno consentito di accertare che le gare erano programmate con modalità prestabilite tra varie fazioni, i cui componenti si incontravano talora in alcuni bar di Messina (come il bar San Martino, il bar Desiderio o il Policlinic bar), dove venivano definiti i dettagli delle competizioni, che in genere si svolgevano di buon mattino nei giorni festivi, generalmente sempre lungo gli stessi itinerari di Messina e dintorni, anche se non mancate gare tenutesi in pieno giorno, come quella del 17 giugno 2007 avvenuta alle 13.50 lungo il viale Gazzi, cui prese parte il cavallo di Antonio Romeo.
I gruppi titolari dei cavalli che si sfidavano scommettevano solitamente sull’esito delle gare cifre dell’ordine di alcune migliaia di euro, parte dei quali venivano depositate dallo sfidante all’atto della fissazione della corsa a titolo di caparra (“lascito”), mentre il resto veniva riscosso subito dopo sul luogo della corsa, ovvero subito dopo, presso uno dei soliti bar o presso la stalla del vincitore.
Nell’ipotesi in cui la gara non avesse avuto luogo, il “lascito” veniva di norma trattenuto dalla controparte, come si evince dalla conversazione intercorsa il 20 maggio 2007 tra Placido Siracusano e Davide Tricomi, nella quale il primo incaricava il proprio interlocutore di informare la controparte in gara che la competizione non avrebbe potuto avere più luogo a causa di un lutto, autorizzando a trattenere il “lascito”, convenuto nell’importo di 500 euro, fermo restando l’intento di effettuare la corsa a distanza di alcune settimane.
      2. Orbene, così delineati a grandi linee i fatti di causa, ricostruiti in maniera accurata nelle due conformi sentenze di merito (soprattutto in quella di primo grado), deve ritenersi altresì immune da censure la loro qualificazione giuridica.
Ed invero, quanto alla fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen., sia il Tribunale che la Corte di appello hanno ragionevolmente valorizzato il modus operandi dei sodali, i quali provvedevano a organizzare in maniera costante e con cadenze regolari le corse clandestine, che si svolgevano secondo un rituale consolidato, in giorni e orari concordati, gestendo le scommesse collegate alle competizioni.
A ciò si affiancava una serie di attività collaterali, consistenti nell’acquisto e nell’addestramento dei cavali, destinatari non solo di allenamenti e pratiche a dir poco estenuanti, ma anche di assurde vessazioni fisiche, oltre che di trattamenti sanitari del tutto arbitrari e in ogni caso sganciati da finalità terapeutiche, ma finalizzati solo a incrementarne le prestazioni fisiche in modo incontrollato, mediante la disponibilità di farmaci di vario tipo presenti nelle diverse stalle.
Quando poi veniva assunto l’impegno di partecipare a una determinata corsa, gli accoliti si mobilitavano con una collaudata ripartizione dei ruoli, preparando il cavallo destinato a gareggiare, concorrendo nella divisione delle spese per l’acquisto dei farmaci, pagando il cd. “lascito” e concorrendo alla ripartizione delle vincite, distribuite tra coloro che avevano preventivamente collaborato.
Dunque, alla luce della indeterminatezza dei reati fine e della ripetizione nel tempo dei vari episodi illeciti, compiuti secondo uno schema comportamentale ben preciso, che si rinnovava in occasione di ogni competizione clandestina, legittimamente i giudici di merito hanno ritenuto applicabile non la disciplina del concorso di persone, ma la fattispecie associativa, ciò in sintonia con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 1964 del 07/12/2018, dep. 2019, Rv. 274442 e Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258009), secondo cui l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato è ravvisabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale e accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati, anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso, con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, come avvenuto nel caso di specie.
Né in senso ostativo alla configurabilità del reato di cui all’art. 416 cod. pen. si pone il rilievo circa la frequente contrapposizione tra i vari sodali, culminata anche in momenti di forte tensione, posto che, come sottolineato in maniera non illogica dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, “interessi personali e spinte egoistiche non escludono affatto la necessità per tutti questi soggetti di operare sinergicamente, quale condizione imprescindibile per l’organizzazione delle gare e lo sviluppo dell’allettante giro di scommesse a ciò legato”.
Del resto, essendosi protratti i fatti dal 2006 al 2011, l’esistenza di conflitti tra i sodali non costituisce un’evenienza anomala, essendo invece ben più significativo, nell’ottica associativa, che gli episodi illeciti siano proseguiti anche dopo che si sono manifestati accesi contrasti tra i diversi gruppi contrapposti.
