Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1772, del 11 aprile 2014
Ambiente in genere.Legittimità ordinanza per rimozione e ripristino intervenuto a distanza di decenni dalla realizzazione delle opere abusive sul demanio marittimo. Inapplicabilità principio dell’affidamento

L’esercizio del potere di autotutela demaniale previsto dagli art. 54 e 55, c. nav. non incontra limiti temporali in alcuna disposizione legislativa. Poiché, a norma degli art. 54 e 55 citati, è un atto dovuto l’ordine di rimettere le cose in pristino, se siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, le censure di eccesso di potere sono inammissibili, non essendo configurabili allorquando il provvedimento impugnato non è il risultato di valutazioni discrezionali”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01772/2014REG.PROV.COLL.

N. 07908/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7908 del 2012, proposto da:
Giancarlo Tomassi, rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Francario, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Mercede, 11;

contro

Comune di Pomezia, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Corpo delle Capitanerie di Porto e Agenzia del Demanio, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione I quater n. 1950/2012, resa tra le parti, concernente rimozione di opere abusive realizzate su area demaniale marittima.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni indicate in epigrafe;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 19 novembre 2013 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato Francario e l’avvocato dello Stato Barbara Tidore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante ha impugnato innanzi il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’ordinanza n. 45 prot. 104237 del 17 novembre 2010 con cui il Comune di Pomezia ha ordinato, ai sensi degli artt. 54 e 1161 del codice della navigazione, la rimozione di opere, realizzate su area demaniale marittima, consistenti in un cortile e in un balcone, facenti parte dell’appartamento di sua proprietà, in quanto occupanti, senza titolo, un’area demaniale marittima di 31,88 mq..

2. Il ricorso di primo grado è stato respinto dalla sentenza qui impugnata.

3. L’appellante ripropone le censure formulate in primo grado deducendo i seguenti motivi così epigrafati:

a) Sull’errore della sentenza appellata di non considerare che la demolizione di parte del balcone compromette la stabilità e la funzionalità dell’intero fabbricato (violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; difetto di motivazione; difetto d’istruttoria; erroneità dei presupposti in fatto in diritto; travisamento dei fatti; irragionevolezza; illogicità).

b) Sull’errore della sentenza appellata di ritenere nel caso di specie non violato il principio di affidamento e congruamente motivato il provvedimento comunale (violazione falsa applicazione del principio di affidamento; violazione falsa applicazione del principio di proporzionalità e adeguatezza dell’azione amministrativa; violazione falsa applicazione del principio di imparzialità; difetto di motivazione; difetto di istruttoria; erroneità dei presupposti in fatto in diritto).

c) Sull’errore della sentenza appellata di ritenere congruamente motivato il provvedimento comunale (violazione falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; difetto di motivazione; difetto di istruttoria; erroneità dei presupposti in fatto in diritto; travisamento dei fatti).

d) Sull’errore della sentenza appellata di non ritenere nel caso di specie violato l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento comunque non rilevante la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento (violazione falsa applicazione degli art. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990; violazione falsa applicazione delle norme principi che impongono all’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento; violazione falsa applicazione degli art. 9 e 10 della legge n. 241 del 1990; violazione falsa applicazione del diritto di partecipazione al procedimento; eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria; violazione falsa applicazione principi di imparzialità; violazione falsa applicazione dello statuto comunale).

e) Sull’errore della sentenza appellata di ritenere sussistente nel caso di specie la competenza del Comune ad adottare il provvedimento impugnato (difetto di competenza; violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del codice della navigazione; violazione falsa applicazione dell’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977; violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 105 del d.lgs. n. 112 del 1998; violazione falsa applicazione dell’art. 77 della legge regionale 6 agosto 1999, n. 14; violazione falsa applicazione della circolare del Ministero dei trasporti n. 120 del 24 maggio 2001).