      2.1. Per quanto concerne le singole posizioni soggettive all’interno della struttura associativa, deve ritenersi che le considerazioni formulate al riguardo dai giudici di merito non prestano il fianco alle censure difensive.
Ed invero sia il Tribunale che la Corte di appello, all’esito di una puntuale disamina delle fonti dimostrative disponibili, hanno riconosciuto a Placido Siracusano, detto “Il Milazzese”, Tricomi Antonino, Tricomi Davide e Antonio Romeo il ruolo di promotori dell’associazione, essendo emerso dalle conversazioni intercettate che costoro, peraltro principali detentori dei locali preposti al ricovero degli animali, erano in grado di scegliere quando e come organizzare (ovvero “attaccare”) una corsa, riuscendo a coordinare le loro iniziative, occupandosi di ogni aspetto delle gare, dal reclutamento dei fantini all’individuazione delle “vedette”, dall’acquisto al crudele addestramento dei cavali, dalla gestione delle scommesse alla distribuzione dei relativi proventi.
Il ruolo di partecipi, invece, è stato riconosciuto in capo a Salvatore Tricomi, fratello di Antonino, a Francesco Tricomi, figlio di Salvatore, e a Carmelo Scotto.
Costoro, pur non svolgendo funzioni organizzative all’interno dell’associazione a delinquere, ne facevano comunque parte attivamente, coadiuvando stabilmente i promotori nei compiti caratterizzanti le attività associative, ad esempio nella programmazione delle corse clandestine e nel crudele addestramento dei cavalli.
Sotto il primo aspetto, quanto alla posizione di Salvatore Tricomi, sono state richiamate le conversazioni del 13 gennaio e del 3 febbraio 2017, nelle quali l’imputato, parlando con Siracusano, gli riferisce di aver “attaccato” alcune corse, fornendo i relativi dettagli sulle coordinate spazio-temporali delle gare e, in alcuni casi, anche sul’ammontare della posta in palio, dovendosi a ciò aggiungere che il ricorrente è stato identificato durante la perquisizione avvenuta il 22 novembre 2007 presso la stalla nella sua disponibilità, sita in via Adrano, nella quale sono stati rinvenuti quattro calessi e quattro cavalli di razza pony.  
Ora, a fronte di numerosi elementi probatori sintomatici del pieno inserimento di Salvatore Tricomi nelle attività associative, ragionevolmente è stata ritenuta non dirimente nella sentenza impugnata la circostanza valorizzata dalla difesa che egli non fosse idoneo a svolgere il ruolo di fantino perché in sovrappeso.
Quanto alle posizioni di Francesco Tricomi e a Carmelo Scotto, i giudici di merito hanno innanzitutto richiamato le conversazioni della mattina e della sera del 13 maggio 2007, nelle quali Antonino Tricomi, interloquendo prima con Placido Siracusano e poi con il cugino Davide Tricomi, descrive le modalità a dir poco brutali con cui egli, insieme a Scotto e al nipote Francesco (“Ciccio”), aveva sferrato colpi alla testa a un cavallo perché obbedisse ai loro ordini.
Francesco Tricomi, inoltre, risulta aver assicurato la sua stabile disponibilità a svolgere il ruolo di fantino nelle gare clandestine ed era presente nella ricordata perquisizione del 22 novembre 2007 presso la stalla del padre Salvatore.
Nella medesima data, peraltro, veniva svolta una perquisizione anche nella stalla di Scotto, dove venivano rinvenuti numerosi flaconi di farmaci con deflussori e siringhe, la cui presenza, in mancanza di spiegazioni alternative, è stata in modo non illogico ricollegata agli indebiti trattamenti farmacologi riservati agli animali, tanto più ove si consideri che in uno dei cavalli presenti nella stalla dell’imputato, all’esito dei prelievi ematici, venivano trovate tracce di “sulfametazina”.
Parimenti significativa, nell’ottica della ritenuta affiliazione associativa, è stata ritenuta inoltre la circostanza che Scotto, come risulta dal dialogo intercorso il 15 luglio 2007 tra Antonino Tricomi e Placido Siracusano, aveva la facoltà di “attaccare” le corse, riferendo quanto convenuto ai principali sodali.
Orbene, l’attribuzione dei ruoli a ciascun componente dell’associazione, sia agli organizzatori che ai partecipi, è scaturita da una disamina razionale del materiale probatorio, a fronte della quale non può ritenere consentita in questa sede (e ciò a prescindere dai pur evidenti limiti di autosufficienza dei ricorsi), la differente lettura delle intercettazioni telefoniche e degli altri elementi di prova proposta dalle difese, dovendosi sul punto richiamare il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
     3. Parimenti corretta risulta la valutazione delle sentenze di primo e secondo grado circa la sussistenza delle residue fattispecie di cui agli art. 544 ter (capo C) e 544 quinquies cod. pen. (capo D), avendo i giudici di merito valorizzato, in ordine al primo reato, sia i feroci maltrattamenti subiti dagli animali, desunti dal tenore univoco delle intercettazioni telefoniche, ma confermati anche dai controlli diretti svolti dalla P.G. (come ad esempio quello del 12 maggio 2007, allorquando Mangano veniva sorpreso dai militari mentre sottoponeva a violenze un cavallo), sia l’utilizzo indiscriminato di farmaci in vista delle gare clandestine, farmaci somministrati ai cavalli in assenza di comprovate esigenze terapeutiche.
Quanto alla fattispecie di cui all’art. 544 quinquies cod. pen., non possono ritenersi pertinenti le obiezioni difensive circa il mancato verificarsi di pericoli concreti a carico dei cavalli durante lo svolgimento delle gare, dovendosi ribadire in tal senso l’orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 42434 del 07/05/2015, Rv. 265334), secondo cui, in tema di competizioni non autorizzate tra animali, il pericolo per l’integrità fisica di questi ultimi, che rende tali competizioni penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 544 quinquies cod. pen., va valutato in concreto sulla base di un criterio “ex ante” in relazione sia alle peculiarità della gara, sia alle complessive condizioni in cui essa si svolge, con particolare riguardo, oltreché alle circostanze di tempo e di luogo, alle caratteristiche strutturali degli impianti e alla presenza di servizi atti a prevenire o comunque a diminuire il rischio di pregiudizio per gli animali che vi prendono parte.
Ora, nel caso di specie, non c’è dubbio che lo svolgimento delle gare sull’asfalto, in piste non delimitate e nelle prime ore del giorno, con una presenza notevole di persone e mezzi, fosse idoneo, anche alla luce della mancanza di un presidio veterinario, a mettere in pericolo la salute degli animali, peraltro addestrati precedentemente con le modalità violente riportate nelle sentenze di merito.
Da ciò consegue la manifesta infondatezza delle doglianze difensive sul punto.
4. A considerazioni diverse deve pervenirsi rispetto alla posizione di Currò.
Questi invero è stato condannato, oltre che in relazione al reato di cui all’art. 544 quinquies cod. pen. (capo D), anche in ordine al reato ex 544 ter cod. pen. (capo C), senza tuttavia che, rispetto a tale fattispecie, siano stati enucleati i presupposti per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
Ed invero l’unica condotta ascrivibile in concreto a Currò è quella di avere organizzato la gara del 17 febbraio 2008, interrotta poi dalle Forze dell’ordine, che sorpresero l’imputato a bordo di un calesse; in quell’occasione furono sequestrati gli equini coinvolti, che risultarono non negativi alle analisi del Centro antidoping di Pomezia, mentre nelle intercettazioni di quel giorno Currò mostrava disappunto, dando prova di essere a conoscenza del giro di scommesse illegali.
Ora, questi elementi probatori, se sono stati ragionevolmente ritenuti sufficienti a ritenere provato il coinvolgimento del ricorrente nel reato di cui all’art. 544 quinquies cod. pen., viceversa risultano insufficienti a considerare dimostrata la commissione da parte di Currò del delitto di maltrattamenti di animali, non essendovi alcun elemento per sostenere che i cavalli impiegati nella gara clandestina cui partecipò il ricorrente siano stati destinatari di vessazioni, in epoca antecedente, coeva o successiva allo svolgimento della corsa in esame.
La doglianza difensiva, che invero era formulata in termini sufficientemente specifici anche nell’atto di appello, deve pertanto ritenersi fondata, per cui, limitatamente alla posizione di Currò, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in ordine al reato di maltrattamento di animali cui al capo C, perché il fatto non sussiste, con conseguente eliminazione della pena corrispondente, pari a 2 mesi di reclusione, dovendosi rideterminare pertanto la pena a carico del ricorrente in quella di anni 1 e mesi 6 di reclusione fissata come pena base per il reato più grave, ovvero quello di cui al residuo capo D, in ordine al quale alcuna censura risulta sollevata in questa sede.