4. Con il primo motivo di appello il ricorrente si duole della mancata considerazione da parte dell’amministrazione comunale degli effetti pregiudizievoli, per la stabilità e funzionalità dell’intero fabbricato, che sarebbero determinati dall’esecuzione del provvedimento sanzionatorio.

La Sezione non può che rinviare al proprio precedente (decisione 27 dicembre 2010, n. 9408) nel quale si rilevava (proprio per le conseguenze nefaste che il provvedimento impugnato causava sul bene del ricorrente) che erano precluse al giudice della legittimità valutazioni in ordine alla sclassificazione del bene demaniale, fermo restando che l’amministrazione, prima di procedere alla materiale esecuzione del provvedimento impugnato, avrebbe dovuto valutare se conservare al bene la natura demaniale.

La censura, pertanto, non può trovare accoglimento in quanto, così come già evidenziato dal giudice di primo grado, la natura del bene (demanio marittimo), che l’amministrazione vuole ricondurre all’originaria destinazione, non consente valutazioni comparative in ordine agli interessi tutelati.

5. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione del principio dell’affidamento, essendo il provvedimento ripristinatorio intervenuto a distanza di decenni dalla realizzazione delle opere.

Anche tale censura non può trovare accoglimento in quanto la giurisprudenza della Sezione ha costantemente affermato che: “L’esercizio del potere di autotutela demaniale previsto dagli art. 54 e 55, c. nav. non incontra limiti temporali in alcuna disposizione legislativa. Poiché, a norma degli art. 54 e 55 citati, è un atto dovuto l’ordine di rimettere le cose in pristino, se siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, le censure di eccesso di potere sono inammissibili, non essendo configurabili allorquando il provvedimento impugnato non è il risultato di valutazioni discrezionali” (Cons. St. VI, 27 dicembre 2010, n. 9408; 29 marzo 2011, n. 1886; 14 luglio 2011, n. 4299 e n. 4301; 21 luglio 2011, n. 4431).

6. Con il terzo motivo il ricorrente censura il provvedimento impugnato per difetto di motivazione.

Anche tale censura è infondata perché, nel caso di specie, la motivazione è in re ipsa e consiste nella realizzazione di un manufatto, sia pure di modesta entità, su “demanio marittimo”. Né l’una, né l’altra circostanza sono state smentite nel corso del processo: entrambe sono sufficienti per giustificare l’adozione del provvedimento impugnato.

7. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione delle norme che garantiscono la partecipazione procedimentale.

L’infondatezza della censura in esame discende dalla natura e dal contenuto del provvedimento impugnato (di demolizione di opere realizzate sul demanio marittimo). Se, come si è detto, il potere di autotutela demaniale non incontra limiti temporali, costituisce corollario di tale principio l’irrilevanza di un’eventuale partecipazione al procedimento, la cui conclusione non poteva, anche attraverso un giudizio ex post, essere diversa da quella cristallizzata nel provvedimento impugnato (art. 21 octies, della legge n. 241 del 1990).

8. È infine infondata l’ultima censura con la quale si contesta la competenza del Comune ad adottare il provvedimento impugnato.

Anche in tal caso il collegio non può che richiamare l’orientamento della Sezione (14 luglio 2011, n. 4299 e n. 4301; 21 luglio 2011, n. 4431) secondo il quale “il potere sanzionatorio è, razionalmente, attribuito alla medesima autorità cui compete il rilascio delle concessioni demaniali”, alla luce del “comma 7 dell’art. 3 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, il quale stabilisce che <<ai fini dell’applicazione del presente decreto legislativo e ai sensi dell’articolo 1 e dell’articolo 3 della legge 15 marzo 1997, n. 59, tutte le funzioni e i compiti non espressamente conservati allo Stato con le disposizioni del presente decreto legislativo sono conferiti alle regioni e agli enti locali>>”.

9. In conclusione il ricorso va respinto con compensazione delle spese di giudizio per giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere, Estensore

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)