         5. Superate le censure in punto di responsabilità, è ora possibile affrontare la questione processuale comune ai ricorsi di Carmelo Scotto, Placido Siracusano, Antonio Romeo, Antonino Tricomi, Davide Tricomi e Salvatore Mangano, ovvero la dedotta nullità del rigetto de plano della richiesta di abbreviato condizionato alla trascrizione delle intercettazioni valutate ai fini della gravità indiziaria e la mancata applicazione della riduzione di un terzo all’esito del giudizio di merito.
In ordine al primo aspetto, deve rilevarsi che, effettivamente, il G.I.P. ha disatteso la richiesta di rito abbreviato condizionato de plano, cioè senza la fissazione della prescritta udienza camerale, il che non può ritenersi consentito, avendo questa Corte affermato (cfr. Sez. 3, n. 45683 del 11/10/2011, Rv. 251604) che in tema di rito abbreviato condizionato richiesto nell’ambito del giudizio immediato, la valutazione de plano in ordine all’ammissibilità dell'istanza, quale antecedente necessario del decreto di fissazione dell’udienza, riguarda unicamente i requisiti formali dell’istanza stessa e, quindi la tempestività, la legittimazione del richiedente e la riferibilità all’intero processo a carico dell’imputato, restando demandata all’udienza ogni valutazione in ordine alla compatibilità della integrazione probatoria richiesta con il rito speciale.
Ciò posto, è stato tuttavia precisato (Sez. 3, n. 5236 del 25/05/2016, dep. 2017) che, in tema di rito abbreviato condizionato richiesto nell’ambito del giudizio immediato, l’omessa fissazione dell’udienza in contraddittorio tra le parti, ai sensi dell’art. 458, comma secondo, cod. proc. pen., non determina la nullità assoluta o l’abnormità del decreto di rigetto de plano della richiesta e della contestuale fissazione dell’udienza per il giudizio immediato, emesso dal G.I.P., ma soltanto una nullità di ordine generale, eventualmente sanabile per iniziativa di parte.
Tanto premesso, deve ritenersi che, nel caso di specie, se è vero che la decisione del G.I.P. di rigettare de plano le richieste di ammissione al rito abbreviato non può ritenersi legittima, nondimeno la nullità può ritenersi sanata, non essendosi comunque verificata alcuna compressione dei diritti di difesa degli imputati.
Ed invero all’udienza del 2 novembre 2011, dinanzi al Tribunale, le difese degli interessati, oltre a eccepire la nullità, hanno potuto comunque legittimamente rinnovare le richieste di rito abbreviato condizionato, che sono state riproposte negli stessi termini in cui erano state proposte innanzi al G.I.P., per cui, sotto tale profilo, deve escludersi che vi sia stata alcuna violazione delle prerogative difensive, essendo stato consentito alle parti di interloquire, nel contraddittorio, sulle istanze di accesso al rito alternativo da loro presentate, colmandosi in tal modo la lacuna partecipativa insita nella precedente decisione de plano del G.I.P.
Deve pertanto ritenersi che all’originario vizio procedimentale sia stato posto adeguato rimedio in sede dibattimentale, dovendosi aggiungere che, sul piano sostanziale, la conferma del rigetto dell’istanza da parte del G.I.P. non presenta alcuna criticità, essendo stato correttamente ribadito dal Tribunale che l’integrazione probatoria cui era stata subordinata la richiesta di rito abbreviato (la trascrizione delle intercettazioni) non risultava necessaria ai fini del decidere.
Tale impostazione risulta sostanzialmente coerente con l’orientamento costante di questa Corte (cfr. in termini Sez. 2, n. 5472 del 28/01/2016, Rv. 266201 e Sez. 1, n. 32851 del 06/05/2008, Rv. 241232), secondo cui, poiché la trascrizione delle intercettazioni telefoniche non costituisce prova o fonte di prova, ma solo un’operazione puramente rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove già acquisite mediante registrazione fonica, non è possibile subordinare la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato a una integrazione probatoria consistente nell’esecuzione della trascrizione, ben potendo la parte far eseguire la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni secondo il disposto dell’art. 268, comma ottavo, cod. proc. pen.
Le richieste difensive, anche nel caso di Scotto, che aveva indicato un numero più circoscritto di conversazioni da trascrivere senza specificarne tuttavia la reale necessità, per come formulate, erano dunque manifestamente infondate, il che consente di escludere profili di illegittimità della decisione dei giudici di merito di escludere l’applicazione della diminuente del rito all’esito dei rispettivi giudizi, a nulla rilevando la circostanza che le pronunce di condanna si siano fondate in larga parte proprio su alcune delle intercettazioni telefoniche, non smentendo tale dato la genericità delle originarie richieste e comunque la non indispensabilità dell’integrazione probatoria cui le stesse erano state subordinate.
Di qui l’inammissibilità delle doglianze difensive.
        6. Residuano infine le censure sul trattamento sanzionatorio, delle quali, invero, deve parimenti rimarcarsi la manifesta infondatezza.
Sul punto deve premettersi che Romeo, Siracusano, Salvatore Tricomi, Francesco Tricomi, Antonino Tricomi e Davide Tricomi lamentano il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, mentre Mangano e Siracusano contestano anche l’omessa disapplicazione della recidiva a loro contestata.
       6.1. In ordine al primo aspetto, la Corte territoriale ha richiamato in senso ostativo, con motivazione invero riferita a tutti gli imputati, la protrazione nel tempo dei comportamenti illeciti, in quanto idonea a denotare una rilevante capacità a delinquere, essendo in ogni caso le difese venute meno all’onere di indicare, a fronte di pene oggettivamente non eccessive, le ragioni specifiche che avrebbero giustificato la mitigazione della pena inflitta a ciascun imputato.
Orbene, tale motivazione, in quanto priva di aspetti illogici, non presta il fianco alle censure difensive, avendo questa Corte più volte precisato (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269) che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione, dovendosi altresì aggiungere che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (cfr. ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899).
In ogni caso, non può sottacersi che, in questa sede, le censure difensive risultano non adeguatamente specifiche, non essendo stati illustrati i profili di meritevolezza che si assumono trascurati, a fronte delle negative risultanze dei certificati penali (Francesco Tricomi annovera 4 precedenti penali, Salvatore Tricomi 7, Davide Tricomi 1, Siracusano 2, Mangano 3) o del ruolo di primo piano rivestito nella vicenda (Romeo e Antonino Tricomi, pur essendo incensurati, sono tuttavia condannati in quanto organizzatori dell’associazione a delinquere).
       6.2. Parimenti immune da censure è la mancata esclusione della recidiva contestata agli imputati Siracusano e Mangano, dovendosi al riguardo rilevare che la relativa richiesta fu avanzata nell’atto di appello, così come nel presente ricorso, in termini generici, il che, pur non giustificando il silenzio motivazionale della Corte territoriale, vale comunque a rendere la doglianza non meritevole di accoglimento, soprattutto ove si consideri che Mangano annovera nel suo certificato penale, oltre a un precedente per danneggiamento e un altro per truffa e minaccia, anche un precedente condanna per tentato omicidio, mentre Siracusano ha subito in passato condanne per invasione di terreni, abuso edilizio, ricettazione e truffa, oltre a essere stato destinatario di due decreti applicativi della sorveglianza speciale, per cui può affermarsi che la nuova commissione dei reati per cui si è proceduto in questa sede, invero di non trascurabile gravità, si sia rivelata coerente con il vissuto delinquenziale di entrambi, giustificando pertanto il riconoscimento della contestata recidiva, applicata invero in misura non particolarmente afflittiva (mesi 4 per Mangano e anni 1 per Siracusano).
          7. In conclusione, alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, i ricorsi di Salvatore Mangano, Antonio Romeo, Carmelo Scotto, Placido Siracusano, Antonino Tricomi, Davide Tricomi, Francesco Tricomi e Salvatore Tricomi devono essere dichiarati inammissibili perché manifestamente infondati, conseguendo da ciò la condanna di tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
La sentenza impugnata deve essere invece annullata senza rinvio nei confronti di Santo Currò, limitatamente al reato di cui al capo C), perché il fatto non sussiste, con rideterminazione della pena nella misura in precedenza indicata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Currò Santo limitatamente al reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste e ridetermina la pena per il residuo reato di cui al capo D) in anni 1 e mesi 6 di reclusione.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Mangano Salvatore, Romeo Antonio, Scotto Carmelo, Siracusano Placido, Tricomi Antonino, Tricomi Davide, Tricomi Francesco e Tricomi Salvatore e condanna tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12/07/2019